ATTILIO REGOLO
Dramma per musica.
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Libretto di Pietro METASTASIO.
Musica di Johann Adolph HASSE.
Prima esecuzione: 12 gennaio 1750, Dresda.
Personaggi:
REGOLO |
contralto |
MANLIO console |
tenore |
ATTILIA figliuola di Regolo |
soprano |
PUBLIO figliuolo di Regolo |
soprano |
BARCE nobile africana schiava di Publio |
soprano |
LICINIO tribuno della plebe, amante d'Attilia |
basso |
AMILCARE ambasciatore di Cartagine, amante di Barce |
soprano |
Coro di Romani.
Comparse di Senatori, Patrizi romani o Clienti, Littori con Manlio; Paggi mori con Attilia; Popolo romano con Licinio; Africani con Amilcare.
La scena si finge fuori di Roma, ne' contorni del tempio di Bellona.
Argomento
Fra i nomi più gloriosi de' quali andò superba la romana repubblica ha, per consenso di tutta l'antichità, occupato sempre distinto luogo il nome d'Attilio Regolo, poiché non sacrificò solo a pro della patria il sangue, i sudori e le cure sue, ma seppe rivolgere a vantaggio della medesima fin le proprie disavventure.
Carico già d'anni e di merito trovossi egli sventuratamente prigioniero in Cartagine, quando quella città atterrita dalla fortuna dell'emula Roma si vide costretta, per mezzo d'ambasciatori, a procurar pace da quella o il cambio almeno de' prigionieri. La libertà che sarebbe ridondata ad Attilio Regolo dalla esecuzione di tai proposte fe' crederlo a' cartaginesi opportuno strumento per conseguirla; onde insieme con l'ambasciatore africano lo inviarono a Roma, avendolo prima obbligato a giurar solennemente di rendersi alle sue catene, quando nulla ottenesse. All'inaspettato arrivo di Regolo proruppero in tanti trasporti di tenera allegrezza i romani, in quanti di mestizia e desolazione eran già cinque anni innanzi trascorsi all'infausto annuncio della sua schiavitù. E per la libertà di sì grande eroe sarebbe certamente paruta loro leggera qualunque gravissima condizione. Ma Regolo invece di valersi a suo privato vantaggio del credito e dell'amore ch'egli avea fra' suoi cittadini, l'impiegò tutto a dissuader loro d'accettar le nemiche insidiose proposte; e lieto d'avergli persuasi, fra le lagrime de' figli, fra le preghiere de' congiunti, fra le istanze degli amici, del senato e del popolo tutto, che affollati d'intorno a lui si affannavano per trattenerlo, tornò religiosamente all'indubitata morte che in Africa l'attendeva, lasciando alla posterità un così portentoso esempio di fedeltà e di costanza.
Appiano, Zonara, Cicerone, Orazio ed altri.
[Sinfonia]
Atrio nel palazzo suburbano del console Manlio. Spaziosa scala che introduce a' suoi appartamenti.
Attilia, Licinio dalla scala, Littori e Popolo.
Recitativo
LICINIO
Sei tu mia bella Attilia! Oh dèi! Confusa
fra la plebe e i littori
di Regolo la figlia
qui trovar non credei.
ATTILIA
Su queste soglie
ch'esca il console attendo. Io voglio almeno
farlo arrossir. Più di riguardi ormai
non è tempo o Licinio. In lacci avvolto
geme in Africa il padre; un lustro è scorso;
nessun s'affanna a liberarlo; io sola
piango in Roma e rammento i casi sui.
Se taccio anch'io chi parlerà per lui?
LICINIO
Non dir così, saresti ingiusta. E dove,
dov'è chi non sospiri
di Regolo il ritorno e che non creda
un acquisto leggier l'Africa doma,
se ha da costar tal cittadino a Roma!
Di me non parlo; è padre tuo; t'adoro;
lui duce appresi a trattar l'armi; e quanto
degno d'un cor romano
in me traluce ei m'inspirò.
ATTILIA
Finora
però non veggo...
LICINIO
E che potei privato
finor per lui? D'ambiziosa cura
ardor non fu che a procurar m'indusse
la tribunizia potestà; cercai
d'avvalorar con questa
l'istanze mie. Del popol tutto a nome
tribuno or chiederò...
ATTILIA
Serbisi questo
violento rimedio al caso estremo;
non risvegliam tumulti
fra 'l popolo e 'l senato. È troppo il sai
della suprema autorità geloso
ciascun di loro. Or questo, or quel n'abusa;
e quel che chiede l'un l'altro ricusa.
V'è più placida via. So che a momenti
da Cartagine in Roma
un orator s'attende. Ad ascoltarlo
già s'adunano i padri
di Bellona nel tempio; ivi proporre
di Regolo il riscatto
il console potria.
LICINIO
Manlio! Ah rammenta
che del tuo genitore emulo antico
fu da' prim'anni; in lui fidarsi è vano;
è Manlio un suo rival.
ATTILIA
Manlio è un romano;
né armar vorrà la nimistà privata
col pubblico poter. Lascia ch'io parli,
udiam che dir saprà.
LICINIO
Parlagli almeno
parlagli altrove; e non soffrir che mista
qui fral volgo ti trovi.
ATTILIA
Anzi vogl'io
che appunto in questo stato
mi vegga, si confonda,
che in pubblico m'ascolti e mi risponda.
LICINIO
Ei vien.
ATTILIA
Parti.
LICINIO
Ah né pure
d'uno sguardo mi degni!
ATTILIA
In quest'istante
io son figlia, o Licinio, e non amante.
[N. 1 - Aria Licinio]
LICINIO
Tu sei figlia e lodo anch'io
il pensier del genitore;
ma ricordati ben mio
qualche volta ancor di me.
Non offendi o mia speranza
la virtù del tuo bel core,
rammentando la costanza
di chi vive sol per te.
(parte)
Attilia, Manlio dalla scala, Littori e Popolo.
Recitativo
ATTILIA
Manlio per pochi istanti
t'arresta e m'odi.
MANLIO
E questo loco Attilia
parti degno di te?
ATTILIA
No 'l fu sin tanto
che un padre invitto in libertà vantai;
per la figlia or d'un servo è degno assai.
MANLIO
A che vieni?
Recitativo accompagnato
ATTILIA
A che vengo? Ah sino a quando
con stupor della terra,
con vergogna di Roma in vil servaggio
Regolo ha da languir? Scorrono i giorni,
gli anni giungono a' lustri e non si pensa
ch'ei vive in servitù. Qual suo delitto
meritò da' Romani
questo barbaro oblio? Forse l'amore
onde i figli e sé stesso
alla patria pospose? Il grande, il giusto,
l'incorrotto suo cor? L'illustre forse
sua povertà ne' sommi gradi? Ah come
chi quest'aure respira
può Regolo obliar! Qual parte in Roma
non vi parla di lui! Le vie? Per quelle
ei passò trionfante. Il Foro? A noi
provide leggi ivi dettò. Le mura
ove accorre il senato? I suoi consigli
là fabbricar più volte
la pubblica salvezza. Entra ne' tempi,
ascendi o Manlio il Campidoglio e dimmi
chi gli adornò di tante
insegne pellegrine
puniche, siciliane e tarentine.
Questi, questi littori
ch'or precedono a te, questa che cingi
porpora consolar Regolo ancora
ebbe altre volte intorno. Ed or si lascia
morir fra' ceppi? Ed or non ha per lui
che i pianti miei ma senza pro versati?
Oh padre! Oh Roma! Oh cittadini ingrati!
Recitativo
MANLIO
Giusto Attilia è il tuo duol ma non è giusta
l'accusa tua. Di Regolo la sorte
anche a noi fa pietà. Sappiam di lui
qual faccia empio governo
la barbara Cartago...
Recitativo accompagnato
ATTILIA
Eh che Cartago
la barbara non è. Cartago opprime
un nemico crudel; Roma abbandona
un fido cittadin. Quella rammenta
quant'ei già l'oltraggiò; questa si scorda
quant'ei sudò per lei; vendica l'una
i suoi rossori in lui; l'altra il punisce
perché d'allor le circondò la chioma;
la barbara or qual è? Cartago o Roma?
Recitativo
MANLIO
Ma che far si dovrebbe?
ATTILIA
Offra il senato
per lui cambio o riscatto
all'africano ambasciator.
MANLIO
Tu parli
Attilia come figlia; a me conviene
come console oprar; se tal richiesta
sia gloriosa a Roma
fa d'uopo esaminar. Chi a le catene
la destra accostumò...
ATTILIA
Donde apprendesti
così rigidi sensi?
MANLIO
Io n'ho sugli occhi
i domestici esempi.
ATTILIA
Eh di' che al padre
sempre avverso tu fosti.
MANLIO
È colpa mia
s'ei vincer si lasciò? Se fra' nemici
rimase prigionier?
ATTILIA
Pria d'esser vinto
ei v'insegnò più volte...
MANLIO
Attilia ormai
il senato è raccolto; a me non lice
qui trattenermi. Agli altri padri inspira
massime meno austere. Il mio rigore
forse puoi render vano,
ch'io son console in Roma e non sovrano.
[N. 2 - Aria Manlio]
Mi crederai crudele,
dirai che fiero io sia;
ma giudice fedele
sempre il dolor non è.
M'affliggono i tuoi pianti
ma non è colpa mia
se quel che giova a tanti
solo è dannoso a te.
(parte)
Attilia, poi Barce.
Recitativo
ATTILIA
Nulla dunque mi resta
da' consoli a sperar; questo è nemico;
assente è l'altro. Al popolar soccorso
rivolgersi convien. Padre infelice!
Da che incerte vicende
la libertà, la vita tua dipende.
BARCE
(con fretta)
Attilia, Attilia.
ATTILIA
Onde l'affanno?
BARCE
È giunto
l'africano orator.
ATTILIA
Tanto trasporto
la novella non merta.
BARCE
Altra ne reco
ben più grande.
ATTILIA
E qual è?
BARCE
Regolo è seco.
ATTILIA
Il padre!
BARCE
Il padre.
ATTILIA
Ah Barce
t'ingannasti o m'inganni?
BARCE
Io no 'l mirai.
Ma ognun...
ATTILIA
Publio...
(vedendolo venire)
Publio e detti.
PUBLIO
Germana...
son fuor di me... Regolo è in Roma.
ATTILIA
Oh dio
che assalto di piacer! Guidami a lui.
Dov'è? Corriam...
PUBLIO
Non è ancor tempo. Insieme
con l'orator nemico attende adesso
che l'ammetta il senato.
ATTILIA
Ove il vedesti?
PUBLIO
Sai che questor degg'io
gli stranieri oratori
d'ospizio provveder; sento che giunge
l'orator di Cartago; ad incontrarlo
m'affretto al porto; un africano io credo
vedermi in faccia e il genitor mi vedo.
ATTILIA
Che disse? Che dicesti?
PUBLIO
Ei su la ripa
era già quand'io giunsi e 'l Campidoglio,
ch'indi in parte si scuopre,
stava fisso a mirar. Nel ravvisarlo
corsi gridando: «Ah, caro padre» e volli
la sua destra baciar. M'udì, si volse,
ritrasse il piede; e in quel sembiante austero
con cui già fe' tremar l'Africa doma:
«Non son padri» mi disse «i servi in Roma».
Io replicar volea; ma se raccolto
fosse il senato e dove
chiedendo m'interruppe. Udillo e senza
parlar là volse i passi. Ad avvertirne
il console io volai. Dov'è? Non veggo
qui d'intorno i littori...
BARCE
Ei di Bellona
al tempio s'inviò.
ATTILIA
Servo ritorna
dunque Regolo a noi?
PUBLIO
Sì; ma di pace
so che reca proposte, e che da lui
dipende il suo destin.
ATTILIA
Chi sa se Roma
quelle proposte accetterà.
PUBLIO
Se vedi
come Roma l'accoglie,
tal dubbio non avrai. Di gioia insani
son tutti Attilia. Al popolo che accorre
sono anguste le vie. L'un l'altro affretta,
questo a quello l'addita. Oh con quai nomi
chiamar l'intesi! E a quanti
molle osservai per tenerezza il ciglio!
Che spettacolo Attilia al cor d'un figlio!
ATTILIA
Ah Licinio dov'è? Di lui si cerchi;
imperfetta saria
non divisa con lui la gioia mia.
[N. 3 - Aria Attilia]
Goda con me s'io godo
l'oggetto di mia fé,
come penò con me,
quand'io penai.
Provi felice il nodo
in cui l'avvolse amor;
assai tremò finor,
sofferse assai.
(parte)
Publio e Barce.
Recitativo
PUBLIO
Addio Barce vezzosa.
BARCE
Odi. Non sai
dell'orator cartaginese il nome?
PUBLIO
Sì; Amilcare s'appella.
BARCE
È forse il figlio
d'Annone?
PUBLIO
Appunto.
BARCE
(Ah l'idol mio!)
PUBLIO
Tu cangi
color! Perché? Fosse costui cagione
del tuo rigor con me?
BARCE
Signor, trovai
tal pietà di mia sorte
in Attilia ed in te, che non m'avvidi
finor di mie catene; e troppo ingrata
sarei se t'ingannassi. A te sincera
tutto il cor scoprirò. Sappi...
PUBLIO
T'accheta.
Mi prevedo funesta
la tua sincerità. Fra le dolcezze
di questo dì non mescoliam veleno.
Se d'altri sei, vuò dubitarne almeno.
[N. 4 - Aria Publio]
Se più felice oggetto
occupa il tuo pensiero,
taci; non dirmi il vero;
lasciami nell'error.
È pena che avvelena
un barbaro sospetto;
ma una certezza è pena
che opprime affatto un cor.
(parte)
Barce sola.
Recitativo
Dunque è ver che a momenti
il mio ben rivedrò! L'unico, il primo
onde m'accesi! Ah che farai cor mio
d'Amilcare all'aspetto,
se al nome sol così mi balzi in petto.
[N. 5 - Aria Barce]
Sol può dir che sia contento
chi penò gran tempo invano,
dal suo ben chi fu lontano
e lo torna a riveder.
Si fan dolci in quel momento
e le lagrime e i sospiri;
le memorie de' martiri
si convertono in piacer.
(parte)
Parte interna del tempio di Bellona; sedili per i Senatori romani e per gli Oratori stranieri. Littori che custodiscono diversi ingressi del tempio, da' quali veduta del Campidoglio e del Tevere.
Manlio, Publio e Senatori, indi Regolo ed Amilcare. Littori che custodiscono l'ingresso; séguito d'Africani e Popolo fuori del tempio.
Recitativo
MANLIO
Venga Regolo e venga
l'africano orator.
(a Publio)
Dunque i nemici
braman la pace?
PUBLIO
O de' cattivi almeno
vogliono il cambio. A Regolo han commesso
d'ottenerlo da voi. Se nulla ottiene,
a pagar col suo sangue
il rifiuto di Roma egli a Cartago
è costretto a tornar. Giurollo e vide
pria di partir del minacciato scempio
i funesti apparecchi. Ah non sia vero
che a sì barbare pene
un tanto cittadin...
MANLIO
T'accheta, ei viene.
[Sinfonia]
(il console, Publio e tutti i senatori vanno a sedere e rimane vuoto accanto al console il luogo altre volte occupato da Regolo. Passano Regolo ed Amilcare fra' littori che tornano subito a chiudersi. Regolo entrato a pena nel tempio s'arresta pensando)
Recitativo accompagnato
AMILCARE
Regolo a che t'arresti? È forse nuovo
per te questo soggiorno?
REGOLO
Penso qual ne partii, qual vi ritorno.
Recitativo
AMILCARE
(al console)
Di Cartago il senato
bramoso di depor l'armi temute
al senato di Roma invia salute.
E se Roma desia
anche pace da lui, pace gl'invia.
MANLIO
Siedi ed esponi.
(Amilcare siede)
E tu l'antica sede
Regolo vieni ad occupar.
REGOLO
Ma questi
chi sono?
MANLIO
I padri.
REGOLO
E tu chi sei?
MANLIO
Conosci
il console sì poco?
REGOLO
E fral console e i padri un servo ha loco?
MANLIO
No; ma Roma si scorda
il rigor di sue leggi
per te cui dée cento conquiste e cento.
REGOLO
Se Roma se ne scorda, io gliel rammento.
MANLIO
(Più rigida virtù chi vide mai!)
PUBLIO
(sorge)
Né Publio sederà.
REGOLO
Publio che fai?
PUBLIO
Compisco il mio dover. Sorger degg'io
dove il padre non siede.
REGOLO
Ah tanto in Roma
son cambiati i costumi! Il rammentarsi
fra le pubbliche cure
d'un privato dover, pria che tragitto
in Africa io facessi, era delitto.
PUBLIO
Ma...
REGOLO
Siedi Publio e ad occupar quel loco
più degnamente attendi.
PUBLIO
Il mio rispetto
innanzi al padre è naturale istinto.
REGOLO
Il tuo padre morì quando fu vinto.
MANLIO
Parli Amilcare ormai.
(Publio siede)
AMILCARE
Cartago elesse
Regolo a farvi noto il suo desio.
Ciò ch'ei dirà dice Cartago ed io.
MANLIO
Dunque Regolo parli.
AMILCARE
(piano a Regolo)
Or ti rammenta
che se nulla otterrai,
giurasti...
REGOLO
Io compirò quanto giurai.
(pensa)
MANLIO
(Di lui si tratta. Oh come
parlar saprà.)
PUBLIO
(Numi di Roma ah voi
inspirate eloquenza a' labbri suoi.)
REGOLO
La nemica Cartago
a patto che sia suo quanto or possiede
pace, o padri coscritti, a voi richiede.
Se pace non si vuol, brama che almeno
de' vostri e suoi prigioni
termini un cambio il doloroso esiglio.
Ricusar l'una e l'altro è il mio consiglio.
AMILCARE
(Come!)
PUBLIO
(Ohimè!)
MANLIO
(Son di sasso!)
REGOLO
Io della pace
i danni a dimostrar non m'affatico;
se tanto la desia, teme il nemico.
MANLIO
Ma il cambio?
REGOLO
Il cambio asconde
frode per voi più perigliosa assai.
AMILCARE
Regolo?
REGOLO
(ad Amilcare)
Io compirò quanto giurai.
PUBLIO
(Numi! Si perde il padre.)
REGOLO
Il cambio offerto
mille danni ravvolge
ma l'esempio è il peggior. L'onor di Roma,
il valor, la costanza,
la virtù militar, padri, è finita,
se ha speme il vil di libertà, di vita.
Qual pro che torni a Roma
chi a Roma porterà l'orme sul tergo
della sferza servil? Chi l'armi ancora
di sangue ostil digiune
vivo depose e per timor di morte
del vincitor lo scherno
soffrir si elesse? Oh vituperio eterno!
MANLIO
Sia pur dannoso il cambio,
a compensarne i danni
basta Regolo sol.
REGOLO
Manlio t'inganni;
Regolo è pur mortal. Sento ancor io
l'ingiurie dell'etade. Utile a Roma
già poco esser potrei. Molto a Cartago
ben lo saria la gioventù feroce
che per me rendereste. Ah sì gran fallo
da voi non si commetta. Ebbe il migliore
de' miei giorni la patria; abbia il nemico
l'inutil resto. Il vil trionfo ottenga
di vedermi spirar; ma vegga insieme
che ne trionfa invano,
che di Regoli abbonda il suol romano.
MANLIO
(Oh inudita costanza!)
PUBLIO
(Oh coraggio funesto!)
AMILCARE
(Che nuovo a me strano linguaggio è questo!)
MANLIO
L'util non già dell'opre nostre oggetto
ma l'onesto esser dée; né onesto a Roma
l'esser ingrata a un cittadin saria.
REGOLO
Vuol Roma essermi grata? Ecco la via.
Questi barbari, o padri,
m'han creduto sì vil che per timore
io venissi a tradirvi.
Recitativo accompagnato
Ah questo oltraggio
d'ogni strazio sofferto è più inumano.
Vendicatemi, o padri, io fui romano.
Armatevi, correte
a sveller da' lor tempi
l'aquile prigioniere. Infin che oppressa
l'emula sia non deponete il brando.
Fate ch'io là tornando
legga il terror dell'ire vostre in fronte
a' carnefici miei, che lieto io mora
nell'osservar fra' miei respiri estremi
come al nome di Roma Africa tremi.
Recitativo
AMILCARE
(La meraviglia agghiaccia
gli sdegni miei.)
PUBLIO
(Nessun risponde! Oh dio!
Mi trema il cor.)
MANLIO
Domanda
più maturo consiglio
dubbio sì grande. A respirar dal nostro
giusto stupor spazio bisogna. In breve
il voler del senato
tu Amilcare saprai. Noi padri andiamo
l'assistenza de' numi
pria di tutto a implorar.
(s'alza e seco tutti)
REGOLO
V'è dubbio ancora?
MANLIO
Sì Regolo. Io non veggo
se periglio maggiore
è il non piegar del tuo consiglio al peso,
o se maggior periglio
è il perder chi sa dar sì gran consiglio.
[N. 6 - Aria Manlio]
Tu sprezzator di morte
dai per la patria il sangue;
ma il figlio suo più forte
perde la patria in te.
Se te domandi esangue,
molto da lei domandi;
d'anime così grandi
prodigo il ciel non è.
(parte il console seguito dal senato e da' littori e resta libero il passaggio nel tempio)
Regolo, Publio, Amilcare, indi Attilia, Licinio e Popolo.
Recitativo
AMILCARE
In questa guisa adempie
Regolo le promesse?
REGOLO
Io vi promisi
di ritornar; l'eseguirò.
AMILCARE
Ma...
ATTILIA
(con impazienza)
Padre!
LICINIO
(come sopra)
Signor!
ATTILIA E LICINIO
Su questa mano...
(vogliono baciargli la mano)
REGOLO
Scostatevi. Io non sono,
lode agli dèi, libero ancora.
ATTILIA
Il cambio
dunque si ricusò?
REGOLO
Publio, ne guida
al soggiorno prescritto
ad Amilcare e a me.
PUBLIO
Né tu verrai
a' patri lari? Al tuo ricetto antico?
REGOLO
Non entra in Roma un messagger nemico.
LICINIO
Questa troppo severa
legge non è per te.
REGOLO
Saria tiranna
se non fosse per tutti.
ATTILIA
Io voglio almeno
seguirti ovunque andrai.
REGOLO
No; chiede il tempo
Attilia altro pensier che molli affetti
di figlia e genitor.
ATTILIA
Da quel che fosti,
padre, ah perché così diverso adesso?
REGOLO
La mia sorte è diversa; io son l'istesso.
[N. 7 - Aria Regolo]
Non perdo la calma
fra' ceppi o gli allori;
non va sino all'alma
la mia servitù.
Combatte i rigori
di sorte incostante
in vario sembiante
l'istessa virtù.
(parte seguito da Publio, Licinio e popolo)
Attilia sospesa, Amilcare partendo, Barce che sopraggiunge.
Recitativo
BARCE
Amilcare!
AMILCARE
(ritornando indietro)
Ah mia Barce!
Ah di nuovo io ti perdo! Il cambio offerto
Regolo dissuade.
BARCE E ATTILIA
Oh stelle!
AMILCARE
Addio.
Publio seguir degg'io. Mia vita oh quanto
quanto ho da dirti!
BARCE
E nulla dici intanto.
[N. 8 - Aria Amilcare]
AMILCARE
Ah se ancor mia tu sei,
come trovar sì poco
sai negli sguardi miei
quel ch'io non posso dir.
Io, che nel tuo bel foco
sempre fedel m'accendo,
mille segreti intendo
cara da un tuo sospir.
(parte)
Attilia e Barce.
Recitativo
ATTILIA
Chi creduto l'avrebbe! Il padre istesso
congiura a' danni suoi.
BARCE
Già che il senato
non decise finor, molto ti resta
Attilia onde sperar. Corri, t'adopra,
parla pria che di nuovo
si raccolgano i padri. Adesso è il tempo
di porre in uso e l'eloquenza e l'arte.
Or l'amor de' congiunti,
or la fé degli amici, or de' Romani
giova implorar l'aita in ogni loco.
ATTILIA
Tutto farò ma quel ch'io spero è poco.
[N. 9 - Aria Attilia]
Mi parea del porto in seno
chiara l'onda, il ciel sereno;
ma tempesta più funesta
mi respinge in mezzo al mar.
M'avvilisco, m'abbandono;
e son degna di perdono,
se pensando a chi la desta
incomincio a disperar.
(parte)
Barce sola.
Recitativo
Che barbaro destino
sarebbe il mio, se Amilcare dovesse
pur di nuovo a Cartago
senza me ritornar! Solo in pensarlo
mi sento... Ah no; speriam più tosto. Avremo
sempre tempo a penar. Non è prudenza
ma follia de' mortali
l'arte crudel di presagirsi i mali.
[N. 10 - Aria Barce]
Sempre è maggior del vero
l'idea d'una sventura
al credulo pensiero
dipinta dal timor.
Chi stolto il mal figura
affretta il proprio affanno;
ed assicura un danno
quando è dubbioso ancor.
(parte)
Logge a vista di Roma nel palazzo suburbano destinato agli Ambasciatori cartaginesi.
Regolo e Publio.
Recitativo
REGOLO
Publio? Tu qui! Si tratta
della gloria di Roma,
dell'onor mio, del pubblico riposo
e in senato non sei?
PUBLIO
Raccolto ancora
signor non è.
REGOLO
Va', non tardar; sostieni
fra i padri il voto mio. Mostrati degno
dell'origine tua.
PUBLIO
Come! E m'imponi
che a fabbricar m'adopri
io stesso il danno tuo?
REGOLO
Non è mio danno
quel che giova alla patria.
PUBLIO
Ah di te stesso
signore abbi pietà.
REGOLO
Publio tu stimi
dunque un furore il mio? Credi ch'io solo
fra ciò che vive odi me stesso? Oh quanto
t'inganni. Al par d'ogn'altro
bramo il mio ben, fuggo il mio mal. Ma questo
trovo sol nella colpa; e quello io trovo
nella sola virtù. Colpa sarebbe
della patria col danno
ricuperar la libertà smarrita;
onde è mio mal la libertà, la vita.
Virtù col proprio sangue
è della patria assicurar la sorte;
onde è mio ben la servitù, la morte.
PUBLIO
Pur la patria non è...
REGOLO
La patria è un tutto
di cui siam parti. Al cittadino è fallo
considerar sé stesso
separato da lei. L'utile o il danno,
ch'ei conoscer dée solo, è ciò che giova
o nuoce alla sua patria a cui di tutto
è debitor. Quando i sudori e il sangue
sparge per lei, nulla del proprio ei dona;
rende sol ciò che n'ebbe. Ella il produsse,
l'educò, lo nutrì; con le sue leggi
dagl'insulti domestici il difende,
dagli esterni con l'armi; ella gli presta
nome, grado ed onor; ne premia il merto;
ne vendica le offese; e madre amante
a fabbricar s'affanna
la sua felicità, per quanto lice
al destin de' mortali esser felice.
Han tanti doni, è vero,
il peso lor. Chi ne ricusa il peso
rinunci al beneficio. A far si vada
d'inospite foreste
mendico abitatore; e là d'irsute
ferine spoglie avvolto, e là di poche
misere ghiande e d'un covil contento
viva libero e solo a suo talento.
PUBLIO
Adoro i detti tuoi. L'alma convinci
ma il cor non persuadi. Ad ubbidirti
la natura ripugna. Alfin son figlio,
non lo posso obbliar.
REGOLO
Scusa infelice
per chi nacque romano. Erano padri
Bruto, Manlio, Virginio...
PUBLIO
È ver; ma questa
troppo eroica costanza
sol fra' padri restò. Figlio non vanta
Roma finor che a procurar giungesse
del genitor lo scempio.
REGOLO
Dunque aspira all'onor del primo esempio.
Va'.
PUBLIO
Deh...
REGOLO
Non più. Della mia sorte attendo
la notizia da te.
PUBLIO
Troppo pretendi,
troppo, o signor.
REGOLO
Mi vuoi straniero o padre?
Se stranier, non posporre
l'util di Roma al mio; se padre, il cenno
rispetta e parti.
PUBLIO
Ah se mirar potessi
i moti del cor mio, rigido meno
forse con me saresti.
REGOLO
Or dal tuo core
prove io vuò di costanza e non d'amore.
[N. 11 - Aria Publio]
PUBLIO
Ah se provar mi vuoi
chiedimi o padre il sangue;
e tutto a' piedi tuoi
padre lo verserò.
Ma che un tuo figlio istesso
debba volerti oppresso?
Gran genitor perdona
tanta virtù non ho.
(parte)
Regolo, poi Manlio.
Recitativo
REGOLO
Il gran punto s'appressa ed io pavento
che vacillino i padri. Ah voi di Roma
deità protettrici a lor più degni
sensi inspirate...
MANLIO
A custodir l'ingresso
rimangano i littori; e alcun non osi
qui penetrar.
REGOLO
(Manlio! A che viene!)
MANLIO
Ah lascia
che al sen ti stringa invitto eroe.
REGOLO
Che tenti!
Un console...
MANLIO
Io no 'l sono
Regolo adesso. Un uom son io che adora
la tua virtù, la tua costanza. Un grande
emulo tuo che a dichiarar si viene
vinto da te, che confessando ingiusto
l'avverso genio antico
chiede l'onor di diventarti amico.
REGOLO
Dell'alme generose
solito stil. Più le abbattute piante
non urta il vento, o le solleva. Io deggio
così nobile acquisto
alla mia servitù.
MANLIO
Sì questa appieno
qual tu sei mi scoperse; e mai sì grande
com'or fra' ceppi io non ti vidi. A Roma
vincitor de' nemici
spesso tornasti; or vincitor ritorni
di te, della fortuna. I lauri tuoi
mossero invidia in me; le tue catene
destan rispetto. Allora
un eroe, lo confesso,
Regolo mi parea, ma un nume adesso.
REGOLO
Basta, basta, signor. La più severa
misurata virtù tentan le lodi
in un labbro sì degno. Io ti son grato
che d'illustrar con l'amor tuo ti piaccia
gli ultimi giorni miei.
MANLIO
Gli ultimi giorni?
Conservarti io pretendo
lungamente alla patria; e affinché sia
in tuo favor l'offerto cambio ammesso
tutto in uso porrò.
REGOLO
(turbandosi)
Così cominci
Manlio ad essermi amico? E che faresti
se ancor m'odiassi? In questa guisa il frutto
del mio rossor tu mi defraudi. A Roma
io non venni a mostrar le mie catene
per destarla a pietà; venni a salvarla
dal rischio d'un'offerta
che accettar non si dée. Se non puoi darmi
altri pegni d'amor, torna ad odiarmi.
MANLIO
Ma il ricusato cambio
produrria la tua morte.
REGOLO
E questo nome
sì terribil risuona
nell'orecchie di Manlio! Io non imparo
oggi che son mortale. Altro il nemico
non mi torrà che quel che tormi in breve
dée la natura; e volontario dono
sarà così quel che saria fra poco
necessario tributo. Il mondo apprenda
ch'io vissi sol per la mia patria; e quando
viver più non potei,
resi almen la mia morte utile a lei.
MANLIO
Oh detti! Oh sensi! Oh fortunato suolo
che tai figli produci! E chi potrebbe
non amarti signor!
REGOLO
Se amar mi vuoi,
amami da romano. Eccoti i patti
della nostra amistà. Facciamo entrambi
un sacrificio a Roma, io della vita,
tu dell'amico. È ben ragion che costi
della patria il vantaggio
qualche pena anche a te. Va'; ma prometti
che de' consigli miei tu nel senato
ti farai difensore. A questa legge
sola di Manlio io l'amicizia accetto.
Che rispondi signor?
MANLIO
(pensa prima di rispondere)
Sì; lo prometto.
REGOLO
Or de' propizi numi
in Manlio amico io riconosco un dono.
MANLIO
Ah perché fra que' ceppi anch'io non sono!
REGOLO
Non perdiamo i momenti. Ormai raccolti
forse saranno i padri. Alla tua fede
della patria il decoro,
la mia pace abbandono e l'onor mio.
MANLIO
Addio gloria del Tebro.
REGOLO
Amico addio.
(abbracciandosi)
[N. 12 - Aria Manlio]
MANLIO
Oh qual fiamma di gloria, d'onore
scorrer sento per tutte le vene
alma grande parlando con te.
No; non vive sì timido core
che in udirti con quelle catene
non cambiasse la sorte d'un re.
(parte)
Regolo e Licinio.
Recitativo
REGOLO
A respirar comincio; i miei disegni
il fausto ciel seconda.
LICINIO
(molto lieto)
Alfin ritorno
con più contento a rivederti.
REGOLO
E donde
tanta gioia o Licinio?
LICINIO
Ho il cor ripieno
di felici speranze. Infin ad ora
per te sudai.
REGOLO
Per me!
LICINIO
Sì. Mi credesti
forse ingrato così ch'io mi scordassi
gli obblighi miei nel maggior uopo? Ah tutto
mi rammento signor. Tu sol mi fosti
duce, maestro e padre. I primi passi
mossi te condottiero
per le strade d'onor; tu mi rendesti...
REGOLO
(impaziente)
Alfine in mio favor di', che facesti?
LICINIO
Difesi la tua vita
e la tua libertà.
REGOLO
(turbato)
Come!
LICINIO
All'ingresso
del tempio ove il senato or si raccoglie
attesi i padri; e ad uno ad un gli trassi
nel desio di salvarti.
REGOLO
(O dèi che sento!)
E tu...
LICINIO
Solo io non fui. Non si defraudi
la lode al merto. Io feci assai ma fece
Attilia più di me.
REGOLO
Chi?
LICINIO
Attilia. In Roma
figlia non v'è d'un genitor più amante.
Come parlò! Che disse!
Quanti affetti destò! Come compose
il dolor col decoro! In quanti modi
rimproveri mischiò, preghiere e lodi.
REGOLO
E i padri?
LICINIO
E chi resiste
agli assalti d'Attilia! Eccola; osserva
come ride in quel volto
la novella speranza.
Attilia e detti.
ATTILIA
Amato padre,
pure una volta...
REGOLO
(serio e torbido)
E ardisci
ancor venirmi innanzi? Ah non contai
te fin ad or fra' miei nemici.
ATTILIA
Io padre!
Io tua nemica!
REGOLO
(come sopra)
E tal non è chi folle
s'oppone a' miei consigli?
ATTILIA
Ah di giovarti
dunque il desio d'inimicizia è prova?
REGOLO
(con isdegno)
Che sai tu quel che nuoce o quel che giova?
Delle pubbliche cure
chi a parte ti chiamò? Della mia sorte
chi ti fe' protettrice? Onde...
LICINIO
Ah signore
troppo...
REGOLO
(come sopra)
Parla Licinio! Assai tacendo
meglio si difendea; pareva almeno
pentimento il silenzio. Eterni dèi!
Una figlia!... Un roman!
ATTILIA
Perché son figlia...
LICINIO
Perché roman son io, credei che oppormi
al tuo fato inumano...
[N. 13 - Aria Regolo]
REGOLO
(a Licinio)
Taci; non è romano
chi una viltà consiglia.
(ad Attilia)
Taci; non è mia figlia
chi più virtù non ha.
Or sì de' lacci il peso
per vostra colpa io sento;
or sì la mia rammento
perduta libertà.
(parte)
Attilia e Licinio.
Recitativo
ATTILIA
Ma di', credi o Licinio
che mai di me nascesse
più sfortunata donna? Amare un padre,
affannarsi a suo pro, mostrar per lui
di tenera pietade il cor trafitto
saria merito ad altri; è a me delitto.
LICINIO
No; consolati Attilia e non pentirti
dell'opera pietosa. Altro richiede
il dover nostro ed altro
di Regolo il dover; se gloria è a lui
della vita il disprezzo, a noi sarebbe
empietà non salvarlo. Alfin vedrai
che grato ei ci sarà. Non ti spaventi
lo sdegno suo; spesso l'infermo accusa
di crudel, d'inumana
quella medica man che lo risana.
ATTILIA
Que' rimproveri acerbi
mi trafiggono il cor; non ho costanza
per soffrir l'ire sue.
LICINIO
Ma di', vorresti
pria d'un tal genitor vederti priva?
ATTILIA
Ah questo no; mi sia sdegnato e viva.
LICINIO
Vivrà; cessi quel pianto;
tornatevi di nuovo
begli occhi a serenar. Se veggo, oh dio,
mestizia in voi, perdo coraggio anch'io.
[N. 14 - Aria Licinio]
Da voi cari lumi
dipende il mio stato;
voi siete i miei numi,
voi siete il mio fato;
a vostro talento
mi sento cangiar.
Ardir m'inspirate
se lieti splendete;
se torbidi siete
mi fate tremar.
(parte)
Attilia sola.
Recitativo
Ah che purtroppo è ver; non han misura
della cieca fortuna
i favori e gli sdegni. O de' suoi doni
è prodiga all'eccesso
o affligge un cor fin che no 'l vegga oppresso.
Or l'infelice oggetto
son io dell'ire sue. Mi veggo intorno
di nembi il ciel ripieno;
e chi sa quanti strali avranno in seno.
[N. 15 - Aria Attilia]
Se più fulmini vi sono
ecco il petto avversi dèi;
me ferite, io vi perdono;
ma salvate il genitor.
Un'immagine di voi
in quell'alma rispettate;
un esempio a noi lasciate
di costanza e di valor.
(parte)
Galleria nel palazzo medesimo.
Regolo solo.
Recitativo accompagnato
Tu palpiti o mio cor! Qual nuovo è questo
moto incognito a te? Sfidasti ardito
le tempeste del mar, l'ire di Marte,
d'Africa i mostri orrendi
ed or tremando il tuo destino attendi!
Ah n'hai ragion. Mai non si vide ancora
in periglio sì grande
la gloria mia. Ma questa gloria, o dèi,
non è dell'alme nostre
un affetto tiranno? Al par d'ogn'altro
domar non si dovrebbe? Ah no. De' vili
questo è il linguaggio. Inutilmente nacque
chi sol vive a sé stesso; e sol da questo
nobile affetto ad obbliar s'impara
sé per altrui. Quanto ha di ben la terra
alla gloria si dée. Vendica questa
l'umanità dal vergognoso stato
in cui saria senza il desio d'onore;
toglie il senso al dolore,
lo spavento a' perigli,
alla morte il terror. Dilata i regni,
le città custodisce; alletta, aduna
seguaci alla virtù; cangia in soavi
i feroci costumi
e rende l'uomo imitator de' numi.
Recitativo
Per questa... Ohimè! Publio ritorna e parmi
che timido s'avanzi. E ben che rechi?
Ha deciso il senato?
Qual è la sorte mia?
Publio e detto.
PUBLIO
Signor... (Che pena
per un figlio è mai questa!)
REGOLO
E taci?
PUBLIO
Oh dèi!
Esser muto vorrei.
REGOLO
Parla.
PUBLIO
Ogni offerta
il senato ricusa.
REGOLO
Ah dunque ha vinto
il fortunato alfin genio romano.
Grazie agli dèi. Non ho vissuto invano.
Amilcare si cerchi. Altro non resta
che far su queste arene;
la grand'opra compii, partir conviene.
PUBLIO
Padre infelice!
REGOLO
Ed infelice appelli
chi poté fin che visse
alla patria giovar?
PUBLIO
La patria adoro,
piango i tuoi lacci.
REGOLO
È servitù la vita,
ciascuno ha i lacci suoi. Chi pianger vuole
pianger, Publio, dovria
la sorte di chi nasce e non la mia.
PUBLIO
Di quei barbari o padre
l'empio furor ti priverà di vita.
REGOLO
E la mia servitù sarà finita.
Addio. Non mi seguir.
PUBLIO
Da me ricusi
gli ultimi ancor pietosi uffici?
REGOLO
Io voglio
altro da te. Mentre a partir m'affretto,
a trattener rimanti
la sconsolata Attilia. Il suo dolore
funesterebbe il mio trionfo. Assai
tenera fu per me. Se forse eccede
compatiscila o Publio. Alfin da lei
una viril costanza
pretender non si può. Tu la consiglia,
d'inspirarle procura
con l'esempio fortezza;
la reggi, la consola e seco adempi
ogni ufficio di padre. A te la figlia,
te confido a te stesso; e spero... Ah veggo
che indebolir ti vuoi. Maggior costanza
in te credei. L'avrò creduto invano?
Publio ah no; sei mio figlio e sei romano.
[N. 16 - Aria Regolo]
Non tradir la bella speme
che di te donasti a noi;
sul cammin de' grandi eroi
incomincia a comparir.
Fa' ch'io lasci un degno erede
degli affetti del mio core,
che di te senza rossore
io mi possa sovvenir.
(parte)
Publio, poi Attilia e Barce, indi Licinio ed Amilcare, l'un dopo l'altro e da diverse parti.
Recitativo
PUBLIO
Ah sì; Publio coraggio. Il passo è forte
ma vincersi convien. Lo chiede il sangue
ch'hai nelle vene. Il grand'esempio il chiede
che sugli occhi ti sta. Cedesti a' primi
impeti di natura; or meglio eleggi,
il padre imita e l'error tuo correggi.
ATTILIA
(con ispavento)
Ed è vero o german?
BARCE
(come sopra)
Publio ed è vero?
PUBLIO
Sì. Decise il senato,
Regolo partirà.
ATTILIA
Come!
BARCE
Che dici?
ATTILIA
Dunque ognun mi tradì?
BARCE
Dunque...
PUBLIO
Or non giova...
BARCE
(vedendolo da lontano)
Amilcare pietà.
ATTILIA
(come sopra)
Licinio aiuto.
AMILCARE
(a Barce)
Più speranza non v'è.
LICINIO
(ad Attilia)
Tutto è perduto.
ATTILIA
Dov'è Regolo? Io voglio
almen seco partir.
PUBLIO
Ferma; l'eccesso
del tuo dolor l'offenderebbe.
ATTILIA
E speri
impedirmi così?
PUBLIO
Spero che Attilia
torni alfine in sé stessa e si rammenti
che a lei non è permesso...
ATTILIA
Sol che son figlia io mi rammento adesso.
Lasciami.
PUBLIO
Non sperarlo.
ATTILIA
Ah parte intanto
il genitor.
BARCE
Non dubitar ch'ei parta
fin che Amilcare è qui.
ATTILIA
Chi mi consiglia,
chi mi soccorre? Amilcare!
AMILCARE
Io mi perdo
fra l'ira e lo stupor.
ATTILIA
Licinio?
LICINIO
Ancora
dal colpo inaspettato
respirar non poss'io.
ATTILIA
Publio?
PUBLIO
Ah germana
più valor, più costanza. Il fato avverso
come si soffra il genitor ci addita.
Non è degno di lui chi non l'imita.
ATTILIA
E tu parli così! Tu che dovresti
i miei trasporti accompagnar gemendo!
Io non t'intendo o Publio.
AMILCARE
Ed io l'intendo.
Barce è la fiamma sua. Barce non parte
se Regolo non resta. Ecco la vera
cagion del suo coraggio.
PUBLIO
(Questo pensar di me! Stelle che oltraggio!)
AMILCARE
Forse affinché il senato
non accettasse il cambio, ei pose in opra
tutta l'arte e l'ingegno.
PUBLIO
Il dubbio inver d'un africano è degno.
AMILCARE
E pur...
PUBLIO
Taci; e m'ascolta.
Sai che l'arbitro io sono
della sorte di Barce?
AMILCARE
Il so; l'ottenne
già dal senato in dono
la madre tua; questa cedendo al fato,
signor di lei tu rimanesti.
PUBLIO
Or odi
qual uso io fo del mio dominio. Amai
Barce più della vita
ma non quanto l'onor. So che un tuo pari
creder no 'l può; ma toglierò ben io
di sì vili sospetti
ogni pretesto alla calunnia altrui.
Barce, libera sei; parti con lui.
BARCE
Numi! Ed è ver?
AMILCARE
D'una virtù sì rara...
PUBLIO
Come s'ama fra noi, barbaro, impara.
(parte)
Licinio, Attilia, Barce ed Amilcare.
ATTILIA
(a Licinio che non l'ode)
Vedi il crudel come mi lascia?
BARCE
(ad Amilcare come sopra)
Udisti
come Publio parlò?
ATTILIA
(a Licinio)
Tu non rispondi!
BARCE
(ad Amilcare)
Tu non m'odi idol mio!
AMILCARE
Addio Barce; m'attendi.
(risoluto partendo)
LICINIO
(come sopra)
Attilia addio.
ATTILIA E BARCE
Dove?
LICINIO
(ad Attilia)
A salvarti il padre.
AMILCARE
(a Barce)
Regolo a conservar.
ATTILIA
(a Licinio)
Ma per qual via?
BARCE
(ad Amilcare)
Ma come?
LICINIO
(ad Attilia)
A' mali estremi
diasi estremo rimedio.
AMILCARE
(a Barce)
Abbia rivali
nella virtù questo romano orgoglio.
ATTILIA
(a Licinio)
Esser teco vogl'io.
BARCE
(ad Amilcare)
Seguirti io voglio.
LICINIO
(ad Attilia)
No; per te tremerei.
AMILCARE
(a Barce)
No; rimaner tu déi.
BARCE
(ad Amilcare)
Né vuoi spiegarti?
ATTILIA
(a Licinio)
Né vuoi ch'io sappia almen...
LICINIO
(ad Attilia)
Tutto fra poco
saprai.
AMILCARE
(a Barce)
Fidati a me.
LICINIO
Regolo in Roma
si trattenga o si mora.
(parte)
AMILCARE
Faccia pompa d'eroi l'Africa ancora.
(s'incammina e poi si rivolge)
[N. 17 - Aria Amilcare]
Se minore è in noi l'orgoglio,
la virtù non è minore;
né per noi la via d'onore
è un incognito sentier.
Lungi ancor dal Campidoglio
vi son alme a queste uguali;
pur del resto de' mortali
han gli dèi qualche pensier.
(parte)
Attilia e Barce.
Recitativo
ATTILIA
Barce!
BARCE
Attilia!
ATTILIA
Che dici?
BARCE
Che possiamo sperar?
ATTILIA
No 'l so. Tumulti
certo a destar corre Licinio; e questi
esser ponno funesti
alla patria ed a lui, senza che il padre
perciò si salvi.
BARCE
Amilcare sorpreso
dal grand'atto di Publio, e punto insieme
da' rimproveri suoi, men generoso
esser non vuol di lui. Chi sa che tenta?
E a qual rischio s'espone!
ATTILIA
Il mio Licinio
deh secondate oh dèi!
BARCE
Lo sposo mio
numi assistete!
ATTILIA
Io non ho fibra in seno
che non mi tremi.
BARCE
Attilia
non dobbiamo avvilirci. Alfin più chiaro
è adesso il ciel di quel che fu; si vede
pur di speranza un raggio.
ATTILIA
Ah Barce, è ver; ma non mi dà coraggio.
[N. 18 - Aria Attilia]
Non è la mia speranza
luce di ciel sereno;
di torbido baleno
è languido splendor.
Splendor che in lontananza
nel comparir si cela,
che il rischio, oh dio, mi svela
ma non lo fa minor.
(parte)
Barce sola.
Recitativo
Rassicurar procuro
l'alma d'Attilia oppressa,
ardir vo consigliando e tremo io stessa.
Ebbi assai più coraggio
quando meno sperai; la tema incerta
solo allor m'affliggea d'un mal futuro;
or di perder pavento un ben sicuro.
[N. 19 - Aria Barce]
S'espone a perdersi
nel mare infido
chi l'onde instabili
solcando va.
Ma quel sommergersi
vicino al lido
è troppo barbara
fatalità.
(parte)
Sala terrena corrispondente a' giardini.
Regolo, Guardie africane e poi Manlio.
Recitativo
REGOLO
Ma che si fa? Non seppe
forse ancor del senato
Amilcare il voler? Dov'è? Si trovi;
partir convien. Qui che sperar per lui,
per me non v'è più che bramar. Diventa
colpa ad entrambi or la dimora.
Ah vieni,
vieni amico al mio seno. Era in periglio
senza te la mia gloria; i ceppi miei
per te conservo; a te si deve il frutto
della mia schiavitù.
MANLIO
Sì; ma tu parti.
Sì; ma noi ti perdiam.
REGOLO
Mi perdereste
s'io non partissi.
MANLIO
Ah! Perché mai sì tardi
incomincio ad amarti? Altri finora,
Regolo, non avesti
pegni dell'amor mio, se non funesti.
REGOLO
Pretenderne maggiori
da un vero amico io non potea; ma pure
se il generoso Manlio altri vuol darne,
altri ne chiederò.
MANLIO
Parla.
REGOLO
Compito
ogni dover di cittadino, alfine
mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma
due figli, il sai, Publio ed Attilia; e questi
son del mio cor, dopo la patria, il primo,
il più tenero affetto. In lor traluce
indole non volgar; ma sono ancora
piante immature e di cultor prudente
abbisognano entrambi. Il ciel non volle
che l'opera io compissi. Ah tu ne prendi
per me pietosa cura;
tu di lor con usura
la perdita compensa; al tuo bel core
debbano e a' tuoi consigli
la gloria il padre e l'assistenza i figli.
MANLIO
Sì te 'l prometto. I preziosi germi
custodirò geloso. Avranno un padre,
se non degno così, tenero almeno
al par di te. Della virtù romana
io lor le tracce additerò. Né molto
sudor mi costerà. Basta a quell'alme,
di bel desio già per natura accese,
l'istoria udir delle paterne imprese.
REGOLO
Or sì più non mi resta...
Publio e detti.
PUBLIO
Manlio! Padre!
REGOLO
Che avvenne?
PUBLIO
Roma tutta è in tumulto. Il popol freme;
non si vuol che tu parta.
REGOLO
E sarà vero
che un vergognoso cambio
possa Roma bramar?
PUBLIO
No; cambio o pace
Roma non vuol; vuol che tu resti.
REGOLO
Io! Come?
E la promessa? E il giuramento?
PUBLIO
Ognuno
grida che fé non dessi
a perfidi serbar.
REGOLO
Dunque un delitto
scusa è dell'altro. E chi sarà più reo
se l'esempio è discolpa?
PUBLIO
Or si raduna
degli auguri il collegio. Ivi deciso
il gran dubbio esser deve.
REGOLO
Uopo di questo
oracolo io non ho. So che promisi;
voglio partir. Potea
della pace o del cambio
Roma deliberar. Del mio ritorno
a me tocca il pensier. Pubblico quello,
questo è privato affar. Non son qual fui;
né Roma ha dritto alcun sui servi altrui.
PUBLIO
Degli auguri il decreto
s'attenda almen.
REGOLO
No; se l'attendo, approvo
la loro autorità.
(agli africani)
Custodi al porto.
(a Manlio partendo)
Amico addio.
MANLIO
No Regolo; se vai
fra la plebe commossa, a viva forza
può trattenerti; e tu, se ciò succede,
tutta Roma fai rea di poca fede.
REGOLO
Dunque mancar degg'io?...
MANLIO
No; andrai; ma lascia
che quest'impeto io vada
prima a calmar. Ne sederà l'ardore
la consolare autorità.
REGOLO
Rimango
Manlio su la tua fé. Ma...
MANLIO
Basta; intendo.
La tua gloria desio;
e conosco il tuo cor. Fidati al mio.
[N. 20 - Aria Manlio]
Fidati pur; rammento
che nacqui anch'io romano.
Al par di te mi sento
fiamme di gloria in sen.
Mi niega, è ver, la sorte
le illustri tue ritorte;
ma se le bramo invano,
so meritarle almen.
(parte)
Regolo e Publio.
Recitativo
REGOLO
E tanto or costa in Roma,
tanto or si suda a conservar la fede!
Dunque... Ah Publio! E tu resti? E sì tranquillo
tutto lasci all'amico
d'assistermi l'onor? Corri; procura
tu ancor la mia partenza. Esser vorrei
di sì gran beneficio
debitore ad un figlio.
PUBLIO
Ah padre amato
ubbidirò; ma...
REGOLO
Che? Sospiri! Un segno
quel sospiro saria d'animo oppresso!
[N. 21 - Aria Publio]
PUBLIO
Sì, lo confesso,
morir mi sento.
Ma questo istesso
crudel tormento
è il più bel merito
del mio valor.
Qual sacrificio
padre farei,
se fosse il vincere
gli affetti miei
opra sì facile
per questo cor?
(parte)
Regolo ed Amilcare.
Recitativo
AMILCARE
Regolo alfin...
REGOLO
Senza che parli intendo
già le querele tue. Non ti sgomenti
il moto popolar; Regolo in Roma
vivo non resterà.
AMILCARE
Non so di quali
moti mi vai parlando. Io querelarmi
teco non voglio. A sostenerti io venni
che solo al Tebro in riva
non nascono gli eroi,
che vi sono alme grandi anche fra noi.
REGOLO
Sia. Non è questo il tempo
di inutili contese. I tuoi raccogli;
t'appresta alla partenza.
AMILCARE
No. Pria m'odi; e rispondi.
REGOLO
(Oh sofferenza!)
AMILCARE
È gloria l'esser grato?
REGOLO
L'esser grato è dover. Ma già sì poco
questo dover s'adempie,
ch'oggi è gloria il compirlo.
AMILCARE
E se il compirlo
costasse un gran periglio?
REGOLO
Ha il merto allora
d'un'illustre virtù.
AMILCARE
Dunque non puoi
questo merto negarmi. Odi. Mi rende
del proprio onor geloso
la mia Barce il tuo figlio; e pur l'adora;
io generoso ancora
vengo il padre a salvargli; e pur m'espongo
di Cartago al furor.
REGOLO
Tu! Vuoi salvarmi!
AMILCARE
Io.
REGOLO
Come!
AMILCARE
A te lasciando
agio a fuggir. Questi custodi ad arte
allontanar farò. Tu cauto in Roma
celati sol fintanto
che, senza te con simulato sdegno,
quindi l'ancore io sciolga.
REGOLO
(Barbaro!)
AMILCARE
E ben che dici?
Ti sorprende l'offerta.
REGOLO
Assai.
AMILCARE
L'avresti
aspettata da me?
REGOLO
No.
AMILCARE
Pur la sorte
non ho d'esser roman.
REGOLO
Si vede.
AMILCARE
(agli africani)
Andate
custodi...
REGOLO
(a' medesimi)
Alcun non parta.
AMILCARE
Perché?
REGOLO
Grato io ti sono
del buon voler; ma verrò teco.
AMILCARE
E sprezzi
la mia pietà?
REGOLO
No; ti compiango. Ignori
che sia virtù. Mostrar virtù pretendi;
e me, la patria tua, te stesso offendi.
AMILCARE
Io!
REGOLO
Sì. Come disponi
della mia libertà? Servo son io
di Cartago o di te?
AMILCARE
Non è tuo peso
l'esaminar se il beneficio...
REGOLO
È grande
il beneficio inver! Rendermi reo,
profugo, mentitor...
AMILCARE
Ma qui si tratta
del viver tuo. Sai che supplizi atroci
Cartago t'apprestò? Sai quale scempio
là si farà di te?
REGOLO
Ma tu conosci
Amilcare i Romani?
Sai che vivon d'onor? Che questo solo
è sprone all'opre lor, misura, oggetto?
Senza cangiar d'aspetto
qui s'impara a morir. Qui si deride
pur che gloria produca ogni tormento;
e la sola viltà qui fa spavento.
AMILCARE
Magnifiche parole
belle ad udir. Ma inopportuno è meco
quel fastoso linguaggio. Io so che a tutti
la vita è cara, e che tu stesso...
REGOLO
Ah troppo
di mia pazienza abusi. I legni appresta,
raduna i tuoi seguaci;
compisci il tuo dover, barbaro, e taci.
[N. 22 - Aria Amilcare]
AMILCARE
Fa' pur l'intrepido;
m'insulta audace;
chiama pur barbara
la mia pietà.
Sul Tebro Amilcare
t'ascolta e tace;
ma presto in Africa
risponderà.
(parte)
Regolo, poi Attilia.
Recitativo
REGOLO
E Publio non ritorna!
E Manlio... Ohimè! Che rechi mai sì lieta,
sì frettolosa Attilia?
ATTILIA
Il nostro fato
già dipende da te; già cambio o pace
fida a' consigli tuoi
Roma non vuol; ma rimaner tu puoi.
REGOLO
Sì; col rossor...
ATTILIA
No; su tal punto il sacro
senato pronunciò. L'arbitro sei
di partir, di restar. Giurasti in ceppi;
né obbligar può sé stesso
chi libero non è.
REGOLO
Libero è sempre
chi sa morir. La sua viltà confessa
chi l'altrui forza accusa.
Io giurai perché volli;
voglio partir perché giurai.
Publio e detti.
PUBLIO
Ma invano
signor lo speri.
REGOLO
E chi potrà vietarlo?
PUBLIO
Tutto il popolo o padre. È affatto ormai
incapace di fren. Per impedirti
il passaggio alle navi, ognun s'affretta
precipitando al porto; e son di Roma
già l'altre vie deserte.
REGOLO
E Manlio?
PUBLIO
È il solo
che ardisca opporsi ancora
al voto universal. Prega; minaccia,
ma tutto inutilmente. Alcun non l'ode,
non l'ubbidisce alcun. Cresce a momenti
la furia popolar. Già su le destre
ai pallidi littori
treman le scuri; e non ritrova ormai
in tumulto sì fiero
esecutori il consolare impero.
REGOLO
Attilia addio. Publio mi siegui.
(in atto di partir)
ATTILIA
E dove?
REGOLO
A soccorrer l'amico. Il suo delitto
a rinfacciare a Roma. A conservarmi
l'onor di mie catene.
A partire, o a spirar su queste arene.
(partendo)
ATTILIA
Ah padre, ah no. Se tu mi lasci...
(piangendo)
REGOLO
(serio ma senza sdegno)
Attilia!
Molto al nome di figlia,
al sesso ed all'età finor donai.
Basta; si pianse assai. Per involarmi
d'un gran trionfo il vanto,
non congiuri con Roma anche il tuo pianto.
ATTILIA
(come sopra)
Ah tal pena è per me...
REGOLO
Per te gran pena
è il perdermi lo so. Ma tanto costa
l'onor d'esser romana.
ATTILIA
Ogn'altra prova
son pronta...
REGOLO
E qual? Co' tuoi consigli andrai
forse fra i padri a regolar di Roma
in senato il destin? Con l'elmo in fronte
forse i nemici a debellar pugnando
fra l'armi suderai? Qualche disastro
se a soffrir per la patria atta non sei
senza viltà, di', che farai per lei?
ATTILIA
È ver. Ma tal costanza...
REGOLO
È difficil virtù. Ma Attilia alfine
è mia figlia e l'avrà.
(partendo)
ATTILIA
Sì quanto io possa
gran genitor t'imiterò. Ma... oh dio!
Tu mi lasci sdegnato;
io perdei l'amor tuo.
REGOLO
No figlia io t'amo;
io sdegnato non son. Prendine in pegno
questo amplesso da me. Ma questo amplesso
costanza, onor, non debolezza inspiri.
ATTILIA
Ah sei padre, mi lasci; e non sospiri!
[N. 23 - Aria Regolo]
REGOLO
Io son padre e no 'l sarei,
se lasciassi a' figli miei
un esempio di viltà.
Come ogn'altro ho core in petto;
ma vassallo è in me l'affetto;
ma tiranno in voi si fa.
(parte con Publio)
Attilia, poi Barce.
Recitativo
ATTILIA
Su costanza o mio cor. Deboli affetti
sgombrate da quest'alma; inaridite
ormai su queste ciglia
lagrime imbelli. Assai si pianse; assai
si palpitò. La mia virtù natia
sorga al paterno sdegno;
ed Attilia non sia
il ramo sol di sì gran pianta indegno.
BARCE
Attilia è dunque ver? Dunque a dispetto
del popol, del senato,
degli auguri, di noi, del mondo intero
Regolo vuol partir?
ATTILIA
(con fermezza)
Sì.
BARCE
Ma che insano
furor?...
ATTILIA
(come sopra)
Più di rispetto
Barce agli eroi.
BARCE
Come! Del padre approvi
l'ostinato pensier?
ATTILIA
Del padre adoro
la costante virtù.
BARCE
Virtù che a' ceppi,
che all'ire altrui, che a vergognosa morte
certamente dovrà...
ATTILIA
(s'intenerisce di nuovo)
Taci. Quei ceppi,
quell'ire, quel morir del padre mio
saran trionfi.
BARCE
E tu n'esulti?
ATTILIA
(Oh dio!)
(piange)
BARCE
Capir non so...
ATTILIA
Non può capir chi nacque
in barbaro terren per sua sventura
come al paterno vanto
goda una figlia.
BARCE
E perché piangi intanto?
[N. 24 - Aria Attilia]
ATTILIA
Vuol tornar la calma in seno,
quando in lagrime si scioglie
quel dolor che la turbò.
Come torna il ciel sereno
quel vapor che i rai gli toglie,
quando in pioggia si cangiò.
(parte)
Barce sola.
Recitativo
Che strane idee questa produce in Roma
avidità di lode! Invidia i ceppi
Manlio del suo rival! Regolo aborre
la pubblica pietà! La figlia esulta
nello scempio del padre! E Publio... Ah questo
è caso inver che ogni credenza eccede.
E Publio ebbro d'onor m'ama, e mi cede!
[N. 25 - Aria Barce]
Ceder l'amato oggetto
né spargere un sospiro
sarà virtù; l'ammiro;
ma non la curo in me.
Di gloria un'ombra vana
in Roma è il solo affetto;
ma l'alma mia romana,
lode agli dèi, non è.
(parte)
Portici magnifici su le rive del Tevere; navi pronte nel fiume per l'imbarco di Regolo. Ponte che conduce alla più vicina di quelle. Popolo numeroso che impedisce il passaggio alle navi. Africani su le medesime. Littori col Console.
Manlio e Licinio.
Recitativo
LICINIO
No. Che Regolo parta
Roma non vuole.
MANLIO
Ed il senato? Ed io
non siam parte di Roma?
LICINIO
Il popol tutto
è la maggior.
MANLIO
Non la più sana.
LICINIO
Almeno
la men crudel. Noi conservar vogliamo
pieni di gratitudine e d'amore
a Regolo la vita.
MANLIO
E noi l'onore.
LICINIO
L'onor...
MANLIO
Basta; io non venni
a garrir teco.
(al popolo)
Olà; libero il varco
lasci ciascuno.
LICINIO
(al medesimo)
Olà; nessun si parta.
MANLIO
Io l'impongo.
LICINIO
Io lo vieto.
MANLIO
Osa Licinio
al console d'opporsi?
LICINIO
Osa al tribuno
d'opporsi Manlio?
MANLIO
Or si vedrà. Littori
sgombrate il passo.
(i littori innalzando le scuri tentano avanzarsi)
LICINIO
Il passo
difendete o romani.
(al popolo che si mette in difesa)
MANLIO
Oh dèi! Con l'armi
si resiste al mio cenno! In questa guisa
la maestà...
LICINIO
La maestà di Roma
nel popolo risiede; e tu l'oltraggi
contrastando con lui.
MANLIO
(al popolo)
Dunque o quiriti...
POPOLO
Regolo resti.
MANLIO
Udite.
Lasciate che l'inganno io manifesti.
POPOLO
Resti Regolo.
MANLIO
Ah voi...
POPOLO
Regolo resti.
Regolo e seco tutti.
Recitativo accompagnato
REGOLO
Regolo resti! Ed io l'ascolto? Ed io
creder deggio a me stesso? Una perfidia
si vuol? Si vuole in Roma?
Si vuol da me? Quai popoli or produce
questo terren? Sì vergognosi voti
chi formò? Chi nutrilli?
Dove sono i nepoti
de' Bruti, de' Fabrizi e de' Camilli?
Regolo resti! Ah per qual colpa e quando
meritai l'odio vostro?
Recitativo
LICINIO
È il nostro amore
signor quel che pretende
franger le tue catene.
REGOLO
E senza queste
Regolo che sarà? Queste mi fanno
de' posteri l'esempio,
il rossor de' nemici,
lo splendor della patria; e più non sono,
se di queste mi privo,
che uno schiavo spergiuro e fuggitivo.
LICINIO
A' perfidi giurasti;
giurasti in ceppi; e gli auguri...
REGOLO
Eh lasciamo
all'arabo ed al moro
questi d'infedeltà pretesti indegni.
Roma a' mortali a serbar fede insegni.
LICINIO
Ma che sarà di Roma
se perde il padre suo?
REGOLO
Roma rammenti
che il suo padre è mortal, che alfin vacilla
anch'ei sotto l'acciar, che sente alfine
anch'ei le vene inaridir, che ormai
non può versar per lei
né sangue né sudor, che non gli resta
che finir da romano. Ah n'apre il cielo
una splendida via; de' giorni miei
posso l'annoso stame
troncar con lode; e mi volete infame!
Recitativo accompagnato
REGOLO
No; possibil non è. De' miei romani
conosco il cor. Da Regolo diverso
pensar non può chi respirò nascendo
l'aure del Campidoglio. Ognun di voi
so che nel cor m'applaude;
so che m'invidia, e che fra' moti ancora
di quel che l'ingannò tenero eccesso,
fa voti al ciel di poter far l'istesso.
Ah non più debolezza. A terra, a terra
quell'armi inopportune; al mio trionfo
più non tardate il corso
o amici, o figli, o cittadini. Amico
favor da voi dimando;
esorto cittadin; padre comando.
Recitativo
ATTILIA
(Oh dio! Ciascun già l'ubbidisce!)
PUBLIO
(Oh dio!
Ecco ogni destra inerme!)
LICINIO
Ecco sgombro il sentier.
REGOLO
Grazie vi rendo
propizi dèi. Libero è il passo. Ascendi
Amilcare alle navi. Anch'io non tardo,
già sieguo i passi tui.
AMILCARE
(Alfin comincio ad invidiar costui.)
(sale su la nave)
Recitativo accompagnato
REGOLO
Romani addio. Siano i congedi estremi
degni di noi. Lode agli dèi vi lascio
e vi lascio romani. Ah conservate
illibato il gran nome; e voi sarete
gli arbitri della terra; e il mondo intero
roman diventerà. Numi custodi
di quest'almo terren, dèe protettrici
della stirpe d'Enea confido a voi
questo popol d'eroi; sian vostra cura
questo suol, questi tetti e queste mura.
Fate che sempre in esse
la costanza, la fé, la gloria alberghi,
la giustizia, il valore. E se giammai
minaccia al Campidoglio
alcun astro maligno influssi rei,
ecco Regolo o dèi; Regolo solo
sia la vittima vostra e si consumi
tutta l'ira del ciel sul capo mio;
ma Roma illesa... Ah qui si piange! Addio.
[Coro di romani]
CORO DI ROMANI
Onor di questa sponda,
padre di Roma addio;
degli anni e dell'oblio
noi trionfiam per te.
Ma troppo costa il vanto;
Roma ti perde intanto;
ed ogni età feconda
di Regoli non è.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/05/2016
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