Atto primo

 

Scena prima

Titon, Aurora.

Titon, Aurora

 

TITON

Delicata fanciulla  

delle dolcezze mie

principio singolar, fonte, e radice,

Aurora mia diletta,

perché sorgi sì in fretta?

Perché godi vedere

con feroce talento,

mentre lagrimo, o bella,

aspergersi di brine dolorose

di mia canizie il vilipeso argento?

Se di rugiade dispensiera sei,

rugiade non voler dagl'occhi miei.

AURORA

E che vuoi ch'io consumi

in sciapite dimore

la vita mia con ozïoso amante,

che in pigra volontà le forze tiene,

e gode in fredda immagine il suo bene.

Abbraccia queste piume,

bacia questi guanciali,

con essi puoi sfogar in dolci errori

tuoi disarmati, et impotenti amori.

TITON

La mia fede così

tra scherni, e sprezzi va,

sdegnosa meco sta

colei che mi ferì.

Infelice Titon

malvoluto amator,

colei, che t'arde il cor,

non vuol udir ragion?

Ma lasso ad ogn'ingiuria, ad ogni oltraggio

si fa scopo, et oggetto

chi col peso degl'anni aggrava il letto.

 

AURORA

Giovanetta, che tiene  

il senso pien dell'amoroso affetto,

tramortisce, et isviene

s'è sforzata a tenersi un vecchio al petto,

che solo sa tra stenti, e tra rumori

tossir i baci, e barbottar gl'amori.

La possanza, che manca,

empie di sdegno il garrulo canuto,

quant'egli più si stanca,

più crede da sue forze aver tributo,

ma disingannato alfin dagl'anni oppresso

volta sue rabbie a bestemmiar sé stesso.

La man tremula crede

resuscitar le forze seppellite,

ma ben tosto s'avvede,

che chi non ha vigor non può far lite,

per il temporeggiar bastano i carmi,

ma al combatter alfin ci voglion l'armi.

 

 

Però Titon non fia  

tuo dispiacer, ch'il vero io ti racconti,

il tuo amor è follia,

credi a star sul meriggio, eppur tramonti;

credi alle rughe tue, credi allo specchio,

compendio d'ogni noia è l'esser vecchio.

Ma però non temere

caro Titon, affé credi ch'io t'amo,

e se teco talora

scherza, e ride l'Aurora,

non è però, ch'ella ti sprezzi, e scherna;

ti dirò la cagione

del mio sì tosto abbandonar le piume:

pregommi il dio del lume,

che volend'ei per suo diporto in terra

oggi scender a volo,

io voglia in vece sua

regger l'aurato, e luminoso carro;

e però qui ti lascio

tra i riposi felici,

e vado ad eseguir del Sol gl'uffici.

Or va', di' tu, che femminil bellezza

non fia pompa divina

se il sol istesso, il Sole

imperator degl'astri a lei s'inchina.

TITON

Vanne felice, ma sta' ferma, aspetta;

guarda, che tu non perdi

le redini, e non volga

sossopra il lume un'altra volta, e 'l mondo,

come fece Fetonte,

abbi gl'occhi, e le man veloci, e pronte.

AURORA

Dimanda all'alma tua,

interroga il tuo core,

se mia bellezza saprà far da Sole.

Volgiti in là, e t'acqueta,

che ben saprà con ordine novello

trattar raggi di Sole un viso bello.

 

Aurora, Titon ->

 

Scena seconda

Cirilla vecchia, Alfesibeo.

<- Cirilla

 

CIRILLA

Gradita povertà,  

mentre beni non ha

a litigar non va:

stolto il mondo non sa,

ciò, ch'entro all'oro sta.

Dorme in piume innocenti

di rondini e colombe,

o pur cortese paglia

adagia i miei dolcissimi riposi

in onta vostra, o letti alti, e pomposi.

Gradita povertà,

mentre beni non ha

a litigar non va.

Il rio, che qui vicino

corre con piè d'argento,

comparte a questo corpo,

che rassembra del tempo il simulacro,

dolce lavanda, e comodo lavacro.

Gradita povertà,

mentre beni non ha

a litigar non va.

L'invidia, o l'ambizione

non appesta i miei sensi,

genio semplice, e puro,

ch'all'innocenza altrui frodi non tesse,

non conosce perfidia, né interesse.

Gradita povertà,

mentre beni non ha

a litigar non va.

Questa cadente etade

sempre più mi rallegra,

perché di giorno in giorno

più m'avvicino alla beata sorte,

che per passare al ciel ponte è alla morte.

Gradita povertà,

mentre beni non ha

a litigar non va.

Chi scaccia il sonno a forza

traballa, et isbadiglia,

e gl'occhi stanchi, e fralli,

che per l'età chiaro guardar non ponno,

per non si contristar, stan chiusi al sonno.

 

 

Ma che torbido sogno  

m'inquieta stamane.

Mi par che in questa piaggia

una donzella vaga, e delicata

si fu in ruvido tronco trasformata.

Ma colà vedo il saggio

Alfesibeo, ch'intende

di natura, e del cielo

le ragioni recondite, e profonde,

ei saprà dir ciò, che 'l mio sogno asconde.

 

<- Alfesibeo

ALFESIBEO

Sorgi bianco principio  

del luminoso giorno,

e coi tuoi vivi, e lucidi splendori

risuscita dall'ombre i bei colori.

Par che rinasca il mondo

dal grembo della notte,

e mentre dalle tenebre ei rinasce

i primi albori a lui servon di fasce.

Deh quanto è più felice

quel mondo glorioso,

che non soggiace all'ombre oscure, e rie,

e lieto gode un infinito die.

Ma che fai sì per tempo

cadente vecchierella,

il cui passo in andando

misura gl'intervalli al tuo sepolcro;

perché non dai quest'ora

al riposo, ed al sonno? Ove ne vai?

CIRILLA

Cerco te solo Alfesibeo gentile,

per intender da te quel, che portenda

un sogno, che m'apparse poco dianzi.

ALFESIBEO

E quale sogno fu?

CIRILLA

Or l'intenderai tu.

Pareami che nel suol

s'abbarbicasse il piè

d'una ninfa gentil,

ch'arbore divenuta in un momento

rumoreggiasse con le frondi al vento.

ALFESIBEO

Altrettanto vid'io

già poco d'ora in sogno,

e interpretar non so tanta figura.

Andianne, e sia mia cura

di ritentar gl'antichi studi, et arti,

per ritrovar un così occulto senso,

che istupidir mi fa più, che ci penso.

CIRILLA

Vanne, che passo passo

l'andar tuo seguirò.

Tremulo piè non può

mover celere il corso,

e vicino al suo fine il moto umano

tardo vien, lento move, e va pian piano.

 

Alfesibeo, Cirilla ->

 

Scena terza

Giove, Venere, Amore.

<- Giove, Venere, Amore

 

GIOVE

Figlia, le cui bellezze  

illustrano di raggi il cielo, e gl'astri,

qual novello cordoglio

osa introdur i pianti

negl'occhi tuoi divini?

Come, come son fatte

fonti di stille amare

le fontane del lume?

Qual dispiacer promuove

il tuo bel petto ad esalar sospiri?

Come nella tua fronte,

che di serenità sovrasta al sole,

osa mestizia oscura aver soggiorno?

Deh non scenda all'inferno

l'allegrezza del cielo,

né godan mai quei spirti indegni, e rei

veder piangenti in paradiso i dèi.

Se consolar si ponno

dell'alma tua l'angosce,

tutte si tenteran l'arti, e le prove,

tutto farà sol per giovarti Giove.

VENERE

Quel temerario Apollo

ch'ardì mostrarmi ignuda

al mio zappo marito,

quand'io stavo con Marte

ad imparar della milizia gl'usi,

sempre più mi schernisce,

e dalle offese mie cava lo scherzo,

né comparir può in cielo

l'amorosa mia stella

senza sentir da lui gl'oltraggi, e l'onte.

Padre, e signor ti prego,

mentre puoi ciò, che vuoi,

e vuoi sempre giustizia,

con una voce sola

leva il mal, lui castiga, e me consola.

GIOVE

Non ti turbar, o Citerea gentile,

sono scherzi giocondi,

non ingiurie, e dispetti

quelli, che teco adopra il biondo dio.

E s'egli chiamò tutta

la stellante contrada,

perché vedesse le tue membra ignude,

fu perché non essendo egli capace

di tanta gloria in vagheggiarti solo,

chiamò compagni tutti gl'altri numi,

e gli diedero aita,

per non restar confuso in tanti lumi.

VENERE

Io vorrei castigar tanta baldanza,

vorrei fiaccar l'ardire a tanto orgoglio.

L'offesa perdonata

provoca l'offensore

a farne una maggiore,

chi vendica la prima

non ne riceve d'altre.

Chi si sa vendicar, sempre è sicuro,

che la vendetta armata

l'onor circonda di custodia, e muro.

GIOVE

Al tuo possente figlio

imponi le vendette.

Egli ha ben tanto ardire,

e può vibrar tal armi,

ch'Apollo sentirà del tuo disdegno

qualche per sempre memorando segno.

AMORE

Comanda, o genitrice,

ch'io farò, non dirò,

e 'l sole oltraggiator castigherò.

VENERE

Vattene figlio va',

nel tuo valor la mia vendetta sta.

GIOVE

Amore impiega l'armi,

contro Apollo insolente,

ma guarda, ch'egli alfin non ti disarmi,

onde poi senza l'arco, e senza i dardi,

con cui costumi di ferir gl'amanti

non venghi il cielo a riempir di pianti.

AMORE

Io torrò l'arco a lui,

e lo farò restar di glorie privo.

Madre fo' questo editto,

oggi mesto, ed afflitto

della Tessaglia in fra le selve, e i sassi

di corruccio vestito il sol vedrassi.

 

Venere, Giove, Amore ->

 

Scena quarta

Dafne, coro di Ninfe.

<- Dafne, ninfe

 

DAFNE

O più d'ogni ricchezza  

prezioso tesoro,

disoccupato core

dalle voglie d'amore,

gradita libertade,

volontà non offesa,

contento sovraumano

aver l'arbitrio sano,

anima, che non sente

sforzo, che tiranneggi,

veramente confessa

esser cielo a sé stessa.

 

 

Mentre limpida, e pura  

concede a' suoi pensier liberi i voli,

core, che non soccombe

all'amorosa forza,

felicità sospira in vece d'aure,

e se palpita mai

lo fa per allegrezza, e non per guai

aprimi l'uscio d'oro

condottiera del dì lucida diva,

sempre mi troverai

in libertà sicura

del velenoso amor senza paura.

Espero, che racchiudi

del sole, che tramonta i raggi stanchi,

tu non mi lascerai

in preda a notte sospirosa, e trista.

Amore non m'avrà sua prigioniera,

vedrammi in libertà l'alba, e la sera.

Erbe dalla rugiada

vagamente imperlate,

vegetanti smeraldi,

dilettose verdure,

riconoscete Dafne a tutte l'ore

inimica d'amore.

Mormoranti ruscelli

ondosi specchi, e cristalline fonti,

da lubrico zaffir correnti vene

di benefatto argento,

preziosi, e dolcissimi canali

non ho timor degli amorosi strali.

 

Colle aprico,  

bosco ombroso,

verde prato,

siano delizie mie, siano diletti,

stiano in disparte gli amorosi affetti.

 

 

Porgimi ninfa bella  

l'armonica mia cetra,

ch'io vuò cantar con giubilosi modi

dell'alma libertà le vere lodi.

Libertade gradita,

balsamo della vita,

che ne preserva il core

dall'infezion d'amore,

l'alma mia ti richiede,

che in lei tu voglia stabilir tua fede.

 

Tu sei l'unico bene,  

che la vita sostiene,

tu sei la sola pace

della vita fugace,

che dove tu non vivi

i cori in servitù d'alma non privi.

Stiansi pure perdute

e ricchezza, e salute,

che se ben ricco, e sano

vive lo stato umano,

se cinto è da catena,

venen gli è d'oro, e la salute pena.

 

 

Ma però non ancora io son contenta,  

se con danze, e carole, o belle ninfe,

del mio libero core

non si celebra il gaudio senza fine.

Danzate con pastori

liberi dagli amori.

Schietta dolcezza,

pura allegrezza

sian de' Tessali cori i godimenti,

né lascivo sospir mai turbi i venti.

 

<- pastori

Qui cade il ballo.
 

CORO

Danzate, o ninfe, e pastorelli, e siano  

le vostre danze sacrifici al genio,

pria che l'età ci adduca al freddo senio,

di letizia gentil segni si diano.

Cantico e giubilo

mormori armonico,

danzino, e saltino

femmine, ed uomini,

ridano, esultino

gl'animi tessali.

Deponga l'alma ogni gravoso incarico,

mentre or gaie allegrezze si rinnovano,

mentre felici i nostri cori provano

vacanza d'ogni torbido rammarico.

Cantico e giubilo

mormori armonico,

danzino, e saltino

femmine, ed uomini,

ridano, esultino

gl'animi tessali.

 

DAFNE

Musica dolce, musica tu sei  

vera similitudine celeste,

ecco al suono del ciel fan le foreste,

e imitati da noi ridono i dèi.

Seguite pur l'incominciato ballo

giulive ninfe, allegri pastorelli,

facciano i piedi vostri i paralleli

a chi lassù non pon mai piede in fallo.

 

CORO

Or rinnoviamo i lieti balli, e vengano

dal ciel sopra di noi vere letizie,

chi vive senza amor sempre ha delizie

dunque d'amar i saggi cor s'astengano.

Cantico e giubilo

mormori armonico,

danzino, e saltino

femmine, ed uomini,

ridano, esultino

gl'animi tessali.

Chi sprezza libertà stolto si nomini,

servitute d'amor indegna, e ignobile,

chi libero non è, non può esser nobile,

la sola libertà fa illustri gl'uomini.

 

ninfe, pastori ->

 

Scena quinta

Filena. Dafne.

<- Filena

 

FILENA

Quel bel fior di giovinezza,    

che le guance t'invermiglia,

quel candor d'alta bellezza,

che le mani, e 'l sen t'ingiglia,

l'oro fin, che per vaghezza

ne' tuoi crini s'assottiglia,

perirà, caderà,

più fugace del lampo è la beltà.

Quel tesor del labbro bello,

che vezzozo coralleggia,

quel loquace spiritello,

che tra perle rubineggia,

quel purpureo serpentello,

che dolcissimo lingueggia,

perirà, caderà,

più fugace del lampo è la beltà.

Sconsigliata verginella,

tu non sai del tempo i danni,

gl'aurei titoli di bella

calca alfine il piè degl'anni,

questa età fresca, e novella,

vana Dafne, non t'inganni,

perirà, caderà,

più fugace del lampo è la beltà.

S

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DAFNE

Quanto più breve è il termine vitale  

tanto più lietamente

spender si deve in dilettosi uffici,

cara amica Filena, e tu che dici?

 

FILENA

Dico, che senza amore  

la vita è un fumo oscuro,

una nebbia infelice,

e che la gioventù,

april del viver nostro,

se non consente al sangue,

e se non s'innamora

dolce non gode, e consolata un'ora.

Le vive granatiglie

delle tue guance belle,

se non sono baciate

da innamorata bocca

cadran sfiorite alfine.

La bellezza invecchiata

da tutti è beffeggiata.

Ninfa non vagheggiata, e non goduta

è una morta pittura,

che soggiace alla polve,

è una fredda sembianza

una tella insensata,

che in superficie vana

conserva l'ombra sol di cosa umana.

Dafne, credilo a me,

tardi ti pentirai,

vorrai gl'amanti, e non li troverai.

 

DAFNE

Pur sempre mi tormenti  

con queste tue follie,

e vorresti condurmi

a tradir la mia vita,

a porre in servitù l'arbitrio mio,

se d'altro non mi parli, io parto, addio.

FILENA

Ferma insipida ninfa,

non esser aspe agl'ottimi consigli.

Se non ami, che vuoi far?

Chi non conosce amore

serra nel petto un ozïoso core.

Ti produsse natura,

il cielo ti creò,

perché fosse il tuo fiore

nell'alba de' tuoi dì colto, e goduto,

e tu aspetti l'occaso

dell'inutile età sol per vedere

secco il fior di bellezza

cadente, e infracidito

dal vilipendio altrui mostrato a dito.

Ho pietà della tua

stolidità insensata:

sappi superba sappi,

che i veri documenti

chi presto non riceve

diffuso in pianti il pentimento beve,

e negl'anni canuti

la volontà pentita

non sa tornare indietro

la già trascorsa vita,

ed il battersi il petto

ed in singulti consumar i fiati

non reca giovamento a disperati.

Una volta si nasce,

una volta si more,

lo spazio della vita

è una carriera sola.

Godiam la luce infin, che dura il giorno,

che l'andata mortal non fa ritorno.

DAFNE

Orsù non replicar, Filena mia,

ch'io vo' di queste selve

godendo bell'ombre, e i grati orrori,

e lascio te con tuoi cantati amori.

 

Dafne ->

 

Scena sesta

Filena sola.

 

 

Come folle sei tu,  

superba, e pertinace gioventù.

Il colorito pomo,

che in alto ramo è nato,

sdegna d'esser toccato

dalle mani dell'uomo,

ma cade a terra alfin da' rami infermi,

e la superbia sua finisce in vermi.

Così pazza donzella

non vuol ch'altri la miri,

e par ch'ella s'adiri,

se d'amor si favella,

ma se i nobili amanti aborre, e sprezza,

alfine è de' plebei vile dolcezza.

Imparate, imparate

donne finché potete

il grano raccogliete

nel calor dell'estate.

Qualche frutto all'autunno ancor si coglie

ma fa quella stagion cader le foglie.

Ogni pianta più vile,

se d'ottobre è spogliata

torna ad esser ornata

dal bel fiorito Aprile,

ma nell'uman brevissimo viaggio

si gode sol per una volta il maggio.

Donna amata, e servita

dal gentil amatore

non frapponga dimore

all'amorosa aita;

dura un sol lampo il fior del nostro sesso,

e la vita del lampo è un solo adesso.

Il ben dura momenti,

ma duran sempre i guai,

né più ritornan mai

i passati contenti,

chi convien soggiacere ai casi umani

rise ieri, oggi piange, e muor dimani.

 

Filena ->

 

Scena settima

Cefalo, Aurora.

<- Cefalo, Aurora

 

CEFALO

E quando farà il dì,  

che ti piaccia qua giù

scender, luce mia sola, Aurora mia,

quando il punto verrà,

ch'il tuo Cefalo avrà

quel con tanto ardor sempre desia.

Tormentoso aspettar

quando finirai tu

coll'arrivo fatal della mia vita?

Che più sperar non so,

resister più non può

l'anima da sospiri indebolita.

Lacrimato mio ben

pon fini a' miei martir,

discendi a consolar l'angosce mie;

vieni dal puro ciel

in braccio al tuo fedel,

fa', ch'io goda beato un solo die.

Conosco ben, conosco,

che l'amar una dea

trascende troppo le fiacchezze umane,

castigato rimane

l'ardimento del core

dal mio proprio acerbissimo dolore.

AURORA

Ben è cieco Titon, se crede, ch'io

siasi per tempo sorta,

per regger inesperta

del pianeta maggior l'aurato carro.

Altro mi punge il core,

che dimostrare al mondo

d'esser vicaria in ciel de' rai del sole.

Ho fabbricato un'apparente scusa

sul discender d'Apollo in queste piagge,

ma in terra m'ha condotto il sol desio

di veder il mio Cefalo, il cor mio.

CEFALO

Se il lume non m'abbaglia

ecco la mia diletta;

sì ch'ella è dessa, sì:

mio cor lascia i lamenti,

risorgi da tormenti,

mira quegl'occhi cari,

raffigura il dolcissimo sorriso,

divinizza il tuo foco in quel bel viso.

AURORA

Cefalo?

CEFALO

Aurora mia?

AURORA

Mio dolce amico?

CEFALO

Ohimè quanto indugiasti

a venir, vaga mia,

la penosa dimora

ha fatto del mio core anatomia.

AURORA

Ho finto con Titone

d'ascender l'orbe quarto,

per sostener le veci oggi del sole,

mentr'egli è sceso in queste selve amene,

e intanto son venuta a te mio bene.

CEFALO

Non nominar Titone:

il suo nome è un coltello,

che passa ohimè per questi orecchi, e vien

a far dell'alma mia strage, e macello.

AURORA

Pazzarello sei tu: quel vecchio adunque

agita la tua pace,

e quel canuto mento,

in cui decrepita registra gli anni

ti move gelosia?

CEFALO

Tu dormi seco, ed io

qui per le selve vo mendico amante,

ed egli tra guanciali agili, e lievi

gode in piacer eterno

del tuo bel seno l'incarnate nevi.

AURORA

Io non lo bacio mai.

Quelle barbute, e setolose labbra

son boschi odiosi,

né in quelli mai potrei

inselvar, imprunar i baci miei.

CEFALO

Deh non parlar de' baci,

che quella soavissima parola

mi martirizza dolcemente i sensi.

Titon, Titon è il tuo,

il solo, il caro, il fortunato amante.

AURORA

So, che vaneggi, o Cefalo gentile,

e mi pungi da scherzo, e d'allegria.

L'amante giovinetto

non dée temer del vecchiarello inerme;

amor può dar a tutti

guiderdone, e mercede,

ma non può sua virtute

far amabili mai chiome canute.

 

Ben da dovero stolti  

son gl'amanti canuti,

se in paragon de' lor rugosi volti

credon, ch'un giovinetto si rifiuti.

Son sempre mal veduti, e mal graditi

vecchi Narcisi, e Adoni rimbambiti.

Sappia l'ispida piuma,

che la lanugine d'oro

è quella, che alle ninfe il cor consuma

in dolce, e soavissimo martoro.

Cedano i padri pur, cedano ai figli,

ch'amor ricerca forze, e non consigli.

 

 

La fresca giovanezza  

è 'l giardin degl'amori,

e la fredda, ed insipida vecchiezza

è l'arca dei dispetti, e dei rancori,

mentre non può allenar le forze frali

proverbi intreccia, e riferisce annali.

E se ben rade, e cava

il pel pungente, e vecchio,

però gl'anni non scema, e i dì non lava,

né bugie gli può dir l'amico specchio.

Né l'ambra, negli odor più delicati

pon far tornare indietro i giorni andati.

Disamar dolce pomo,

per gradir rozzo sorbo

è un tralasciare in abbandono l'uomo,

è infracidirsi per gustare al corbo

insomma ninfa, ch'ama un vecchio frale,

mostra de' cimiteri esser rivale.

Però Cefalo mio,

non temer di Titone,

né sospettar, che la mia fede pura

abbia lusinghe in bocca, e frodi in seno.

Te solo adoro, e per te solo amando

in dolcissima fiamma ardo, e sfavillo;

in me t'impresse amor, né può stampare

impronti differenti un sol sigillo.

Oh dio, tu pur vaneggi,

e formi sospettando

un ideale inferno

alla tua fantasia,

e pur tu solo sei l'anima mia.

CEFALO

Credo, che m'ami sì, ma il cor vorrebbe

un giuramento, sai?

AURORA

Giuro per questi rai,

che m'han trafitta l'anima innocente,

e giuro finalmente

per te stesso a te stesso,

che in questo core ha scritto il cieco dio,

Cefalo sei il mio ben, l'idolo mio.

CEFALO

Andianne adunque, o bella,

e nell'antro più cupo

confessino gl'orrori

di non invidiar la luce al die,

mentre nel fosco loro vederassi

meco scherzando in dilettosa guerra

sul meriggio albeggiar l'Aurora in terra.

AURORA

Andiam, Cefalo, andiamo,

e non più le parole,

ma il fatto t'assicuri,

e l'opra stessa i miei tormenti giuri.

 

Aurora, Cefalo ->

 

Scena ottava

Procri sola.

<- Procri

 

 

Volgi, deh volgi il piede    

bellissimo assassin della mia fede.

Dico rivolgi il piè

o mancator, perché

dal tuo novello, ed invocato amore

non spero più, che tu rivolga il core;

sia pur la tua rival de' sensi tuoi,

e di pensieri il punto, ed il compasso,

e lasci a me sol del tuo piede un passo.

Io son pur quella Procri,

che dagli amori tuoi delizia fu.

Lassa, io m'inganno, io non son quella più.

O spergiuro infedele,

io nell'Aurora tua

sospiro la mia sera,

e vedo il disperato mio desio.

Nell'altezze di lei l'abisso mio,

e pur ancora io t'amo,

il tradimento, ohimè mi svena il core,

e al mio dispetto adoro il traditore.

Così povero adunque

è il cielo di bellezze,

che cercano le dèe gli amanti in terra?

Ha penuria l'Olimpo

d'amabili sembianze?

Né sa l'aurora ritrovarsi amanti,

s'alle mie calde innamorate voglie

le dolcezze non ruba, e 'l ben non toglie.

S

 

 

Cefalo torna a me,  

io son colei, che tua diletta fu,

lassa, io m'inganno, io non son quella più.

 

 

Ohimè la gelosia  

mi stimola a bestemmie, ed a furori.

Ma perch'è diva l'alta mia rivale,

religione, e riverenza insieme

sul fondo al core i miei singulti preme,

ma 'l peggiore del mio non ha l'inferno.

Pon maledire i miseri dannati,

io trafitta, ed ardente, e lacerata

dannata son, e maledir non posso.

 

 

Cefalo riedi a me,

io son colei, ch'idolo tuo già fu,

lassa, io m'inganno, e non son quella più.

 

 

Deh ricevete, o selve,

accettate, o deserti

d'un pianto amaro il tacito tributo:

eccessivo è il dolor quand'egli è muto.

 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo
Titon, Aurora
 

Delicata fanciulla

Però Titon non fia

Aurora, Titon ->
<- Cirilla

Ma che torbido sogno

Cirilla
<- Alfesibeo

Sorgi bianco principio

Alfesibeo, Cirilla ->
<- Giove, Venere, Amore

Figlia, le cui bellezze

Venere, Giove, Amore ->
<- Dafne, ninfe

Mentre limpida, e pura

Porgimi ninfa bella

Ma però non ancora io son contenta

Dafne, ninfe
<- pastori

(qui cade il ballo)

Musica dolce, musica tu sei

 
Dafne
ninfe, pastori ->
Dafne
<- Filena

Quanto più breve è il termine vitale

Pur sempre mi tormenti

Filena
Dafne ->

Come folle sei tu

Filena ->
<- Cefalo, Aurora

E quando farà il dì

La fresca giovanezza

Aurora, Cefalo ->
<- Procri

Volgi, deh volgi il piede

Ohimé la gelosia

 

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava
Prologo Atto secondo Atto terzo

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