Prologo

 

Scena unica

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La tragedia

 

LA TRAGEDIA

Io, che d'alti sospir vaga e di pianti  

spars'or di doglia, or di minacce il volto

fei negl'ampi teatri al popol folto

scolorir di pietà volti, e sembianti.

Non sangue sparso d'innocenti vene

non ciglia spente di tiranno insano,

spettacolo infelice al guardo umano

canto su meste, e lagrimose scene.

Lungi via lungi pur da regi tetti

simolacri funesti, ombre d'affanni,

ecco i mesti coturni, e i foschi panni

cangio, e desto nei cor più dolci affetti.

Or s'avverrà, che le cangiate forme

non senza alto stupor la terra ammiri,

tal ch'ogni alma gentil ch'Apollo inspiri

del mio novo cammin calpesti l'orme.

Vostro regina sia cotanto alloro

qual forse anco non colse Atene, o Roma,

fregio non vil fu l'onorata chioma

fronda febea fra due corone d'oro.

Tal per voi torno, e con sereno aspetto

ne' reali imenei, m'adorno anch'io,

e su corde più liete il canto mio

tempro al nobile cor dolce diletto.

Mentre Senna real prepara intanto

alto diadema, onde il bel crin si fregi,

e i manti, e seggi degl'antichi regi

del tracio Orfeo date l'orecchia al canto.

 

Fine (Prologo)

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