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Scena prima |
Sala terrena corrispondente a' giardini. Regolo, Guardie africane e poi Manlio. |
Q
<- Regolo, guardie africane
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Recitativo | |
REGOLO |
Ma che si fa? Non seppe
forse ancor del senato
Amilcare il voler? Dov'è? Si trovi;
partir convien. Qui che sperar per lui,
per me non v'è più che bramar. Diventa
colpa ad entrambi or la dimora.
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| <- Manlio
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Ah vieni,
vieni amico al mio seno. Era in periglio
senza te la mia gloria; i ceppi miei
per te conservo; a te si deve il frutto
della mia schiavitù.
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MANLIO |
Sì; ma tu parti.
Sì; ma noi ti perdiam.
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REGOLO |
Mi perdereste
s'io non partissi.
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MANLIO |
Ah! Perché mai sì tardi
incomincio ad amarti? Altri finora,
Regolo, non avesti
pegni dell'amor mio, se non funesti.
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REGOLO |
Pretenderne maggiori
da un vero amico io non potea; ma pure
se il generoso Manlio altri vuol darne,
altri ne chiederò.
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MANLIO |
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REGOLO |
Compito
ogni dover di cittadino, alfine
mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma
due figli, il sai, Publio ed Attilia; e questi
son del mio cor, dopo la patria, il primo,
il più tenero affetto. In lor traluce
indole non volgar; ma sono ancora
piante immature e di cultor prudente
abbisognano entrambi. Il ciel non volle
che l'opera io compissi. Ah tu ne prendi
per me pietosa cura;
tu di lor con usura
la perdita compensa; al tuo bel core
debbano e a' tuoi consigli
la gloria il padre e l'assistenza i figli.
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MANLIO |
Sì te 'l prometto. I preziosi germi
custodirò geloso. Avranno un padre,
se non degno così, tenero almeno
al par di te. Della virtù romana
io lor le tracce additerò. Né molto
sudor mi costerà. Basta a quell'alme,
di bel desio già per natura accese,
l'istoria udir delle paterne imprese.
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REGOLO |
Or sì più non mi resta...
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Scena seconda |
Publio e detti. |
<- Publio
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PUBLIO |
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REGOLO |
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PUBLIO |
Roma tutta è in tumulto. Il popol freme;
non si vuol che tu parta.
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REGOLO |
E sarà vero
che un vergognoso cambio
possa Roma bramar?
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PUBLIO |
No; cambio o pace
Roma non vuol; vuol che tu resti.
| |
REGOLO |
Io! Come?
E la promessa? E il giuramento?
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PUBLIO |
Ognuno
grida che fé non dessi
a perfidi serbar.
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REGOLO |
Dunque un delitto
scusa è dell'altro. E chi sarà più reo
se l'esempio è discolpa?
| |
PUBLIO |
Or si raduna
degli auguri il collegio. Ivi deciso
il gran dubbio esser deve.
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REGOLO |
Uopo di questo
oracolo io non ho. So che promisi;
voglio partir. Potea
della pace o del cambio
Roma deliberar. Del mio ritorno
a me tocca il pensier. Pubblico quello,
questo è privato affar. Non son qual fui;
né Roma ha dritto alcun sui servi altrui.
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PUBLIO |
Degli auguri il decreto
s'attenda almen.
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REGOLO |
No; se l'attendo, approvo
la loro autorità.
(agli africani)
Custodi al porto.
(a Manlio partendo)
Amico addio.
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MANLIO |
No Regolo; se vai
fra la plebe commossa, a viva forza
può trattenerti; e tu, se ciò succede,
tutta Roma fai rea di poca fede.
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REGOLO |
Dunque mancar degg'io?...
| |
MANLIO |
No; andrai; ma lascia
che quest'impeto io vada
prima a calmar. Ne sederà l'ardore
la consolare autorità.
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REGOLO |
Rimango
Manlio su la tua fé. Ma...
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MANLIO |
Basta; intendo.
La tua gloria desio;
e conosco il tuo cor. Fidati al mio.
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[N. 20 - Aria Manlio] | N
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Fidati pur; rammento
che nacqui anch'io romano.
Al par di te mi sento
fiamme di gloria in sen.
Mi niega, è ver, la sorte
le illustri tue ritorte;
ma se le bramo invano,
so meritarle almen.
(parte)
| Manlio ->
|
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Scena terza |
Regolo e Publio. |
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Recitativo | |
REGOLO |
E tanto or costa in Roma,
tanto or si suda a conservar la fede!
Dunque... Ah Publio! E tu resti? E sì tranquillo
tutto lasci all'amico
d'assistermi l'onor? Corri; procura
tu ancor la mia partenza. Esser vorrei
di sì gran beneficio
debitore ad un figlio.
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PUBLIO |
Ah padre amato
ubbidirò; ma...
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REGOLO |
Che? Sospiri! Un segno
quel sospiro saria d'animo oppresso!
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[N. 21 - Aria Publio] | N
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|
PUBLIO
Sì, lo confesso,
morir mi sento.
Ma questo istesso
crudel tormento
è il più bel merito
del mio valor.
Qual sacrificio
padre farei,
se fosse il vincere
gli affetti miei
opra sì facile
per questo cor?
(parte)
| Publio ->
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Scena quarta |
Regolo ed Amilcare. |
<- Amilcare
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Recitativo | |
AMILCARE |
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REGOLO |
Senza che parli intendo
già le querele tue. Non ti sgomenti
il moto popolar; Regolo in Roma
vivo non resterà.
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AMILCARE |
Non so di quali
moti mi vai parlando. Io querelarmi
teco non voglio. A sostenerti io venni
che solo al Tebro in riva
non nascono gli eroi,
che vi sono alme grandi anche fra noi.
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REGOLO |
Sia. Non è questo il tempo
di inutili contese. I tuoi raccogli;
t'appresta alla partenza.
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AMILCARE |
No. Pria m'odi; e rispondi.
| |
REGOLO |
| |
AMILCARE |
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REGOLO |
L'esser grato è dover. Ma già sì poco
questo dover s'adempie,
ch'oggi è gloria il compirlo.
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AMILCARE |
E se il compirlo
costasse un gran periglio?
| |
REGOLO |
Ha il merto allora
d'un'illustre virtù.
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AMILCARE |
Dunque non puoi
questo merto negarmi. Odi. Mi rende
del proprio onor geloso
la mia Barce il tuo figlio; e pur l'adora;
io generoso ancora
vengo il padre a salvargli; e pur m'espongo
di Cartago al furor.
| |
REGOLO |
| |
AMILCARE |
| |
REGOLO |
| |
AMILCARE |
A te lasciando
agio a fuggir. Questi custodi ad arte
allontanar farò. Tu cauto in Roma
celati sol fintanto
che, senza te con simulato sdegno,
quindi l'ancore io sciolga.
| |
REGOLO |
| |
AMILCARE |
E ben che dici?
Ti sorprende l'offerta.
| |
REGOLO |
| |
AMILCARE |
L'avresti
aspettata da me?
| |
REGOLO |
| |
AMILCARE |
Pur la sorte
non ho d'esser roman.
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REGOLO |
| |
AMILCARE (agli africani) |
| |
REGOLO (a' medesimi) |
| |
AMILCARE |
| |
REGOLO |
Grato io ti sono
del buon voler; ma verrò teco.
| |
AMILCARE |
| |
REGOLO |
No; ti compiango. Ignori
che sia virtù. Mostrar virtù pretendi;
e me, la patria tua, te stesso offendi.
| |
AMILCARE |
| |
REGOLO |
Sì. Come disponi
della mia libertà? Servo son io
di Cartago o di te?
| |
AMILCARE |
Non è tuo peso
l'esaminar se il beneficio...
| |
REGOLO |
È grande
il beneficio inver! Rendermi reo,
profugo, mentitor...
| |
AMILCARE |
Ma qui si tratta
del viver tuo. Sai che supplizi atroci
Cartago t'apprestò? Sai quale scempio
là si farà di te?
| |
REGOLO |
Ma tu conosci
Amilcare i Romani?
Sai che vivon d'onor? Che questo solo
è sprone all'opre lor, misura, oggetto?
Senza cangiar d'aspetto
qui s'impara a morir. Qui si deride
pur che gloria produca ogni tormento;
e la sola viltà qui fa spavento.
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AMILCARE |
Magnifiche parole
belle ad udir. Ma inopportuno è meco
quel fastoso linguaggio. Io so che a tutti
la vita è cara, e che tu stesso...
| |
REGOLO |
Ah troppo
di mia pazienza abusi. I legni appresta,
raduna i tuoi seguaci;
compisci il tuo dover, barbaro, e taci.
| |
| |
[N. 22 - Aria Amilcare] | N
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|
AMILCARE
Fa' pur l'intrepido;
m'insulta audace;
chiama pur barbara
la mia pietà.
Sul Tebro Amilcare
t'ascolta e tace;
ma presto in Africa
risponderà.
(parte)
| Amilcare ->
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Scena quinta |
Regolo, poi Attilia. |
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Recitativo | |
REGOLO |
E Publio non ritorna!
E Manlio... Ohimè! Che rechi mai sì lieta,
sì frettolosa Attilia?
| |
| <- Attilia
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ATTILIA |
Il nostro fato
già dipende da te; già cambio o pace
fida a' consigli tuoi
Roma non vuol; ma rimaner tu puoi.
| |
REGOLO |
| |
ATTILIA |
No; su tal punto il sacro
senato pronunciò. L'arbitro sei
di partir, di restar. Giurasti in ceppi;
né obbligar può sé stesso
chi libero non è.
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REGOLO |
Libero è sempre
chi sa morir. La sua viltà confessa
chi l'altrui forza accusa.
Io giurai perché volli;
voglio partir perché giurai.
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Scena sesta |
Publio e detti. |
<- Publio
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PUBLIO |
Ma invano
signor lo speri.
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REGOLO |
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PUBLIO |
Tutto il popolo o padre. È affatto ormai
incapace di fren. Per impedirti
il passaggio alle navi, ognun s'affretta
precipitando al porto; e son di Roma
già l'altre vie deserte.
| |
REGOLO |
| |
PUBLIO |
È il solo
che ardisca opporsi ancora
al voto universal. Prega; minaccia,
ma tutto inutilmente. Alcun non l'ode,
non l'ubbidisce alcun. Cresce a momenti
la furia popolar. Già su le destre
ai pallidi littori
treman le scuri; e non ritrova ormai
in tumulto sì fiero
esecutori il consolare impero.
| |
REGOLO |
Attilia addio. Publio mi siegui.
(in atto di partir)
| |
ATTILIA |
| |
REGOLO |
A soccorrer l'amico. Il suo delitto
a rinfacciare a Roma. A conservarmi
l'onor di mie catene.
A partire, o a spirar su queste arene.
(partendo)
| |
ATTILIA |
Ah padre, ah no. Se tu mi lasci...
(piangendo)
| |
REGOLO (serio ma senza sdegno) |
Attilia!
Molto al nome di figlia,
al sesso ed all'età finor donai.
Basta; si pianse assai. Per involarmi
d'un gran trionfo il vanto,
non congiuri con Roma anche il tuo pianto.
| |
ATTILIA |
(come sopra)
Ah tal pena è per me...
| |
REGOLO |
Per te gran pena
è il perdermi lo so. Ma tanto costa
l'onor d'esser romana.
| |
ATTILIA |
Ogn'altra prova
son pronta...
| |
REGOLO |
E qual? Co' tuoi consigli andrai
forse fra i padri a regolar di Roma
in senato il destin? Con l'elmo in fronte
forse i nemici a debellar pugnando
fra l'armi suderai? Qualche disastro
se a soffrir per la patria atta non sei
senza viltà, di', che farai per lei?
| |
ATTILIA |
È ver. Ma tal costanza...
| |
REGOLO |
È difficil virtù. Ma Attilia alfine
è mia figlia e l'avrà.
(partendo)
| |
ATTILIA |
Sì quanto io possa
gran genitor t'imiterò. Ma... oh dio!
Tu mi lasci sdegnato;
io perdei l'amor tuo.
| |
REGOLO |
No figlia io t'amo;
io sdegnato non son. Prendine in pegno
questo amplesso da me. Ma questo amplesso
costanza, onor, non debolezza inspiri.
| |
ATTILIA |
Ah sei padre, mi lasci; e non sospiri!
| |
| |
[N. 23 - Aria Regolo] | N
|
|
REGOLO
Io son padre e no 'l sarei,
se lasciassi a' figli miei
un esempio di viltà.
Come ogn'altro ho core in petto;
ma vassallo è in me l'affetto;
ma tiranno in voi si fa.
| (♦)
(♦)
|
| (parte con Publio) | Regolo, guardie africane, Publio ->
|
|
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Scena settima |
Attilia, poi Barce. |
|
| |
Recitativo | |
ATTILIA |
Su costanza o mio cor. Deboli affetti
sgombrate da quest'alma; inaridite
ormai su queste ciglia
lagrime imbelli. Assai si pianse; assai
si palpitò. La mia virtù natia
sorga al paterno sdegno;
ed Attilia non sia
il ramo sol di sì gran pianta indegno.
| |
| <- Barce
|
BARCE |
Attilia è dunque ver? Dunque a dispetto
del popol, del senato,
degli auguri, di noi, del mondo intero
Regolo vuol partir?
| |
ATTILIA (con fermezza) |
| |
BARCE |
| |
ATTILIA (come sopra) |
Più di rispetto
Barce agli eroi.
| |
BARCE |
Come! Del padre approvi
l'ostinato pensier?
| |
ATTILIA |
Del padre adoro
la costante virtù.
| |
BARCE |
Virtù che a' ceppi,
che all'ire altrui, che a vergognosa morte
certamente dovrà...
| |
ATTILIA |
(s'intenerisce di nuovo)
Taci. Quei ceppi,
quell'ire, quel morir del padre mio
saran trionfi.
| |
BARCE |
| |
ATTILIA |
| |
BARCE |
| |
ATTILIA |
Non può capir chi nacque
in barbaro terren per sua sventura
come al paterno vanto
goda una figlia.
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BARCE |
| |
| |
[N. 24 - Aria Attilia] | N
|
|
ATTILIA
Vuol tornar la calma in seno,
quando in lagrime si scioglie
quel dolor che la turbò.
Come torna il ciel sereno
quel vapor che i rai gli toglie,
quando in pioggia si cangiò.
(parte)
| Attilia ->
|
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|
Scena ottava |
Barce sola. |
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| |
Recitativo | |
|
Che strane idee questa produce in Roma
avidità di lode! Invidia i ceppi
Manlio del suo rival! Regolo aborre
la pubblica pietà! La figlia esulta
nello scempio del padre! E Publio... Ah questo
è caso inver che ogni credenza eccede.
E Publio ebbro d'onor m'ama, e mi cede!
| |
| |
[N. 25 - Aria Barce] | N
|
|
Ceder l'amato oggetto
né spargere un sospiro
sarà virtù; l'ammiro;
ma non la curo in me.
Di gloria un'ombra vana
in Roma è il solo affetto;
ma l'alma mia romana,
lode agli dèi, non è.
(parte)
| Barce ->
|
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| | |
|
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Scena nona |
Portici magnifici su le rive del Tevere; navi pronte nel fiume per l'imbarco di Regolo. Ponte che conduce alla più vicina di quelle. Popolo numeroso che impedisce il passaggio alle navi. Africani su le medesime. Littori col Console. Manlio e Licinio. |
Q
africani, popolo, littori, Manlio, Licinio
|
| |
Recitativo | |
LICINIO |
No. Che Regolo parta
Roma non vuole.
| |
MANLIO |
Ed il senato? Ed io
non siam parte di Roma?
| |
LICINIO |
Il popol tutto
è la maggior.
| |
MANLIO |
| |
LICINIO |
Almeno
la men crudel. Noi conservar vogliamo
pieni di gratitudine e d'amore
a Regolo la vita.
| |
MANLIO |
| |
LICINIO |
| |
MANLIO |
Basta; io non venni
a garrir teco.
(al popolo)
Olà; libero il varco
lasci ciascuno.
| |
LICINIO (al medesimo) |
| |
MANLIO |
| |
LICINIO |
| |
MANLIO |
Osa Licinio
al console d'opporsi?
| |
LICINIO |
Osa al tribuno
d'opporsi Manlio?
| |
MANLIO |
Or si vedrà. Littori
sgombrate il passo.
| |
| (i littori innalzando le scuri tentano avanzarsi) | |
LICINIO |
Il passo
difendete o romani.
| |
| (al popolo che si mette in difesa) | |
MANLIO |
Oh dèi! Con l'armi
si resiste al mio cenno! In questa guisa
la maestà...
| |
LICINIO |
La maestà di Roma
nel popolo risiede; e tu l'oltraggi
contrastando con lui.
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MANLIO (al popolo) |
| |
POPOLO |
| |
MANLIO |
Udite.
Lasciate che l'inganno io manifesti.
| |
POPOLO |
| |
MANLIO |
| |
POPOLO |
| |
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Scena ultima |
Regolo e seco tutti. |
<- Regolo, Attilia, Publio, Amilcare
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Recitativo accompagnato | |
REGOLO |
Regolo resti! Ed io l'ascolto? Ed io
creder deggio a me stesso? Una perfidia
si vuol? Si vuole in Roma?
Si vuol da me? Quai popoli or produce
questo terren? Sì vergognosi voti
chi formò? Chi nutrilli?
Dove sono i nepoti
de' Bruti, de' Fabrizi e de' Camilli?
Regolo resti! Ah per qual colpa e quando
meritai l'odio vostro?
| |
Recitativo | |
LICINIO |
È il nostro amore
signor quel che pretende
franger le tue catene.
| |
REGOLO |
E senza queste
Regolo che sarà? Queste mi fanno
de' posteri l'esempio,
il rossor de' nemici,
lo splendor della patria; e più non sono,
se di queste mi privo,
che uno schiavo spergiuro e fuggitivo.
| |
LICINIO |
A' perfidi giurasti;
giurasti in ceppi; e gli auguri...
| |
REGOLO |
Eh lasciamo
all'arabo ed al moro
questi d'infedeltà pretesti indegni.
Roma a' mortali a serbar fede insegni.
| |
LICINIO |
Ma che sarà di Roma
se perde il padre suo?
| |
REGOLO |
Roma rammenti
che il suo padre è mortal, che alfin vacilla
anch'ei sotto l'acciar, che sente alfine
anch'ei le vene inaridir, che ormai
non può versar per lei
né sangue né sudor, che non gli resta
che finir da romano. Ah n'apre il cielo
una splendida via; de' giorni miei
posso l'annoso stame
troncar con lode; e mi volete infame!
| |
Recitativo accompagnato | |
REGOLO |
No; possibil non è. De' miei romani
conosco il cor. Da Regolo diverso
pensar non può chi respirò nascendo
l'aure del Campidoglio. Ognun di voi
so che nel cor m'applaude;
so che m'invidia, e che fra' moti ancora
di quel che l'ingannò tenero eccesso,
fa voti al ciel di poter far l'istesso.
Ah non più debolezza. A terra, a terra
quell'armi inopportune; al mio trionfo
più non tardate il corso
o amici, o figli, o cittadini. Amico
favor da voi dimando;
esorto cittadin; padre comando.
| |
Recitativo | |
ATTILIA |
(Oh dio! Ciascun già l'ubbidisce!)
| |
PUBLIO |
(Oh dio!
Ecco ogni destra inerme!)
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LICINIO |
| |
REGOLO |
Grazie vi rendo
propizi dèi. Libero è il passo. Ascendi
Amilcare alle navi. Anch'io non tardo,
già sieguo i passi tui.
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AMILCARE |
(Alfin comincio ad invidiar costui.)
(sale su la nave)
| Amilcare ->
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Recitativo accompagnato | |
REGOLO |
Romani addio. Siano i congedi estremi
degni di noi. Lode agli dèi vi lascio
e vi lascio romani. Ah conservate
illibato il gran nome; e voi sarete
gli arbitri della terra; e il mondo intero
roman diventerà. Numi custodi
di quest'almo terren, dèe protettrici
della stirpe d'Enea confido a voi
questo popol d'eroi; sian vostra cura
questo suol, questi tetti e queste mura.
Fate che sempre in esse
la costanza, la fé, la gloria alberghi,
la giustizia, il valore. E se giammai
minaccia al Campidoglio
alcun astro maligno influssi rei,
ecco Regolo o dèi; Regolo solo
sia la vittima vostra e si consumi
tutta l'ira del ciel sul capo mio;
ma Roma illesa... Ah qui si piange! Addio.
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[Coro di romani] | N
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CORO DI ROMANI
Onor di questa sponda,
padre di Roma addio;
degli anni e dell'oblio
noi trionfiam per te.
Ma troppo costa il vanto;
Roma ti perde intanto;
ed ogni età feconda
di Regoli non è.
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