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Scena prima |
Creusa, Enea, Acate, coro di Troiani, Ascanio. |
Creusa, Enea, Acate, troiani, Ascanio
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[Coro] | N
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CORO DI TROIANI |
Armi Enea, diamo all'armi.
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Recitativo | |
CREUSA |
Enea non è più tempo
di stabilir speranze
su la punta alla spada.
Va la patria infelice
fornace di sé stessa
consumandosi in polve, e in faville
la disperata Troia
di reliquie disfatte
cumulo spaventoso
di ceneri confuse orribil monte,
tutte le glorie sue piange defonte.
È infruttuoso omai
il peso di quest'armi,
ma se pur tu confidi,
che l'elmo, e la lorica
possan contro il nemico oprar difese,
deh non partir Enea;
del decrepito Anchise
la canizie impotente,
l'afflitta età cadente
sian di tanta difesa i primi oggetti,
fa' muro col tuo brando a nostri petti,
se tu parti, chi resta
a custodir dentro alle stanze nostre
il dolce Ascanio? o dio,
Ascanio il tuo, il mio,
il nostro unico figlio
chi salverà da morte, e da periglio?
Di me non parlo no, se 'l figlio, e 'l padre
non son forti catene
per trattenerti, o Enea,
che valerà Creusa,
o pregante, o piangente?
Se il titolo di moglie
alle viscere tue trova la strada,
per singhiozzarti le tue angosce al core,
ti prego non partir, ma con quest'armi
difendi Anchise, Ascanio, e tua consorte
dal ferro, dall'incendio, e dalla morte.
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ENEA |
Creusa ardon le mura,
l'alta città, che in Asia fu regina
ha votata di sangue ogni sua vena,
per empirla di fiamme,
e tu vuoi, che defraudi
del mio sangue la patria, e che non vada
l'anima mia con l'altre accumulata
a insignirsi di gloria,
ad eternare il lume a sua memoria?
Non vadan scompagnate
dalle ferite mie, da miei perigli
queste publiche stragi.
Le spade greche inebriate omai
del sangue del mio re di Priamo il grande
con un sorso del mio
sian testimoni veri,
che il sangue del vassallo
versò morendo gl'ultimi tributi
all'ombra coronata
del suo rege, e signore,
e che la fedeltà d'un'alma ardita
non è tenuta a più, se dà la vita.
Dove more tra l'armi
il padrone innocente,
se non more anco il servo, egli è fellone.
Se recisa la testa, un membro vive,
contro natura ei vive.
Cor de' sudditi è il re; spento il re nostro,
portento è il mio respir, mia vita è un mostro.
Viver dopo il mio re caduto in guerra,
e un calcarlo sepolto,
e a scettro forastier serbar la fede:
ch'io salvi il core ad ubbidir nemici?
Ch'io serbi i sensi ad adular chi ho in odio?
Che ad un greco un troian presti servaggio?
Ahi che la servitù troppo è diforme,
e dirimpetto a lei la morte è bella,
per dispetto dirà la gente achea
seppe morir, ma non servir Enea.
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| |
|
ASCANIO
Padre ferma i passi, e l'armi
non lasciar questa magione,
non so dirti alta ragione,
non dovevi generarmi,
se volevi abbandonarmi.
| S
(♦)
(♦)
|
Ritornello | |
|
Le mammelle di mia madre
l'alimento m'han prestato,
ma quel latte è disarmato,
sei tu sol mio usbergo, e scudo,
senza te son solo, e nudo.
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Ritornello | |
|
L'avo mio si strugge in pianti,
ma a guardar mia imbelle etade
dal furor di greche spade
fanno debole apparecchio
fredde lagrime d'un vecchio.
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Ritornello | |
|
Se la vita mi donasti,
caro padre dolce, e pio,
se figliuolo ti son io
questo nome caro il dirti
vaglia solo a intenerirti.
| |
Ritornello | |
|
Se perir dovrà pur anco
questa debole animetta
innocente, e pallidetta
prenderà, se tu la vedi
da te gl'ultimi congedi.
| |
Ritornello | |
| |
Recitativo | |
ACATE |
Nell'animo di Enea
contrastano l'angosce;
io non so quale affetto
prevalerà tra tanti
o la patria in incendio, o 'l figlio in pianti.
Ma pur se 'l figlio more,
il grand'Enea può generar ancora,
che le lacrime al fine
non pon ricuperar città perduta,
né più rifabbricar patria caduta.
| |
ENEA |
Ascanio unico figlio
punto non dubitar, queste ruine
siano al genio crescente
maestre, onde s'apprenda da tui sensi,
che la patria finisce,
ma la virtù sempre comincia, attendi,
impara a sostener l'ire del cielo.
Piovono di là su perversi i casi
per cimentar nostra costanza, e sappi
sprezzar la morte, e vincer le paure,
che gran senno è avvezzarsi alle sventure.
Ritiratevi entrambi,
invocate de' numi
il propizio soccorso,
che mentre i voti vostri ascolta Giove,
io vado a ritentar l'ultime prove.
Amici, andiamo a fabbricarci al nome
tempii di glorie illustri
con l'ossa de' nemici,
e sul fiume corrente
del loro sangue alziamo un nobil ponte,
che ci conduca, ove non giunge oblio.
Dimostriamo al destino,
che se la nostra spada al ciel non giunge,
per ornarsi con l'oro delle stelle
ella mille trarrà del sangue achivo
e piropi, e rubini
per ingemmarsi, e arricchirsi: or dunque
o con il nostro, o col nemico sangue
ammorziamo l'incendio, e questa notte
col far di chi ci insidia aspro governo
al valore troian sia giorno eterno.
Necessitiamo i posteri a sacrarci
cospicui i bronzi, e speciosi i marmi,
combattiam disperati,
che nel fin della vita, e della speme
trionferemo, o moriremo insieme.
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[Coro] | N
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CORO DI TROIANI |
Armi Enea, diamo all'armi.
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Recitativo | |
ACATE |
Sia la terra agl'Argivi
angusto campo al piè, largo alle morti;
non cada invendicato
della patria comun l'inclito nome.
Per un golfo di sangue
navighi la vittoria de' nemici.
Nei cadaveri nostri
inciampi il vincitore, e cada al fine;
né sappia mai distinguere la morte
tra chi vinse, o perdé vantaggio alcuno.
Del ferro ostil sopra le punte acute
or cerchiamo o la morte, o la salute.
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[Coro] | N
|
CORO DI TROIANI |
Armi Enea, diamo all'armi.
| Creusa, Enea, Acate, troiani ->
|
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Scena seconda |
Anchise, Ascanio. |
<- Anchise
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Recitativo | |
ANCHISE |
Vaneggiante fanciullo,
ove corre il tuo piè senza consiglio?
Il tuo passo bambin vacilla ancora,
e tu col grave pondo
del ferro agl'anni tuoi niente conforme,
vai disfidando in fasce
quel destin violento,
che col semplice sguardo
di stella incrudelita
in un istante ucciderà tua vita.
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| |
|
ASCANIO
Son figliuolo d'Enea,
e tuo solo nipote, o grande Anchise,
se non adopro il ferro in sì gran tempo,
se mi mostro codardo
la patria istessa mi dirà bastardo.
| |
Ritornello | |
|
Pesa sì questo ferro,
ch'alzar io non lo posso, e a pena il movo;
ma se la terra mi vedrà cadere
senza la spada in mano
non potrà creder mai, ch'io sia troiano.
| |
Ritornello | |
| |
|
Se morisse mio padre,
l'ombra sua venirebbe a eseredarmi,
se mi trovasse senza spada al fianco;
con questo ferro ho fede
del mio gran genitor mostrarmi erede.
E se il destin, che gioca
co' suoi dadi stellanti il viver nostro,
vorrà, ch'io cada esanimato al fine,
il mio sangue innocente
sarà famoso appresso ad ogni gente.
| |
ANCHISE |
Larga vena di pianto,
che dal cupo dell'anima mi sgorga
scrive queste parole, o gran nipote,
nel sen dell'amor mio,
e che veggio, e che sento, o cieli, o dio?
| |
ASCANIO |
Indarno, o mio grand'avo,
della canizie tua righi l'argento
con queste calde tue dogliose stille.
L'acqua non acuisce
il ferro, ma lo guasta, e irruginisce.
| |
ANCHISE |
Tuo padre ti commise
di ritirarti, e invocare i numi,
vientene Ascanio, vieni,
deponi questo ferro,
né rida la fortuna,
che contro la sua forza
voglia un infante adoperar la cuna.
| Ascanio, Anchise ->
|
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Scena terza |
Pirro, Cassandra, Corebo. |
Pirro, Cassandra
|
| |
CASSANDRA |
Non perdonate al tempio?
E dagl'istessi altari
con sacrilego ardir levate a forza
una vergine orante?
E lo comporti, o cielo, e non t'accorgi,
che il riservar gli sdegni
alle tarde vendette
fomenta le tirannidi, e concede
e vita, e regno a chi agli dèi non crede?
| |
PIRRO |
Temeraria donzella,
nelle man di chi vince,
in servitù di chi trionfa, ardisci
trattar ingiurie, e inasprir parole?
Dell'ingiustizia altrui ti lagni invano,
sempre ha ragion chi tien la forza in mano.
| |
CASSANDRA |
Barbaro, credi tu, che le catene,
e l'imminente morte
a Cassandra troiana
figlia d'un regnator, se ben estinto,
tolgano la virtù, turbino il core?
Se mi torrai la vita
trionferai d'una incarnata polve,
e all'alto suo principio
l'alma mia condurrai,
e da vil servitù mi leverai.
| |
PIRRO |
Non è molto lontana
quella morte, che sprezzi, un colpo solo
caverà me d'impaccio, e te di duolo.
| |
| <- Corebo
|
COREBO |
Fermati traditor, volgi quel ferro
nell'esecrando tuo perfido seno,
e lo vibra, e lo adopra
in tua difesa contro a' colpi miei.
| |
PIRRO |
E chi è costui, che provoca il mio sdegno,
e vuol nobilitar la sua ruina
sotto l'armata man d'un trionfante?
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COREBO |
Risponde la mia spada,
saran parole i colpi, e tu morendo,
quale sia mia ragion, intenderai.
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[Combattimento] | N
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Qui combattono, e Pirro ferito fugge, lasciato ferito a morte Corebo. | Pirro ->
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Recitativo | |
COREBO |
Ho vinto, ho trionfato,
e così vadan l'anime rubelle,
e ne' lor propri danni
sian esempi d'infamia i rei tiranni.
Ma, qual fiacchezza nova
mette i miei sentimenti in abbandono?
Esce il sangue, o Cassandra, io son ferito,
o disperato amor, mentre guerreggio,
e alla mia sposa io dono libertade
il sangue m'esce, e la mia vita cade.
Liberato mio bene,
per salvarti la vita,
io la vita perdei;
vivi i tuoi giorni, o cara, e vivi i miei.
Ho vinto, ma la falce
della mia propria morte
sopra un avel le mie vittorie intaglia,
e in un momento han fine
la vittoria, la vita, e la battaglia.
Non però ancora io son di vita privo,
la vendetta, e l'onor mi tengon vivo.
| |
CASSANDRA |
Ahi questo è dunque il principe Corebo,
che versa da più piaghe
della vita, che fugge i caldi rivi?
| |
COREBO |
Corebo io fui, ma il sangue,
che m'esce dalle vene,
scrive Corebo al numero dell'ombre.
O Cassandra, o Cassandra,
a Troia venni per te sola, e diedi
il mio spirto in balia de' tuoi begl'occhi;
cercai piacerti con gli ossequi, e feci
l'anima innamorata
sgabello al piè di tue grandezze; or trovo
su la via degli amori
l'inciampo della morte,
e sotto gli orienti
de' tuoi lumi vitali
hanno i miei giorni un glorioso occaso.
In faccia all'alba mia pura, e fiorita
tramonta la mia vita.
| |
CASSANDRA |
Spera, e rinfresca il core;
il vigore dell'anima sostenti
le veci di quel sangue,
che dalle vene tue rapido fugge.
| |
COREBO |
Ben credev'io Cassandra
in più dolce stagione
prender da' detti tuoi conforto, e pace;
or che morir conviemmi
per estremo soccorso all'amor mio
porgimi la tua destra,
che sola puote de' sepolcri ad onta
da questo basso stelo
in alma, e in corpo ancor condurmi in cielo;
fa' ricca la mia morte
con favor sì bramato,
mandami all'altra vita
di gioia accumulato;
non farà lungo volo
l'anima mia per gire in paradiso,
mentre m'è sì da presso il tuo bel viso.
| |
CASSANDRA |
Se la mia mano, o amico
ti consola, e t'aggrada,
prendila, te ne fo libero dono.
Virginale onestà dammi perdono.
| |
COREBO |
O presto conceduta,
ma lasso troppo tardi supplicata
man di vere dolcezze imbalsamata.
Vieni all'estremo ufficio
in questa orrenda, e miserabil ora,
man dolce, e chiudi gl'occhi a chi t'adora.
Avorio spiritoso,
alabastro incarnato,
spira lieto il cor mio, mentre in te vede
impresso il bel candor della sua fede,
e l'anima, che m'esce dalla bocca,
e in questa mano esala a poco a poco,
stampa in sentier di neve orme di foco.
Amici, io parto ohimè,
Cassandra, e lascio te,
prendi del tuo Corebo, idolo mio,
l'ultimo detto, il moribondo a dio.
| Corebo ->
|
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Scena quarta |
Cassandra. |
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|
L'alma fiacca svanì,
la vita ohimè spirò,
Corebo, o dio morì,
e sola mi lasciò,
per sposa ei mi voleva, e io qui piango
prima che sposa, vedova rimango.
La vita così va,
anco mio padre il re
nel fin di grave età
regno, e vita perdé.
Del senso umano o debolezza, o scorno
su i secoli disegna, e vive un giorno.
Cassandra, e che di te
questa notte sarà?
S'aita più non c'è
la tua vita cadrà.
O della patria mia stragi fatali,
o in van da me profetizzati mali.
Nel tempio io tornerò
i numi a supplicar,
altrove andar non so,
sia guardia mia l'altar;
e s'all'altar morrò, vi prego, o dèi,
le vittime a gradir de' spirti miei.
O vita umana, o vita
insolente, e superba
all'or ricorri ai dèi,
quando afflitta tu sei,
e se il mal non t'arriva,
d'ogni religion ti mostri priva.
Tempio m'ascondo in te,
tempio salvami tu,
ma il mio Corebo, ohimè,
non lo vedrò mai più;
su l'orlo al mio sepolcro in ciechi orrori
rigo di pianti i miei svenati amori.
Temo il vicin morir,
e pur piango d'amor,
l'alma sta su l'uscir,
sta sul spirare il cor,
e pur in onta della mia paura,
amor vuol venir meco in sepoltura.
| S
Cassandra ->
|
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Scena quinta |
Venere, Enea. |
Venere, Enea
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Ritornello | |
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VENERE
Omai pon freno all'impeto dell'ira,
o generoso figlio,
e l'armi, e gl'ardimenti
riserba ad altri più felici eventi.
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Ritornello | |
|
La troiana caduta è già prefissa,
tu non puoi ripararla;
indarno il ferro vibri,
scritto è così negli stellanti libri.
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Ritornello | |
|
Fuggi pur così, madre, e così dèa
ti dico, e ti comando,
le forze in darno spendi,
co' Greci no, ma col destin contendi.
| |
Ritornello | |
|
Né l'istorie, né i posteri potranno
nominarti codardo,
se per divin consiglio,
e non per tua viltà scampi il periglio.
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Ritornello | |
|
Ove il morire è certo, e non arreca
beneficio alla patria
vuol la legge dell'armi,
che il proprio sangue il capitan risparmi.
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| |
ENEA |
O Venere, o felice
mia cara genitrice;
se m'imponi così, così risolvo,
e 'l mio fuggir co' tuoi comandi assolvo.
Patria l'ardir non langue,
ecco la vita, e 'l sangue,
sacrare a te volevo il petto mio,
ma la religion m'obbliga a dio.
Di mia fé, di mio zelo
sii testimonio, o cielo,
e tu madre, e tu diva attesta al sole,
ch'io fuggo astretto dalle tue parole.
O secoli venturi,
da voi sempre si giuri,
ch'io non manco al dover di cittadino,
ma presto ossequio al comandar divino.
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VENERE |
All'opre tue sarà la fama tempio,
e tra l'idee celesti
degl'incliti tuoi gesti
la gloria stessa scriverà l'esempio;
sarò di tua virtù scorta opportuna,
e per te farò voti alla fortuna.
| |
ENEA |
Andrò; spada che sei
tinta del sangue ostile,
conserva queste macchie
per segni di decoro,
riserba queste stille
per impronte d'onore:
abbi vivi pur sempre
dell'amor mio verso le patrie mura
gl'insanguinati, e nobili sigilli.
Caratterizza in te la mia fortuna
dell'arsa Troia i sanguinosi annali;
stampò sopra di te l'empio destino
l'aspra tragedia delle mie sventure.
Ha voluto la sorte
sopra l'acciaio tuo
istoriar della mia patria i mali;
sarai creduta spada, e pur sei libro.
In cui la turba greca
scrisse col sangue suo le proprie morti.
Ferro, ferro felice,
che feristi, e spargesti
le viscere nemiche.
Ma che deliro, o dèi,
ferro, ferro infelice,
già stromento guerriero,
or della fuga mia, per cui mi lagno,
lugubre, e funestissimo compagno.
Il tuo fil, la tua punta
già stanchi di ferire
vengan meco oziosi,
ove ne spinge imperioso cielo.
Ti ripongo, o mio brando,
andiam raminghi omai peregrinando.
| Venere ->
|
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Scena sesta |
Enea, Anchise, Ascanio, Creusa. |
<- Anchise, Ascanio, Creusa
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ENEA |
Andianne, o genitor, figlio, consorte,
cediamo il campo all'impeto de' cieli,
disarmiam le speranze
nella semplice fuga
della salute riponiam la fede,
fatal necessità così richiede.
| |
ANCHISE |
Va' figlio, nuora vanne, va' nipote,
me lasciate alle morti.
Abbia l'ira del cielo
il decrepito peso
di queste membra vacillanti, e lasse
in questi estremi affanni
per vittima cadente, e carca d'anni.
Poca ferita
m'ucciderà,
languida vita
tosto cadrà,
e tra l'alte ruine
di queste patrie mura
carestia non avrò di sepoltura.
| |
ENEA |
Padre, in ogni paese
ci seguita la morte, e la sventura,
né ritarda il destino i colpi suoi,
ovunque andiamo ei ci sovrasta, e giunge;
però se morir brami
fidati di natura, e della sorte,
purtroppo altrove troverai la morte.
Ma ch'io figlio te padre
lasci in arbitrio di nemici irati,
perché tra greche squadre
dentro al tuo sangue anneghi i propri fiati,
non è pietà, non è dover più tosto
tra le lance, e le spade,
del viver mio dividerò gli avanzi,
che lasciar te mio genitor canuto
tra gli anfratti del ferro, e delle fiamme
in ambigua ruina, e morte doppia.
Fuggiamo omai, per non restar distrutti,
o in lagrimoso accordo moriam tutti.
| |
CREUSA |
| |
ASCANIO |
Piglia queste mie lagrime innocenti,
e fanne bagno all'ostinato affetto,
che vedrai tosto intenerirti il petto.
| |
ANCHISE |
Poiché così volete,
io movo a vostro senno il fianco antico.
O dio; Troia, s'io parto
le polvi di quest'ossa in altra parte
tornerà l'alma mia sciolta dal corpo
ad abitare al fine
tra queste funestissime ruine.
| |
ENEA |
Adagiati, o mio padre,
sopra gl'omeri miei: tu figlio prendi
la mia destra; Creusa e tu ci segui.
Voi servi precorrete,
e ci aspettate al più vicino lido.
| |
| Enea, Anchise, Ascanio, Creusa ->
|
Qui Creusa entrata in casa, e pigliate alcune gioie, seguendo gli altri veduta da Greci vien uccisa. | |
| |
CREUSA |
Ohimè son morta: Anchise, Ascanio, Enea.
| |
|
|
Scena settima |
Ecuba, Cassandra. |
Ecuba, Cassandra
|
| |
ECUBA |
Alle ruine del mio regno adunque
sopravvivo decrepita, e son giunta
a riputare il pianto
testimon trivial de' miei dolori!
Onde va l'alma mia
cercando oltre le lagrime il tenore
di lamentarsi, mentre in questa notte
in un punto perdei
regno, patria, marito, e figli miei.
| |
| |
[Aria] | N
|
|
Tremulo spirito
flebile, e languido
escimi subito,
vadasi l'anima,
ch'Erebo torbido
Cupido aspettala.
Povero Priamo
scordati d'Ecuba
vedova misera.
Causano l'ultimo
orrido esizio
Paride, e Elena.
| S
|
| |
Recitativo | |
|
Ahi tra tanti nemici
prova il mio petto solo
penuria di ferite,
né cade ancor la mia tra tante vite.
Cassandra, ohimè Cassandra
piango, piangi, piangiamo il caso estremo,
l'alba non rivederemo.
| |
CASSANDRA |
Madre, e regina mia,
più volte indovinai
questi ora succeduti ultimi guai.
Ma i vaticini miei
in vece d'oprar ben recaron noia,
né credenza ebbe mai Cassandra in Troia.
| |
ECUBA |
Questo è difetto antico
a noto cittadin non si dà fede,
a ignoto peregrin tutto si crede.
Vita mortale a dio,
mi licenzio da te;
non ti partir da me
cara figlia, e vien meco,
e la figlia, e la madre estinta cada
per una stessa man, per una spada;
e nel morir sotto il nemico ferro
si riconfonda il sangue nostro, e sia
questo misero ventre, onde nascesti,
lacerato non lunge dal tuo petto.
Riunisca la morte
ciò, che il nascer divise,
e della madre, e della figlia esangue
vada in sepolcro ad abbracciarsi il sangue.
Madri, troiane madri
esalate col pianto
dell'alma afflitta le reliquie, e sia
il morir di dolore
dell'inimico un occupar la gloria,
e scemare il trionfo a sua vittoria.
Benché s'io dritto miro
dopo svenati i vivi,
vorranno i fieri Argivi,
da reo furor, da fellonia sospinti
incrudelir ancor contro gli estinti.
Le paci delle ceneri interrate
saran contaminate,
ma non potrà veder l'empio destino,
se non con occhi torti,
che non siano sicuri in polve i morti.
Ulisse, Menelao
sviscereranno i ventri
delle pregnanti lasse,
usciranno gl'infanti
dalle piaghe materne, e non dagl'alvi,
così i non nati ancor non saran salvi:
e mentre non avran goduto ancora
del vital corso il debole principio,
le vite infanti, e l'anime bambine
saran costrette a sofferirne il fine.
Mira patria caduta,
i tuoi miseri figli
avanti il loro respirar spirati,
pria, che possedan alma esanimati.
Porgimi, figlia,
la man, che sento
non poter più;
andiam cercando
spada cortese,
che ci tolga ben tosto i dì mortali,
oggi la morte è 'l minimo de' mali.
| Ecuba, Cassandra ->
|
|
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Scena ottava |
Sinon greco. |
Sinone
|
| |
|
O con qual gusto,
con qual diletto
v'ho assassinati
troian mal nati.
Imparate a rapire
la moglie al greco re,
ve l'ho attaccata a fé.
Poco valea la spada
d'Ulisse, e Agammenone
se non era la fraude di Sinone.
Messer Paride volle
piantar le guglie in testa a un innocente:
povero Menelao mal avveduto
non era coronato, ma cornuto.
O quanti menelai
oggi van per il mondo;
giuro al cielo, non v'è né fin, né fondo:
la Grecia ha consumati,
diec'anni, e cento mila combattenti,
per celebrar la festa
del torsi le piramidi di testa:
e pur ve ne son tanti,
che sanno del satrapo,
e se le metton per quattrini in capo.
| |
| |
[Aria] | N
|
|
Ogn'un millanta
riputazione,
e se ne vanta
con le persone,
ma se l'argento, e l'oro comparisce
va la riputazion, l'onor svanisce.
| |
Ritornello | |
|
Da quanti s'usa
vestir di seta,
e a man profusa
sparger moneta.
Ma vengon quei danari, e quelle spoglie
dal trafficar della scaltrita moglie.
| Sinone ->
|
|
|
Scena nona |
Enea, ombra di Creusa. |
Enea, Creusa
|
| |
Recitativo | |
ENEA |
Deh chi m'insegna omai, deh chi m'addita
la smarrita consorte?
Torna con dubbio passo or la mia vita
tra ferro, e foco a ritentar la morte.
O Creusa, o Creusa, ove t'ascondi?
Dagli abissi, o dai cieli a me rispondi.
Destin dunque non basta
per mio flagello un miserando esilio,
se della cara moglie
non s'aggiunge la perdita? Hanno certo
i cieli le lor furie a quel, ch'io scerno,
e non è solo in crudeltà l'inferno.
| |
| |
|
Perdonatemi, o stelle, ancorché d'oro
abbiate il vago, e luminoso volto,
un feroce talento in voi raccolto
diluvia a noi mortali
sotto nome d'influsso angosce, e mali.
O madre del mio figlio,
sostegno a' miei pensieri,
consorte de' miei casi,
compagna di mia vita,
o Creusa, o Creusa, ove se' ita?
| S
(♦)
(♦)
|
| |
CREUSA ombra |
Enea, diletto Enea,
non ricercar tra vivi
la tua moglie svenata,
sentila in voce,
guardala in ombra,
dal cerchio de' mortali affatto esclusa,
io son lo spirto della tua Creusa.
Racconsola i singulti,
la volontà del cielo
non ammette contrasti.
Un cenno delle stelle
è legge all'universo,
però se morta io son, portalo in pace.
Mentr'io ti seguitavo
cento spade nemiche
mi colpirono il seno;
per cento spade entrò la morte cruda,
ma sol per una uscì la vita ignuda.
Vanne vedovo mio,
e della morte tua fedel compagna
porta il nome in deposito nel core.
La tua memoria pia
venga ad accarezzar l'anima mia.
A te del nostro caro,
ohimè del nostro, o dio,
del nostro, ah concedete,
ch'io possa dirlo, o tenerezze, o pianti,
del nostro caro figlio
raccomando il tesoro,
il dolce, il solo, il prezioso pegno,
a cui destina il ciel d'Italia il regno,
e nel nome d'Ascanio
ti lascio, che non posso
dopo pronunciato
questo nome di figlio,
ch'ogni amarezza, ogni tormento molce,
dirti parola, o Enea, che sia più dolce,
a dio consorte, a dio.
Non mi vedrai più viva;
sia della tua pietade
frequente ufficio il sospirarmi estinta,
ma sia di tua fortezza
parte dovuta il consolarti; e in tanto
ti lascio, e l'amor mio bacia il tuo pianto.
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ENEA |
O sparita speranza,
o spirata mia luce,
parto da Troia senza te? Sien dunque
senza tumulo degno
l'ossa onorate, e anderanno insieme
le ceneri plebee con le tue polvi?
Confonde la fortuna
le reliquie insensate,
ma discerne la gloria i merti, e i nomi.
Terra ignorante, oscura
i cadaveri involve;
fama dotta, e lucente
i titoli abbellisce, e l'opre innalza,
e da sepolcro ignoto
rifulge in faccia ai giorni
la memoria de' grandi
venerabile a secoli venturi.
Così vivrai Creusa,
e della tua pietà con grido eterno
testimonio saran trombe sonore.
Con la certa speranza
di tue future glorie asciugo i pianti,
e le versate lagrime sacrando
al loco ove cadesti
ti do, e ricevo l'ultimo congedo,
e senza moglie, e senza patria, o dèi
lascio in arbitrio al caso i passi miei.
A dio morta cittade,
a dio spento Ilione,
mura atterrate, e disperato regno,
estinto Priamo, conculcati altari,
miserande ruine
all'oblio destinate,
ecco lunge da voi me stesso invio,
spenta moglie, arsa patria, io vado a dio.
| Enea, Creusa ->
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Scena decima |
Venere, Fortuna. |
Venere, Fortuna
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VENERE |
Diva anzi più che diva,
con cui partì l'onnipotenza Giove,
fortissima Fortuna,
a cui soggiace quanto
la natura creò sotto la luna;
di Venere, che prega
per un figlio innocente
ascolta i voti, e racconsola i pianti.
Fugge per l'onde il mio
inclito figlio, il valoroso Enea;
non fugge per timor, ma per destino.
Gonfia tu le sue vele,
e sopranatural forza de' venti
in poco d'ora il porti
lontan dal greco mare
per lunghissimo tratto,
e verso Italia voli;
a te nulla è impossibile, o Fortuna,
anzi là tu cominci i tuoi gran fatti
ove ragione natural finisce,
e la tua forza immensa,
perché in tutto trionfa, il tutto ardisce.
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FORTUNA |
Tutto farò per ubbidirti, o bella
di Cipro imperatrice,
ciò, che non può natura
può la divinità: tosto vedrai
volar l'alta falange
del tuo famoso eroe, del grande Enea,
in poco d'ora fuor dell'onda egea.
Fenderan le prore
l'alto Mediterraneo; ma preveggo
orribili tempeste; io nondimeno
tanto farò, che salvo
arriverà il tuo figlio
al gran lido african fuori di periglio.
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VENERE |
Abbia la chioma tua
di stellato diadema onori eterni.
Ciprigna sarà sempre
memore grata a beneficio tanto.
Figlio mio, caro figlio, invitto Enea,
non temer punto più di noia alcuna,
se teco vien propizia la Fortuna.
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| Venere, Fortuna ->
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[Passata dell'armata] | N
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Qui passa l'armata troiana a vele gonfie e finisce il primo atto. | |
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