Citazioni riguardanti l'opera
Intermezzo in due parti.
Libretto di Gennarantonio FEDERICO.
Musica di Giovanni Battista PERGOLESI.
Prima esecuzione: 5 settembre 1733, Napoli.
⚫ Insieme con altre pièces comiche, il famoso intermezzo di Giovan Battista Pergolesi La serva padrona (1733) aveva messo a rumore l'Europa con la vasta eco suscitata dall'allestimento parigino del 1752 […]. A far sensazione e a determinare il trionfo dell'opera buffa in tutti i teatri europei non fu tanto la commedia in sé e per sé quanto il suo abbinamento con un nuovo e agile linguaggio musicale, nel quale della commedia si era trasferito lo spirito: il mutamento in tempo reale di situazioni e combinazioni, l'andirivieni, le concordanze e le contrapposizioni. Un nuovo tipo di azione - indipendente dall'intreccio esterno - si impossessò dell'ordito musicale. Questo determinò l'abbandono del principio epico della composizione col basso continuo, fondata sulla continua evoluzione e trasformazione degli elementi armonici e melodici. Si ha motivo di ritenere che il passaggio dal basso continuo a un comporre basato sulla funzione metrica dei ritmi armonici, che già si profilava nel 1730 e che a poco a poco si estese a tuta la musica (dunque anche a quella strumentale), sia da collegare con la nascita dell'opera buffa (della commedia genuinamente musicale). A creare la coesione non era più il basso continuo col suo impulso motore, bensì un complesso di frasi cadenzanti disposte secondo un ordine metrico-ritmico complesso, che svincolava le figurazioni melodiche-motiviche e permetteva la rapida alternanza di unità brevi.
► Il teatro di Mozart, Stefan Kunze, Venezia, 1990, Marsilio
La serva padrona Pergolesi
⚫ La forma solenne e abbellita da ornamenti venne radicalmente destrutturata. Al suo posto, sulla salda impalcatura spazio-temporale costituita dalle cadenze e dal ritmo, si sviluppò un libero gioco di frasi convenzionali di pregnante evidenza. D'altra parte si creò la possibilità di impiegare disegni melodici compiuti, liberi da elementi descrittivi, e una cantabilità di tipo nuovo, volta a esprimere sensazioni genuine, «naturali». Per la prima volta la musica era in grado di dar corpo, in quanto struttura, a vivaci azioni teatrali fatte di incontri e scontri. È vero che la divisione fra recitativo semplice e aria non venne abbandonata, ma non a caso la forma fondamentale della commedia per musica diventò il concertato; infatti anche le arie, la cui costruzione mutava a seconda del contesto, erano quasi sempre inserite in situazioni d'insieme. Anziché una rappresentazione statuaria-cerimoniale degli affetti, l'aria dell'opera buffa offriva per lo più una libera manifestazione della gestualità istrionica, sebbene spesso conservasse il suo posto al termine della scena. Sulla musica si impresse il marchio di un'immediatezza fino ad allora inimmagnabile sia nella recitazione sia nell'espressione emotiva, che in breve portò allo spodestamento dell'aria col da capo.
► Il teatro di Mozart, Stefan Kunze, Venezia, 1990, Marsilio
⚫ Dalla metà del Settecento La serva padrona è stata considerata la madre di tutto il teatro comico in musica […]. L’origine del mito risale al 1º agosto 1752: […] la rappresentazione avvenne provvidenzialmente in una temperie culturale arroventata dai philosophes illuministi, che non attendevano altro per mettere in discussione i valori nazionali, anche in campo musicale; venne scatenata una polemica di vaste proporzioni (la cosiddetta ‘querelle des bouffons’), combattuta contro la tradizione musicale francese della tragédie lyrique nella linea che da Lully porta a Rameau. La battaglia, che alla preminenza della declamazione -di gusto francese- opponeva quella del canto puro coltivata dagli italiani, di cui La serva padrona era apparsa come la rivelazione folgorante, venne condotta a colpi di pamphlets: nel 1753 Jean-Jacques Rousseau avrebbe scritto, a sostegno del partito italiano, la Lettre sur la musique française, mentre il 18 ottobre 1752 aveva fatto rappresentare a Fontainebleau, su testo e musica propri, il suo personale equivalente della Serva padrona, quel Devin du village destinato a raggiungere il tempio dell’Opéra già il 1º marzo del 1753. Tanto clamore, in quanto proveniente da Parigi, non poteva naturalmente non provocare una vasta risonanza su scala europea, cui contribuirono anche l’aura di leggenda intorno alla precoce morte di Pergolesi (a soli ventisei anni), lo svilupparsi di un inedito interesse per i periodi precedenti della storia della musica e la formazione di un repertorio di titoli operistici.
► Dizionario del teatro, Vedi
⚫ Ignara di tanta fortuna postuma, La serva padrona era nata nel 1733 in un contesto del tutto differente, con la funzione di intermezzi tra gli atti del dramma per musica Il prigionier superbo di Pergolesi stesso, rappresentato al teatro San Bartolomeo di Napoli in occasione del compleanno dell’imperatrice Elisabetta Cristina […].
► Dizionario del teatro, Vedi
⚫ L’intermezzo era un genere dalla storia ormai più che ventennale, popolarissimo a Napoli dove era frequentato da pressoché tutti i compositori; fu proprio ai modelli dei vari Hasse e Leo che Federico guardò nel redigere l’esile trama della vicenda, canovaccio per una commedia di caratteri briosa e scenicamente credibile, che abbandona quasi del tutto il motivo del travestimento per concentrarsi sulla precisa definizione della psicologia individuale. I due intermezzi guadagnano così in compattezza e realismo, qualità che da un lato poterono favorirne la fortuna sul piano estetico e dall’altro assecondarono l’unità di ispirazione della musica di Pergolesi.
► Dizionario del teatro, Vedi
⚫ La cifra caratteristica della Serva padrona -ciò che contribuì a farvi scorgere, con immediata evidenza, l’esemplificazione del gusto nuovo di un’intera epoca- è la formulazione di un linguaggio musicale comico di assoluta pregnanza e incisività. Pergolesi punta direttamente alla caratterizzazione dei due personaggi, cogliendo l’aspetto dinamico della personalità di entrambi (l’intraprendenza volubile e determinata di Serpina, come l’irresoluta irrequietezza di Uberto), e ne formula l’equivalente musicale con rigorosa coerenza stilistica per tutta la partitura.
► Dizionario del teatro, Vedi
⚫ […] l’aria non si configura più come la statica espressione di affetti tipica dell’opera seria, ma come uno scambio fitto e dialettico di influenze tra soggetti in relazione reciproca. Il gesto musicale icastico, incisivo, dal netto profilo ritmico e dalla formuletta melodica memorabile diventa inoltre segnale -e quasi concretizzazione- del gesto fisico dei personaggi, imitato nella sua carica comica attraverso una sorta di materializzazione sonora della visibilità dell’azione. La scrittura musicale finisce per constare di segmenti ritmico-melodici brevi, concentrati e indipendenti, dall’effetto dirompente e del tutto inedito nel contesto della civiltà compositiva del primo Settecento, fondata sulla preminenza del basso continuo: una via che condurrà ben presto alla nascita dello stile classico, come ci si dovette accorgere immediatamente a Parigi nel 1752.
► Dizionario del teatro, Vedi
⚫ Si tratta, come da tradizione, di dialoghi ‘in presa diretta’ tra i personaggi, il primo dei quali, “Lo conosco a quegli occhietti”, è particolarmente serrato, poiché è l’unica volta che il contrasto tra Uberto e Serpina viene rappresentato dalla musica. Pergolesi è estremamente preciso nella definizione dei due caratteri: già il ritornello introduttivo degli archi ostenta, con grazia e scioltezza, la sicurezza della ragazza, che esprime il suo dominio della situazione attraverso una vocalità distesa e suadente, con la quale si propone senza pudori come «bella, graziosa, spiritosa»; Uberto, al confronto una pallida controfigura, è confinato nel suo registro grave, in cui non gli resta che meditare su quello che paventa come un inganno già consumato. I due atteggiamenti interagiscono in un quadro formale di gioiosa libertà, nella mutevolezza continua di profili ritmici e melodici, tanto da far apparire il brano come «costituito da tanti piccoli cubetti-giocattolo» (Strohm).
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⚫ Tutte le arie di Uberto condividono la stessa, sommamente ingegnosa definizione del personaggio. Procediamo dalla mirabile “Sempre in contrasti”, che riassume le caratteristiche fondamentali dell’intera operina; vi si trovano la spiccata tendenza alla gestualità, attraverso incisi ritmico-melodici indipendenti, il riferimento dialogico a un interlocutore (qui addirittura due: Serpina e Vespone), la gustosa inflessione patetica all’evocazione del pianto, la comica disperazione, concentrata nel grido «basti, basti», l’affastellamento di coppie antitetiche di monosillabi (qua-là, su-giù, sì-no), cariche di vis comica e snocciolate in un secondo tempo senza alcun ordine, a rappresentare il caos che regna nella mente di Uberto.
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⚫ Serpina si aggiudica […] un’aria straordinaria, “A Serpina penserete”, […] mirabile sia per l’immediatezza della sua grazia sia per l’intelligenza, l’arditezza dell’ideazione e l’efficacia. Non tragga in inganno il fascinoso splendore melodico con cui, prima gli archi e quindi il soprano, attaccano questo Largo di solare bellezza napoletana; la ragazza sta solo simulando il coinvolgimento emotivo: la sublimità della frase è architettata ad arte per sedurre Uberto e commuoverlo in suo favore. Serpina scopre infatti le carte nella successiva sezione contrastante, in cui riprende i panni stilistici che le sono riservati nel resto della partitura (antitesi perfetta dell’unica oasi lirica che ci era stata appena regalata), commentando rivolta a se stessa -e si direbbe anche al pubblico- le reazioni che la sua finzione sta provocando in Uberto.
► Dizionario del teatro, Vedi
⚫ L'operina è scritta interamente in italiano, senza le consuete parti in dialetto, e alla funzionalità scenica e musicale concorre anche il libretto per il tipo di italiano «spesso approssimativo e trasandato ma vivacemente colloquiale», e del tutto nuovo per la scena: «Il Federico aveva assimilato a modo suo la lezione del Metastasio e dell'Arcadia. In lingua tentò di fare quello che sarà uno degli obiettivi più problenatici del Goldoni, di inventare un italiano colloquiale, un registro parlato, e ci riuscì alla brava servendosi d'un italo-napoletano regionale, con frequenti dialettismi sintattici». Tra i quali: «e tu altro, che fai?», «Io non sto comoda…», «E m'have ad uscir l'anima aspettando?…», «Voi mi state sui scherzi…», «Per me un marito io m'ho trovato…», «Io me l'ho allevata….», «Statti a vedere che…», «ben ti sta». Non si esita a ricorrere anche a sgrammaticature, come quella dell'aria iniziale […] in cui i due infiniti coordinati hanno soggetti impliciti diversi […]. Una medietà di di registro funzionale a personaggi la cui psicologia e il cui tipo di linguaggio Folena definisce borghesi, avvertendo in questa «meravigliosa operina» la incipiente «voce del “terzo stato”». (Folena 1983)
► Storia della lingua italiana, a cura di Francesco Bruni; Il Settecento, Tina Matarrese (Il Mulino, 1993)
⚫ Elementi di pungente parodia del dramma serio ricorrono anche nella Serva padrona pergolesiana, che concentra tuttavia il fuoco della propria attenzione sul tema mitico, destinato a vasta fortuna nel corso del secolo, del contrasto tra passione e pregiudizio di classe; condendolo qui ancora con l'altro, di schietta ascendenza dalla commedia dell'arte, della prevaricazione del servo scaltro sul padrone babbeo. Ma la vicenda è delineata con una sensibilità delicatissima, di sapore metastasiano si direbbe quasi, e con un gusto penetrante dell'analisi psicologica dei caratteri di schietta impronta francese. La mobilità sentimentale propria del testo, è puntualmente rispecchiata dalla musica, che erode dall'interno le statiche categorie di «affetti» codificate nella rigida retorica del melodramma per farsi portatrice in modo quanto mai sensibile e mutevole di una situazione in continuo divenire, elemento dinamico che orienta in una direzione unitaria e sintetica gli apporti significativi del testo e della componente mimica.
► Storia dell'opera, diretta da Alberto Basso; volume primo L'opera in Italia, Torino, 1977, UTET
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