Citazioni riguardanti l'opera
Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo.
Libretto e musica di Arrigo BOITO.
Prima esecuzione: 4 ottobre 1875, Bologna.
⚫ Il 5 marzo 1868, alla Scala di Milano, andava in scena il Mefistofele di Arrigo Boito: vivissima era l’attesa per l’opera di questo esordiente, letterato e musicista di ventisei anni, padovano, ma punta di diamante dell’intellettualismo scapigliato della capitale lombarda, e già molto conosciuto per le sue radicali posizioni progressiste, wagneriane, come si diceva allora, per i nuovi ideali estetici proclamati nella sua attività di critico musicale e di poeta […]. Nell’entusiasmo per le tematiche della cultura germanica, care alla scapigliatura fino a Catalani, ai giovani Mascagni e Puccini, quale testo meglio del Faust poteva servire alla realizzazione dell’ambizioso progetto di rinnovamento dell’opera italiana? E, naturalmente, non solo la vicenda amorosa di Margherita, già cantata sulle scene da Charles Gounod, ma tutto il poema, con i suoi episodi di impegno politico, filosofico, religioso, in cui si sarebbero evidenziate le aspirazioni al nuovo del giovane compositore che, secondo l’esempio wagneriano, si era da solo preparato il complesso libretto. Ma, alla ‘prima’, il Mefistofele ebbe un insuccesso clamoroso, decretato da un pubblico costretto a stare a teatro per quasi sei ore; di qui i tagli, i rifacimenti e infine la riabilitazione dell’opera nella ‘wagneriana’ Bologna nel 1875. Perduta la musica della prima versione, possiamo supporre che a turbare il pubblico milanese fosse stata non soltanto l’eccessiva lunghezza dell’opera, quanto l’inconsueto impegno ideologico di alcuni episodi […].
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⚫ Boito compie un radicale intervento sul suo lavoro che […] ne oblitera ampiamente l’ambizione culturalistica, e lo trasforma quasi, ancora una volta, in un dramma d’amore, in cui la figura di Margherita torna ad assumere un rilievo centrale, tant’è vero che a lei vengono affidati due nuovi pezzi nella scena del carcere: la toccante aria “Spunta l’aurora pallida” e il duettino “Lontano, lontano”, recuperato dalla giovanile opera Ero e Leandro. Così, il Mefistofele viene ad assumere un taglio più tranquillamente in sintonia con il gusto coevo, anche se non pochi episodi e alcune soluzioni originali meritano ancora attenzione e apprezzamento: ma più sul piano dell’invenzione musicale che su quello drammaturgico […]. Alle spalle del dotto musicista stanno, assai più che i maestri del nostro teatro lirico, i compositori d’oltralpe: Gluck e la sua ricerca sul recitativo, Mendelssohn e il fantastico, anche Beethoven (l’incipit dell’aria di Faust al primo atto “Dai campi, dai prati” è una citazione esplicita della Sonata ‘a Kreutzer’ ), mentre nelle fanfare di ottoni del ‘Prologo in cielo’ si avverte l’eco delle eroiche sonorità wagneriane.
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⚫ La tendenza a dilatare le arie in scene ampiamente articolate (Verdi ha appena scritto Don Carlos, e l’Otello è ancora da venire) è la soluzione formale più vistosa, anche se non mancano altri tratti di novità più sottili o episodici, come l’elegante giuoco di sovrapposizione di ritmi diversi, ancora nel prologo, quando cantano insieme cherubini e penitenti «salmodianti in modo antico»; o la grande scena di Elena, nel cosiddetto sabba classico, in stile arioso, con il recupero dell’esametro nella poesia italiana, prima delle Odi barbare del Carducci. Tutti questi elementi, che documentano un’informazione non provinciale e una sicura professionalità, sono innestati su una autentica vena sentimentale, su una cantabilità quasi da romanza da salotto: il risultato non è certo una rivelazione assoluta; eppure, antologicamente, questi episodi svelano il carisma della bellezza senza aggettivi.
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⚫ […] decisamente ridicolo appare Mefistofele quando intona l’altra ballata filosofica sul «mondo vuoto e tondo». Questo autentico incidente espressivo conferma, se occorre, che la più autentica vena di Boito, al di là dei propositi progressisti e intellettuali, è da ricercare nell’ispirazione lirica che si espande nei canti di Margherita e di Faust, non a caso voci di soprano e tenore, secondo una consolidata tipologia del melodramma ottocentesco.
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⚫ Una delle date più memorabili nella vita artistica di Arrigo Boito fu il 5 marzo 1868, quand'egli, appena ventiseienne, si presentava al teatro della Scala per dirigervi la prima rappresentazione del suo Mefistofele. Gli studi musicali seguiti con ardore costante e con anima d'artista al Conservatorio milanese facevano sperar lietamente del suo avvenire; le prime produzioni letterarie, specialmente quelle in versi, gli avevano procacciato molte lodi e lo avevano reso una della figure più note di quel gruppo di neoromantici lombardi e piemontesi, che annoverava fra i migliori Emilio Praga, Giuseppe Giacosa e Giovanni Camerana. Era anche risaputo com'ei professasse, rispetto all'arte musicale, alcune idee, se non derivate direttamente dallo studio di Wagner, determinate almeno dal movimento di riforma che nella musica teatrale quel Grande aveva iniziato con polso di gigante. Idee discordi da quelle che allora, sopra tutto mercé le opere di Giuseppe Verdi, formavano quasi un canone rigoroso per i musicisti italiani; specialmente per que' musicisti d'ordine inferiore i quali difettavano di forte ingegno e di personalità propria. Di conseguenza, se alcuni guardavano al giovane artista come ad un simpatico novatore, altri, ed erano i molti, lo giudicavano un poeta dilettante di musica e piuttosto stravagante che geniale. Grande era perciò l'aspettativa pel Mefistofele, audace e probabilmente decisiva la prova che il Maestro si preparava ad affrontare.
► Il primo Mefistofele di Arrigo Boito (1868), Michele Rìsolo, in Biblioteca rara, a cura di Achille Pellizzari, Napoli, 1916, Società Anonima Editrice Francesco Perrella
⚫ Quella sera nel teatro della Scala si pigiava una folla indescrivibile, la magnifica e terribile folla delle prime rappresentazioni, attese da molto tempo con curiosità e impazienza. Folla dentro e folla fuori, dove centinaia di persone, respinte per mancanza di posti, si agglomeravano rumoreggiando. Nel teatro, nei caffè, ne' circoli, si diceva che molti editori stranieri di musica fossero venuti per l'occasione in Milano; che alcuni avessero perfino gareggiato, vanamente, nell'offrire al Boito una somma fortissima per acquistare la proprietà del Mefistofele; che i compagni di Conservatorio, gli amici e gli stessi professori del Maestro gli avessero preparato una corona di alloro e una specie di ricevimento trionfale all' uscita dalla Scala; che molti simpatizzanti, infine, si fosser proposto di difendere anche con le armi, dalle critiche e dagli assalti dei malevoli, il successo dell'opera. S'era formato, a tal uopo, un gruppo di messaggeri, i quali, al finir di ogni atto, dovevan partire dal teatro per annunziare ne' vari ritrovi della città, a mezzo di bullettini, le sorti del Mefistofele.
► Il primo Mefistofele di Arrigo Boito (1868), Michele Rìsolo, in Biblioteca rara, a cura di Achille Pellizzari, Napoli, 1916, Società Anonima Editrice Francesco Perrella
⚫ Ma se il «Prologo in Cielo», con cui l'opera s' inizia, produsse un'impressione profonda nel suo solido organismo di poesia e musica fuse in un'unica armonia d' ispirazione, dopo il primo atto la fortuna del lavoro incominciò a declinare, e cadde poi completamente negli atti successivi. Verso la fine dell'opera il pubblico divenne intollerante e perfino crudele, si che 1' «Epilogo», non ostanti le sue molte bellezze, si chiuse fra le riprovazioni di quasi tutti gli spettatori. Ne seguirono polemiche, critiche aspre e ingiuriose su' giornali avversari, qualche duello. Poi il rumore cessò; e il Maestro, ch'era uscito dalla prova profondamente scosso e avvilito, parve vinto definitivamente. Si chiuse in un grave silenzio, e attese a tradurre poemi di Wagner, a scriver melodrammi per Ponchielli e Coronaro, a dettar liriche, a preparar la vittoria. Infatti, dopo sette anni emerse dal silenzio e col secondo Mefistofele trionfò definitivamente dapprima a Bologna, poi, via via, in tutti i teatri del mondo.
► Il primo Mefistofele di Arrigo Boito (1868), Michele Rìsolo, in Biblioteca rara, a cura di Achille Pellizzari, Napoli, 1916, Società Anonima Editrice Francesco Perrella
⚫ Arrigo Boito è, prevalentemente, un lirico. Anche nelle sue opere drammatiche destinate al Canto l'elemento più importante e più sincero è l'elemento lirico: unilaterale e caratteristico tanto, da procacciare al poeta una considerazione tutta personale pur nell'affollarsi contemporaneo di scrittori non ispregevoli. Nel Libro dei versi come in Re Orso e ne' melodrammi, non escluso il pagano Nerone, il Boito vive e svolge in diversissimi modi una costante ispirazione romantica. Egli è un romantico sincero: in lui è forza viva e sentimento quanto ne' romantici della generazione a lui anteriore era rimeria elaborata, vuoto ciarpame ammucchiato alla rinfusa, esibito freddamente; in lui anzi, dirò col Croce, esiste il romanticismo italiano «come visione sconvolta, straziata e antitetica della vita». Tutta l'opera del Boito è dominata da codesta visione spesse volte tragica. Il suo mondo è distinto in due campi opposti, nettamente definiti: da una parte la passione cieca e brutale che giunge al delitto: il peccato, nel senso più compiuto della parola, la malattia trista dello spirito, quella malattia torbida e paurosa che serpeggia in molti eroi drammatici de' romantici francesi; dall'altra la dolcezza, l'amore, la rassegnazione umile e sofferente: dell'uno è rappresentante l'uomo, che a volta a volta si chiama Mefistofele, Iago, Barnaba, Ariofarne, Simon Mago; dell'altro la donna, la donna giovine e pura, la quale s'incarna, meglio che in ogni altro tipo, in Desdemona.
► Il primo Mefistofele di Arrigo Boito (1868), Michele Rìsolo, in Biblioteca rara, a cura di Achille Pellizzari, Napoli, 1916, Società Anonima Editrice Francesco Perrella
⚫ Nella prima edizione del Mefistofele, […] Arrigo Boito aveva seguito fedelmente, con acutezza geniale, l'opera del Goethe in un lavoro di comprensione e di condensazione ch'era impossibile sperare migliore. La grande epopea del Faust era stata compresa da lui nelle brevi pagine di un libretto che parve ai contemporanei un prodigio, e per l'armonia dell' insieme e pel modo con cui l'Autore aveva saputo conchiudere, nello spazio assegnato a una rappresentazione lirica, una sì vasta materia. Guidato dal suo gusto squisito aveva serbato anche agli episodi del Goethe tutto il loro carattere, tutte, o quasi, le sfumature di colore e di sentimento, la stessa forza interiore, ora tragica ora lirica ora altamente speculativa, dell'intero poema. Ma se l'opera letteraria parve rispettabilissima, non ostanti alcune stranezze nella verseggiatura, la musica, come già abbiamo discorso, non piacque. Risoluta, e bene, la questione, materiale più che artistica, dello spazio, era rimasto l'ostacolo maggiore; e cioè la possibilità di rendere musicali alcuni quadri immaginati dal Goethe e conservati dal Boito. Dare forma sensibile alle intuizioni della filosofia parve un vano sforzo di audacia. Com'era impossibile collegare ai suoni l'idea dell'«attimo fuggente» su cui il libretto posava, era egualmente impossibile esprimere con intermezzi sinfonici o in altro modo i significati ideali del Faust. Cosi si pensava allora dai moltissimi: e il Mefistofele cadde.
► Il primo Mefistofele di Arrigo Boito (1868), Michele Rìsolo, in Biblioteca rara, a cura di Achille Pellizzari, Napoli, 1916, Società Anonima Editrice Francesco Perrella
⚫ La sua resurrezione [id est: del Mefistofele, n.d.c.] era consentita a patto che il poeta indulgesse al compositore di musica, che il lavoro letterario fosse sacrificato alle esigenze del teatro lirico, conservando dell'antica opera soltanto le scene e gli episodi più accessibili e veramente umani, togliendone tutto ciò che potesse disturbare e confondere la semplicità dello svolgimento. Dunque, saper scegliere e collegare, con occhio acuto e sensibilità fine; scorgere le intime relazioni che corrono tra poesia e musica e saperle vagliare con rigore artistico: era questo che occorreva e di cui poteva essere capace soltanto un poeta-musicista. Il Boito si rimise all'opera, nel silenzio, e riatteggiò in soli sei quadri il primitivo libretto. Riatteggiò, ma non svolse: ché nel secondo Mefistofele mancano quella connessione, quell'organicità, quell'armonia ch'erano i pregi principali del primo; vi manca il dramma umano con tutte le sue passioni, con tutte le sue vicende. La libertà e la prodigalità entusiastica del Boito come poeta sono state temperate dalla riflessione del musicista. Ridotte le proporzioni di parecchi episodi, eliminati quelli ch'erano contrari alle consuetudini e all'indole del teatro lirico, disturbato perciò il nesso che legava idealmente, se non nella realtà, i diversi quadri, l'opera letteraria ha perduto in ragione di quel tanto — moltissimo — che la composizione musicale ha acquistato.
► Il primo Mefistofele di Arrigo Boito (1868), Michele Rìsolo, in Biblioteca rara, a cura di Achille Pellizzari, Napoli, 1916, Società Anonima Editrice Francesco Perrella
⚫ Senza dubbio il nuovo Mefistofele presenta sul primo una maggiore eleganza e politezza di verso e, non di rado, una semplicità efficace d'espressione: inoltre è quasi mondo di quelle bizzarrie metriche, di quelle stranezze di forma che nel primitivo libretto erano dovute, più che ad altro, all'ambiente in cui l'autore s'era educato. Ma ciò non basta a farne, come di quel primo, una bella opera letteraria. Ha, certo, una maggiore semplicità e compostezza di scene e di metri; ma quelle sono staccate, talvolta perfino isolate, non posando su un fondo organico chiaramente disegnato, questi poi non rinnovano per nulla lo spirito della poesia. La quale, ne' suoi caratteri essenziali, è la medesima poesia delle liriche: malinconica e mordace, scettica e serena, lugubre o luminosa. Del resto, il problema spirituale è sempre lo stesso: un angoscioso desiderio dell'ideale, della bellezza superiore ed eterna. Sarebbe anzi interessante ricercare se il Faust non abbia anche influito sul Libro dei versi e se l'idea della vita, poniamo, concepita come un continuo affannoso oscillare fra paradiso e inferno, e l' idea dell'uomo equiibrato «tra un sogno di peccato e un sogno di virtù» non abbiano la loro remota origine nel poema del Goethe.
► Il primo Mefistofele di Arrigo Boito (1868), Michele Rìsolo, in Biblioteca rara, a cura di Achille Pellizzari, Napoli, 1916, Società Anonima Editrice Francesco Perrella
1a | Milano, Teatro alla Scala | 5 marzo1868 | versione in un prologo e 5 atti |
2a | Bologna, Teatro Comunale | 4 ottobre 1875 | versione in un prologo, quattro atti e un epilogo |
3a | Venezia, Teatro Rossini | 13 maggio 1876 | versione di Bologna con l'aggiunta della romanza Spunta l'aurora pallida, atto terzo |
► DEUMM, AA. VV. (UTET, 1999)
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