Citazioni riguardanti l'opera
Dramma in quattro parti.
Libretto di Salvadore CAMMARANO.
Musica di Giuseppe VERDI.
Prima esecuzione: 19 gennaio 1853, Roma.
⚫ Il libretto del Trovatore fu approntato da Salvatore Cammarano, la cui improvvisa morte richiese per qualche scena l’intervento di Leone Emanuele Bardare.
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⚫ Il conte di Luna e Azucena sono i personaggi che reggono la sorte degli altri. Del conte è tipica la veemenza con la quale si esprime. Ne è un primo esempio il terzetto con Leonora e Manrico, che conclude la prima parte, allorché il conte, dopo le convulse frasi iniziali (“Di geloso amor sprezzato”), prorompe nel più ampio “Un accento profferisti che a morir lo condannò” rivolto a Leonora. Questi iperbolici slanci culminano, fra squilli di tromba, nella frase “Non può nemmeno un Dio/ Donna rapirti da me”. Poco prima, tuttavia, con il Largo “Il balen del suo sorriso”, Verdi aveva portato una voce baritonale a cantare d’amore con la flessuosità e l’abbandono di una tenorile. Non per la prima volta, tuttavia, se si pensa al “Vieni meco, sol di rosa” di Don Carlo nell’Ernani. Ma un rocciosa veemenza è il tratto caratteristico del conte, particolarmente evidente nella scena e nel terzetto che inizia la terza parte (“Tu prole, o turpe zingara”) e nel duetto con Leonora della parte quarta (“Ah, dell’indegno rendere/vorrei peggior la sorte”). Ma qui, sia pure con il velo che nel melodramma romantico ammantava certe passioni, Luna rivela la sensualità del suo amore per Leonora (“Tu mia, tu mia, ripetilo”).
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⚫ Azucena è l’altro personaggio cardine della vicenda, ambiguo, cangiante nelle sue alternanze di lucidità e di torpore mentale, ma anche elemento d’ambientazione folklorica, se si pensa alla diffidenza che ancora ispiravano gli zingari nell’Ottocento e alle ricorrenti dicerie che li volevano rapitori di bambini. Verdi (II,1) li presenta pacati, laboriosi e, nell’accompagnamento del coro (“Chi del gitano i giorni abbella”), introduce quei ritmici colpi di martello che possono essere considerati come una trovata se ci rifacciamo alla metà del secolo scorso, ma che il melodramma barocco, ritraendo fabbri al lavoro, aveva inserito in opere come La catena d’Adone di Domenico Mazzocchi (1623) e l’Enea in Italia di Francesco Pallavicino (1675) […]. Ma il Trovatore presenta un altro momento tipico del melodramma barocco: la sfilata degli armigeri (III,1) in voga dopo il Bellerofonte di Francesco Paolo Sacrati (1642) e ancora in auge nel 1677, con il Totila di Giovanni Legrenzi. Ma per tornare ad Azucena, va notato che la sua parte inizia direttamente con un’aria (l’Allegretto in 3/8 “Stride la vampa”, II,1) e che anche in questo caso Verdi evoca, inconsapevolmente, un’altra consuetudine del melodramma barocco: quella di ritrarre con trilli le fiamme e i loro riflessi.
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⚫ “Stride la vampa” è suddivisa in due strofe, in ognuna delle quali ricorrono trilli brevi e uno prolungato. Brano di ardua esecuzione, è di rado realizzato secondo le prescrizioni di Verdi. La terribile fine della madre è l’ossessione che perseguita Azucena e che, sempre nella seconda parte, è espressa anche dall’Andante “Condotta ell’era in ceppi”, che inizialmente ha il sentore di una tetra cantilena. Poi, con mutamenti di tempo e con una sorta di concitata declamazione, Azucena rivela a Manrico di aver bruciato il proprio figlio anziché il figlio del conte da lei rapito. Il monologo si muta in duetto quando Manrico narra come inspiegabilmente non avesse ucciso il conte di Luna nel duello con lui sostenuto (Allegro “Mal reggendo all’aspro assalto”). La replica di Azucena (“Ma nell’alma dell’ingrato”) si distingue, più che per l’ispirazione melodica, per la teatrale concitazione che coinvolge anche Manrico. Questo complesso duetto si arroventa con il velocissimo 3/8 “Perigliarti ancor languente” di Azucena, concluso da un cadenza virtuosistica che porta la voce al do sopracuto. La replica del tenore (“Un momento può involarmi/ il mio ben, la mia speranza”) ha già quasi il ritmo dello sfrenato galoppo che porterà il protagonista a Castellor per impedire a Leonora, che lo crede morto, di prendere il velo.
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⚫ Leonora non fugge al destino di altre eroine del melodramma romantico: la morte. Ne ha un presagio già nella sua scena a cavatina del primo atto. L’Andantino in 6/8 “Tacea la notte placida”, articolato su lunghi periodi, è d’una sognante dolcezza. Viceversa l’Allegro giusto “Di tale amor che direi” ha uno slancio che denota esaltazione. A questo Verdi giunge con il ricorso al canto di agilità -trilli inclusi- ma articolato su frasi brevi, quasi ansanti, come quella, più volte ripetuta, «per esso io morirò». Nel terzetto di Leonora, Manrico e Luna, che conclude il primo atto, si ha una situazione scenica analoga a quella che nel primo atto dell’Ernani oppone il protagonista ed Elvira a Don Carlo. Nel Trovatore il canto è più rovente, ma Verdi segue comunque lo stesso procedimento […]. Nel Trovatore inizia il conte di Luna con un Allegro assai mosso più veemente e protervo del “Tu se’ Ernani” di Don Carlo, ma è soprattutto la risposta di Leonora e Manrico, all’unisono, che è elettrizzante. Si noti che la questione degli unisoni diede luogo a lunghe polemiche: il loro effetto fu considerato brutale dai rossinisti e tale anche da ledere le voci, essendo i cantanti portati a cantare il più forte possibile per superarsi l’un l’altro. Ma lo straordinario successo ottenuto dal finale primo dei Capuleti e Montecchi di Bellini a Venezia, nel 1830, allorché Romeo e Giulietta avevano cantato all’unisono la travolgente frase “Se ogni speme è a noi rapita”, aveva divulgato questo espediente, da molti ancora considerato letale per le voci al tempo del Trovatore
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⚫ Leonora ricompare nel finale secondo: trovarsi di fronte Manrico creduto morto, le ispira un Andante mosso che è una delle espressioni di quello che Verdi soprattutto fu: un genio dell’effetto scenico. L’incredulità, l’emozione di Leonora si traducono in brevi frasi ansanti, dapprima e quindi, dopo una lunga pausa di silenzio assoluto, nel canto ampio, estatico e liberatorio di “Sei tu dal ciel disceso o in ciel son io con te?”. Il concertato che segue, con gli interventi del conte di Luna, di Manrico e quindi di Ferrando e del coro, riflette quel contrasto di passioni che, nella sua veemenza, è forse la ragione prima della popolarità del Trovatore.
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⚫ Se si guarda alla struttura degli atti, Manrico […] è un protagonista puramente nominale; Leonora, Luna e Azucena hanno, in termini di partecipazione, uguale peso. Ma Manrico assurge a protagonista anzitutto per il fascino tipicamente romantico dell’eroe immeritatamente vilipeso dalla sorte e, in secondo luogo, perché destintario di melodie celeberrime […].
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⚫ Il Trovatore annovera un altro peronaggio di qualche peso. È Ferrando, impegnato soprattutto nel primo atto, nel quale narra ai domestici e agli armigeri del conte di Luna l’antefatto della vicenda. L’inizio del racconto, “Di due figli vivea padre beato”, è un Andante mosso nel quale Verdi, per sottolinearne l’arcano contenuto, inserisce dei trilli. Nella seconda parte (l’Allegretto “Abbietta zingara”) il canto di agilità si accentua: non si può del tutto escludere che si tratti di un espediente di Verdi per distinguere l’elemento fantastico - o prevalentemente fantastico - dalla realtà.
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1a | Roma, Teatro Apollo | 19 gennaio 1853 | |
2a | Parigi, Opéra | 12 gennaio 1857 | versione in francese, traduzione Émilien Pacini, con alcune modifiche e l'aggiunta di un balletto; con titolo Le trouvère |
► DEUMM, AA. VV. (UTET, 1999)
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