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Citazioni riguardanti l'opera

La forza del destino

Madre, pietosa vergine

Melodramma in quattro atti.
Libretto di Francesco Maria PIAVE, Antonio GHISLANZONI.
Musica di Giuseppe VERDI.
Prima esecuzione: 27 febbraio 1869, Milano.




Genesi

⚫ Distolto anche dagli avvenimenti politici che avrebbero portato all’unità d’Italia, Verdi trascorse quasi due anni senza comporre, partecipando attivamente ai lavori del nascente parlamento. Solo nel dicembre del 1860, a seguito di una lettera del tenore Enrico Tamberlick, si lasciò tentare dall’idea di comporre un’opera per Pietroburgo. Scartato definitivamente un Ruy Blas, il musicista scelse il dramma Don Alvaro o La fuerza del sino, che aveva apprezzato per l’originalità delle scene di ambientazione popolare, inframmezzate agli eventi drammatici dell’intreccio principale. La stesura del libretto fu condotta sotto la stretta supervisione di Verdi, che nell’agosto del 1861 chiese ad Andrea Maffei di poter utilizzare liberamente una scena della sua traduzione del Wallensteinsolager (Il campo di Wallenstein) di Schiller, per l’episodio dell’accampamento presso Velletri (terzo atto).

Dizionario del teatro, Vedi

Prima rappresentazione italiana

⚫ La prima rappresentazione italiana, al Teatro alla Scala (27 febbraio 1869), diretta da Angelo Mariani e con Teresa Stolz e Mario Tiberini nei ruoli dei protagonisti, fu uno straordinario successo. Dispiacque però la commistione di tragico e di comico, che apparve una manifestazione di scarsa coerenza sul piano drammatico. Verdi, invece, continuò a difendere l’insolita struttura drammatica dell’opera, che trovava funzionale all’idea di un Destino inesorabile e infallibile, capace pur sempre, in mezzo a tante divagazioni, di guidare le azioni dei personaggi e di condizionarli.

Dizionario del teatro, Vedi

Dal punto di vista musicale

⚫ Dal punto di vista musicale l’opera segna un’ulteriore maturazione dello stile di Verdi (ancora più evidente nell’edizione del 1869, composta dopo il Don Carlos), nel quale confluiscono numerose esperienze compositive. Già la versione del 1862 impiegava, nella scena dell’osteria e dell’accampamento, uno stile musicale da commedia (cui Piave amò infondere un linguaggio realistico che, come osserva Luigi Baldacci, era decisamente atipico nella librettistica del tempo) che prelude con decisione al Falstaff; includeva l’episodio della chiesa, che è nella tradizione più tipica del grand-opéra , e prevedeva episodi come la descrizione della battaglia (atto terzo), risolta con grande raffinatezza orchestrale. Anche una pagina come il duetto tra il padre guardiano e Melitone (che, dopo il paggio Oscar, rappresenta un’altra sorprendente e riuscita concessione al registro ‘comico’ del Verdi maturo) anticipa quello stile chiesastico e modale che troverà un’espressione ancor più compiuta nel duetto Fiesco-Boccanegra, nella versione riveduta del Simon Boccanegra del 1881. Ma l’elemento che maggiormente caratterizza quest’opera sin dalla prima versione è il coro, che qui assume una dimensione cosmica, inedita persino per Verdi, capace di slanci di gioia e di gesti di raccolta religiosità. Sotto questo profilo non c’è dubbio che l’opera abbia costituito un esempio per il Musorgskij del Boris Godunov , poichè entrambi i drammi sono dominati dalla presenza del popolo, visto nella sua complessità ed eterogeneità e che assurge a ruolo di vero e proprio personaggio. La versione del 1869, musicalmente più matura, è superiore alla precedente anche dal punto di vista drammaturgico, poiché Verdi studiò soluzioni che limitavano l’impiego di formule melodrammatiche convenzionali: come nel finale, rasserenato dalla speranza e dal senso della redenzione […], nel quale il musicista ebbe modo di creare una pagina che esprime con pienezza la spiritualità raccolta e delicata della morte di Leonora.

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Versioni

1a San Pietroburgo, Teatro Imperiale 10 novembre 1862
2a Milano, Teatro alla Scala 27 febbraio 1869 aggiunte al libretto di Antonio Ghislanzoni e modifica del finale

DEUMM, AA. VV. (UTET, 1999)

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