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citazioni:gazza

Citazioni riguardanti l'opera

La gazza ladra

A questo seno

Melodramma.
Libretto di Giovanni GHERARDINI.
Musica di Gioachino ROSSINI.
Prima esecuzione: 31 maggio 1817, Milano.




Impegno compositivo

⚫ Nell’ampio catalogo rossiniano tre titoli appartengono al genere semiserio: Torvaldo e Dorliska (1815), La gazza ladra (1817), Matilde di Shabran (1821). La gazza ladra è tra questi certo l’esito più alto: una partitura abnorme per dimensioni (la sua durata supera di quasi il doppio quella degli altri titoli del catalogo rossiniano, escludendo Semiramide e Guillaume Tell) e per impegno compositivo (si pensi alla quasi assoluta mancanza di musica ripresa da opere precedenti, il che vuol dire assunzione di un impegno straordinario).

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Azione sviluppata con naturalezza

⚫ L’incarico di comporre una nuova opera giunse a Rossini dal Teatro alla Scala di Milano, con il quale egli si impegnò prima del marzo 1817. Il libretto era fornito da un poeta «di fresca data», come scrive Rossini in una lettera alla madre, vale a dire Giovanni Gherardini, letterato di spicco della vita culturale milanese, direttore del ‘Giornale d’Italia’, autore di drammi giocosi per musica, commedie in prosa, traduttore di classici e importante filologo. Con la prima redazione del libretto della Gazza Gherardini partecipò a un concorso indetto dall’Impresa dei Reali Teatri di Milano, guadagnandosi parole di stima da Vincenzo Monti, che lodava l’azione «sviluppata con naturalezza e chiarezza», nonché i caratteri ben lumeggiati e felicemente messi in contrasto».

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Genere semiserio

⚫ Il genere semiserio […], per sua costituzione in bilico tra buffo e tragico, consentiva a un compositore come Rossini, così straordinariamente dotato di senso dell’equilibrio stilistico e formale, di dare ottima prova di sé in entrambi i generi. Come l’opera buffa e quella seria, anche l’opera semiseria era caratterizzata da convenzioni precise, in gran parte mutuate dalla comédie larmoyante e dalla pièce à sauvetage. Innanzitutto il lieto fine, dove un innocente, generalmente una persona del popolo ingiustamente condannata, sfugge in extremis alla condanna a morte; poi l’ambientazione […] che vede il castello o palazzo del persecutore, che è sempre un nobile o comunque persona di rango elevato, incombere sulla scena quale concretizzazione visiva dell’arroganza del potere. Luoghi topici del genere semiserio sono la prigione o la torre (che racchiude l’innocente condannato), la piazza del villaggio (dove si radunano i contadini), la casa del signore.

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Visione idealizzata

⚫ Previsto e atteso, il finale lieto in Gazza ladra trasmette, a dispetto della tragedia attraversata, un senso di travolgente felicità, tradotto da una vera e propria esplosione belcantistica. Come accadrà in misura più radicale in Semiramide, anche in questo caso il compositore attua una sorta di improvviso azzeramento emotivo. Questo rifiuto all’immedesimazione nel dramma, che è parte connaturata all’estetica rossiniana, si fonda su una visione del mondo essenzialmente idealizzata e lontana da ogni possibile realismo, come ebbe a dire lo stesso Rossini a un suo biografo, lo Zanolini: «mentre le parole e gli atti esprimono le più minute e le concrete particolarità degli affetti, la musica si propone un fine più elevato, il più ampio, più astratto. La musica allora, è, direi quasi l’atmosfera morale che riempie il luogo, in cui i personaggi del dramma rappresentano l’azione».

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Dramma umano

⚫ […] la Gazza ladra [è] l’opera nella quale Rossini, come non mai, sembra credere al dramma che rappresenta, e non è un caso che essa, pur essendo un’opera semiseria, contenga le pagine più drammatiche fin allora scritte dal compositore, Otello escluso. Complice il soggetto: non la cornice idealizzata delle gesta cavalleresche, non il disincantato gioco dei sentimenti di derivazione settecentesca, ma un fatto di cronaca, tragico nella realtà, poiché ci dice che la povera servetta incolpata di furto fu davvero mandata a morte, e tragico nel libretto di Gherardini, per la sola ipotesi che si possa morire per il furto di un cucchiaio. Il dramma di Ninetta è, nella produzione rossiniana, il più umano e forse questo spiega come il compositore, che mantiene sempre un disincantato distacco nei confronti della vicenda che si rappresenta sulla scena, dia per la prima volta l’impressione di condividere intimamente il dramma.

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Tragedia presagita

⚫ [Rossini] dopo aver improntato il primo atto verso una felicità musicale che neppure l’incontro drammatico tra Ninetta e il padre riesce a scalfire, inizia a far correre la vena drammatica a partire dall’attacco del finale primo, dove gli accordi sforzati di tutta l’orchestra in progressione, dai quali si diparte una linea melodica ascendente che procede per semitoni, gettano un improvviso squarcio oscuro, subito negato dalla corrività del disegno dei violini primi, che accompagna il tono necessariamente asettico della stesura della denuncia. La tragedia che sta per abbattersi sulla povera Ninetta è solo presagita.

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Secondo atto

⚫ Nel secondo atto si attua la virata: dal coro “Tremate o popoli” al successivo quintetto “Ah qual colpo”, la scena del giudizio porta la temperatura drammatica a un livello che poche altre pagine della produzione seria possono condividere. Ma il trasporto tragico è tale che Rossini ritiene necessario preparare il lieto fine con una sorta di sipario emotivo: l’aria di Lucia “A questo seno”. Nonostante la tragedia, avvertita sottilmente già dal gioco stereofonico dei due tamburi che aprono l’ouverture (ancora una volta «atmosfera morale», senza alcun riferimento contenutistico all’opera), il dramma rossiniano non rinuncia alla catarsi liberatoria, astratta e sublimata. Il finale lieto ci ricorda, illuministicamente, che il bel canto trionfa sul dramma, il quale altro non è se non frutto della bravura dell’artista. La «magnificenza ideale», descritta da Stendhal, felicemente sovrasta la dicotomia tra arte e vita.

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