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Citazioni riguardanti l'opera

Pia de' Tolomei

Mi volesti sventurato?

Tragedia lirica in due parti.
Libretto di Salvadore CAMMARANO.
Musica di Gaetano DONIZETTI.
Prima esecuzione: 18 febbraio 1837, Venezia.




Genesi

⚫ Le contrattazioni tra Donizetti e l’impresario Alessandro Lanari, che si era assicurato la stagione della Fenice per il carnevale 1837, furono particolarmente lente e laboriose. Nonostante le insistenze a favore del librettista veneziano Pietro Beltrame, Donizetti riuscì a imporre Salvatore Cammarano, che in quegli anni, dopo Lucia di Lammermoor (1835), era divenuto suo collaboratore esclusivo a Napoli. Potendo contare sulla presenza di Fanny Tacchinardi-Persiani, già ‘portentosa’ Lucia, Donizetti e Cammarano cercavano un soggetto per ripetere quel successo. Occorreva una protagonista delicata e indifesa, tragicamente destinata a morire, e la trovarono nella Pia de’ Tolomei: un personaggio nobile e pudico che Dante collocò nel canto V del Purgatorio (vv.130-136). Lanari voleva però due ruoli conflittuali da affidare a due prime donne e Donizetti, suo malgrado, dovette accettare la pressoché debuttante Rosina Mazzarelli, giovane contralto protetta del presidente della Fenice. Le rappresentazioni furono ritardate da un incendio che distrusse La Fenice e il debutto avvenne al Teatro Apollo, con buon esito: «La Pia piacque tutta, meno del finale del primo atto (lettera a Dolci, 20 febbraio 1837). Rientrato a Napoli, Donizetti rifece questo finale per una ripresa estiva a Senigallia.

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Tragica incompatibilità

⚫ Il contrasto tra Pia e i personaggi maschili principali si svolge all’interno di una giustapposizione più ampia e simbolica: affetti soavi e teneri per la protagonista, violenza passionale e malvagità per gli altri. Così l’incontro tra i due estremi è sempre precario e i momenti di convergenza sono subito allontanati dagli eventi, che ne mettono in luce la tragica incompatibilità. Nell’intenso concertato finale della prima parte, l’agitazione tragica della donna fiancheggia la violenza irosa e il desiderio di vendetta di Nello e Ghino. Tutta l’opera vive di limpide simmetrie all’interno di una solida struttura drammaturgica, che conferisce forti significati espressivi alle forme musicali convenzionali.

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Espansioni liriche

⚫ Ghino esprime la sua passione per Pia secondo le corde del tipico tenore romantico, diviso tra espansioni liriche (“Non può dirti la parola”) e accenti realistici. Quando la sua passione incontenibile viene ancora una volta rifiutata, si tramuta in desiderio di vendetta, con una furente esplosione che sale all’acuto e culmina in un’impetuosa cabaletta (“Mi volesti sventurato”). Quando egli svela a Nello il presunto tradimento della moglie, i foschi accenti della declamazione sono sostenuti da una cellula ritmica ostinata, che conferisce un tono di incombente ossessione al dialogo. […] Nel finale della prima parte Ghino si commuove su di un canto semplice e dal fraseggiare disteso (“Ahimè quell’anelito”) per il destino di Pia, di cui è responsabile. Al castello in Maremma le suppliche della donna lo inducono al pentimento, che aderisce musicalmente all’intonazione elegiaca del canto di Pia. Mentre sta per morire, Ghino implora perdono al cugino Nello con una lenta declamazione singhiozzante, soffocata nel silenzio; una scena di cui Donizetti era giustamente orgoglioso («Udrai la morte di Ghino e piangerai, ne son certo», al cognato Antonio Vasselli, 8 maggio 1837).

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Afflizione inconsolabile

⚫ L’afflizione inconsolabile di Pia si manifesta in recitativi affannati e inquieti, tra pause, sospensioni e tremoli. Nel cantabile “Le mie dolenti lacrime” la melodia è interrotta da isolati vocalizzi e declamazioni, che spezzano il fraseggio e sottolineano la sua intima sofferenza. Quando Lamberto le annuncia l’incontro con il fratello, un leggiadro motivo orchestrale precede una distesa cabaletta (“Di pura gioia in estasi”). Le fioriture del suo belcanto sono sempre estremamente eleganti, morbide, senza accenti di forza, come purificate; così è in particolare il duetto con Rodrigo (“Fra queste braccia”), in cui Pia sembra aver finalmente realizzato il suo desiderio. Nella scena finale di morte, Pia declama dolorosamente, tra sofferti e lancinanti acuti e amplissimi salti, mentre una struggente melodia viene affidata all’orchestra.

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Parentesi spirituale

⚫ L’eremita Piero apre una parentesi spirituale sulla vicenda, convincendo alla pietà Nello; a lui è affidata un’invocazione di misericordia divina (“Divo spirto”) ripresa dal coro dopo una fosca scenda di temporale, che presagisce l’incombente fatalità. Al contrario Ubaldo è una sorta di Jago ante litteram ; è lui che istiga Ghino alla calunnia, provocando il precipitare degli eventi. Nella sua parte il baritono malvagio, il vilain , ha una realizzazione esemplare, la cui eco è rintracciabile in tanti futuri profili verdiani.

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Versioni

1a Venezia, Teatro Apollo 18 febbraio 1837
2a Napoli, Teatro San Carlo 30 settembre 1838 versione con lieto fine

DEUMM, AA. VV. (UTET, 1999)

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