Atto primo

 

Scena prima

Piazzetta con varie case e botteghe ancora chiuse.
Vedesi appena l'alba, e a poco a poco si va rischiarando.
Rosina apre la finestra e si fa vedere; poi Angiolina fa lo stesso nell'abitazione sua dirimpetto a quella della Rosina; poi Giannino viene di strada, suonando il chitarrino e cantando.

 Q 

<- Rosina

 

ROSINA

(apre la finestra e si fa vedere)

Bella cosa gli è il vedere  

spuntar l'alba in sul mattino:

ma se passa il mio Giannino,

fugge l'alba e spunta il sol.

 

<- Angiolina

ANGIOLINA

(apre la finestra e si fa vedere)

Sorge l'alba, e sto a vedere

far il sole il suo cammino;

ma dagli occhi di Giannino

vinta è l'alba, e vinto è il sol.

ROSINA E ANGIOLINA

Pria ch'io vada al mio lavoro,

deh vedessi il mio tesoro,

deh venisse il mio bel sol.

 

<- Giannino

GIANNINO

(col chitarrino si ferma a mezza la piazzetta, e suona e canta, addrizzando gli occhi ed il canto dalla parte di Rosina)

Non posso riposar, non trovo loco,

cerco qualche ristoro alla frescura.

Ma dove i' vado porto meco il foco,

ed è il mantice mio fra quelle mura.

ROSINA E ANGIOLINA

Giannino amabile,

sei pur piacevole!

Più caro giovane

di te non c'è.

GIANNINO

Oh, s'io potessi rinfrescarmi un poco,

non morirei dall'amorosa arsura.

Amore, il tuo Giannin si raccomanda:

fagli vedere il sol da questa banda.

ROSINA E ANGIOLINA

Giannino amabile,

sei pur godibile!

Più caro giovane

di te non c'è.

 

GIANNINO

Zitto. Parmi vedere,  

fra il chiarore dell'alba e delle stelle,

la mia bella Rosina alla finestra.

ROSINA

(si fa sentire)

Eh ehm.

GIANNINO

Eh ehm.

(le corrisponde, e si avvicina pian piano)

ANGIOLINA

Briccone!

Se n' va dalla Rosina.

Più non cura di me.

(si fa sentire)

Eh ehm.

GIANNINO

(Per Bacco!

L'Angiolina mi vede; anch'ella è alzata.

Fingerò non vederla e non sentirla.)

ROSINA

(Con Giannino colei non vuol finirla.)

GIANNINO

(sotto la finestra, piano)

Rosina.

ROSINA
(sottovoce)

Vita mia.

GIANNINO

Tuo padre è alzato?

ROSINA

Credo che dorma ancora.

Io m'alzai di buon'ora

perché deggio finire un andrienne

per madama Costanza,

e perché di vederti avea speranza.

ANGIOLINA

Oh che rabbia!

(tossisce forte)

Eh ehm.

ROSINA
(a Giannino, piano)

Senti?

GIANNINO

La sento,

ma di lei non m'importa.

Vieni un po' sulla porta.

ROSINA

Sì, m'aspetta.

(Voglio fare arrabbiar quella fraschetta.)

(entra)

Rosina ->

 

Scena seconda

Angiolina alla finestra, Giannino in istrada.

 

GIANNINO

Pria d'andare a bottega,  

quando posso vedere il mio tesoro,

applico con più gusto al mio lavoro.

ANGIOLINA

Ehi, Giannin.

GIANNINO

Chi mi chiama?

(fingendo non vederla)

ANGIOLINA

Non mi vedi?

Principia il sole a discacciar l'aurora;

chiaro si vede, e non mi vedi ancora?

GIANNINO

Sono ancora assonnato:

non ci aveva abbadato.

ANGIOLINA

(Ah sì, il briccone

ha perduta la vista in quel balcone.

Voglio per or dissimular.)

GIANNINO

(Vorrei

se n'andasse costei.)

ANGIOLINA

Coi miei quattrini

posso avere un piacer?

GIANNINO

Che cosa vuoi?

ANGIOLINA

Per lavorar di cuffie

vorrei un tavolino.

Comodo e galantino. Tu che sei

un bravo falegname,

fammi questo piacer. Ti pagherò.

GIANNINO

Sì sì, te lo farò.

ANGIOLINA

Vien su, Giannino,

che farotti veder com'io lo voglio.

GIANNINO

Or non posso venir. (Quest'è un imbroglio.)

ANGIOLINA

Eh sì sì, t'ho capito.

Dici che ora non puoi?

Di' che venir non vuoi, perché paventi

disgustar la Rosina. Disgraziato,

per lei tu m'hai lasciato.

Ma ho tante protezioni,

servo di cuffie tante dame e tante,

che ti farò pentir, te lo prometto,

e sarai mio marito a tuo dispetto.

(si ritira)

Angiolina ->

 

Scena terza

Giannino solo.

 

 

Delle sue protezioni  

io timore non ho. Nessun può fare

ch'io la prenda per forza. Amo Rosina,

e la voglio sposare, e se dovessi

andarmene di qua, non mi confondo:

posso fare il mestier per tutto il mondo.

Ma che fa che non viene?

Non vorrei che suo padre fosse alzato.

Temo che il vicinato

mormori nel vedermi in questo loco.

Mostrerò di passar; canterò un poco.

 

Amor, tu mi fai far la mattinata;  

scordomi la bottega ed il lavoro.

Ma tu mi pagherai la mia giornata,

se ritorno a vedere il mio tesoro.

Zitto, mi pare...

parmi sentire...

veggo ad aprire.

Zitto, che viene

quella che tiene

schiavo il mio cor.

 

Scena quarta

Bernardo apre un pocolino l'uscio della sua abitazione, e si fa vedere al popolo, e non a Giannino.

<- Bernardo

 

BERNARDO

(Chi è, che a quest'ora  

viene a cantare?

Zitto, se posso

vo' rilevare

se alla Rosina

fanno l'amor.)

GIANNINO

(all'uscio)

Anima bella.

BERNARDO
(con voce sottile)

Luci leggiadre.

GIANNINO

(come sopra)

Dorme tuo padre?

BERNARDO

Dorme il vecchione.

GIANNINO

Vieni, mia cara,

vieni di fuor.

BERNARDO

(esce, e si scopre)

Ah disgraziato!

GIANNINO

(Ah, son gabbato!)

BERNARDO

Cosa pretendi?

GIANNINO

Niente, signor.

BERNARDO

Sei un briccone.

GIANNINO

Siete in error.

Vado a bottega,

mi vo spassando:

vado cantando

per buon umor.

Amore amaro e la fortuna ingrata

accordati si sono in fra di loro.

Amor mi fa sperare, e poi m'inganna;

pare amica fortuna, ed è tiranna.

(parte)

Giannino ->

 

Scena quinta

Bernardo, e poi Titta.

 

BERNARDO

Canta, canta, birbone; a un legnaiuolo  

non do la mia figliuola. Che cos'hanno

di capitale i falegnami? Oh bella!

Quattro tavole, un banco e uno scalpello,

una sega, una pialla ed un martello.

 

<- Titta

TITTA

(apre la porta della sua bottega, ed esce)

Buon dì, mastro Bernardo.  

BERNARDO

Buon dì, Titta.

TITTA

Cosa vuol dir che ancora

non aprite bottega?

BERNARDO

Un insolente

venuto è ad inquietarmi.

TITTA

Sì, ho sentito

cantar quello sguaiato,

che con tutte vuol far l'innamorato.

(apre la balconata)

BERNARDO

Se torna a insolentarmi,

so io quel che farò.

TITTA

Non ci pensate.

(entra per la porta della bottega, e si fa subito vedere alla balconata)

La cura a me lasciate.

Se lo veggo passar, con questo spiedo

l'infilzo a dirittura. Son degli anni

che noi ci conosciamo.

Siamo vicini, siamo,

e anch'io vo' maritarmi;

e vorrei lusingarmi,

se la figliuola maritar pensaste,

che a me non la negaste.

Titta ->

<- Titta

 

Titta ->

BERNARDO

(Che bel modo

di chiedere una figlia!)

 

<- Titta

TITTA

(uscendo dalla bottega col cassettino nel braccio cogli strumenti)

Ehi, garzoni,

presto il foco accendete alla fucina.

Quel ferro arroventate, e quando torno,

fate che sia tagliato,

e da un capo e dall'altro attortigliato.

(torna in bottega)

 

Titta ->

BERNARDO

(Titta è un buon artigiano,

ma è un giovane ancor ei senza giudizio:

gli piace il vino e delle carte ha il vizio.)

 

<- Titta

TITTA

(tornando ad uscir dalla bottega)

Così, mastro Bernardo,  

come dicea, ci parleremo.

BERNARDO

Bene,

parleremo; c'è tempo.

TITTA

Or deggio andare

da madama Costanza,

vedova di monsieur di Cottegò,

a por la serratura ad un burrò.

BERNARDO

Anch'io un paio di scarpe

deggio ad essa portar questa mattina;

e anche la mia Rosina,

se l'avrà terminato,

dée portarle un andrien che ha rivoltato.

Ma la figliuola ed io

ci andiam mal volontieri.

È sì sofistica madama, e così altiera,

che in ogni lavorier trova che dire:

strilla, grida, maltratta e fa impazzire.

TITTA

Io con lei non m'impiccio. Ha un cameriere

che le accomoda il capo, ed è padrone

in casa più di lei. Anzi si dice

ma zitto, veh, si dice

che ne sia innamorata,

che lo voglia sposare, o sia sposata.

BERNARDO

Oh, pasticci, pasticci.

TITTA

È meglio sempre...

come si dice? paribus con paribus.

Io con Rosina, per esempio, oh sì,

paribus vi saria: non è così?

BERNARDO

Eh pensate, fratello,

prima di maritarvi a far cervello.

TITTA

Oh l'ho fatto, l'ho fatto.

Mastro Bernardo, su la mia parola...

meco non staria mal vostra figliuola.

 

Da che penso a maritarmi  

principiato ho a governarmi.

Son tre mesi che non gioco,

son tre dì ch'io bevo poco.

Ho lasciato ogni altro vizio,

e giudizio ~ voglio far.

Ci vedremo, ~ parleremo,

ci potremo ~ accomodar.

(parte)

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Titta ->

 

Scena sesta

Bernardo solo.

 

 

Tre mesi che non gioco,  

tre dì che bevo poco:

c'è molto da fidarsi,

che duri il buon pensier di governarsi.

No no, la figlia mia non la vo' dare

perch'abbia da pentirsi e da penare.

Ma il sole è alzato, e ancora non si vedono

a venire i garzoni.

Oh, sono i gran bricconi!

A chi faccio mangiare il pane mio?

La bottega stamane aprirò io.

(entra in casa)

Bernardo ->

 

Scena settima

Angiolina di casa, con una Fanciulla colle scatole delle cuffie; poi Bernardo.

<- Angiolina, fanciulla (Chiarina)

 

ANGIOLINA
(alla fanciulla)

Chiarina, vieni meco,  

vienmi dietro bel bello, e per la strada

non ti stare a incantar.

Guarda per terra:

guarda di non cader, che non avessi

le scatole dei fiori a rovesciare,

e le cuffie e i merletti a rovinare.

 
(Bernardo apre per di dentro la balconata della bottega, e fa la solita mostra di scarpe)

<- Bernardo

 

(Il padre della squincia  

apre adesso bottega, e la figliuola

stavasi a far l'amor mentr'ei dormiva.

Non vo' più scarpe, non vo' più amicizia

né con lui, né con lei.

Vecchiaccio rimbambito,

di stroppiarmi le piante avrai finito.)

BERNARDO

(dalla balconata)

Angiolina.

ANGIOLINA

Che c'è?

BERNARDO

Le vostre scarpe

son di già terminate.

ANGIOLINA

Dopo un mese?

Gran premura per me che avete avuta!

Tenetele per voi, son provveduta.

BERNARDO

Voi prescia non mi deste,

per ciò pria non le aveste:

quando prometto, differir non soglio.

Eccole, sono fatte.

(fa vedere le scarpe dalla balconata)

ANGIOLINA

Io non le voglio.

BERNARDO

Oh, cospetto di Bacco!

(esce colle scarpe in mano)

Prenderle voi dovrete.

ANGIOLINA

Non le prendo,

se credo di morir.

BERNARDO

Per qual ragione?

ANGIOLINA

Perché... perché non voglio

aver nulla che far con casa vostra.

E se vostra figliuola

non averà giudizio,

nascerà un precipizio.

BERNARDO

E che vi ha fatto?

ANGIOLINA

No 'l sapete?

BERNARDO

No 'l so.

ANGIOLINA

Perché dunque il sappiate, io ve 'l dirò.

 

Voi Giannino conoscete,  

conoscete il legnaiuolo:

era tanto il buon figliuolo,

volea tanto bene a me.

Vostra figlia simoncina,

l'illustrissima Rosina,

quell'ingrato ~ mi ha rubato,

perché tutti vuol per sé.

Della mia collera,

del mio rammarico

giusto, giustissimo,

mastro carissimo,

quest'è l'origine,

quest'è il perché.

(parte co' la fanciulla)

Angiolina, fanciulla (Chiarina) ->

 

Scena ottava

Bernardo solo.

 

 

Quasi le do ragione;  

mia figlia a quel balcone

non si affaccerà più.

Ora prendo un bastone, e vado su.

No, vo' tacer per ora:

so che in fretta lavora.

Finisca il lavoriere,

poi farò co' la frasca il mio dovere.

 
(al garzone che arriva)

<- garzone

 

Ah, sei qui, poltronaccio?  

Parti sia questa l'ora

di venire a bottega? Un'altra volta

che tardi a questo segno,

romperti io voglio sulla schiena un legno.

Vien qui, prendi, birbone:

queste scarpe riponi, e dammi quelle

di madama Costanza.

(il garzone prende le scarpe)

 

Eh, ti farò ben io cambiare usanza.

(il garzone entra in bottega colle scarpe)

garzone ->

 

Pover padroni, ~ mastri dolenti!  

Tristi garzoni, ~ ladri o insolenti!

Chi ci schernisce, ~ chi ci tradisce:

sempre malanni, sempre gridar.

Qua quelle scarpe, brutto sguaiato.

(mangiando viene il garzone colle scarpe richieste)

<- garzone

 

Sei affamato? ~ Possa crepar.

Giorni stentati ~ da noi si mena.

Siam mal pagati, ~ siam strapazzati,

e alla catena ~ dobbiamo star.

Animalaccio, ~ brutto porcaccio,

fa' il tuo dovere, va' a lavorar.

(parte colle scarpe, ed il garzone si ritira in bottega)

Bernardo, garzone ->

 

Scena nona

Rosina esce di casa con la sua Scolara che porta i lavori.

<- Rosina, scolara

 

ROSINA

Via destati, cammina.  

Sei ancora assonnata?

Sei di sonno impastata. Ragazzaccia,

non mi far arrabbiare,

che le mani mi sento a pizzicare.

Pur troppo ho il diavolino

che di dentro mi stuzzica e mi rode.

Non vorrei che Giannino

fossesi raffreddato. Io non ho colpa

se quella volpe vecchia di mio padre,

accortosi del fatto,

scese le scale a scorbacchiarlo a un tratto.

Ma ciò è il men che mi preme;

quel che tienmi in pensiere è la cuffiara.

Ma, perdinci, s'io vedo

che nulla nulla a bisticciar si metta,

chi son io lo vedrà quella civetta.

(alla ragazza, avviandosi)

Vienmi dietro; cammina.

 

Scena decima

Giannino e detta.

<- Giannino

 

GIANNINO

Dove, dove, Rosina?  

ROSINA

Oh gioia bella!

Vo a portare un vestito

a madama Costanza.

GIANNINO

I' ho da darti

una nuova che spero

ti piacerà.

ROSINA

Mio padre

ti diè buone speranze?

GIANNINO

Oh sì, tuo padre

mi diede inver delle speranze tante!

Mi ha scacciato da lui come un birbante.

ROSINA

E che nuova mi porti?

GIANNINO

Vedi là

quella bottega che da quattro mesi

è ancora spigionata? Io l'ho presa

per farvi il mio mestiere,

per poterti vedere, e far dispetto

a Titta fabbro e all'Angiolina, e a quanti

ci von perseguitare;

e tuo padre, ancor ei, ci avrà da stare.

ROSINA

Sì sì, bravo davvero!

E quando l'aprirai?

GIANNINO

Stamane, or ora.

Ecco le chiavi, osserva:

l'ho avute dal padrone;

pagata ho la pigione, ed ei m'ha detto

che in tutto quel recinto

io posso tener fuori

la mia gente, il mio banco e i miei lavori.

ROSINA

Ed io su quel balcone

mi porrò a lavorare,

e ci potrem guardare.

GIANNINO

E qualche volta

dirci una parolina.

ROSINA

Sì, al dispetto di Titta e d'Angiolina.

GIANNINO

Cosa dirà tuo padre?

ROSINA

E che ha da dire?

Per forza ha da soffrire.

Io voglio maritarmi,

e voglio soddisfarmi;

e alfin sei da par mio,

e mi vo' maritar con chi vogl'io.

GIANNINO

Stamane, a dir il vero,

mi ha un po' fatto adirar.

ROSINA

Caro Giannino,

abbi un po' di pazienza. Sei sicuro

ch'io ti vo' ben di core, e che mio padre

può dire, può gridar, può bastonarmi,

che se mio tu non sei, vo ad annegarmi.

(parte co' la ragazza)

Rosina, scolara ->

 

Scena undicesima

Giannino solo.

 

 

Che tu sia benedetta!  

Proprio la mi vuol ben, ma di quel buono.

Proprio contento sono

d'aver preso bottega in questo sito.

Quanti babbei si morderanno il dito!

 

Lavorando i' starò qui,  

la Rosina starà lì.

Un'occhiata al mio lavoro,

un'occhiata al mio tesoro.

Oh che gusto! Oh che piacer!

Sarò in faccia al caro bene,

e vedrò chi va, chi viene.

Della cara gioia mia

gelosia ~ non potrò aver.

(parte)

Giannino ->

 
 

Scena dodicesima

Camera in casa di Madama.
Madama Costanza con uno specchio in mano, e poi Fabrizio.

 Q 

Costanza

<- Fabrizio

 

COSTANZA

Ehi, Fabrizio.  

FABRIZIO

Madama,

venuto è il calzolaio,

e ha portate le scarpe.

COSTANZA

Ben; le lasci.

Vada, torni se vuol: lo pagherò.

FABRIZIO

Non vuol ora pagarlo?

COSTANZA

Adesso no.

Questo tuppè...

FABRIZIO

Perdoni,

vi è il fabbro che ha portato

la chiave del burrò.

COSTANZA

Che torni.

FABRIZIO

Non permette?

COSTANZA

Adesso no.

Guarda questo tuppè.

FABRIZIO

Lasci che almeno

licenzi gli operai che son di là.

COSTANZA

Spicciati.

FABRIZIO

(Vi è pur poca carità.)

(parte, e poi torna)

Fabrizio ->

 

COSTANZA

Ora non vo' nessuno, e se costoro  

mi vogliono servire, e il mio danaro

vogliono guadagnare,

quante volte mi piace han da tornare.

 

<- Fabrizio

FABRIZIO

Eccomi, sono andati.

COSTANZA

Guarda: da questa parte

non va bene il tuppè.

FABRIZIO

Perché?

COSTANZA

Non vedi?

E più basso di molto.

FABRIZIO

È vero, è vero.

Subito l'alzerò. Con permissione.

(Mi convien secondar la sua opinione.)

(cava il pettine di tasca, e le va ritoccando il tuppè)

COSTANZA

Eh, tu per me, lo veggo,

non hai più la premura

che una volta mostravi.

FABRIZIO

Oh, cosa dice?

Mi reputo felice

d'avere una padrona sì cortese.

È un anno ch'io son qui: mi sembra un mese.

(seguitando come sopra)

COSTANZA

Credo che tu lo vedi

quanta ho per te parzialità.

FABRIZIO

Lo vedo.

So ch'io son fortunato.

(come sopra)

COSTANZA

Ma all'amor che ho per te sei poco grato.

FABRIZIO

Oh ciel! La mia padrona

ha per me dell'amor?

COSTANZA

Sì, quell'amore

che aver pon le padrone:

amor di protezione,

desio di far del bene. Avresti ardire

di pensare altrimenti?

FABRIZIO

Oh, mia signora,

conosco l'esser mio: di più non bramo.

(Eh, so che mi vuol ben.)

COSTANZA

(Pur troppo io l'amo!)

Vi è gente in anticamera.

FABRIZIO

(accostandosi per vedere)

Sì, certo.

(con allegrezza)

Oh, sa ella chi è?

COSTANZA

Chi?

FABRIZIO

La cuffiara.

Vuoi ch'io vada a veder?

COSTANZA
(con ironia)

La non s'incomodi,

signor cerimoniere;

quando vengono donne, è il suo piacere.

A provarmi le cuffie

andrò alla tavoletta.

Tu non stare a venir. Tu qui mi aspetta.

 

Servi, obbedisci, e spera;  

dolce è il servir sperando.

Sol bramo e sol domando

rispetto e fedeltà.

Forse ti sembro altera,

non mi conosci appieno.

Quel ch'io nascondo in seno

forse il tuo cor non sa.

(parte)

Costanza ->

 

Scena tredicesima

Fabrizio, poi Rosina co' la Scolara.

 

FABRIZIO

Eh, capisco benissimo  

ch'ella è accesa di me; ma non per questo

io voglio intisichirmi.

Sarà quel che sarà, vo' divertirmi.

 

<- Rosina, scolara (Lisetta)

ROSINA

Posso venir?  

FABRIZIO

Rosina?

Venite pur, carina.

ROSINA

In anticamera

non ritrovai nessuno.

Chiamo, richiamo, e non risponde alcuno.

La padrona dov'è?

FABRIZIO

Co' la cuffiara

sta nel suo gabinetto.

ROSINA

Con Angiolina?

FABRIZIO

Sì, con essa appunto.

ROSINA

Son venuta in mal punto.

Con lei riscontrarmi ora non vuò.

FABRIZIO

Aspettate qui dunque.

ROSINA

Aspetterò.

FABRIZIO

Vi terrò compagnia, se l'aggradite.

ROSINA

Fabrizio, cosa dite?

Voi mi fate piacer.

FABRIZIO

Cara Rosina,

siete tanto gentil, che chi vi mira

voi fate innamorar.

ROSINA

Va' via, ragazza,

va' di là in anticamera,

e ch'io ti chiami aspetta.

(la ragazza vuol partire)

 

(piano alla Scolara che parte)

Ehi, ascolta, Lisetta:

se mio padre, o Giannino, o qualcun altro

ti viene a domandar con chi ho parlato,

non lo dire a nessun del cameriere.

Va' via: va' in anticamera a sedere.

(Io mi vo' divertire un pocolino.

Guai a me, se vedesse il mio Giannino.)

 

scolara (Lisetta) ->

FABRIZIO

Chi vi accomoda il capo?  

ROSINA

Oh, da me sola.

Son povera figliuola;

io non posso pagare il parrucchiere.

FABRIZIO

Ben; se avete piacere

d'essere accomodata,

verrovvi io stesso ad acconciar la testa.

ROSINA

Oh sì sì, qualche festa,

ma in casa ho soggezione. Da un'amica

anderò ad aspettarvi,

e verrà la scolara ad avvisarvi.

FABRIZIO

Giacché siamo qui soli,

volete che vi accomodi il tuppè?

ROSINA

Sì sì, quel che volete:

mi farete piacer.

FABRIZIO

Dunque sedete.

(prende una sedia e la dà a Rosina, ed ella siede)

ROSINA

(Che dirà l'Angiolina

se mi vede col capo accomodato?)

FABRIZIO

Sono ben fortunato

stamane, in verità.

(accomodandole col pettine il tuppè)

ROSINA

Tutta vostra bontà.

FABRIZIO

Che bel piacere

accrescere le grazie a un sì bel viso!

ROSINA

Oh, cosa dite mai?

FABRIZIO

Che bella testa!

 

Scena quattordicesima

Madama Costanza e detti.

<- Costanza

 

COSTANZA

Olà! Chi è qui? Che impertinenza è questa?  

FABRIZIO

Perdoni.

(ritirandosi)

ROSINA

Compatisca.

COSTANZA

Impertinente,

vieni qui ad assettarti?

ROSINA

Io son venuta

a portarle l'andrienne, ed aspettando...

COSTANZA

E dov'è quest'andrienne?

ROSINA

È al suo comando.

Ehi, ragazza.

(chiama alla porta la scolara)

FABRIZIO

(M'aspetto

sopra me la tempesta.)

ROSINA

Eccolo qui;

(viene la ragazza, Rosina spiega l'andrienne)

osservi, se non pare

che sia nuovo di pezza. Se lo provi:

spero che le anderà perfettamente.

<- scolara (Lisetta)

COSTANZA

Oibò. Pessimamente

quest'abito è riuscito.

Rovinato è il vestito.

Così non lo volea.

L'avrei dato al sartor, se ciò credea.

(getta il vestito sopra una sedia)

ROSINA

Ma lo provi.

COSTANZA

Non voglio.

ROSINA

Se 'l provi, e lo vedrà...

COSTANZA

Vattene via di qua.

ROSINA

Così mi tratta?

Una sarta par mio tratta così?

Sono stata una pazza a venir qui.

Servo le prime dame,

servo le cittadine,

ed ho piena la casa

d'abiti di velluto e di broccato.

Altro che questo straccio rivoltato!

(strapazza il vestito)

 

Ho servito le prime signore,

e son tutte contente di me;

e ho imparato da un bravo sartore,

da monsieur Sganarelle franscè.

È famosa la mia abilità,

e bandiera di me non si fa.

Ragazza, fanciulla,

qual ella mi vede,

la testa mi frulla

più ch'ella non crede.

Si tenga, signora,

la sua nobiltà;

Rosina sartora

qui più non verrà.

(parte)

Rosina, scolara (Lisetta) ->

 

Scena quindicesima

Madama Costanza e Fabrizio.

 

COSTANZA

Perfido, ho da soffrire  

per te sì fatti insulti?

FABRIZIO

Perdonate.

COSTANZA

Non merti il mio perdono.

FABRIZIO

Ma di che reo mai sono?

COSTANZA

Ah menzognero,

nieghi la colpa tua con tale orgoglio?

Esci di casa mia. Più non ti voglio.

(parte)

Costanza ->

 

Scena sedicesima

Fabrizio solo.

 

 

Ah, son pur sfortunato!  

Ma se m'hanno incantato

due luci leggiadrette,

due guance vezzosette,

se resistere il core invan procura,

colpa mia non è già, ma di natura.

 

Se al poter d'ignota stella  

va soggetto il core umano,

ah, resiste il core invano

al valor della beltà.

La ragione in noi favella,

di seguirla a noi s'aspetta,

ma quell'astro che diletta

la ragion supererà.

(parte)

Fabrizio ->

 
 

Scena diciassettesima

Piazzetta come nelle scene antecedenti, colle botteghe aperte del Fabbro e del Calzolaio, e di più in mezzo la bottega aperta del Legnaiuolo col banco fuori, e varie tavole ed instrumenti di cotal arte. Fuori della bottega del Fabbro una picciola incudine, e fuori di quella del Calzolaio una pietra, su cui tali artisti sogliono battere il cuoio; di qua e di là le case come prima.
Bernardo al picciolo banchetto di fuori a sedere, lavorando nelle sue scarpe. Titta presso l'incudine assottigliando un ferro prima co' la lima, poi col martello. Giannino al suo banco, preparando tavole per i suoi lavori, segnando e battendo a misura del suo bisogno; poi Angiolina co' la sua Scolara; poi Rosina co' la sua.

Bozzetti

 Q 

Bernardo, Titta, Giannino

 

TITTA

(lavorando)

Mastro Bernardo.  

BERNARDO

(lavorando)

Che hai di nuovo, Titta?

TITTA

Novità non ne mancano. I mosconi

s'accostano alla carne.

BERNARDO

In questa piazza

non ci sono carogne.

TITTA

Non ce n'erano.

Dite come va detto.

BERNARDO

Sì, hai ragione.

Si sente il puzzo.

GIANNINO

(Intendo il loro gergo,

ma fingo non capir.)

BERNARDO

Titta?

TITTA

Che dite?

BERNARDO

Voi già conoscerete

qualche buon murator.

TITTA

Sì, ne conosco.

BERNARDO

Trovatemene uno.

TITTA

Perché fare?

BERNARDO

Perché vo' far murare

la finestra qui sopra.

TITTA

Vi spaventano

i gufi e i barbagiani?

BERNARDO

Ho paura dei venti tramontani.

TITTA

Oh, si stava pur bene!

Questa nostra piazzetta è divenuta

una stalla, un porcile, un letamaio.

GIANNINO

(Quest'insolente stuzzica il vespaio.)

BERNARDO

Siam pieni di sozzure.

TITTA

Pieni di piallature e segature.

GIANNINO
(a Bernardo e Titta)

(avanzandosi)

Non serve il taroccare:

pago la mia pigione, e ci vo' stare.

BERNARDO
(a Giannino)

E chi parla con voi?

TITTA
(a Giannino)

Con chi l'avete?

GIANNINO
(a Bernardo e Titta)

Se sciocco mi credete,

voi l'avete sbagliata in verità.

Io vi risponderò come che va.

TITTA

Mastro Bernardo, aiuto.

BERNARDO

(lavorando)

Titta, Titta,

io tremo di paura.

GIANNINO

(Andrò dove s'aspetta a dirittura.)

(torna al suo lavoro)

 

BERNARDO

Questo cuoio è duro, duro;  

non va ben se non si pesta.

Oh, vi fosse qui una testa!

La vorrei assottigliar.

(battendo il cuoio sulla pietra)

TITTA

Questo ferro è ancora grosso,

ha bisogno del martello.

Oh, vi fosse qui un cervello

da picchiare e da schizzar!

(battendo il ferro sull'incudine)

GIANNINO

Per quest'asse così toste

questi chiodi non son buoni;

due corate, due polmoni,

serviriano a conficcar.

(battendo sopra d'un chiodo per conficcarlo in una tavola)

BERNARDO, GIANNINO E TITTA

Insolente, ~ maledetto.

Per dispetto ~ vo' picchiar.

(ciascheduno fa il suo lavoro picchiando)

 

<- Angiolina, fanciulla

ANGIOLINA

(passando)

Mi consolo, Giannino garbato:

la fortuna propizia ti sia.

(La Rosina mi dà gelosia,

ma col tempo mi giova sperar.)

(entra in casa co' la scolara)

 

Angiolina, fanciulla ->

GIANNINO

(battendo)

Non le bado, lascio dire,

vo' seguire a lavorar.

BERNARDO E TITTA

L'amorino graziosino

fa le belle innamorar.

(seguono tutti a battere come sopra)

 

<- Rosina, scolara

ROSINA

(passando)

Quant'è vaga la bella piazzetta!

Sta pur bene fornita così!

E la notte, non meno che il dì,

il mio bene potrò vagheggiar.

(entra in casa co' la sua scolara)

 

Rosina, scolara ->

GIANNINO

Ho veduto il mio tesoro.

Al lavoro ~ vo' tornar.

(torna a lavorare battendo)

BERNARDO E TITTA

Il moscone ~ a quel boccone

non vedrassi ad attaccar.

(lavorando come sopra)

 

TITTA

Mastro Bernardo,  

a vostra figlia

ch'è da marito,

un buon partito

convien trovar.

BERNARDO

A uno spiantato

non la vo' dar.

TITTA

A un calzolaio

l'accordereste?

BERNARDO

L'accorderò.

TITTA

Se fosse un fabbro?

BERNARDO

Ci penserò.

TITTA

E a un falegname?

BERNARDO

Questo poi no.

GIANNINO

Oh cospettone!

Sono un briccone?

(avanzandosi)

BERNARDO

Chi t'ha chiamato?

TITTA

Chi t'ha cercato?

(alzandosi)

GIANNINO

Son pover uomo,

ma galantuomo.

BERNARDO E TITTA

Ma la Rosina

non è per te.

 

<- Rosina

ROSINA

(alla finestra)

Padre mio caro,

siate bonino,

il mio Giannino

lo vo' per me.

BERNARDO

Insolentissima,

dentro di là.

TITTA

Quest'è bellissima.

GIANNINO
(a Bernardo)

Per carità.

 

<- Angiolina

ANGIOLINA

(alla finestra)

Quella pettegola

che vuol Giannino,

quel bocconcino

non averà.

ROSINA

Voi non c'entrate.

ANGIOLINA

Non mi seccate.

ROSINA

Che prepotenza!

ANGIOLINA

Che impertinenza!

BERNARDO E TITTA

Garbate giovani,

quest'è un mal termine

d'inciviltà.

ROSINA E ANGIOLINA

Mi sento rodere,

mi sento fremere:

quella pettegola

mi sentirà.

(entrano)

 

Rosina, Angiolina ->

BERNARDO
(a Giannino)

Per tua cagione.

TITTA
(a Giannino)

Per te, birbone.

GIANNINO

Che modo è questo?

Mi meraviglio.

BERNARDO E TITTA

Io ti consiglio,

va' via di qua.

GIANNINO

Mi maraviglio:

vo' restar qua.

BERNARDO

Se la mi salta...

(alza il martello)

TITTA

Se la mi monta...

(alza il martello)

GIANNINO

Risposta pronta

vi si darà.

(alza il martello)

 

<- Rosina, Angiolina

ROSINA E ANGIOLINA

(dalle loro case correndo)

Ah no, non fate

bestialità.

(si frappongono)

ROSINA

Per l'Angiolina.

ANGIOLINA

Per la Rosina.

ROSINA

Vo' vendicarmi.

ANGIOLINA

Vo' soddisfarmi.

ROSINA E ANGIOLINA

Non provocarmi.

Va' via di qua.

(s'attaccano fra di loro)

BERNARDO, GIANNINO E TITTA

Ah, no, non fate

bestialità.

 

TUTTI

C'è entrato il diavolo,  

non si può vivere:

convien risolvere,

s'ha da finir.

Mi sento rodere,

mi sento fremere:

convien risolvere,

s'ha da finir.

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Piazzetta con varie case e botteghe ancora chiuse; vedesi appena l'alba, e a poco a poco si va rischiarando.

<- Rosina
Rosina e Angiolina, poi Giannino
Bella cosa gli è il vedere
Rosina
<- Angiolina
 
Rosina, Angiolina
<- Giannino
 

Zitto. Parmi vedere

Angiolina, Giannino
Rosina ->

Pria d'andare a bottega

Giannino
Angiolina ->

Delle sue protezioni

Giannino
<- Bernardo

(Bernardo non visto da Giannino)

Bernardo e Giannino
Chi è, che a quest'ora

(Bernardo si scopre a Giannino)

 
Bernardo
Giannino ->

Canta, canta, birbone

Bernardo
<- Titta

Buon dì, mastro Bernardo

Bernardo
Titta ->
Bernardo
<- Titta

Bernardo
Titta ->

Bernardo
<- Titta

Bernardo
Titta ->

Bernardo
<- Titta

Così, mastro Bernardo

Bernardo
Titta ->

Tre mesi che non gioco

Bernardo ->
<- Angiolina, fanciulla (Chiarina)

Chiarina, vieni meco

Angiolina, fanciulla (Chiarina)
<- Bernardo

Il padre della squincia

Bernardo
Angiolina, fanciulla (Chiarina) ->

Quasi le do ragione

Bernardo
<- garzone

Ah, sei qui, poltronaccio?

Bernardo
garzone ->
Bernardo
<- garzone
 
Bernardo, garzone ->
<- Rosina, scolara

Via destati, cammina

Rosina, scolara
<- Giannino

Dove, dove, Rosina?

Giannino
Rosina, scolara ->

Che tu sia benedetta!

Giannino ->

Camera in casa di Madama.

Costanza
 
Costanza
<- Fabrizio

Ehi, Fabrizio / Madama

Costanza
Fabrizio ->

Ora non vo' nessuno

Costanza
<- Fabrizio

Fabrizio
Costanza ->

Eh, capisco benissimo

Fabrizio
<- Rosina, scolara (Lisetta)

Posso venir? / Rosina?

Fabrizio, Rosina
scolara (Lisetta) ->

Chi vi accomoda il capo?

Fabrizio, Rosina
<- Costanza

Olà! Chi è qui? Che impertinenza è questa?

Fabrizio, Rosina, Costanza
<- scolara (Lisetta)

Fabrizio, Costanza
Rosina, scolara (Lisetta) ->

Perfido, ho da soffrire

Fabrizio
Costanza ->

Ah, son pur sfortunato!

Fabrizio ->

Piazzetta come nelle scene antecedenti, colle botteghe aperte del Fabbro e del Calzolaio, e di più in mezzo la bottega aperta del Legnaiuolo col banco fuori, e varie tavole ed instrumenti di cotal arte. Fuori della bottega del Fabbro una picciola incudine, e fuori di quella del Calzolaio una pietra, su cui tali artisti sogliono battere il cuoio; di qua e di là le case come prima.

Bernardo, Titta, Giannino
 

Mastro Bernardo / Che hai di nuovo, Titta?

Bernardo, Titta e Giannino, poi Angiolina e Rosina
Questo cuoio è duro, duro
Bernardo, Titta, Giannino
<- Angiolina, fanciulla
 
Bernardo, Titta, Giannino
Angiolina, fanciulla ->
 
Bernardo, Titta, Giannino
<- Rosina, scolara
 
Bernardo, Titta, Giannino
Rosina, scolara ->
 
Titta e Bernardo, poi Giannino, Rosina e Angiolina
Mastro Bernardo
Bernardo, Titta, Giannino
<- Rosina
 
Bernardo, Titta, Giannino, Rosina
<- Angiolina
 
Bernardo, Titta, Giannino
Rosina, Angiolina ->
 
Bernardo, Titta, Giannino
<- Rosina, Angiolina
 
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima
Piazzetta con varie case e botteghe ancora chiuse; vedesi appena l'alba, e a poco a poco si va rischiarando. Camera in casa di Madama. Piazzetta come nelle scene antecedenti, colle botteghe aperte del Fabbro e del Calzolaio, e di più... Stanza della casa di Bernardo con tavolino per uso di Rosina, con vari lavori del suo mestiere e sedie... Camera di madama Costanza. Cortile che introduce ad un'osteria con tavola e panca. Camera di madama Costanza. Giardino in casa di madama Costanza.
Atto secondo Atto terzo

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