L'AMORE ARTIGIANO
Dramma giocoso per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Carlo GOLDONI.
Musica di Gaetano LATILLA.
Prima esecuzione: 27 dicembre 1760, Venezia.
Personaggi:
Madama COSTANZA cittadina vedova |
soprano |
FABRIZIO cameriere di madama Costanza |
tenore |
BERNARDO vecchio calzolaro |
baritono |
ROSINA figlia di Bernardo, che fa la sarta |
contralto |
ANGIOLINA cuffiara |
soprano |
GIANNINO legnaiuolo |
baritono |
TITTA fabbro |
baritono |
Una Scolara di Rosina; tre Scolare di Angiolina; vari Garzoni dei tre mastri artigiani; Servitori di madama Costanza; non parlano.
Piazzetta con varie case e botteghe ancora chiuse.
Vedesi appena l'alba, e a poco a poco si va rischiarando.
Rosina apre la finestra e si fa vedere; poi Angiolina fa lo stesso nell'abitazione sua dirimpetto a quella della Rosina; poi Giannino viene di strada, suonando il chitarrino e cantando.
ROSINA
(apre la finestra e si fa vedere)
Bella cosa gli è il vedere
spuntar l'alba in sul mattino:
ma se passa il mio Giannino,
fugge l'alba e spunta il sol.
ANGIOLINA
(apre la finestra e si fa vedere)
Sorge l'alba, e sto a vedere
far il sole il suo cammino;
ma dagli occhi di Giannino
vinta è l'alba, e vinto è il sol.
ROSINA E ANGIOLINA
Pria ch'io vada al mio lavoro,
deh vedessi il mio tesoro,
deh venisse il mio bel sol.
GIANNINO
ROSINA E ANGIOLINA
Giannino amabile,
sei pur piacevole!
Più caro giovane
di te non c'è.
GIANNINO
ROSINA E ANGIOLINA
Giannino amabile,
sei pur godibile!
Più caro giovane
di te non c'è.
GIANNINO
ROSINA
(si fa sentire)
Eh ehm.
GIANNINO
ANGIOLINA
Briccone!
Se n' va dalla Rosina.
Più non cura di me.
(si fa sentire)
Eh ehm.
GIANNINO
ROSINA
(Con Giannino colei non vuol finirla.)
GIANNINO
ROSINA
(sottovoce)
Vita mia.
GIANNINO
ROSINA
Credo che dorma ancora.
Io m'alzai di buon'ora
perché deggio finire un andrienne
per madama Costanza,
e perché di vederti avea speranza.
ANGIOLINA
Oh che rabbia!
(tossisce forte)
Eh ehm.
ROSINA
(a Giannino, piano)
Senti?
GIANNINO
ROSINA
Sì, m'aspetta.
(Voglio fare arrabbiar quella fraschetta.)
(entra)
Angiolina alla finestra, Giannino in istrada.
GIANNINO
ANGIOLINA
Ehi, Giannin.
GIANNINO
ANGIOLINA
Non mi vedi?
Principia il sole a discacciar l'aurora;
chiaro si vede, e non mi vedi ancora?
GIANNINO
ANGIOLINA
(Ah sì, il briccone
ha perduta la vista in quel balcone.
Voglio per or dissimular.)
GIANNINO
ANGIOLINA
Coi miei quattrini
posso avere un piacer?
GIANNINO
ANGIOLINA
Per lavorar di cuffie
vorrei un tavolino.
Comodo e galantino. Tu che sei
un bravo falegname,
fammi questo piacer. Ti pagherò.
GIANNINO
ANGIOLINA
Vien su, Giannino,
che farotti veder com'io lo voglio.
GIANNINO
ANGIOLINA
Eh sì sì, t'ho capito.
Dici che ora non puoi?
Di' che venir non vuoi, perché paventi
disgustar la Rosina. Disgraziato,
per lei tu m'hai lasciato.
Ma ho tante protezioni,
servo di cuffie tante dame e tante,
che ti farò pentir, te lo prometto,
e sarai mio marito a tuo dispetto.
(si ritira)
Giannino solo.
Bernardo apre un pocolino l'uscio della sua abitazione, e si fa vedere al popolo, e non a Giannino.
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
GIANNINO
Bernardo, e poi Titta.
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
Bernardo solo.
Angiolina di casa, con una Fanciulla colle scatole delle cuffie; poi Bernardo.
ANGIOLINA
(alla fanciulla)
Chiarina, vieni meco,
vienmi dietro bel bello, e per la strada
non ti stare a incantar.
Guarda per terra:
guarda di non cader, che non avessi
le scatole dei fiori a rovesciare,
e le cuffie e i merletti a rovinare.
(Bernardo apre per di dentro la balconata della bottega, e fa la solita mostra di scarpe)
(Il padre della squincia
apre adesso bottega, e la figliuola
stavasi a far l'amor mentr'ei dormiva.
Non vo' più scarpe, non vo' più amicizia
né con lui, né con lei.
Vecchiaccio rimbambito,
di stroppiarmi le piante avrai finito.)
BERNARDO
ANGIOLINA
Che c'è?
BERNARDO
ANGIOLINA
Dopo un mese?
Gran premura per me che avete avuta!
Tenetele per voi, son provveduta.
BERNARDO
ANGIOLINA
Io non le voglio.
BERNARDO
ANGIOLINA
Non le prendo,
se credo di morir.
BERNARDO
ANGIOLINA
Perché... perché non voglio
aver nulla che far con casa vostra.
E se vostra figliuola
non averà giudizio,
nascerà un precipizio.
BERNARDO
ANGIOLINA
No 'l sapete?
BERNARDO
ANGIOLINA
Perché dunque il sappiate, io ve 'l dirò.
Voi Giannino conoscete,
conoscete il legnaiuolo:
era tanto il buon figliuolo,
volea tanto bene a me.
Vostra figlia simoncina,
l'illustrissima Rosina,
quell'ingrato ~ mi ha rubato,
perché tutti vuol per sé.
Della mia collera,
del mio rammarico
giusto, giustissimo,
mastro carissimo,
quest'è l'origine,
quest'è il perché.
(parte co' la fanciulla)
Bernardo solo.
(al garzone che arriva)
(il garzone prende le scarpe)
(il garzone entra in bottega colle scarpe)
(mangiando viene il garzone colle scarpe richieste)
(parte colle scarpe, ed il garzone si ritira in bottega)
Rosina esce di casa con la sua Scolara che porta i lavori.
ROSINA
Via destati, cammina.
Sei ancora assonnata?
Sei di sonno impastata. Ragazzaccia,
non mi far arrabbiare,
che le mani mi sento a pizzicare.
Pur troppo ho il diavolino
che di dentro mi stuzzica e mi rode.
Non vorrei che Giannino
fossesi raffreddato. Io non ho colpa
se quella volpe vecchia di mio padre,
accortosi del fatto,
scese le scale a scorbacchiarlo a un tratto.
Ma ciò è il men che mi preme;
quel che tienmi in pensiere è la cuffiara.
Ma, perdinci, s'io vedo
che nulla nulla a bisticciar si metta,
chi son io lo vedrà quella civetta.
(alla ragazza, avviandosi)
Vienmi dietro; cammina.
Giannino e detta.
GIANNINO
ROSINA
Oh gioia bella!
Vo a portare un vestito
a madama Costanza.
GIANNINO
ROSINA
Mio padre
ti diè buone speranze?
GIANNINO
ROSINA
E che nuova mi porti?
GIANNINO
ROSINA
Sì sì, bravo davvero!
E quando l'aprirai?
GIANNINO
ROSINA
Ed io su quel balcone
mi porrò a lavorare,
e ci potrem guardare.
GIANNINO
ROSINA
Sì, al dispetto di Titta e d'Angiolina.
GIANNINO
ROSINA
E che ha da dire?
Per forza ha da soffrire.
Io voglio maritarmi,
e voglio soddisfarmi;
e alfin sei da par mio,
e mi vo' maritar con chi vogl'io.
GIANNINO
ROSINA
Caro Giannino,
abbi un po' di pazienza. Sei sicuro
ch'io ti vo' ben di core, e che mio padre
può dire, può gridar, può bastonarmi,
che se mio tu non sei, vo ad annegarmi.
(parte co' la ragazza)
Giannino solo.
Camera in casa di Madama.
Madama Costanza con uno specchio in mano, e poi Fabrizio.
COSTANZA
Ehi, Fabrizio.
FABRIZIO
Madama,
venuto è il calzolaio,
e ha portate le scarpe.
COSTANZA
Ben; le lasci.
Vada, torni se vuol: lo pagherò.
FABRIZIO
Non vuol ora pagarlo?
COSTANZA
Adesso no.
Questo tuppè...
FABRIZIO
Perdoni,
vi è il fabbro che ha portato
la chiave del burrò.
COSTANZA
Che torni.
FABRIZIO
Non permette?
COSTANZA
Adesso no.
Guarda questo tuppè.
FABRIZIO
Lasci che almeno
licenzi gli operai che son di là.
COSTANZA
Spicciati.
FABRIZIO
(Vi è pur poca carità.)
(parte, e poi torna)
COSTANZA
Ora non vo' nessuno, e se costoro
mi vogliono servire, e il mio danaro
vogliono guadagnare,
quante volte mi piace han da tornare.
FABRIZIO
Eccomi, sono andati.
COSTANZA
Guarda: da questa parte
non va bene il tuppè.
FABRIZIO
Perché?
COSTANZA
Non vedi?
E più basso di molto.
FABRIZIO
È vero, è vero.
Subito l'alzerò. Con permissione.
(Mi convien secondar la sua opinione.)
(cava il pettine di tasca, e le va ritoccando il tuppè)
COSTANZA
Eh, tu per me, lo veggo,
non hai più la premura
che una volta mostravi.
FABRIZIO
Oh, cosa dice?
Mi reputo felice
d'avere una padrona sì cortese.
È un anno ch'io son qui: mi sembra un mese.
(seguitando come sopra)
COSTANZA
Credo che tu lo vedi
quanta ho per te parzialità.
FABRIZIO
Lo vedo.
So ch'io son fortunato.
(come sopra)
COSTANZA
Ma all'amor che ho per te sei poco grato.
FABRIZIO
Oh ciel! La mia padrona
ha per me dell'amor?
COSTANZA
Sì, quell'amore
che aver pon le padrone:
amor di protezione,
desio di far del bene. Avresti ardire
di pensare altrimenti?
FABRIZIO
Oh, mia signora,
conosco l'esser mio: di più non bramo.
(Eh, so che mi vuol ben.)
COSTANZA
(Pur troppo io l'amo!)
Vi è gente in anticamera.
FABRIZIO
(accostandosi per vedere)
Sì, certo.
(con allegrezza)
Oh, sa ella chi è?
COSTANZA
Chi?
FABRIZIO
La cuffiara.
Vuoi ch'io vada a veder?
COSTANZA
(con ironia)
La non s'incomodi,
signor cerimoniere;
quando vengono donne, è il suo piacere.
A provarmi le cuffie
andrò alla tavoletta.
Tu non stare a venir. Tu qui mi aspetta.
Servi, obbedisci, e spera;
dolce è il servir sperando.
Sol bramo e sol domando
rispetto e fedeltà.
Forse ti sembro altera,
non mi conosci appieno.
Quel ch'io nascondo in seno
forse il tuo cor non sa.
(parte)
Fabrizio, poi Rosina co' la Scolara.
FABRIZIO
Eh, capisco benissimo
ch'ella è accesa di me; ma non per questo
io voglio intisichirmi.
Sarà quel che sarà, vo' divertirmi.
ROSINA
Posso venir?
FABRIZIO
Rosina?
Venite pur, carina.
ROSINA
In anticamera
non ritrovai nessuno.
Chiamo, richiamo, e non risponde alcuno.
La padrona dov'è?
FABRIZIO
Co' la cuffiara
sta nel suo gabinetto.
ROSINA
Con Angiolina?
FABRIZIO
Sì, con essa appunto.
ROSINA
Son venuta in mal punto.
Con lei riscontrarmi ora non vuò.
FABRIZIO
Aspettate qui dunque.
ROSINA
Aspetterò.
FABRIZIO
Vi terrò compagnia, se l'aggradite.
ROSINA
Fabrizio, cosa dite?
Voi mi fate piacer.
FABRIZIO
Cara Rosina,
siete tanto gentil, che chi vi mira
voi fate innamorar.
ROSINA
Va' via, ragazza,
va' di là in anticamera,
e ch'io ti chiami aspetta.
(la ragazza vuol partire)
(piano alla Scolara che parte)
Ehi, ascolta, Lisetta:
se mio padre, o Giannino, o qualcun altro
ti viene a domandar con chi ho parlato,
non lo dire a nessun del cameriere.
Va' via: va' in anticamera a sedere.
(Io mi vo' divertire un pocolino.
Guai a me, se vedesse il mio Giannino.)
FABRIZIO
Chi vi accomoda il capo?
ROSINA
Oh, da me sola.
Son povera figliuola;
io non posso pagare il parrucchiere.
FABRIZIO
Ben; se avete piacere
d'essere accomodata,
verrovvi io stesso ad acconciar la testa.
ROSINA
Oh sì sì, qualche festa,
ma in casa ho soggezione. Da un'amica
anderò ad aspettarvi,
e verrà la scolara ad avvisarvi.
FABRIZIO
Giacché siamo qui soli,
volete che vi accomodi il tuppè?
ROSINA
Sì sì, quel che volete:
mi farete piacer.
FABRIZIO
Dunque sedete.
(prende una sedia e la dà a Rosina, ed ella siede)
ROSINA
(Che dirà l'Angiolina
se mi vede col capo accomodato?)
FABRIZIO
Sono ben fortunato
stamane, in verità.
(accomodandole col pettine il tuppè)
ROSINA
Tutta vostra bontà.
FABRIZIO
Che bel piacere
accrescere le grazie a un sì bel viso!
ROSINA
Oh, cosa dite mai?
FABRIZIO
Che bella testa!
Madama Costanza e detti.
COSTANZA
Olà! Chi è qui? Che impertinenza è questa?
FABRIZIO
Perdoni.
(ritirandosi)
ROSINA
Compatisca.
COSTANZA
Impertinente,
vieni qui ad assettarti?
ROSINA
Io son venuta
a portarle l'andrienne, ed aspettando...
COSTANZA
E dov'è quest'andrienne?
ROSINA
È al suo comando.
Ehi, ragazza.
(chiama alla porta la scolara)
FABRIZIO
(M'aspetto
sopra me la tempesta.)
ROSINA
Eccolo qui;
(viene la ragazza, Rosina spiega l'andrienne)
osservi, se non pare
che sia nuovo di pezza. Se lo provi:
spero che le anderà perfettamente.
COSTANZA
Oibò. Pessimamente
quest'abito è riuscito.
Rovinato è il vestito.
Così non lo volea.
L'avrei dato al sartor, se ciò credea.
(getta il vestito sopra una sedia)
ROSINA
Ma lo provi.
COSTANZA
Non voglio.
ROSINA
Se 'l provi, e lo vedrà...
COSTANZA
Vattene via di qua.
ROSINA
Così mi tratta?
Una sarta par mio tratta così?
Sono stata una pazza a venir qui.
Servo le prime dame,
servo le cittadine,
ed ho piena la casa
d'abiti di velluto e di broccato.
Altro che questo straccio rivoltato!
(strapazza il vestito)
Ho servito le prime signore,
e son tutte contente di me;
e ho imparato da un bravo sartore,
da monsieur Sganarelle franscè.
È famosa la mia abilità,
e bandiera di me non si fa.
Ragazza, fanciulla,
qual ella mi vede,
la testa mi frulla
più ch'ella non crede.
Si tenga, signora,
la sua nobiltà;
Rosina sartora
qui più non verrà.
(parte)
Madama Costanza e Fabrizio.
COSTANZA
Perfido, ho da soffrire
per te sì fatti insulti?
FABRIZIO
Perdonate.
COSTANZA
Non merti il mio perdono.
FABRIZIO
Ma di che reo mai sono?
COSTANZA
Ah menzognero,
nieghi la colpa tua con tale orgoglio?
Esci di casa mia. Più non ti voglio.
(parte)
Fabrizio solo.
Ah, son pur sfortunato!
Ma se m'hanno incantato
due luci leggiadrette,
due guance vezzosette,
se resistere il core invan procura,
colpa mia non è già, ma di natura.
Se al poter d'ignota stella
va soggetto il core umano,
ah, resiste il core invano
al valor della beltà.
La ragione in noi favella,
di seguirla a noi s'aspetta,
ma quell'astro che diletta
la ragion supererà.
(parte)
Piazzetta come nelle scene antecedenti, colle botteghe aperte del Fabbro e del Calzolaio, e di più in mezzo la bottega aperta del Legnaiuolo col banco fuori, e varie tavole ed instrumenti di cotal arte. Fuori della bottega del Fabbro una picciola incudine, e fuori di quella del Calzolaio una pietra, su cui tali artisti sogliono battere il cuoio; di qua e di là le case come prima.
Bernardo al picciolo banchetto di fuori a sedere, lavorando nelle sue scarpe. Titta presso l'incudine assottigliando un ferro prima co' la lima, poi col martello. Giannino al suo banco, preparando tavole per i suoi lavori, segnando e battendo a misura del suo bisogno; poi Angiolina co' la sua Scolara; poi Rosina co' la sua.
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
BERNARDO, GIANNINO E TITTA
Insolente, ~ maledetto.
Per dispetto ~ vo' picchiar.
(ciascheduno fa il suo lavoro picchiando)
ANGIOLINA
(passando)
Mi consolo, Giannino garbato:
la fortuna propizia ti sia.
(La Rosina mi dà gelosia,
ma col tempo mi giova sperar.)
(entra in casa co' la scolara)
GIANNINO
BERNARDO E TITTA
L'amorino graziosino
fa le belle innamorar.
(seguono tutti a battere come sopra)
ROSINA
(passando)
Quant'è vaga la bella piazzetta!
Sta pur bene fornita così!
E la notte, non meno che il dì,
il mio bene potrò vagheggiar.
(entra in casa co' la sua scolara)
GIANNINO
BERNARDO E TITTA
Il moscone ~ a quel boccone
non vedrassi ad attaccar.
(lavorando come sopra)
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
BERNARDO E TITTA
Ma la Rosina
non è per te.
ROSINA
(alla finestra)
Padre mio caro,
siate bonino,
il mio Giannino
lo vo' per me.
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
ANGIOLINA
(alla finestra)
Quella pettegola
che vuol Giannino,
quel bocconcino
non averà.
ROSINA
Voi non c'entrate.
ANGIOLINA
Non mi seccate.
ROSINA
Che prepotenza!
ANGIOLINA
Che impertinenza!
BERNARDO E TITTA
Garbate giovani,
quest'è un mal termine
d'inciviltà.
ROSINA E ANGIOLINA
Mi sento rodere,
mi sento fremere:
quella pettegola
mi sentirà.
(entrano)
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
BERNARDO E TITTA
Io ti consiglio,
va' via di qua.
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
GIANNINO
ROSINA E ANGIOLINA
(dalle loro case correndo)
Ah no, non fate
bestialità.
(si frappongono)
ROSINA
Per l'Angiolina.
ANGIOLINA
Per la Rosina.
ROSINA
Vo' vendicarmi.
ANGIOLINA
Vo' soddisfarmi.
ROSINA E ANGIOLINA
Non provocarmi.
Va' via di qua.
(s'attaccano fra di loro)
BERNARDO, GIANNINO E TITTA
Ah, no, non fate
bestialità.
TUTTI
C'è entrato il diavolo,
non si può vivere:
convien risolvere,
s'ha da finir.
Mi sento rodere,
mi sento fremere:
convien risolvere,
s'ha da finir.
Stanza della casa di Bernardo con tavolino per uso di Rosina, con vari lavori del suo mestiere e sedie di paglia.
Rosina con tre Scolare.
ROSINA
Presto, presto, a sedere e a lavorare.
L'abito che ha ordinato
la signora contessa del Caviale
esser dée terminato, o bene o male.
Non misurate i punti;
tirate giù alla peggio. La Contessa
vuol pagar poco, ed aspettar conviene;
come merita, anch'io la servo bene.
(ad una scolara)
Orla tu questo telo.
(ad un'altra scolara)
Tu unisci questa manica.
(alla terza scolara)
Tu menda questo taglio
ch' i' ho fatto, non volendo, per isbaglio.
Se la bile mi prende,
non so quel che mi faccia, e allora quando
mi vien la mosca al naso,
precipito i lavori e taglio a caso.
Ora per gelosia,
per rabbia e per dispetto,
son tutta, tutta foco.
Per farmela passar, canterò un poco.
(siede, lavora e canta)
Pute care, pute bele
no stè tanto a sospirar.
Bona carne e bona pele
chi sospira no pol far.
(ad una scolara)
Via lavora, fraschetta.
Facciamola finita,
o ti do la bacchetta in su le dita.
Co le smanie e coi tormenti
no perdè la zoventù...
(ad un'altra scolara)
Or or non posso più.
Che impertinenza è questa?
Ti darò il bracciolare in su la testa.
Co le smanie e coi tormenti
no perdè la zoventù.
Disè i vostri sentimenti,
e sfogheve ancora vu.
Bernardo e le suddette.
BERNARDO
ROSINA
Prendi quest'altra manica;
(la getta ad una scolara, e prende un altro lavoro)
fa' che ambedue sien leste.
BERNARDO
ROSINA
Terminato quel telo,
farai l'orlo a quest'altro.
(getta in terra, e la scolara lo strascina a sé, e prende un altro lavoro)
BERNARDO
ROSINA
Oh, voi verrete
a insegnarmi il mestier! Che importa a noi
che un abito s'impolveri e s'imbratti?
Se li godan così, quando son fatti.
BERNARDO
ROSINA
Davver mi fate ridere.
Tutti non fan così? Le vostre scarpe,
di stoffa o pur guernite,
le rendete davver belle e polite?
BERNARDO
ROSINA
Sì, prendete
due ritagli di raso
e un pezzo di broccato,
che per voi con industria ho risparmiato.
BERNARDO
ROSINA
Quello, o nessuno.
BERNARDO
ROSINA
Sì sì, ma in casa
non ci voglio più star.
BERNARDO
ROSINA
Se non ho quel ch'io voglio, andrò a servire.
BERNARDO
ROSINA
Che importa a me?
Purch'ei fosse mio sposo,
starei sotto una scala;
viver sarei contenta
col mio caro Giannin d'acqua e polenta.
BERNARDO
Rosina e le tre Scolare, come sopra.
ROSINA
Fin che il ciel mi conserva
gli occhi e le dita, di penar non temo.
Sì, lo voglio, lo voglio, e lo vedremo.
(parla ad una scolara)
Vespina, vammi un poco
a porre un ferro immantinente al foco.
Dica pure mio padre
tutto quel che sa dire:
nasca quel che sa nascere,
io voglio il mio Giannino; e se dovessi
vivere in povertà, sotto un bastone,
dirò quello che dice la canzone:
Astu volesto?
Magna de questo.
Xestu contenta?
Basta cussì.
Tante l'ha fatta
sta bella festa,
e l'ho volesta
far anca mi.
(ritorna la scolara, ch'era partita, a parlare all'orecchio di Rosina)
Davvero? Il mio Giannino
vuol venirmi a parlar?
Dov'è mio padre?
(la scolara risponde piano)
È partito? Ci ho gusto.
Digli che venga pur.
(parla alla scolara)
Tu scalda il ferro,
guarda che caldo sia quand'io lo bramo;
ma di qua non tornar, se non ti chiamo.
Lisetta, dal merciaio
vammi a comprar del refe e della seta.
Digli, per non mandare ogni momento,
che ti dia di colori un sortimento.
(la scolara parte)
Tu va dalla contessa:
dille se domattina
vuol ch'io vada a provarle il suo vestito,
poiché poco vi manca a esser finito.
(la scolara parte)
A parlar con Giannino io mi consolo,
ma parlare gli vo' da sola a solo.
Giannino e Rosina.
GIANNINO
ROSINA
Vita mia.
Hai veduto mio padre?
GIANNINO
ROSINA
E il fabbro?
GIANNINO
ROSINA
E l'Angiolina
a venir ti ha veduto?
GIANNINO
ROSINA
Caro Giannino,
noi siam perseguitati;
ma, al dispetto di tutti,
il ben che ci vogliam ce lo vorremo.
GIANNINO
ROSINA
Senti, ho anch'io la mia dote,
ed ho il mio bisognetto.
GIANNINO
ROSINA
Ho sedici camicie,
e sei di tela fina.
GIANNINO
ROSINA
Ho un abito di seta;
ne ho due di cambellotto;
due vestine, due busti, e sei sottane;
ed ho più d'un grembial di tele indiane.
GIANNINO
ROSINA
E poi dalle avventore
qualche aiuto averò per farmi un letto,
quattro sedie, un armadio ed un specchietto.
GIANNINO
ROSINA
Oh, caro il mio Giannino,
voglio che facciam presto.
GIANNINO
ROSINA
Sento gente.
GIANNINO
ROSINA
Fosse mio padre!
Vattene di là.
Presto, celati.
GIANNINO
ROSINA
Non mi fare arrabbiar.
GIANNINO
Rosina, poi Fabrizio.
ROSINA
Oh! chi è qui? Il cameriere
di madama Costanza!
Gli ho pur detto
che non venga da me.
Mi spiace assai,
che Giannino è di là che vede e sente;
ma è buon figliuolo, non dirà niente.
FABRIZIO
Buon dì, bella ragazza.
ROSINA
Vi saluto.
FABRIZIO
Sono da voi venuto
per dirvi che madama
s'è di voi ingelosita,
e scacciommi di casa inviperita.
ROSINA
Me ne dispiace assai.
FABRIZIO
Di tal mio danno
se la cagion voi siete,
risarcirmi dovete.
ROSINA
E in che maniera?
FABRIZIO
Molto non vi domando
pe 'l mio risarcimento:
un pochino d'amore, e son contento.
ROSINA
(Povera me! Giannino
non vorrei lo sentisse.) In cortesia,
per ora andate via.
FABRIZIO
Mi discacciate?
ROSINA
Mio padre può venir; di grazia, andate.
FABRIZIO
Mandate la fanciulla,
come detto mi avete, ad avvisarmi...
ROSINA
Zitto, per carità. (Vuol rovinarmi.)
FABRIZIO
Via, via, non v'inquietate,
per or me n'anderò:
poscia ritornerò, quando non siavi
timor di qualche imbroglio.
Deh vogliatemi ben, ch'io ve ne voglio.
Bella, vi lascio in pace
ma con voi resta il cor.
Deh, non mi dite audace
s'io vi domando amor,
costanza e fede.
(parte)
Rosina, poi Giannino.
ROSINA
Spero che il mio Giannino
non avrà né veduto, né sentito;
e poi, se mio marito esser desia,
io sospetti non vo', né gelosia.
GIANNINO
ROSINA
Cosa è stato?
GIANNINO
ROSINA
Cosa son queste scene?
Sai che ti voglio bene...
GIANNINO
ROSINA
A me, cane, assassino?
A me così favelli? In tal maniera
tratti chi ti vuol bene?
GIANNINO
ROSINA
Ma via, cosa t'ho fatto?
GIANNINO
ROSINA
Chetati, malagrazia.
Lo conosci quell'uom?
GIANNINO
ROSINA
Non sai che è il cameriere
di madama Costanza?
GIANNINO
ROSINA
Venuto è a domandarmi
per via della padrona.
GIANNINO
ROSINA
Orsù, signor astuto,
faccia quel che gli pare,
che co pazzi ancor io non vo' impazzare.
GIANNINO
ROSINA
Insolente!
Parla bene, che or ora
meno giù a precipizio.
(alza una sedia, e lo minaccia)
GIANNINO
ROSINA
(Affé, dice davvero. Colle buone
vo' pigliarlo per ora.)
GIANNINO
ROSINA
Via, Giannino, hai ragione.
Sappi che quello è un pazzo
che con tutte vuol far l'innamorato,
e da tutte è deriso e corbellato.
GIANNINO
ROSINA
Dici bene, hai ragione.
GIANNINO
ROSINA
Hai ragione, Giannin, non farò più.
GIANNINO
ROSINA
Non strapazzarmi.
GIANNINO
ROSINA
Via, Giannino,
via, il mio bel piccinino,
vien dalla Rosa tua che ti vuol bene.
GIANNINO
ROSINA
Guardami.
GIANNINO
ROSINA
Non dubitare.
GIANNINO
ROSINA
Ti amo tanto,
che or or per cagion tua divengo matta.
Caro.
GIANNINO
ROSINA
(con allegrezza)
La pace è fatta.
GIANNINO
ROSINA
Aspetta, aspetta:
anderò alla finestra, e se vedrò
che mio padre ci sia, ti avviserò.
GIANNINO
ROSINA
Presto, se il ciel vorrà.
Amami e non temer, che il dì verrà.
Ti ho voluto sempre bene,
te ne voglio piucché mai.
Ah briccone, tu lo sai,
e vuoi farmi taroccar.
Oh benedetto ~ quel bel visino,
sì rotondetto, ~ sì galantino.
Che bei balletti, ~ che bei scherzetti,
che bei risetti ~ vogliamo far!
Non vedo l'ora, non posso star.
(parte)
Giannino solo.
Camera di madama Costanza.
Madama Costanza, poi un Servitore.
COSTANZA
Ah no, non posso vivere
senza il caro Fabrizio. Ehi! chi è di là?
(esce un servitore)
Per tutta la città
cerca del camerier fin che lo trovi.
Digli che da me venga,
guidalo qui con te:
se non lo trovi, avrai che far con me.
(il servo parte)
È ver che all'amor mio mi parve ingrato,
ma non gli ho ancor svelato
la fiamma che per lui m'arde nel cuore,
né sa ch'io l'ami, e ch'io pretenda amore.
Se torna, com'io spero,
farò ch'egli lo sappia, e mi lusingo
ch'ei non avrà difficoltade alcuna
di comprar con amor la sua fortuna.
Parmi di sentir gente. Oh me felice,
se fosse l'idol mio! Vieni, o mio caro...
ah, ingannata mi sono. È il calzolaro.
Bernardo e la suddetta.
BERNARDO
COSTANZA
Da me cosa volete?
BERNARDO
COSTANZA
Andate al diavolo,
voi m'avete annoiata.
BERNARDO
COSTANZA
Ancora no.
BERNARDO
COSTANZA
Quando vorrò.
BERNARDO
COSTANZA
Zitto. (Mi pare...
fosse questi Fabrizio! Oh che diletto
se venisse il mio bene!)
Titta e detti.
(Titta entra inchinandosi)
COSTANZA
Oh maledetto!
TITTA
COSTANZA
Vattene, seccator; ti chiamerò.
TITTA
COSTANZA
E quattro, e sei,
quante volte mi par, tornar tu déi.
TITTA
COSTANZA
Impertinente!
(Affé, ch'io sento gente.
Questa volta senz'altro
la persona sarà ch'è a me sì cara.
Maledetto destino! è la cuffiara.)
Angiolina e detti.
ANGIOLINA
Eccomi qui di nuovo.
La cuffia ho accomodato
come mi ha comandato.
COSTANZA
Così presto?
Lascia veder: m'aspetto
che l'abbi strapazzata per dispetto.
ANGIOLINA
Oh no, signora mia.
Se la provi, e vedrà che anderà bene.
COSTANZA
(E Fabrizio non viene.)
ANGIOLINA
Vuol che andiamo
a provarla allo specchio?
COSTANZA
Va' in buon'ora.
(E Fabrizio crudel non viene ancora?)
ANGIOLINA
E mi tratta così?...
COSTANZA
(Vo' andar io stessa
a cercar quell'ingrato.)
(in atto di partire)
BERNARDO
COSTANZA
(a Bernardo)
Torna, e ti pagherò.
TITTA
COSTANZA
(a Titta)
Torna, o mi aspetta.
ANGIOLINA
(a Costanza)
E provare non vuol?...
COSTANZA
(ad Angiolina)
No, maledetta.
Ah, che son fuor di me.
Smania, delira il cor.
Barbaro, crudo amor,
speme per me non v'è.
Ah, da me lungi andate;
no, non mi tormentate.
Ardo di sdegno e fremo,
ma non vo' dir perché.
(parte)
Angiolina, Bernardo e Titta.
BERNARDO
ANGIOLINA
Pare impazzata.
TITTA
ANGIOLINA
Di chi?
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
ANGIOLINA
Sì certo, la Rosina
veramente è bonina;
ma se il padre se n' va poco distante,
introduce in sua casa il caro amante.
BERNARDO
ANGIOLINA
Giannino.
BERNARDO
ANGIOLINA
L'ho veduto testé cogli occhi miei.
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
ANGIOLINA
Briccon, m'avea promesso,
e per lei mi ha mancato.
TITTA
ANGIOLINA
Volesse il ciel!
TITTA
BERNARDO
ANGIOLINA
Oh, le cuffiare
non vanno all'osteria.
TITTA
BERNARDO
TITTA
Angiolina e Bernardo.
ANGIOLINA
Io fingere non so, ma non v'è dubbio
che cerchi d'imparar sì gran virtù:
la mia sincerità stimo assai più.
BERNARDO
ANGIOLINA
E me ne vanto.
BERNARDO
Angiolina sola.
Povero galantuom, lo compatisco;
ma però non vorrei
consumare con esso i giorni miei.
Mi preme il mio Giannin; per acquistarlo
farò quanto potrò: ma quando mai
non l'avessi d'aver, se ho da cambiare,
non mi vo' con un vecchio accompagnare.
Lo voglio giovanetto,
lo voglio galantino,
e vo' che sia bellino,
e che mi porti amor.
S'è povero, non preme:
non curo di ricchezza;
mi basta la bellezza
che mi consoli il cor.
(parte)
Cortile che introduce ad un'osteria con tavola e panca ad uso de' bevitori.
Rosina sola.
Possibil che Giannino
sia andato all'osteria? Me l'hanno detto,
me ne vo' assicurar. Povero lui,
se ciò è la verità. Vo' andar cercando
per tutti questi alberghi qui d'intorno:
se ti trovo, briccon, te lo prometto,
né anche a mio padre porterò rispetto.
(parte)
Titta allegro dal vino, Bernardo rosso in viso e Giannino mesto e stordito.
TITTA
GIANNINO
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
TITTA
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
(lo assaltano con finezze caricate)
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
TITTA
BERNARDO
Angiolina e i suddetti, poi Rosina.
ANGIOLINA
Eccomi. Chi mi chiama?
TITTA
GIANNINO
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
ANGIOLINA
Voi non mi comodate.
TITTA
BERNARDO
ANGIOLINA
(a Bernardo)
Io non so di voi che fare.
TITTA
ANGIOLINA
Io Giannino vo' per me.
GIANNINO
ROSINA
(a Giannino)
Ah briccone, all'osteria
colle donne in compagnia?
Tu l'avrai da far con me.
GIANNINO
ROSINA
(a Bernardo)
Bell'esempio che gli date!
TITTA
ROSINA
Non lo credo.
GIANNINO
BERNARDO
ROSINA
Traditore ~ disgraziato,
mentitore ~ scellerato,
senza legge e senza fé.
GIANNINO
ROSINA
Disgraziato!
GIANNINO
ROSINA
Scellerato!
GIANNINO
ROSINA
Senza legge e senza fé.
(in atto di partire)
GIANNINO
ROSINA
Cos'è stato?
(s'accosta a lui)
GIANNINO
ANGIOLINA, BERNARDO E TITTA
Ha bevuto il poverino,
altro male, no, non c'è.
ROSINA
Voglio aiutarti.
Ma non lo meriti;
(gli dà dell'acqua odorosa e gli asciuga il volto)
dovrei lasciarti
precipitar.
ANGIOLINA, BERNARDO E TITTA
Caritatevole
gli porgi aita,
ma poi le dita
ti puoi leccar.
GIANNINO
ROSINA
Ah briccone, all'osteria,
colle donne in compagnia?
No, di te non ho pietà.
ANGIOLINA, BERNARDO E TITTA
Brava, brava, in verità!
TITTA
ANGIOLINA
Mi ha la fé da mantenere.
BERNARDO
GIANNINO
ROSINA
Che cos'è?
TITTA
BERNARDO
TITTA
BERNARDO
ROSINA, ANGIOLINA E GIANNINO
Aiuto, gente.
(si vogliono offendere, e sono tenuti)
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
(vengono camerieri dall'osteria con bastoni a dividerli)
TITTA
BERNARDO
ROSINA, ANGIOLINA E GIANNINO
Pace, pace, per pietà.
TITTA
BERNARDO
GIANNINO
ROSINA E ANGIOLINA
Pace, pace domandiamo.
Di buon cor vi supplichiamo,
ritornate in amistà.
BERNARDO E TITTA
(accennando i bastoni)
T'avrei punto le budelle,
ma per via di queste belle,
pace, pace si farà.
ROSINA, ANGIOLINA E GIANNINO
Tutto poi si aggiusterà.
BERNARDO E TITTA
Che si beva, poffar Diana!
E la pace all'artigiana
che si faccia come va.
(danno a tutti da bere)
TUTTI
Pace, pace, e non più guerra.
È felice in su la terra
chi nemico alcun non ha.
Viva, viva l'allegria
e la buona compagnia!
Pace, pace e sanità.
Camera di madama Costanza.
Madama Costanza e due Servitori.
COSTANZA
(ad un servitore)
Andate, andate tosto
a chiamar la cuffiara,
e il fabbro e il calzolaro,
che venghino da me subitamente,
che trattati saran discretamente.
(il servitore parte)
Ah sì, sono contenta
che il mio caro Fabrizio è ritornato:
segno che mi vuol bene; e s'egli è fido,
convien ricompensarlo.
Pria di creder però vogl'io provarlo.
(al servitore)
Da Rosina sartora
va' tosto, e dille ch'io non son più irata,
che l'andrienne ho provato e mi va bene,
e contenta sarà se da me viene.
(parte l'altro servitore)
Vo' veder se Fabrizio... Eccolo qui:
eccolo il ladrone che mi ferì.
Fabrizio e la suddetta.
FABRIZIO
Posso sperar, madama,
placato il vostro sdegno?
COSTANZA
Sembrati d'esser degno
di pietà, di perdono?
FABRIZIO
Se vi spiacqui, se errai, pentito io sono.
COSTANZA
Se dicessi davver...
FABRIZIO
Lo giuro ai numi.
COSTANZA
Ah sì, veggo in quei lumi,
che amar costante e vagheggiar son usa,
il mio debole affetto e la tua scusa.
(parte)
Fabrizio solo.
Costante io le sarò,
ma il mio tempo non vo' gettare invano:
se fedele mi vuol, mi dia la mano.
Alfin, s'ella è signora,
non è che un accidente.
Il buon marito
comoda l'ha lasciata,
ma so che anch'ella è nata
povera e triviale qual son io,
e se al sangue si guarda, è da par mio.
Superbette, non vantate
cogli amanti nobiltà.
Voi vincete, voi piagate
co' la grazia e la beltà.
(parte)
Bernardo ed un Servitore, poi Angiolina.
BERNARDO
ANGIOLINA
Ehi, galantuomo, andate
ad avvisar madama
ch'io son qui per veder cos'ella brama.
(parte il servitore)
BERNARDO
ANGIOLINA
Per me vi compatisco;
spiacemi che con Titta
or sarete nemici.
BERNARDO
ANGIOLINA
E Giannino?
BERNARDO
ANGIOLINA
Che pensate di far?
BERNARDO
ANGIOLINA
Ed io m'ho da acchetar?
BERNARDO
ANGIOLINA
Sì, ma in oggi
v'è poco da far bene.
BERNARDO
ANGIOLINA
E che ho da far?
BERNARDO
ANGIOLINA
Ma io la mezza età non so qual sia.
BERNARDO
Angiolina, poi Titta.
ANGIOLINA
Questa davver la godo:
i vecchi fanno i computi a lor modo.
Penso però e ripenso
che se Giannin tien sodo e non mi vuole,
e se mastro Bernardo
un'altra volta ad esibir si viene,
io non bado all'età, bado a star bene.
TITTA
ANGIOLINA
Ci son venuta
perché m'hanno chiamato.
TITTA
ANGIOLINA
Ma non vedo nessuno.
Anderò io di là...
TITTA
ANGIOLINA
Una picciola cosa,
ma una cosa da nulla:
Giannino e la fanciulla
faran l'accasamento,
ed il padre di lei sarà contento.
TITTA
ANGIOLINA
Come! come!
Non occor cospettare;
anch'io ci devo stare.
TITTA
ANGIOLINA
Voi siete un precipizio;
ma qualchedun vi farà far giudizio.
Sì, degli altri ne ho sentiti
far i bravi e cospettar;
ma col remo, e travestiti,
vanno i pesci a bastonar.
(parte)
Titta solo.
Giardino in casa di madama Costanza.
Rosina e Giannino.
ROSINA
Vieni, vieni, Giannino,
e fin ch'io torno, aspettami in giardino.
GIANNINO
ROSINA
Non dubitare:
io ti farò passare
per garzon di mio padre. Vo a vedere
cosa vuole da me, poi ad effetto
penseremo a mandar quel che t'ho detto.
GIANNINO
ROSINA
Facciam così:
andiamo da mia zia...
Madama Costanza e detti.
COSTANZA
Che fate qui?
ROSINA
Or salivo le scale,
e venivo a veder che mi comanda.
COSTANZA
E si viene da me per questa banda?
ROSINA
Perdoni...
COSTANZA
Chi è colui?
ROSINA
È di mio padre
un lavorante, e un giovane romano.
COSTANZA
Eh fraschetta, sarà qualche mezzano.
GIANNINO
COSTANZA
Della Rosina,
ch'è del mio cameriere innamorata.
ROSINA
Son fanciulla onorata,
e per farle vedere
che a torto il di lei cuore è sospettoso,
questo giovane qui sarà mio sposo.
COSTANZA
Dite davver?
ROSINA
Non mento.
GIANNINO
COSTANZA
Aspettate. Fabrizio!
(chiama)
Fabrizio e detti.
FABRIZIO
Mia signora.
COSTANZA
Vedi tu questa giovane?
FABRIZIO
La vedo.
(Che ritorni a scacciarmi or or prevedo.)
COSTANZA
Ti spiaceria vederla
ad un altro sposata?
FABRIZIO
In verità,
sull'onor mio ve 'l dico,
dell'amor suo non me n'importa un fico.
ROSINA
E a me, candidamente,
sull'onor mio, non me n'importa niente.
COSTANZA
(a Rosina e Giannino)
Dunque, se amanti siete,
perché non vi sposate?
ROSINA
Perché ancora
mi manca il mio bisogno.
COSTANZA
E che vorreste?
ROSINA
Almeno cento scudi,
per far qualche cosetta da par mio.
COSTANZA
Se vi date la man, ve li do io.
ROSINA
Davvero?
GIANNINO
COSTANZA
(tira fuori una borsa)
Eccoli, a caso
me li ritrovo in tasca.
Preparati li avea per la pigione.
(Altri sei mesi aspetterà il padrone.)
Sposatevi, e son vostri.
ROSINA
(a Giannino)
Tu, che dici?
GIANNINO
ROSINA
Facciamola?
GIANNINO
ROSINA
Cosa sarà?
COSTANZA
Porgetevi la mano,
facciasi il matrimonio:
Fabrizio servirà per testimonio.
GIANNINO
ROSINA
Ecco la man.
GIANNINO
ROSINA
Marito.
COSTANZA
(Ora il sospetto mio sarà finito.)
Eccovi i cento scudi.
(dà la borsa a Rosina)
Vieni, Fabrizio. Andiamo.
Caro, or ora saprai quanto ti amo.
(parte)
FABRIZIO
Buon pro vi faccia.
Vo' sperar fra poco
far anch'io la partita a questo gioco.
(parte)
Rosina e Giannino.
GIANNINO
ROSINA
Una ragione
forse l'appagherà. Per cento scudi,
se si trovasse anch'ei nel caso mio,
avria fatto egli pur quel che ho fatt'io.
GIANNINO
ROSINA
Signor no.
GIANNINO
ROSINA
Li spenderò.
GIANNINO
ROSINA
Non signore,
tu non te n'impacciare.
Voglio io maneggiare;
della casa vogl'io la direzione.
GIANNINO
ROSINA
A questo patto
non m'avrei maritata.
GIANNINO
ROSINA
Tu non sei buon da nulla.
GIANNINO
ROSINA
(Principiamo a buon'ora, a quel ch'i' vedo.)
GIANNINO
ROSINA
Oh via, facciam così: questi danari
dividiamoli adesso per metà;
e ogni uno a modo suo li spenderà.
GIANNINO
ROSINA
Sull'avvenire
non istiamo a garrire;
caro Giannino mio, non far così.
Almeno il primo dì viviamo in pace.
GIANNINO
ROSINA
No, mio caro, non conviene
far l'amore come i gatti.
Non son questi i nostri patti:
sempre in pace si ha da star.
ROSINA E GIANNINO
È pur bello il matrimonio,
se non v'entra quel demonio
che fa i sposi delirar.
GIANNINO
ROSINA
Sì, mio caro, tu l'avrai.
GIANNINO
ROSINA
Lascia, lascia far a me.
Vo' comprare dei merletti,
delle cuffie e dei fioretti.
Un vestito ~ ben guarnito
co' la coda ~ a tutta moda,
e del zucchero e caffè;
lascia, lascia far a me.
GIANNINO
ROSINA
Oh povera me!
Che cosa farò?
La mia libertà
perduta ho così?
GIANNINO
ROSINA
L'ho fatta, l'ho fatta.
GIANNINO
ROSINA E GIANNINO
Che breve contento,
che corto piacere!
Non s'ha da godere
la pace un sol dì.
ROSINA
Giannino.
GIANNINO
ROSINA
Marito.
GIANNINO
ROSINA E GIANNINO
Se fino alla morte
ci abbiamo da star,
veleno ~ nel seno
non stiamo a covar.
ROSINA
Sì, prendi il danaro.
Fa' quello che vuoi.
(gli dà la borsa)
GIANNINO
ROSINA
Comando che m'ami.
GIANNINO
ROSINA
Sposino ~ carino,
sei tutto per me.
ROSINA E GIANNINO
Il dio d'amore
che ci ha legato,
che ci ha involato
la libertà,
il nostro seno
consoli almeno
co' la bramata
felicità.
(partono)
Titta, poi Madama Costanza e Fabrizio, poi Bernardo e Angiolina, poi Rosina e Giannino.
TITTA
COSTANZA E FABRIZIO
Mastro Titta, a voi lo dico
come amico di buon cor:
della cara padroncina
son marito e servitor.
TITTA
ANGIOLINA E BERNARDO
Mastro Titta, no 'l sapete?
Noi ci siam sposati or ora,
e contento è il nostro cor.
TITTA
ROSINA E GIANNINO
Mastro Titta, finalmente
siamo qui marito e moglie,
e contento è il genitor.
TITTA
TUTTI
Viva, viva il dio d'amore
che consola i petti umani,
e nel cor degli artigiani
è più schietto, ed è miglior.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 05/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)