Atto terzo

 

Scena prima

Dorino, Silvio.

Dorino, Silvio

 

DORINO

Dove, dove mi volgo?  

Chi mi t'insegua omai, dolce sorella?

Da questa parte in quella

io pur giro e m'avvolgo

né ritrovo però l'ombre bramate.

Chi di voi per pietate,

care piante beate,

mi mostr'il ben ch'io cerco e ch'io desiro?

Invan piango e sospiro,

invan da queste sponde

sol al mio lagrimar Eco risponde.

Com'ardirò, deh, come

rimirar il tuo volto, o padre mio.

Se sol io vengo? Oh dio,

padre, deh, che dirai

allor che mi vedrai

solo venir senza il tuo caro pegno?

E pur misero e solo a te ne vegno.

SILVIO

Com'esser può che le bellezze frali

d'una ninfa terrena

empian d'amara pena

il sen degl'immortali?

Come può d'una ninfa il vago lume

accender mai d'amor fiamma in un fiume?

Ma quel non è Dorino,

che fissato nel suolo,

piange carco di duolo?

DORINO

Ah, caro Silvio amato,

or qual mi varrà scusa

che solo e scompagnato

vengo senz'Aretusa?

SILVIO

Appena il piè portato

fuor della soglia avesti,

ch'il nostro Carin giunse

e d'Aretusa bella

recò trista novella

ch'il cor d'ogni pastor trafisse e punse.

DORINO

Ohimè, che tua favella

il sen m'ha trapassato!

SILVIO

Disse ch'innamorato

di sua beltà divina

Alfeo, tutt'infiammato,

per la selva vicina

lei ch'innanzi fuggia

con dolce supplicar ratto seguia.

DORINO

Pieghiamo, amico, le ginocchia a terra,

voltiamo a Delia i preghi.

Ch'alla sua ninfa oggi pietà non nieghi

nell'impudica guerra,

ché chi ricorre al ciel giammai non erra.

DORINO E SILVIO

O dea, che tutt'avvampi

d'onesti e bei desiri,

dagli stellati campi

odi i nostri sospiri.

Nume benigno e santo,

odi pur dei tuoi servi il flebil canto.

Tu che del cieco arciero

con invitto valore

disprezzi l'arco altiero,

spegni d'Alfeo l'ardore

e con fido soccorso

d'Aretusa veloce impenna il corso.

SILVIO

Alziamci ormai, Dorino,

che qua ne vien l'addolorato vecchio,

di bontà nell'Arcadia unico specchio.

 

Scena seconda

Fileno, Flora, Carino, e Coro.

<- Fileno, Flora, Carino, pastori, pastore del coro

 

FILENO

Giov'immortal, che dagl'eterni chiostri  

con immutabil legge

reggi, giusto signor, la terra e 'l cielo,

se mai con puro zelo

i tuoi nobili altari,

devoto e riverente,

sparsi d'incenso e mirra,

deh, per pietà, ti prego

sia lungi da mia figlia

ogn'illecita forza,

ogn'impudico oltraggio.

FLORA

Consiglio è d'uomo saggio

ne' perigliosi incontri,

Fileno amico, l'invocar gli dèi.

Ma d'Aretusa mai

non entri nel tuo petto

tema indegna o sospetto.

FILENO

Ah, d'immortale amante

le lusingh'e l'amor chi fia che sprezzi?

CARINO

Chi ne' casti pensieri fida e costante,

d'Alfeo sdegnando i vezzi

per veloce fuggir voltò le piante.

Quai preghi o quai scongiuri

l'innamorato fiume

tralasciò lusingando?

Non è di verdi foglie

sì ricca questa selva,

quanto fu di promesse

il suo dolce pregare.

Io 'l vidi lagrimare

et udii sospirando dir parole

da intenerir ogni più duro sasso.

Ma d'Aretusa tua

l'ammirabil virtute

stette più salda assai

a' preghi et a' lamenti

ch'antica quercia al tempestar de' venti.

FILENO

Ma se sdegnato intanto

cangerà in ira il pianto,

farà debil contrasto

al fero minacciar donzella inerme.

FLORA

Ma in generoso germe

di così illustri padri,

ov'il pregar non vale

varran men le minacce.

FILENO

Sì, forse, ov'allo sdegno

non fia la forza eguale.

FLORA

Conrtro sì vil disegno

scudo ne fia Diana.

Ella possent'e pia,

ogn'ingiuria da lei terrà lontana.

CARINO

Veggio di qua venire

con tardo passo e lento

il nostro caro Aminta:

saprem da lui, Fileno,

della tua figlia il nuovo caso a pieno.

 

Scena terza

Aminta, Fileno, Flora, Carino, e Coro.

<- Aminta

 

AMINTA

O sfortunato amante!  

Sventurata fanciulla!

Vostr'infelice sorte

a lagrimar m'invita.

FLORA

Pastor, tu piangi? E ti si legge in volto

il dolor che nel sen celi sepolto.

Scopri, deh, scopri a noi

la pietosa cagion de' sospir tuoi.

AMINTA

Ah, potess'io tacere

ah, foss'io cieco stato:

purtroppo saperai, Flora, gentile,

dell'amata Aretusa il duro fato.

FILENO

Fors'è mia figlia morta?

Chi mi consola, ahimè, chi mi conforta?

Ohimè, pastor amico,

il tuo parlar e il tuo tacer m'ancide.

AMINTA

L'alma da me divide

il vederti, Fileno, e 'l cor s'agghiaccia.

Parlerò? Tacerò? Tutto pavento.

CARINO

Aminta, omai ti piaccia

o darci morte o trarci di tormento.

AMINTA

Per la selva frondosa,

dell'odiato amante

l'amoroso pregar fuggia veloce

la candida Aretusa;

seguiala Alfeo correndo,

e con pietosa voce

ad arrestare il corso

umil la supplicava;

ella chiedea soccorso

fissando in ciel le luci

di Laton'alla figlia,

e già tutta anelante

impallidia nel volto,

il sangue al cor raccolto.

Sentia venirsi meno,

quando disciolse il freno

al pianto et ai sospiri,

sospir ch'alta pietate

acces'avrian in freddo marmo algente.

Cadean a mille a mille

sulle guance rosate

le lagrime sì belle,

ch'avrian di feritate

spogliato della Libia ogni serpente.

Giunse frattanto Alfeo,

e, pien d'ardente amore,

per far dolce catena

al candidetto collo

già già stendea le braccia.

Stringer pens'Aretusa,

ma un'atra nube abbraccia.

Dell'alta novitate,

colm'il sen di stupore,

mentre non sa che farsi,

ed ecco dileguarsi

la nube che il suo ben gli aveva conteso.

Né però d'Aretusa

ved'egli il bel sembiante

ma sol nel verde suolo

vide, misero, invece

di quei begl'occhi e dell'amata fronte,

scaturir gorgogliando un vivo fonte.

Percosso allor da non previsto duolo,

fermossi alquanto immobile e tremante,

poi dal grave letargo infin resorto,

con parlar fioco e morto,

che non disse o non fece?

Piangendo amaramente

dal profondo del cor trasse un sospiro

sì caldo e sì cocente,

che d'ogni aspro martiro

fatto infelice ostello

ben parve in seno aver un Mongibello.

Poscia da' mesti suoi dolenti lumi,

quasi nuove urne sue, versò due fiumi,

sciolse la lingua in dolorosi accenti:

«E questi (disse), Amor, sono i contenti

ch'allor mi promettesti

che nel freddo mio petto

diedi alle fiamme tue fido ricetto?

Del grand'impero tuo son dunque questi

i diletti e le gioie?

Di mai più goder pace

nel viver che m'avanza,

tuffar in gelide acque ogni speranza?

E tu, ninfa gentile,

dolce cagion delle mie amare pene,

le vaghe piagge amiche,

le folte selve amene,

e le campagne apriche

mai più non rivedrai?

Per me dunque sarai

priva di questa luce?

Io sarò stato duce,

troppo importuno amante,

alla tua dura sorte; ah cielo! Ah dio!

Fulminate il castigo all'error mio.»

Quindi prostrato in terra,

più volte alle bell'acque

diede ben cento baci,

e con voci mestissime soggiunse:

«Chiare fresch'e dolci acque,

poscia ch'al mio fallire

non veggio egual martire,

gradit'almen cortesi

acque che tant'offesi,

questo mio cor ch'in pianto si distrugge

per voi seguir e da me parte e fugge.

Misero, ben vorrei

poter dagl'occhi miei,

vittima a tant'offesa

fra le lagrime mie l'alma versare;

vorrei ch'il duol, ch'a sospirar mi mena,

con nuovo danno e pena

movesse nel mio sen fiamma vorace,

che con dura contesa

delle bell'acque sue limpid'e care

il letto mio rendesse arido e secco;

e perché senza te viver mi spiace,

queste membra posare

vorrei fra mille pene in grembo a morte.

Ma la mia cruda sorte

il vieta, ahi lasso, ond'io

quel che il ciel mi concede,

quel che non puote contraddir fortuna,

in pegno di mia fede

donerotti pentito

con freddi baci intanto

largo tributo di perpetuo pianto.»

E tornando a baciar quei bei cristalli,

io sbigottito e muto

uscendo d'un cespuglio

ove m'ero acquattato

mossi per ritrovarvi in questo lato.

CORO

Oh duro colpo di fortuna irata!

FLORA

Oh infelice Aretusa,

che di sua pura fede

ha sì cruda mercede!

CARINO

Oh sfortunato Alfeo,

cui fia mai sempre il seno

senza la bell'amata

punto d'aspro veneno!

AMINTA

Ma più d'ogni altro poi,

misero afflitto padre,

sventurato Fileno!

Ma deh! Mirate l'infelice amante

che mesto verso noi muove le piante.

 

Scena quarta

Alfeo e gli altri in scena.

<- Alfeo

 

ALFEO

Piangete, vecchi infelici,  

estinguete l'ardore

che nell'afflitto core

troppo, troppo cocente, ohimè, s'accese,

poscia, che tant'offese

la ninfa mia, che mosse il piè fugace

per torre a sé la vita, a me la pace!

Oh lieti giorni miei!

Oh dì felici, oh già tranquilla vita,

vostra quiete è gita:

Amor crudele e la mia ninfa insieme,

cui tanto il desir mio dolse e dispiacque,

incatenata la consuma e preme,

quegli nel foco suo, questa nell'acque.

Ah sconsolato amante! Ah potess'io

chiudervi, occhi dolenti,

per mai più non aprirvi,

occhi, sola cagion del fallir mio.

Ma, per maggior mio male,

forse nacqui immortale!

E tu, ninfa gentil, deh, mi perdona

se, come del tuo volto, i raggi amai,

delle bell'acque ancora

la divina chiarezza m'innamora.

Et or, misero, io vado

ove quest'occhi miei

versando fra sospiri e fra singulti

pietosissim'umore,

vincano in mesta e dolorosa gara

della ricca urna mia l'antico onore.

Ma potrai forse, Alfeo,

sostener di tua colpa

la dura rimembranza?

Avrai forse speranza,

mentre sei reo di morte

della più bella ninfa

che mai vedess'il sole,

avrai, dico, speranza

giacer nella tua reggia

all'ozio, agl'agi in grembo,

lunge da questa vista

che sì miser'e trista a te pur piace?

Ah non fia ver, non fia ch'io non riveggia

delle mie colp'il deplorabil parto,

ond'in maniere disusate e nuove

di tardo sì, ma vero pentimento,

pianga sempre il mio cor nuovo tormento:

ché quanto il fallir mio fu duro e grave,

tant'è car'il castigo e il duol soave.

Dunque, bell'acque, ad impetrar perdono,

colmo di pene amare,

seguirovvi a' sospir in abbandono

per ampia terra e per immenso mare.

 

Scena quinta

Fileno, e gli altri.

 

FILENO

Io non ti scuso, Alfeo, né men t'incolpo,  

che l'un non poss'e l'altr', ohimè, non voglio:

che son, qual esser soglio,

verso gli eterni dèi

di fé, di riverenza,

ma ben fra noi d'ogni miseria, esempio,

perdut'ho 'l caro pegno,

di queste stanche membra

fidissimo sostegno.

E vivo e spiro?

O cara figlia mia, chi mi t'asconde?

Rispondete al mio pianto, amiche sponde.

CORO

Rispondete al mio pianto, amiche sponde!

FILENO

Misero, io già sperai

da te, cara mia figlia,

goder i dolci scherzi

de' pargoletti e teneri nipoti.

Ma tu, morendo, amaramente vuoti

l'infelice mia vita,

e con dolenti guai

la flagelli e la sferzi.

E chi potrà giammai

queste piaghe sanar così profonde?

Rispondet'al mio pianto, amiche sponde!

CORO

Rispondete al mio pianto, amiche sponde!

FLORA

Non disperar, Fileno,

ch'a noi tutta ridente

per far nostri sospiri oggi felici

veggio dal ciel venir Cinzia possente.

 

Scena sesta

Diana, Fileno, e gli altri.

<- Diana

 

DIANA

Frenate il pianto, amici,  

rasserenate il volto:

d'Aretusa la sorte

non turbi il vostro sen poco né molto,

ché d'alma, agli alti dèi così gradita,

trionfar mai non puote

l'inesorabil morte.

Di sua virtù battendo elle le piume

felicemente è gita

ad arricchir del ciel l'eterna corte

onde risplende a voi celeste nume.

FILENO

Dunque Aretusa mia,

qual novella fenice

della sua morte immortal vita elice?

DIANA

Cotai premi riporta

dall'alta monarchia

chi, seguendo la scorta

di pudico pensiero,

calpesta di virtute il bel sentiero.

Ella nei chiari suoi puri liquori

mostra di quai candori

mentre visse fra voi

ricchi fosser mai sempre i pensieri suoi.

Et or per conservare

caste ed intatte ancor le sue bell'onde

nella terra s'asconde:

quinci passando occultamente il mare

nuova risorge alle trinacrie sponde;

e per l'ardente zelo

di sua virginitate

con l'eterna beltate

sempre risplenderà viva nel cielo.

FILENO

Vergine, fra gli dèi lucente diva,

la tua somma pietate

queste caduche membra e sconsolate

benigna oggi ravviva.

CORO

No, no, non più sospiri,

lungi, lungi da noi pene e martiri.

PASTORE DEL CORO

Trionfi oggi, pastori,

ne' nostri cori

il diletto e 'l contento.

Ciascun festeggi e goda:

altro non s'oda

che gioioso contento.

CORO

Pianto, sospiri e duolo

fuggono a volo

ove Cinzia risplende,

e si fugge ogni noia

che d'alta gioia

ogni cor liete rende.

FLORA

La figlia di Latona

non abbandona

chi corre a sua virtute,

ma, pront'alle preghiere,

dall'alte sfere

reca dolce salute.

CORO

Viva dunque, pastori,

ne' nostri cori

il diletto e 'l contento;

ciascun festeggi e goda:

altro non s'oda

che gioiosa concento.

FILENO

Del ricco gregge mio caro e diletto

la più candid'agnella

tutta sparsa di fiori

e di soavi odori,

vergine pura e bella,

divoto all'altar tuo sacro e prometto.

No, no, non più sospiri,

lungi, lungi da noi pene e martiri.

CORO

No, no, non più sospiri,

lungi, lungi da noi pene e martiri.

DIANA

Alma diletta a dio candida e pura,

incontro a' sensi rei costante e forte,

sola et inerme ancor goda secura

e lieta aspiri a più beata sorte,

ch'il ciel la custodisc'e l'assicura

contr'ira di fortuna e stral di morte,

e cangia in lunghe gioie i brevi mali:

apprendete pietà quinci, o mortali.

 
Madrigale a 5.
 

FILENO, FLORA, AMINTA, CARINO E CORO

O dèa d'amor nemica,    

ch'avesti cuna in Delo

e spesso cangi con le selve 'l cielo,

a te l'alma pudica,

a te sacriamo il canto,

ch'or volgi in allegrezza il nostro pianto.

Tu, casta insieme e bella,

tu ne difendi il core

dalle forze di Venere e d'Amore.

Tu, di Febo sorella,

della casta Aretusa

fa' che non taccia mai l'attica musa.

S

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Segue il ballo.
 

Fine (Atto terzo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo
Dorino, Silvio
 

Dove, dove mi volgo?

Dorino, Silvio
<- Fileno, Flora, Carino, pastori, pastore del coro

Giov'immortal, che dagl'eterni chiostri

Dorino, Silvio, Fileno, Flora, Carino, pastori, pastore del coro
<- Aminta

O sfortunato amante!

Dorino, Silvio, Fileno, Flora, Carino, pastori, pastore del coro, Aminta
<- Alfeo

Piangete, vecchi infelici

Io non ti scuso, Alfeo, né men t'incolpo

Dorino, Silvio, Fileno, Flora, Carino, pastori, pastore del coro, Aminta, Alfeo
<- Diana

Frenate il pianto, amici

Fileno, Flora, Aminta, Carino, Coro
O dèa d'amor nemica

(ballo)

 
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Prologo Atto primo Atto secondo

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