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citazioni:flora

Citazioni riguardanti l'opera

La Flora

Giovinetta, che sì dolce

Favola rappresentata in musica.
Libretto di Andrea SALVADORI.
Musica di Marco DA GAGLIANO.
Prima esecuzione: 14 ottobre 1628, Firenze.




Cinque incisioni

⚫ Dopo la Dafne rappresentata nel 1608, Marco da Gagliano scrisse altre due opere, Lo sposalizio di Medoro et Angelica e La Flora, e due drammi sacri, La regina Sant’Orsola e La istoria di Iudit, valendosi in tutti i casi di libretti scritti da Andrea Salvadori. Ci sono pervenute le sole musiche per la Flora, insieme a quelle della Dafne, rappresentata nel Teatro degli Uffizi in occasione del matrimonio di Margherita de’ Medici e Odoardo Farnese, duca di Parma e Piacenza. Jacopo Peri contribuì alla realizzazione della partitura componendo la parte di Clori e le scene furono realizzate da Alfonso Parigi, di cui sono anche le cinque incisioni annesse all’edizione a stampa del libretto.

Dizionario del teatro, Vedi

Forme dense di melismi

⚫ Nonostante la semplicità del soggetto, la partitura è molto più estesa di quella della Dafne e rivela in particolare la predilezione del compositore per i cori danzati, che assumono funzione di intermedi. Forme strofiche sono presenti con frequenza, soprattutto nel secondo atto, alcune particolarmente dense di melismi, come l’aria di Zefiro “Giovinetta che sì dolce”.

Dizionario del teatro, Vedi

Citazione e primo esempio

⚫ Clori canta un lamento, nel quinto atto, quando si crede tradita da Zefiro: la sua implorazione, “Lasciatemi ch’io mora in tanto affanno”, cita nel testo e nella melodia l’inizio del lamento di Arianna, celebre e più volte imitata scena centrale dell’opera omonima di Monteverdi. La vicenda del dio Pan, amante non corrisposto di Corilla e nemico, alla fine, di tutte le donne, costituisce uno dei primi esempi di episodi buffi inseriti in un’opera.

Dizionario del teatro, Vedi

Caratterizzazione metrica

⚫ Non […] omogenei sono […] certi accostamenti di metri volutamente disparati, e pensati per ottenere frizioni reciproche poi sfruttabili musicalmente. Sulla via del ritorno dagli Inferi, al protagonista della Favola d'Orfeo nell'atto IV Striggio jr affida quartine di settenari ed endecasillabi eccezionalmente introdotte da un ottonario:
Quale onor di te fia degno,
mia cetra onnipotente,
s'hai nel tartareo regno
piegar potuto ogn'indurata mente?
Pare quasi che il mitico cantore, di ritorno dall'oltretomba, rechi con sé qualcosa della forte caratterizzazione metrica che di solito contraddistingueva i personaggi appartenenti a quel mondo, come supplementare connotazione grottesca. Si vedano ad esempio i trisillabi e i quinari sia sdruccioli sia tronchi del coro infernale «Diléguati», nell'atto III della Flora, e più tardi i quadrisillabi, quinari ed endecasillabi in versione sdrucciola e piana per un analogo insieme nel S. Alessio (I, 4: «Si disserrino»). Oltre a quelli già uniti da Striggio nella citata canzonetta di Orfeo, Chiabrera nel Polifemo geloso (ante 1615) aggiunge in sovrappiù il quadrisillabo («Fama corse in queste sponde»), realizzando pure disinvolte associazioni di quaternari ed endecasiilabi («Quando Amore»), e progressive espansioni di metro che, dal quinario di partenza, attraverso senario e settenario raggiungono la maggior estensione possibile, quella endecasillabica («Luci serene»).

Il secolo cantante, Paolo Fabbri (Bulzoni, 2003)

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