Atto secondo

 

Scena prima

Fileno solo.

Fileno

 

 

Deh qual nuova tristezza  

qual noioso pensier il cor m'ingombra!

Cosa non è ch'io miri,

onde ratta non voli

trista cagion di pianto agl'occhi miei.

I fior, che lieti fanno

rider i prati ameni

e le bell'aure intorno

rendon più ricche di soavi odori,

traggon dagli occhi miei pietosi umori.

Il grato mormorio

de' limpidi cristalli,

ch'addolcendo ogni pena

i più dolenti spirti

richiama alla quiete,

di dolorose cure

sveglia nel petto mio fere punture.

S'io vado al bel tesoro

de' miei più cari armenti

per mitigar l'affanno,

non so come né donde,

ma sol, misero, sento

correr nell'alma mia nuovo tormento.

Figlia degl'occhi miei, pupilla amata,

figlia, parte di me più dolce e cara,

non so qual nuov'amor, nuova pietade,

s'accenda nel mio seno,

di seguir l'orme tue,

di non lasciarti sola.

Non so qual mio destino

con timoroso piede,

mi mena a ricercarti;

forse per entro il core,

presago d'alcun mal, meco favella.

Ma la compagna sua, Florida bella,

veggio sola venire:

ella mi saprà dire

ove volger io debba

per tosto ritrovarlo il debil fianco.

 

Scena seconda

Flora Fileno.

<- Flora

 

FLORA

Per ritrovarti invano,  

carissima Aretusa,

io cerc'ogni sentiero,

ed oramai dispero

di prima rivederti

ch'all'imbrunir del cielo.

FILENO

Se dio de' tuoi desiri

paga ti faccia e lieta,

Flora gentil, deh, dimmi

ov'Aretusa mia fermi le piante.

FLORA

Allo spuntar dell'alba,

con mille veltri e mille acuti dardi,

con l'altre ninfe insieme

nella selva n'entrammo.

Mentre quivi ciascuna,

prega dei boschi il nume

che la man e lo stral regg'al ferire,

ed ecco a noi venire

saltando un capriolo,

che, visto da tua figlia,

sì veloce al fuggir

si diè pe 'l bosco,

ed ella a seguir lui così leggeri,

ch'apparir è men ratto in ciel baleno.

Moss'il piè per seguirla:

ma la selva è sì folta

che smarrito ho la traccia;

onde gelosa sono

che senza me ne vada.

FILENO

Togli, deh, togli, o dio,

gli sfortunati auguri.

Or, se ti piace meco

tornar nel bosco,

cercheremo ogni speco

andrem spiando ogni orma.

 

Scena terza

Aminta, Carino, Fileno, Flora.

 

AMINTA E CARINO
(cantano dentro)

Di beltà superbo pregio  

chieggia a dio nel suo pregare

chi vuol l'alma incatenare

di famoso illustre fregio:

non ha cor tanta durezza

che no 'l rompa la bellezza.

FILENO

Ma qual voce sonora

risuona in questa parte?

Fermian, Flora, le piante

ché, mosso a' nostri preghi,

forse Giove n'apprest'alcun conforto.

AMINTA E CARINO

Non sa poi gli aspri dolori

che n'apport'a noi mortali,

non sa poi gli acerbi mali

con che ancide il seno e i cori:

è beltà velen perverso,

che n'attosca l'universo.

Sallo Grecia e 'l re troiano

che dell'alma sua cittade

per la troppo gran beltade

vide andar le mura al piano.

È tesor che chi 'l possiede

vicin sempre il suo mal vede.

Ecco Dafne che s'affanna

per fuggir, e lauro è fatta

e Siringa ne va ratta

nel palude a farsi canna;

sento ancor d'Inaco a' liti

della figlia i bei muggiti.

 
(qui escono fuori)

<- Aminta, Carino

 

 

Dunque ognun con puro affetto  

porga sol preghiere a dio

che saprà prudente e pio

di contento empiers'il petto:

questi sieno i voti miei

d'onorar solo gli dèi.

FILENO

Ohimè, Giove, ti prego,

non sia, deh, mai non sia

la beltà d'Aretusa infaust'esempio,

ma tu, dolce Carin, dove ne vai?

CARINO

In questo poggio ombroso

a pascolar l'erbette

il gregge abbiam lasciato

e venivamo al prato.

FILENO

Pastor, s'agl'occhi vostri

d'Aretusa mia figlia

avvien ch'il bel sembiante oggi si mostri,

deh, cortesi le dite

(così le vostre voglie

favorisca dal ciel l'eterno dio)

che pront'a consolar l'affanno mio

pietos'accorr'alle paterne soglie.

E noi, Flora, seguiamne

questo più angusto calle

che forse la vedrem giù nella valle.

 

Fileno, Flora ->

 

Scena quarta

Carino, Aminta, Aretusa.

 

CARINO

Parvemi, Aminta mio,  

che 'l nostro buon Fileno

abbia nascosa in seno

doglia crudel che lo tormenta e punge;

ma di qua vien non lunge

la candid'Aretusa.

 

<- Aretusa

ARETUSA

Carin, in questo prato  

forse veduto avresti

volando trapassar ferit'un cervo?

CARINO

Ninfa, già non vid'io fera selvaggia

con fuggitivo piede

di questa bella ed odorata piaggia

segnar il verde smalto,

temendo di tua destra il duro assalto:

dunque, deh, fren'il corso e volg'i passi

ver'il nativo tetto

ch'il tuo padre diletto

tenero di tuo ben più dell'usato,

con insolito affetto

ti cerca errando;

ed or a noi impose

che le cure gelose

ti aprissimo del suo timido petto,

se le piante leggiadre

ponevi a sorte in questo prato erboso.

ARETUSA

Ecco che pronta io vengo. Ah, caro padre!

Dell'antico tuo sen l'alto riposo

non turbi mai per me pensier noioso.

 

Scena quinta

Alfeo, Aretusa, Aminta, Carino.

<- Alfeo

 

ALFEO

Felicissimo incontro!  

Oh fortunato giorno!

A che di ferr'armata

carchi la bianca mano,

bellissima Aretusa,

se negl'occhi tu porti

acutissimi strali

onde ferisci i cori?

Ben sallo questo sen che langue e more!

Lascia, lascia le fere:

più degna preda alle tue braccia è presta.

ARETUSA

Nel petto mio sol questa

cura pudica alberga,

di saettar o capriolo o cerva;

altra preda non voglio o vesto altr'armi.

ALFEO

Ninfa, s'a' miei desiri

volgi benigna il core,

dell'acque mie farotti alta regina,

dell'amato tuo padre

farò fecondi i campi,

avrai per servo un dio.

Le naiade vezzose

verranno a schiera a schiera

con preziosi doni

per arricchirt'il grembo,

né men ti verrà mai di gioia un nembo.

ARETUSA

Umil agl'alti dèi

reverente m'inchino,

né poss'il mio pensiero

lungi da terra alzare.

Son di Diana ancella,

né penso d'esser bella,

ma della fede mia

serbo costant'il pegno.

Ma tempo è di partir, lasciami andare.

ALFEO

Dunque sarai sì sorda

che le preghiere mie non voglia udire?

Sarai dunque sì cruda

che della pena mia pietà non senta?

Sarai dunque sì fera

che sanar tu non curi

la piaga che mi fest'in mezz'all'alma?

Deh, vieni, amata ninfa,

corrim'in queste braccia,

che già non t'ha sì cara

l'alma dèa della caccia,

com'io t'avrò, ben mio;

né romperai la fede,

ch'ove è forza maggiore,

colpa non è d'un core.

ARETUSA

A te, Diana amica,

chieggo securo scampo;

deh, fammi nel fuggire

veloce sì, come saetta o lampo.

ALFEO

Crudel, tu fuggi? Aspetta, anima mia!

 

Aretusa, Alfeo ->

CARINO

Seguela Alfeo correndo, ohimè, che fia?  

Deh, lor va' dietro, Aminta,

e se puoi, senza offesa

del nostro fiume, ohimè, porgile aita.

AMINTA

Carin, io vado, addio.

 

Aminta ->

CARINO

A ritrovar anch'io  

l'infelice Fileno

moverò il passo, d'amarezza pieno.

 

Carino ->

CORO

Chi tue forze non intende,  

miri, Amor, gli effetti tuoi,

e vedrà quel che far puoi

in mill'opre tue stupende:

poi dirà che fra gli dèi

tu 'l maggior di tutti sei.

Questo ciel di lumi acceso,

con quant'è dentro a lui chiuso,

in abissi atri confuso

era informe inutil peso

tu benigno e tu fecondo

ne traesti in luce il mondo.

Prima fu tua nobil prole

la grand'alma universale,

onde prend'aura vitale

la corporea immensa mole.

Producesti i giri eterni:

e le stelle e gli elementi,

e con lor tutti i viventi

che sol tu reggi e governi:

dando all'uomo, ad amar nato,

ch'arda insiem e sia beato.

Né sol nutri in uman petto

somma gioia ardendo, Amore,

ma gli dèi non puon' maggiore

ch'il tuo fuoco aver diletto:

onde in terra e'n ciel non s'ode

altra pari alla tua lode.

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo
Fileno
 

Deh qual nuova tristezza

Fileno
<- Flora

Per ritrovarti invano

Di beltà superbo pregio

Fileno, Flora
<- Aminta, Carino

Dunque ognun con puro affetto

Aminta, Carino
Fileno, Flora ->

Parvemi, Aminta mia

Aminta, Carino
<- Aretusa

Carin, in questo prato

Aminta, Carino, Aretusa
<- Alfeo

Felicissimo incontro!

Aminta, Carino
Aretusa, Alfeo ->

Seguela Alfeo correndo, ohimè, che fia?

Carino
Aminta ->

A ritrovar anch'io

Carino ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta
Prologo Atto primo Atto terzo

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