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L'Euridice

L'EURIDICE

Dramma musicale.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Ottavio RINUCCINI.
Musica di Jacopo PERI.

Prima esecuzione: 6 ottobre 1600, Firenze.


Interlocutori:

LA TRAGEDIA

soprano

EURIDICE

soprano

ORFEO

tenore

ARCETRO pastore

contralto

TIRSI pastore

tenore

AMINTA pastore

tenore

DAFNE nunzia

soprano

VENERE

soprano

PLUTONE

basso

PROSERPINA

soprano

RADAMANTO

tenore

CARONTE

basso


Coro di Ninfe, e Pastori. Coro di Ombre, e Deità d'inferno.



Alla cristianissima Maria Medici regina di Francia, e di Navarra

È stata opinione di molti cristianiss. regina, che gl'antichi Greci, e Romani cantassero su le scene le tragedie intere, ma sì nobil maniera di recitare non che rinnovata, ma né pur che io sappia fin qui era stata tentata da alcuno, e ciò mi credev'io per difetto della musica moderna di gran lunga all'antica inferiore, ma pensiero sì fatto mi tolse interamente dell'animo m. Iacopo Peri, quando udito l'intenzione del sig. Jacopo Corsi, e mia mise con tanta grazia sotto le note la favola di Dafne composta da me solo per far una semplice prova di quello, che potesse il canto dell'età nostra che incredibilmente piacque a que pochi, che l'udirono, onde preso animo, e dato miglior forma alla stessa favola, e di nuovo rappresentandola in casa il sig. Jacopo, fu ella non solo dalla nobiltà di tutta questa patria favorita, ma dalla serenissima gran duchessa, e gl'illustrissimi cardinali Dal Monte, e Montalto udita, e commendata, ma molto maggior favore, e fortuna ha sortito l'Euridice messa in musica dal medesimo Peri, con arte mirabile, e da altri non più usata avendo meritato dalla benignità, e magnificenza del sereniss. gran duca d'essere rappresentata in nobilissima scena alla presenza di v. m. del cardinale Legato, e di tanti principi, e signori d'Italia, e di Francia, la onde cominciando io a conoscere, quanto simili rappresentazioni in musica siano gradite, ho voluto recar in luce queste due, perché altri di me più intendenti si ingegnino di accrescere, e migliorare siffatte poesie, di maniera, che non abbiano invidia a quelle antiche tanto celebrate da i nobili scrittori. Potrà parere ad alcuno, che troppo ardire sia stato il mio in alterare il fine della favola d'Orfeo, ma così mi è parso convenevole in tempo di tanta allegrezza, avendo per mia giustificazione esempio di poeti greci, in altre favole, e il nostro Dante ardì di affermare essersi sommerso nella sua navigazione, tutto che Omero, e gl'altri poeti avessero cantato il contrario. Così parimente ho seguito l'autorità di Sofocle nel l'Aiace in far rivolgere la scena non potendosi rappresentar altrimenti le preghiere, e i lamenti d'Orfeo. Riconosca v. m. in queste mie ben che piccole fatiche l'umil devozione dell'animo verso di lei, e viva lungamente felice per ricever da iddio ogni giorno maggior grazie, e maggior favori.

Di Firenze il dì d'ottobre 1600

Di v. m. umiliss. servitore

Ottavio Rinuccini

Prologo
Scena unica

LA TRAGEDIA

Io, che d'alti sospir vaga e di pianti

spars'or di doglia, or di minacce il volto

fei negl'ampi teatri al popol folto

scolorir di pietà volti, e sembianti.

Non sangue sparso d'innocenti vene

non ciglia spente di tiranno insano,

spettacolo infelice al guardo umano

canto su meste, e lagrimose scene.

Lungi via lungi pur da regi tetti

simolacri funesti, ombre d'affanni,

ecco i mesti coturni, e i foschi panni

cangio, e desto nei cor più dolci affetti.

Or s'avverrà, che le cangiate forme

non senza alto stupor la terra ammiri,

tal ch'ogni alma gentil ch'Apollo inspiri

del mio novo cammin calpesti l'orme.

Vostro regina sia cotanto alloro

qual forse anco non colse Atene, o Roma,

fregio non vil fu l'onorata chioma

fronda febea fra due corone d'oro.

Tal per voi torno, e con sereno aspetto

ne' reali imenei, m'adorno anch'io,

e su corde più liete il canto mio

tempro al nobile cor dolce diletto.

Mentre Senna real prepara intanto

alto diadema, onde il bel crin si fregi,

e i manti, e seggi degl'antichi regi

del tracio Orfeo date l'orecchia al canto.

Atto unico
Scena prima

[Selva.]

CORO

Ninfe ch'i bei crin d'oro

sciogliete liete allo scherzar de' venti,

e voi ch'almo tesoro

dentro chiudete a bei rubini ardenti,

e voi ch'all'alba in ciel cogliete i vanti

tutte venite, o pastorelle amanti,

e per queste fiorite alme contrade

risuonin liete voci, e lieti canti:

oggi a somma beltade

giunge sommo valor santo imeneo,

avventuroso Orfeo,

fortunata Euridice,

pur vi congiunse il cielo, o dì felice.

NINFE

Raddoppia, e fiamm'e lumi

al memorabil giorno

Febo ch'il carro d'or rivolgi intorno.

PASTORI

E voi celesti numi

per l'alto ciel con certo moto erranti,

rivolgete sereni

di pace, e d'amor pieni

alle bell'alme i lucidi sembianti.

NINFE

Vaghe ninfe amorose

inghirlandat'il crin d'alme viole

dite liete, e festose

non vede un simil par d'amanti 'l sole.

EURIDICE

Donne, ch'a' miei diletti

rasserenate lo sguardo, e 'l volto,

che dentr'a vostri petti

tutto rassembra il mio gioir raccolto,

deh come lieta ascolto

i dolci canti, e gli amorosi detti

d'amor, di cortesia graditi affetti.

PASTORI

Qual in sì rozzo cuore

alberga alma sì fera, alma sì dura

che di sì bell'amor l'alta ventura

non colmi di diletto e di dolcezza

credi ninfa gentile

pregio d'ogni bellezza

che non è fera in bosco, augello, in fronda,

o muto pesce in onda,

ch'oggi non formi, e spiri

dolcissimi d'amor sensi, e sospiri,

non pur son liete l'alme, e lieti i cori

de' vostri dolci amori.

EURIDICE

In mille guise, e mille

crescon le gioie mie dentro al mio petto

mentre ogn'una di voi par che scintille

dal bel guardo seren riso, e diletto,

ma deh compagne amate

là tra quell'ombre grate

moviam di quel fiorito almo boschetto

e quivi al suon de' limpidi cristalli

trarrem liete carole, e lieti balli.

CORO

Itene liete pur, noi qui frattanto

che sopraggiunga Orfeo

l'ore trapasserem con lieto canto.

Al canto, al ballo, all'ombre, al prato adorno

alle bell'onde, e liete

tutti, o pastor correte

dolce cantando in sì beato giorno.

Selvaggia diva, e boscherecce ninfe

satiri e voi silvani

reti lasciat'e cani,

venite al suon delle correnti linfe.

Al canto, al ballo, all'ombra, al prato adorno

alle bell'onde, e liete

tutti, o pastor correte

dolce cantando in sì beato giorno.

Bella madre d'amor dall'alto coro

scendi a' nostri diletti

e, co' bei pargoletti

fendi le nubi, e 'l ciel con l'ali d'oro.

Al canto, al ballo, all'ombra, al prato adorno

alle bell'onde, e liete

tutti, o pastor correte

dolce cantando in sì beato giorno.

Corran di puro latte, e rivi, e fiumi

di mel distilli, e manna

ogni selvaggia canna,

versat'ambrosia e voi celesti numi.

Al canto, al ballo, all'ombra, al prato adorno

alle bell'onde, e liete

tutti, o pastor correte

dolce cantando in sì beato giorno.

Scena seconda

ORFEO

Antri ch'a' miei lamenti

rimbombaste dolenti amiche piagge,

e voi piante selvagge,

ch'alle dogliose rime

piegaste per pietà l'altere cime,

non fia più no, che la mia nobil cetra

con flebil canto a lagrimar v'alletti,

ineffabil mercede, almi diletti

amor cortese oggi al mio pianto impetra.

Ma deh perché sì lente

del bel carro immortal le rotte accese

per l'eterno cammin tardano il corso?

Sferza padre cortese

a volanti destrier, le groppe, e 'l dorso.

Spegni nell'onde omai,

spegni, o nascondi i fiammeggianti rai.

Bella madre d'amor dall'onde fora

sorgi, e la nott'ombrosa

di vaga luce scintillando indora.

Venga deh venga omai la bella sposa

tra 'l notturno silenzio, e i lieti orrori

a temprar tante fiamme, e tanti ardori.

ARCETRO

Sia pur lodato amore

che d'allegrezza colmo

pur nella front'un dì ti vidi il core.

ORFEO

O mio fedel né pur picciola stella

agl'occhi tuoi traspare

dell'infinito mare

che di dolcezza amor nel cor distilla.

ARCETRO

Or non ti riede in mente

quando fra tante pene

io ti dicea sovente,

armati il cor di generosa speme,

che de' fedeli amanti

non ponno al fin delle donzelle i cori

sentir senza pietà le voci, e pianti.

Ecco ch'a' tuoi dolori

pur s'ammolliro al fine

del disdegnoso cor gl'aspri rigori.

ORFEO

Ben conosc'or, che tra pungenti spine

tue dolcissime rose

amor serbi nascose, or veggio, e sento

che per farne gioir ne dai tormento.

TIRSI

Nel puro ardor della più bella stella

aurea facella di bel foco accendi

e qui discendi su l'aurate piume

giocondo nume, e di celeste fiamma

l'anime infiamma.

Lieto imeneo d'alta dolcezza un nembo

trabocca in grembo a' fortunati amanti,

e tra bei canti di soavi amori

sveglia ne' cori una dolce aura, un riso

di paradiso.

ARCETRO

Deh come ogni bifolco, ogni pastore

a' tuoi lieti imenei

scopre il piacer ch'entro racchiude il core.

TIRSI

Del tuo beato amor gl'alti contenti

crescano ognor come per pioggia suole

l'onda gonfiar de' rapidi torrenti.

ORFEO

E per te Tirsi mio liete, e ridenti

sempre le notti, e i dì rimeni il sole.

DAFNE

Lassa, che di spavento, e di pietate

gelami il cor nel seno

miserabil beltate.

Come in un punto ohimè venisti meno,

ahi che lampo, o baleno

in notturno seren ben ratto fugge,

ma più rapida l'ale

affretta umana vita al dì fatale.

ARCETRO

Ohimè che fia già mai

pur or tutta gioiosa

al fonte degl'allor costei lasciai.

ORFEO

Qual così ria novella

turba il tuo bel sembiante

in questo allegro dì gentil donzella.

DAFNE

O del gran Febo e delle sacre dive

pregio sovran di queste selve onore

non chieder la cagion del mio dolore.

ORFEO

Ninfa deh sia contenta

ridir perché t'affanni

che taciuto martir troppo tormenta.

DAFNE

Com'esser può già mai

ch'io narri, e ch'io riveli

sì miserabil caso? O fato, o cieli,

deh lasciami tacer, troppo il saprai.

CORO

Di pur sovente,

del timor l'affanno

e dell'istesso mal men grave assai.

DAFNE

Troppo più del timor fia grave il danno.

ORFEO

Ah non sospender più l'alma dubbiosa.

DAFNE

Per quel vago boschetto

ove rigando i fiori

lento trascorre il fonte degl'allori,

prendea dolce diletto

con le compagne sue la bella sposa,

chi violetta, o rosa

per far ghirlande al crine

togliea dal prato, e dall'acute spine,

e qual posando il fianco

su la fiorita sponda

dolce cantava al mormorar dell'onda.

Ma la bella Euridice

movea danzando il piè sul verde prato,

quando ria sorte acerba

angue crudo, e spietato,

che celato giacea tra fiori, e l'erba

punsele il piè con sì maligno dente,

ch'impallidì repente

come raggio di sol che nube adombri,

e dal profondo core

con un sospir mortale,

sì spaventoso ohimè, sospinse fore

che quasi avesse l'ale

giunse ogni ninfa al doloroso suono,

ed ella in abbandono

tutta lasciossi allor nell'altrui braccia,

spargea il bel volto, e le dorate chiome

un sudor vie più freddo assai che ghiaccio.

Indi s'udio il suo nome

tra le labbra sonar fredde e tremanti

e volti gl'occhi al cielo

scolorito il bel viso, e i bei sembianti

restò tanta bellezza immobil gelo.

ARCETRO

Che narri, ohimè, che sento

misera ninfa, e più misero amante

spettacol di miseria, e di tormento.

ORFEO

Non piango, e non sospiro

o mia cara Euridice

che sospirar, che lagrimar non posso,

cadavero infelice,

o mio core, o mia speme, o pace, o vita,

ohimè chi mi t'ha tolto

chi mi t'ha tolto, ohimè dove se' gita?

Tosto vedrai, ch'invano

non chiamasti morendo il tuo consorte,

non son, non son lontano

io vengo, o cara vita, o cara morte.

ARCETRO

Ahi morte invida, e ria

così recidi il fior dell'altrui speme,

così turbi d'amor gl'almi contenti

lasso ma indarno a' venti

ove l'empia n'assal volan le strida,

fia più senno il seguirlo, acciò non vinto

da soverchio dolor sé stesso uccida.

DAFNE

Va' pur ch'ogni dolor si fa men grave

ove d'amico fido

reca conforto il ragionar soave.

NINFE

Dunque è pur ver, che scompagnate, e sole

tornat'o donne mie

senza la scorta di quel vivo sole?

AMINTA

Sconsolati desir gioie fugaci

o speranze fallaci

e chi creduto avrebbe

in sì breve momento

veder il sol d'ogni bellezza spento?

NINFE

Bel dì ch'in sul mattin sì lieto apristi

deh come avanti sera

nube di duol t'adombra oscura, e nera,

o gioie, o risi, o canti

fatti querele, e pianti.

PASTORI

O voi cotanto alteri

per fior di giovanezza

e voi che di bellezza

sì chiari pregi avete

mirate donne mie quel che voi sete.

CORO

Cruda morte ahi pur potesti

oscurar sì dolci lampi

sospirate aure celesti

lagrimate o selve, o campi.

Quel bel volto almo fiorito

dove amor suo seggio pose

pur lasciasti scolorito

senza gigli, e senza rose.

Sospirate aure celesti

lagrimate o selve, o campi.

Fiammeggiar di negre ciglia

ch'ogni stella oscuri in prova

chioma d'or guancia vermiglia

contr'a morte ohimè che giova.

Sospirate aure celesti

lagrimate o selve, o campi.

S'Appennin nevoso il tergo

spira gel che l'onde affrena

lieto foco in chiuso alberga

dolce april per noi rimena.

Sospirate aure celesti

lagrimate o selve, o campi.

Quand'a rai del sol cocenti

par che il ciel s'infiammi, e 'l mondo

fresco rio d'onde lucenti

torna il dì lieto, e giocondo.

Sospirate aure celesti

lagrimate o selve, o campi.

Spoglia sì di fiamm'e tosco,

forte carme empio serpente

ben si placa in selve, o 'n bosco

fier leon nell'ora ardente.

Sospirate aure celesti

lagrimate o selve, o campi.

Bel nocchier costante, e forte

sa schernir marino sdegno

ahi fuggir colpo di morte

già non val mortal ingegno.

Sospirate aure celesti

lagrimate o selve, o campi.

Scena terza

ARCETRO

Se fato invido, e rio

di quest'amate piagge ha spento il sole

donne, ne riconsole

che per celeste aita

il nobile pastor rimaso è in vita.

CORO

Benigno don de gl'immortali dèi

s'ei vive pur da tanta angoscia oppresso

ma tu perché non sei

in sì grand'uopo al caro amico appresso?

ARCETRO

Con frettoloso passo

come tu sai dietro li tenni, or quando

da lungi il vidi, che dolente, e lasso

sen gia com'uom d'ogni allegrezza in bando

il corso alquanto allento

pur tuttavia da lunge

tenendo al suo cammin lo sguardo intento

ed ecco al loco ei giunge

dove fe' morte il memorabil danno

vinto da l'alto affanno

cadde su l'erba, e quivi

sì dolenti sospir dal cor gl'usciro

che le fere, e le piante, e l'erbe, e i fiori

sospirar seco, e lamentar s'udiro

ed egli, o fere, o pianto, o fronde, o fiori

qual di voi per pietà m'addita il loco

dove ghiaccio divenne il mio bel foco.

E come porse il caso, o volle il fato

girando intorno le dolenti ciglia

scorse sul verde prato

del bel sangue di lei l'erba vermiglia.

CORO

Ahi lagrimosa vista, ahi fato acerbo.

ARCETRO

Sovra 'l sanguigno smalto

immobilmente affisse

le lagrimose luci, e 'l volto esangue,

indi tremando disse:

«O sangue, o caro sangue

del mio ricco tesor misero avanzo

deh co' miei baci insieme

prendi dell'alma ancor quest'aure estreme.»

E quasi ei fosse d'insensibil pietra

cadde su l'erba, e quivi

non dirò fonti, o rivi

ma di lagrime amare

da quegl'occhi sgorgar pareva un mare.

CORO

Ma tu perché tardavi a dargli aita?

ARCETRO

Io che pensato aveva di starmi ascoso

fin che l'aspro dolor sfogasse alquanto

quando sul prato erboso

cader lo vidi, e crescer pianto, a pianto

mossi per sollevarlo. O meraviglia,

ed ecco un lampo ardente

dall'alto ciel mi saettò le ciglia.

Allor gl'occhi repente

rivolsi al folgorar del nuovo lume,

e sovr'uman costume

entro bel carro di zaffir lucente

donna vidi celeste, al cui sembiante

si coloriva il ciel di luce e d'oro.

Avvinte al carro avante

spargean le penne candidette, e snelle

due colombe gemelle,

e qual le nubi fende

cigno che d'alto alle bell'onde scende

tal con obliqui giri

lente calando là fermaro il volo,

ove tra rei martiri

lo sconsolato amante

premea con guancia lagrimosa il suolo,

ivi dal carro scese

l'altera donna, e con sembiante umano

candida man per sollevarlo stese

al celeste soccorso

la destra ei porse, e fe' sereno il viso,

io di sì lieto avviso

per rallegrarvi il cor mi diedi al corso.

CORO

A te qual tu ti sia de gl'alti numi

ch'al nobile pastor recasti aita

mentre avran queste membra, e spirto, e vita

canterem lodi ogn'or tra incensi, e fumi.

Se de' boschi i verdi onori

raggirar su nudi campi

fa stridor d'orrido verno

sorgono anco, e frond'e fiori

appressando i dolci lampi

della luce il carro eterno.

S'al soffiar d'Austro nemboso

crolla in mar gli scogli alteri

l'onda torbida spumante,

dolce increspa il tergo ondoso

sciolti i nembi oscuri, e feri

aura tremula, e vagante.

Al rotar del ciel superno

non pur l'aer, e 'l foco intorno

ma si volve il tutto in giro,

non è il ben nel pianto eterno.

Come or sorge, or cade il giorno,

regna qui gioia, o martiro.

PASTORI

Poi che dal bel sereno

in queste piagge umil tra noi mortali

scendan li dèi pietosi a' nostri mali

pria che Febo nasconda a Teti in seno

i rai lucenti, e chiari

al tempio ai sacri altari

andiam devoti, e con celeste zelo

alziam le voci e il cor cantando al cielo.

(qui il coro parte, e la scena si tramuta)

Scena quarta

[Inferno.]

VENERE

Scorto da immortal guida

arma di speme, e di fortezza l'alma

ch'avrai di morte ancor trionfo, e palma.

ORFEO

Dèa madre d'Amor figlia al gran Giove,

che fra cotante pene

ravvivi il cor con sì soave speme

per qual fosco sentier mi scorgi? E dove

rivedrò quelle luci alme, e serene?

VENERE

Lo scuro varco, onde sian giunti a queste

rive pallide, e meste,

occhio non vide ancor d'alcun mortale.

Rimira intorno, e vedi

gl'oscuri campi, e la città fatale

del re che sovra l'ombre ha scettro, e regno.

Sciogli il tuo nobil canto

al suon dell'aureo legno,

quanto morte t'ha tolto ivi dimora,

prega sospira, e plora

forse avverrà, che quel soave pianto

che mosso ha il ciel pieghi l'inferno ancora.

ORFEO

Funeste piagge ombrosi orridi campi,

che di stelle, o di sole

non vedeste giammai scintill'e lampi,

rimbombate dolenti

al suon dell'angosciose mie parole,

mentre con mesti accenti

il perduto mio ben con voi sospiro,

e voi deh per pietà del mio martiro,

che nel misero cor dimora eterno,

lagrimate al mio pianto ombre d'inferno.

Ohimè che su l'aurora

giunse all'occaso il sol de gl'occhi miei

misero e su quell'ora

che scaldarmi a bei raggi mi credei

morte spense il bel lume, e freddo, e solo

restai fra pianto, e duolo

com'angue suole in fredda piaggia il verno

lagrimate al mio pianto ombre d'inferno.

E tu mentre al ciel piacque

luce di questi lumi

fatti al tuo dipartir fontan'e fiumi

che fai per entro i tenebrosi orrori,

forse t'affliggi, e piagni

l'acerbo fato, e gl'infelici amori.

Deh se scintilla ancora

ti scalda il sen di quei sì cari ardori,

senti mia vita, senti,

quai pianti, e quai lamenti

versa il tuo caro Orfeo dal cor interno

lagrimate al mio pianto ombre d'inferno.

PLUTONE

Ond'è cotanto ardire

ch'avanti al dì fatale

scend'a miei bassi regni un uom mortale?

ORFEO

O de gl'orridi, e neri

campi d'inferno, o dell'altera Dite

eccelso re, ch'alle nud'ombre imperi,

per impetrar mercede

vedovo amante a quest'abisso oscuro

volsi piangendo, e lagrimando il piede.

PLUTONE

Sì dolci note, e se soavi accenti

non spargeresti invan, se nel mio regno

impetrasser mercé pianti, o lamenti.

ORFEO

Deh se la bella diva

che per l'acceso monte

mosse a fuggirti invan ritrosa, e schiva

sempre ti scopra, e giri

sereni i rai della celeste fronte,

vagliami il dolce canto

di questa nobil cetra

ch'io ricovri da te la donna mia,

l'alma deh rendi a questo sen dolente,

rendi a quest'occhi il desiato sole,

a queste orecchie il suono

rendi delle dolcissime parole,

o me raccogli ancora

tra l'ombre spente, ov'il mio ben dimora.

PLUTONE

Dentro l'infernal porte

non lice ad uom mortal fermar le piante,

ben di tua dura sorte

non so qual novo affetto

m'intenerisce il petto,

ma troppo dura legge

legge scolpita in rigido diamante

contrasta a' preghi tuoi misero amante.

ORFEO

Ahi che pur d'ogni legge

sciolto è colui, che gl'altri affrena, e regge

ma tu del mio dolore

scintilla di pietà non senti al core

ahi lasso, e non rammenti

come trafigga amor, come tormenti,

e pur sul monte dell'eterno ardore

lagrimasti ancor tu servo d'amore;

ma deh se 'l pianto mio

non può nel duro sen destar pietate,

rivolgi il guardo a quell'alma beltate,

che t'accese nel cor sì bel desio,

mira signor, deh mira

come al mio lagrimar dolce sospira

tua bella sposa, e come dolce i lumi

rugiadosi di pianto a me pur gira,

mira signor deh mira,

quest'ombre intorno, e quest'oscuri numi,

vedi come al mio duol come al mio pianto

par che ciascun si strugga, e si consumi.

PROSERPINA

O re nel cui sembiante

mi appago sì ch'il ciel sereno, e chiaro

con quest'ombre cangiar m'è dolce e caro,

deh se gradito amante

già mai trovasti in questo sen raccolto

onda soave a l'amorosa sete,

s'al cor libero, e sciolto

dolci fur queste chiome, e laccio, e rete

di sì gentil amante acqueta il pianto.

ORFEO

A sì soavi preghi

a sì fervido amante

mercede ancor pur nieghi,

che fia però se fra tant'alme, e tante

riede Euridice a rimirar il sole.

Rimarran queste piagge ignude e sole?

Ahi che me seco, e mille, e mille insieme

diman teco vedrai nel tuo gran regno

sai pur che mortal vita all'ore estreme

vola più ratta che saetta al segno.

PLUTONE

Dunque dal regno oscuro

torneran l'alme al ciel, ed io primiero

le leggi spezzerò del nostro impero.

RADAMANTO

Sovra l'eccelse stelle

Giove a talento suo comanda, e regge.

Nettuno il mar corregge

e move a suo voler turbi, e procelle

tu sol dentr'ai confin d'angusta legge

avrai l'alto governo

non libero signor del vasto inferno?

PLUTONE

Romper le proprie leggi è vil possanza,

anzi reca sovente, e biasmo e danno.

ORFEO

Ma degl'afflitti consolar l'affanno

è pur di regio cor gentil usanza.

CARONTE

Quanto rimira il sol volgendo intorno

la luminosa face

al rapido sparir d'un breve giorno

cade morendo, e fa quaggiù ritorno

fa pur legge o gran re quanto a te piace.

PLUTONE

Trionfi oggi pietà ne' campi inferni,

e sia la gloria, e 'l vanto

delle lagrime tue, del tuo bel canto,

o della regia mia ministri eterni

scorgete voi per entro all'aere scuro

l'amator fido alla sua donna avante,

scendi gentil amante

scendi lieto, e sicuro

entro le nostre soglie,

e la diletta moglie

teco rimena al ciel sereno, e puro.

ORFEO

O fortunati miei dolci sospiri

o ben versati pianti

o me felice sopra gl'altri amanti.

(coro d'ombre e deità d'inferno)

CORO

Poi che gl'eterni imperi

tolto dal ciel Saturno

partiro i figli alteri

da quest'orror notturno

alma non tornò mai

del ciel a' dolci rai.

Unqua né mortal piede

calpestò nostre arene,

che d'impetrar mercede

non nacque al mondo speme

in quest'abisso dove

pietà non punge, e muove.

Or di soave plettro

armato, e d'aurea cetra

con lagrimoso metro

canoro amante impetra,

ch'il ciel rivegga, e viva

la sospirata diva.

Sì trionfaro in guerra,

d'Orfeo la cetra e i canti

o figli della terra

l'ardir frenat'e i vanti

tutti non sete prole

di lui che regge il sole.

Scender al centro oscuro

forse fia facil opra

ma quanto, ahi quanto è duro

indi poggiar poi sopra.

Sol lice alle grand'alme

tentar sì dubbie palme.

(si rivolge la scena e torna come prima)

Scena quinta

[Selva.]

ARCETRO

Già del bel carro ardente

rotan tepidi i rai nel ciel sereno

e già per l'oriente

sorge l'ombrosa notte, e 'l dì vien meno,

né fa ritorno Orfeo

né pur di lui novella ancor si sente.

CORO

Già di temer non si dée di sua salute,

se da' campi celesti

scender nume divin per lui vedesti.

ARCETRO

Vidilo, e so ch'il ver quest'occhi han visto,

né regna alcun timor nel petto mio,

ma di vederlo men dolente, e tristo

struggemi l'alma e 'l cor caldo desio.

AMINTA

Voi che sì ratte il volo

spiegaste aure volanti,

voi de' fedeli amanti

per queste piagge, e quelle

spargete le dolcissime novelle.

CORO

Ecco il gentil Aminta

tutto ridente in viso

forse reca d'Orfeo giocondo avviso.

AMINTA

Non più non più lamenti

dolcissime compagne

non sia chi più si lagne

di dolorosa sorte

di fortuna, o di morte, il nostro Orfeo

il nostro semideo

tutto lieto, e giocondo

di dolcezza, e di gioia

nuota in un mar, che non ha rivo, o fondo.

CORO

Come tanto dolore

quetossi in un momento?

E chi cotanto ardore

in sì fervido cor sì presto ha spento?

AMINTA

Spento è il dolor ma vive

del suo bel foco ancor chiare, e lucenti,

splendon le fiamme ardenti,

la bella Euridice

ch'abbiam cotanto sospirato, e pianto

più che mai bella e viva

lieta si gode al caro sposo accanto.

CORO

Vaneggi Aminta o pure

ne speri rallegrar con tai menzogne?

Assai lieti ne fai, se n'assecuri

ch'il misero pastore

prenda conforto nel mortal dolore.

AMINTA

O del regno celeste

voi chiamo testimon superni numi,

s'il ver parlo, ragiono

vive la bella ninfa, e questi lumi

pur or miraro il suo bel viso, e queste

orecchie udir delle sue voci il suono.

CORO

Quai dolci, e care nuove

ascolto, o dèi del cielo, o sommo Giove

ond'è cotanta grazia, e tanto dono?

AMINTA

Quando al tempio n'andaste io mi pensai

ch'opra forse saria non men pietosa

dell'infelice sposa

gl'afflitti consolar vecchi parenti

e là ratto n'andai

ove tra schiera di pastori amici

la sventurata sorte

lagrimavan que' vecchi orbi infelici,

or mentre all'ombra di quest'elci antiche

ch' giro al prato fanno

con dolci voci amiche

eramo intenti a disaprir l'affanno

come in un punto appar baleno, o lampo

tal a' nostri occhi avanti

sovraggiunti vegghiam gli sposi amanti.

CORO

Pensa di qual stupor, di qual diletto

ingombrò l'alme, e i cori

della felice coppia il dolce aspetto.

AMINTA

Chi può del cielo annoverar le stelle,

o i ben di paradiso,

narri la gioia lor, la festa, e 'l riso.

Ridite, piagge, voi campagne e monti,

ditelo fiumi, e fonti,

e voi per l'alto ciel zeffiri erranti,

qual fu gioia mirar sì cari amanti.

Qual pallidetto giglio

dolcemente or languia la bella sposa

or qual purpurea rosa

il bel volto di lei venia vermiglio,

ma sempre, o che il bel ciglio

chinasse a terra, o rivolgessi in giro

l'alme beava, e i cor d'alto martiro,

ardea la terra, ardean gl'eterni giri,

a' gioiosi sospiri

dell'uno, e l'altro innamorato core,

e per l'aer sereno

s'udian musici cori

dolci canti temprar d'alati amori.

Io fra l'alta armonia

per far liete ancor voi mi misi in via.

CORO

O di che bel seren s'ammanta il cielo

al suon di tue parole

fulgido più, ch'in sul mattin non suole

e più ride la terra, e più s'infiora

al tramontar del dì ch'in su l'aurora.

Scena sesta

ORFEO

Gioite al canto mio selve frondose

gioite amati colli, e d'ogni intorno

ecco rimbombi dalle valli ascose.

Risorto è il mio bel sol di raggi adorno,

e co' begl'occhi onde fa scorno a Delo,

raddoppia foco all'alme, e luce al giorno

e fa servi d'amor la terra, e 'l cielo.

CORO

Tu sei, tu sei pur quella

ch'in queste braccia accolta

lasciasti il tuo bel velo alma disciolta.

EURIDICE

Quella, quella son io, per cui piangeste,

sgombrate ogni timor donzelle amate,

a che più dubbie, a che pensose state?

CORO

O sempiterni dèi

pur veggio i tuoi bei lumi, e 'l tuo bel viso

e par ch'anco non creda a gl'occhi miei.

EURIDICE

Per quest'aere giocondo

e spiro e vivo anch'io

mirate il mio crin biondo

e del bel volto mio

mirate donne le sembianze antiche

riconoscete omai gl'usati accenti,

udite il suon di queste voci amiche.

CORO

Ma come spiri e vivi

forse il gran regno inferno

spoglian dei pregi suoi gl'eterei divi?

EURIDICE

Tolsemi Orfeo dal tenebroso regno.

ARCETRO

Dunque mortal valor cotanto impetra?

ORFEO

Dell'alto don fu degno

mio dolce canto, e 'l suon di questa cetra.

AMINTA

Come fin giù ne' tenebrosi abissi

tua nobil voce udissi?

ORFEO

La bella dèa d'amore

non so per qual sentiero

scorsemi di Pluton nel vasto impero.

DAFNE

E tu scendesti entro l'eterno orrore?

ORFEO

Più lieto assai, ch'in bel giardin donzelle.

AMINTA

O magnanimo core,

ma che non puote amore?

CORO

Come quel crudo rege

nudo d'ogni pietà placar potesti?

ORFEO

Modi or soavi or mesti,

fervidi preghi, e flebili sospiri

temprai sì dolce, ch'io

nell'implacabil cor destai pietate,

così l'alma beltate

fu mercé, fu trofeo del canto mio.

CORO

Felice semideo, ben degna prole

di lui che su nell'alto

per celeste sentier rivolge il sole,

rompersi d'ogni pietra il duro smalto

vidi a' tuoi dolci accenti,

e 'l corso rallentar fiumi, e tormenti,

e per udir vicini

scender dagl'alti monti abeti, e pini

ma vie più degno vanto oggi s'ammira

della famosa lira,

vanto di pregio eterno

mover gli dèi del cielo, piegar l'inferno.

Biondo arcier che d'alto monte

aureo fonte

sorger fai di sì bell'onda,

ben può dirsi alma felice

cui pur lice

appressar l'altera sponda.

Ma qual poi del sacro umore

sparge il core

tra i mortal può dirsi un dio

ei degl'anni il volto eterno

prende a scherno

e la morte e il fosco oblio.

Se fregiat'il crin d'alloro

bel tesoro,

reca al sen gemmata lira,

farsi intorno alma corona

d'Elicona

l'alte vergini rimira.

Del bel coro al suon concorde

l'auree corde,

sì soave indi percote,

che tra boschi Filomena,

né sirena

tempra in mar sì care note.

S'un bel viso, ond'arde il petto

per diletto

brama ornar d'eterno vanto

sovra 'l sol l'amata diva

bella, e viva

sa ripor con nobil canto.

Ma se schiva a bei desiri

par che spiri

tutto sdegno un cor di pietra,

del bel sen l'aspra durezza,

vince, e spezza

dolce stral di sua faretra.

Non indarno a incontrar morte

pronto, e forte

move il piè guerriero, o duce,

là 've Clio da nube oscura,

fa secura

l'alta gloria ond'ei riluce.

Ma che più? S'al negro lito

scende ardito

sol di cetra armato Orfeo,

e del regno tenebroso

lieto sposo

porta al ciel palma, e trofeo.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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