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Citazioni riguardanti l'opera

L'elisir d'amore

Una furtiva lagrima

Melodramma giocoso.
Libretto di Felice ROMANI.
Musica di Gaetano DONIZETTI.
Prima esecuzione: 12 maggio 1832, Milano.




Troppo bene, troppo

⚫ «La Gazzetta giudica dell’Elisir e dice troppo bene, troppo, credete a me, troppo!» scriveva Donizetti al proprio maestro Giovanni Simone Mayr all’indomani della prima rappresentazione dell’Elisir d’amore. L’unanime successo che accompagnò il battesimo dell’opera in una città, Milano, che lo aveva spesso trattato con una certa diffidenza, stupì lo stesso Donizetti. Infatti dal 1822, data del debutto del bergamasco nella capitale lombarda[…], l’accoglienza riservata alle sue opere fu nella maggior parte dei casi assai tiepida […].

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Copia molto superiore

⚫ […] l’impresario Alessandro Lanari, che aveva in appalto la stagione del Teatro della Canobbiana, volle incontrare Donizetti per proporgli di comporre un’opera comica per quella stessa stagione. Il libretto sarebbe stato scritto da Felice Romani, il librettista più famoso del tempo […]. Non essendovi tempo sufficiente alla stesura di un nuovo libretto, Romani tradusse quasi alla lettera (dichiarandolo nella prefazione) un libretto del collega francese Eugène Scribe dal titolo Le philtre, giungendo a un risultato molto superiore all’originale e tale che il libretto di Elisir viene generalmente considerato il miglior esito comico di Romani. La fretta certo non fece arretrare Donizetti che, abituato a comporre con notevole celerità, portò a termine la partitura in un lasso di tempo probabilmente superiore ai quindici giorni tradizionalmente attribuiti alla composizione dell’opera.

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Elemento sentimentale

⚫ Il fatto che una delle prime affermazioni di Donizetti a Milano sia avvenuta proprio con Elisir non stupisce chi valuta quest’opera all’interno della sua produzione, in quanto essa segna la messa a punto di una cifra compositiva nel trattamento dello stile comico: e non è poco. Si pensi a quanto autorevole e ingombrante dovette essere per i contemporanei il modello rossiniano, e quanto difficile affrancarsene. Se tale modello informa gran parte delle opere comiche precedenti Elisir, a partire da questo titolo Donizetti trova una propria elaborazione dello stile comico tramite l’immissione dell’elemento sentimentale, elemento che, estraneo al melodramma rossiniano, riconduce piuttosto al filone larmoyant dell’opéra-comique francese.

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Nemorino

⚫ [Il] processo di ‘umanizzazione’ dei personaggi si attua, sul piano musicale, attraverso l’individuazione di una tipologia melodica che evidenzia i tratti di ciascuno di loro (Ashbrook). Figura-chiave di questo processo è Nemorino, colui che più di ogni altro nell’opera sviluppa la tematica del sentimento. Considerata questa sua connotazione, un canto di agilità impostato su formule melismatiche di ascendenza rossiniana sarebbe risultato del tutto inadeguato; Donizetti sceglie infatti per lui un tipo di canto ‘spianato’, che si muove prevalentemente nel registro centrale (si pensi solo al brano più celebre dell’opera, la romanza “Una furtiva lagrima”), aprendo la strada a un tenore nuovo per l’opera comica, il cosidetto ‘tenore lirico-leggero’ o ‘tenorino di grazia’.

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Adina

⚫ Anche la condotta melodica di Adina palesa la sua evoluzione psicologica: dall’esordio di ragazza capricciosa e volubile del primo duetto (“Chiedi all’aura lusinghiera”), dove il suo carattere è suggerito da una linea di canto ricca di fioriture, alla cantabilità malinconica dell’aria finale (“Prendi, per me sei libero”).

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Belcore, Dulcamara, e il coro

⚫ Belcore, nella sua militaresca vanagloria, si esprime invece in toni maestosi, su ritmi in prevalenza puntati, annunciato da rulli di tamburo e da accompagnamenti marziali. Ma almeno uno dei personaggi si riaggancia alla tradizione dell’opera buffa: Dulcamara, il ciarlatano, che dichiara la propria truffaldina verbosità in un canto prevalentemente sillabato, sull’orchestra che declina la linea melodica o comunque tematica. La stessa attenzione Donizetti riservò anche al coro, che riveste una parte fondamentale nella definizione dell’ambiente rustico-villereccio, arrivando a ricoprire un ruolo protagonistico nel dialogo con Giannetta (“Saria possibile”).

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Colore specifico

⚫ […] dal punto di vista della scrittura orchestrale, l’Elisir è una delle opere più raffinate di Donizetti. Innanzitutto c’è un ‘colore’ specifico, dato dal sapiente uso dei legni, che evoca quel carattere larmoyant di cui s’è detto. Gli accompagnamenti ai pezzi chiusi, inoltre, non rielaborano formule stereotipe, ma trovano la loro ragione musicale tra le pieghe del testo: un caso per tutti l’accompagnamento di “Una furtiva lagrima”, che vede il canto di Nemorino preceduto dal fagotto solo su un accompagnamento del pizzicato degli archi e dall’arpa.

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Mutilazione

⚫ […] dall’autografo del secondo atto furono strappate alcune pagine, corrispondenti alla sezione finale del duetto che inizia con il cantabile di Adina (“Prendi, per me sei libero”; precisamente battuta 54 alla fine). Solo Donizetti stesso, evidentemente insoddisfatto della parte dell’opera corrispondente alla mutilazione, avrebbe potuto permettersi un intervento del genere su un autografo.

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Pensando a Parigi

⚫ [..] L’Elisir d’amore si impose rapidamente come uno dei più grandi successi di Donizetti. La ripresa al Théâtre Italien di Parigi il 17 gennaio 1839 fu certo ovvia, in considerazione della favorevole accoglienza dell’opera un po’ ovunque in Europa. L’appuntamento con Parigi era una tappa obbligata per qualsiasi compositore italiano che ambisse al riconoscimento internazionale. Ne è lucidamente cosciente il giornalista del «Vert-Vert» in un articolo dell’ottobre 1838, scritto pochi giorni dopo l’arrivo a Parigi di Donizetti: Paris est toujours le rendez-vous de toutes les gloires, de toutes les illustrations: il y a quinze années à peine Rossini arrivait dans la capitale pour y jeter les fondemens d’une réputation dévenue européenne; Bellini quelque temps plus tard y vint cueillir les premières palmes d’une renommée dont la mort est venue interrompre les cours: aujourd’hui c’est Donizetti qui vient vers nous chercher la consécration définitive d’une gloire que la France a déjà adoptée. Pare allora verosimile poter ipotizzare che L’elisir d’amore fosse scritto da Donizetti per Milano, ma pensando già ad una ripresa a Parigi.

L'opera francese in Italia e l'opera italiana a Parigi: L'elisir d'amore o il crocevia di due tradizioni, Alessandro Di Profio, Teatro La Fenice di Venezia, stagione 2010/6

Fratello gemello

⚫ Scrive «Le courrier français», 21 gennaio 1839, p. 1: «Tutti sanno che L’elisir d’amore è il fratello gemello del Philtre, questo piccolo affascinante petit-opéra, così ingegnoso di idee, così elegante, così grazioso di forme drammatiche e musicali. Le Philtre è la migliore composizione in due atti di Scribe e di Auber, questi due uomini di spirito, che vanno così bene d’accordo! Il poeta italiano ha dovuto solo tradurre letteralmente la pièce francese, sostituendo di tanto in tanto un duetto ad un’aria, un’aria a un duetto, tagliando un coro e spesso non cambiando una sillaba. Il compositore non ha seguito lo stesso metodo: ha rifatto tutto, come era nel suo diritto e nel suo dovere».
Ritroviamo tali idee nella «Quotidienne» (numero del 22 e 23 gennaio 1839, p. 1): «L’elisir d’amore è una traduzione quasi letterale dell’opera Le Philtre del signor Scribe. Il poeta italiano ha servilmente copiato il poeta francese, ma Donizetti non ha imitato Auber, le due musiche non hanno niente in comune, a parte il successo che hanno ottenuto; sono due piccoli capolavori, ognuno nel suo genere, due graziose composizioni trattate nel gusto di due scuole con colori e sfumature diversi» […] Secondo quest’ultimo articolo non firmato, il progetto di eseguire L’elisir d’amore a Parigi circolava almeno dal 1837.

L'opera francese in Italia e l'opera italiana a Parigi: L'elisir d'amore o il crocevia di due tradizioni, Alessandro Di Profio, Teatro La Fenice di Venezia, stagione 2010/6

La cavatina di Adina

⚫ Tanto «D’ici voyez ce beau domaine» (La dame blanche) quanto «La reine Iseult, aux blanches mains» (Le philtre) — e, di conseguenza, «Della crudele Isotta» dell’Elisir […] alludono ad un Medioevo mitico, lo stesso veicolato in epoca romantica dai romanzi di Walter Scott. Tali momenti vanno connessi alla moda in Francia, sin dalla fine del Settecento, del genere di argomento storico detto «genre troubadour» che investì globalmente le arti e la letteratura. Come è stato notato, per gli opéras-comiques di questo tipo […] è frequente la figura di un trovatore o l’impiego di canzoni strofiche ad imitazione di quelle dei trovatori. La cavatina di Adina con il racconto delle disavventure amorose di Tristano e Isotta è il riflesso di tale moda […].

L'opera francese in Italia e l'opera italiana a Parigi: L'elisir d'amore o il crocevia di due tradizioni, Alessandro Di Profio, Teatro La Fenice di Venezia, stagione 2010/6

Centralità del coro

⚫ Non va però sottovalutata la forza del modello francese: sia il genere tragico (la tragédie lyrique sei-settecentesca, l’opéra e poi il grand-opéra in epoca romantica) sia quello comico (l’opéra-comique) furono sempre particolarmente attenti alle sezioni corali, mai sminuite a vantaggio di quelle solistiche. Probabilmente, le ragioni della centralità conferita al coro nell’Elisir d’amore vanno cercate nella spinta del modello francese più che nell’estetica romantica italiana – anche se la seconda legittima l’adozione del primo.

L'opera francese in Italia e l'opera italiana a Parigi: L'elisir d'amore o il crocevia di due tradizioni, Alessandro Di Profio, Teatro La Fenice di Venezia, stagione 2010/6

L'erede di Rossini

⚫ Alla ripresa al Théâtre Italien dell’Elisir d’amore, gli spettatori francesi furono contenti di avere trovato in Donizetti l’erede di Rossini e rapidamente dimenticarono Auber. Il modello rossiniano venne giustamente evocato, ma, per un paradosso apparente, neppure in Francia ci si rese conto che un punto di contatto evidente tra Il barbiere e L’elisir, a parte la filiazione del linguaggio comico italiano, restava il comune scrutare al di là delle Alpi. A dispetto dei debiti contratti da Donizetti con la tradizione francese, il destino dell’Elisir d’amore sarà quello di diventare una delle opere buffe italiane più popolari insieme a Don Pasquale, anche essa composizione fortemente (e ancora più direttamente) segnata dalle aspettative del pubblico parigino.

L'opera francese in Italia e l'opera italiana a Parigi: L'elisir d'amore o il crocevia di due tradizioni, Alessandro Di Profio, Teatro La Fenice di Venezia, stagione 2010/6

Scribe, Romani, e... Stendhal

⚫ L’aneddotica vuole che questo autentico capolavoro sia stato scritto da Donizetti a tempo di record, 14 giorni per l’esattezza, metà dei quali servirono al librettista, Felice Romani, per adattare in italiano un libretto scritto l’anno precedente da Eugène Scribe intitolato Le philtre e musicato da Daniel Auber. […] Secondo il musicologo recentemente scomparso William Ashbrook, il più noto e accreditato fra gli studiosi e biografi novecenteschi di Donizetti, la genesi del libretto di Romani è facilmente ricostruibile: il librettista italiano avrebbe tradotto e modificato il testo del librettista francese, il quale a sua volta si sarebbe ispirato alla commedia di un certo Silvio Malaperta, dall’identico titolo, ma in italiano, Il filtro. Ashbrook non fornisce, tuttavia, alcun documento a conforto di questa notizia. Una ricerca accurata quanto apparentemente infruttuosa su Malaperta ha avuto come unico risultato quello di condurmi ad una novella di Stendhal omonima del libretto di Scribe. Questa, pubblicata sulla Revue de Paris nel 1830, reca, sotto il titolo, la dicitura: «Imité de l’italien de Silvia Valaperta». A parte il genere dell’autore, e l’errata iniziale del cognome, sembra insomma che Stendhal, mai citato da Ashbrook, è bene sottolinearlo, sia il filo rosso che conduce a Scribe. Anche così però le cose non tornano: rimane sempre da spiegare chi sia Silvia Valaperta, altrettanto sfuggente del suo predecessore ad indagini biografiche accurate, e come Ashbrook sia arrivato al nome maschile. […] La discordanza fra i vari dati rende necessario un riordino in questo ginepraio di nomi e cognomi per poter ricostruire l’esatta situazione del rapporto fra il racconto di Stendhal, il libretto di Scribe e quello di Romani.

Nuova Rivista di Letteratura Italiana, XII, 1-2 2009, Gian Paolo Renello, Edizioni ETS

Le fonti di Stendhal

⚫ Ripartiremo […] per questioni di cronologia, dal momento della comparsa della novella stendhaliana e utilizzeremo un fondamentale articolo di Louis Royer pubblicato nel 1934 sulla rivista Mercure de France (come riportato in nota, titolo del pezzo: Stendhal imitatore di Scarron). Fra il 1829 e il 1832, ci informa Royer, lo scrittore francese pubblicò una serie di novelle su la Revue de Paris […] Una di queste, intitolata Le philtre, comparve sul numero 15 del 1830 con, s’è detto, la dicitura: «Imité de l’italien de Silvia Valaperta», che, a una prima impressione, ha fatto ritenere che fosse stata tratta o ispirata da un testo, probabilmente in italiano e di cui non si dava il titolo, scritto da una donna di nome Silvia Valaperta. […] La traccia per identificare a sua volta l’origine del racconto stendhaliano è annunciata nel titolo dell’articolo. Con esso infatti Royer anticipa efficacemente la tesi […] che la novella di Stendhal è ispirata ad un racconto di Scarron e precisamente L’adultère innocent, ambientato in Spagna e compreso nella raccolta delle Nouvelles tragicomiques del 1655. Da una serie di annotazioni a proposito dei racconti ricavati dalle novelle dell’autore del Roman comiques, posti in margine a un’edizione di Scarron posseduta da Stendhal, sembra che quest’ultimo avesse avvertito la Revue de Paris che le sue novelle erano dei plagiats; ma allora, fa notare Royer, sarebbe un inganno l’attribuzione del racconto a qualcun altro. In ogni caso un risultato è certo: Valaperta non esiste; seguendo una prassi per nulla inusuale in Stendhal, si tratta di un cognome totalmente inventato.

Nuova Rivista di Letteratura Italiana, XII, 1-2 2009, Gian Paolo Renello, Edizioni ETS

Stendhal e Scarron

⚫ […] l’analisi del rapporto fra la novella di Stendhal e quella di Scarron, in particolare la prolissità del secondo contro la sinteticità del primo, spinge il suo autore a porre su un ideale piano di eguaglianza Rossini per la musica, Mérimée per la narrativa e Scribe per il teatro, perché esempi di un «genre concis, bref, et qui se distingue par la haine du détail». Si tratta di un’osservazione degna di nota: essa infatti mostra che Royer, pur avendo certamente presente l’autore del libretto musicato da Auber, da cui deriva quello utilizzato da Donizetti, non fa alcun accenno a un legame fra il suo testo e quello di Stendhal, probabilmente consapevole che, a parte il titolo, niente li accomuna. In effetti è facile constatare, testi alla mano, che, mentre esiste una chiara parentela fra il racconto di Scarron e quello di Stendhal e così fra il libretto di Scribe e quello di Romani, nulla invece lega il testo di Stendhal e quello di Scribe.

Nuova Rivista di Letteratura Italiana, XII, 1-2 2009, Gian Paolo Renello, Edizioni ETS

Una storia di nomi

⚫ Resta ancora da spiegare da dove Ashbrook abbia tratto il nome Silvio. Anche in questo caso, per quanto accidentato, il percorso sembra chiaro. Henri Cordier, nella sua bibliografia delle opere di Stendhal, menziona l’esistenza della prima traduzione tedesca del 1906 di Le philtre. Questa viene ripubblicata nel 1908 dall’editore Diederichs di Jena. Ma, mentre il volume di Cordier, citando la prima traduzione, scrive Nach dem Italienischen des Silvia Malaperta, l’edizione del 1908 riporta invece, sotto il titolo, Nach dem Italienischen des Silvio Malaperta. Ashbrook deve dunque aver ricavato il nome, in maniera diretta o indiretta, da questa edizione, la sola che parli di un autore maschile. Per tentare di comprendere come una tale serie di errori possa essere nata converrà considerare la vicinanza cronologica delle tre opere del XIX secolo. Il racconto di Stendhal è del 1830, il libretto di Scribe con lo stesso titolo è del 1831, mentre il libretto di Romani è del 1832. Ashbrook, in quanto biografo di Donizetti, ha evidentemente compiuto il percorso inverso: il fatto che Romani si ispiri dichiaratamente al libretto francese, il quale ha lo stesso titolo del racconto di Stendhal che a sua volta dichiara di ispirarsi a un autore il cui nome suona indubbiamente italiano, può aver creato il cortocircuito, facendo sì che il quarto, ignoto autore venisse scambiato da Ashbrook per l’ispiratore di tutta la serie. Stupisce comunque che il biografo inglese menzioni Silvio Malaperta, nome in ogni caso legato a Stendhal, e ignori così platealmente quest’ultimo. Tutte le ricerche ci portano a concludere che da Ashbrook è partita l’attribuzione impropria del libretto di Scribe e Romani all’autore inesistente Silvio Malaperta. Ma c’è di più: sin dalla prima apparizione del racconto di Stendhal nel 1830, non si è mai fatta menzione del titolo dell’opera da cui esso sarebbe derivato. Ashbrook invece aggiorna per così dire il dato, aggiungendo non solo un autore inesistente come precursore del libretto di Scribe, ma dando pure un titolo all’opera di cui sarebbe autore e definendone persino il genere («commedia»). L’invenzione di Ashbrook si è poi propagata attraverso libri, programmi di sala, e riviste. La fiducia riposta nell’autore della biografia del musicista bergamasco ha fatto sì che non si indagasse chi fosse Silvio Malaperta e dunque che non solo l’articolo di Royer, ma probabilmente neppure il racconto di Stendhal venisse mai letto, poiché altrimenti non sarebbe potuta sfuggire, già dalle prime pagine, la totale differenza fra i due testi a livello di fabula.

Nuova Rivista di Letteratura Italiana, XII, 1-2 2009, Gian Paolo Renello, Edizioni ETS

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