Citazioni riguardanti l'opera
Dramma tragico in due parti.
Libretto di Salvadore CAMMARANO.
Musica di Gaetano DONIZETTI.
Prima esecuzione: 26 settembre 1835, Napoli.
⚫ Lucia di Lammermoor non fu il primo grande successo di Donizetti nel genere ‘serio’: già Anna Bolena (1830) e Lucrezia Borgia (1833) erano state opere vincenti […]. Donizetti morì cinquantunenne a Bergamo, sua città natale, in stato di demenza, dopo aver composto settanta opere. Per un singolare destino aveva descritto la demenza in varie opere, iniziando dalla protagonista di Emilia di Liverpool (1824) e continuando con i deliri di Murena nell’Esule di Roma (1828) e di Torquato Tasso nell’opera omonima, per giungere a quelli di Linda di Chamounix (1842). D’altronde le scene di follia erano un antico retaggio dell’opera italiana o italianizzante; comparvero già nell’Orfeo di Luigi Rossi, per non parlare dell’Orlando furioso di Vivaldi e di Händel o della Nina pazza per amore di Paisiello.
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⚫ Il libretto di Salvatore Cammarano fu tratto da The Bride of Lammermoor, romanzo di quel singolare depositario di soggetti operistici che fu Walter Scott. A lui si ispirarono ben quattro compositori che prima di Donizetti musicarono le vicende di Lucia ed Edgardo: Michele Carafa (Le nozze di Lammermoor, Parigi 1829), Luigi Riesk (1831), Ivar Frederik Bredal (La sposa di Lammermoor, Copenhagen 1832) e Alberto Mazzuccato (La fidanzata di Lammermoor, Padova 1834). Donizetti, come di consueto, fu rapidissimo: iniziò la composizione alla fine del maggio 1835, la terminò il 6 luglio. Scott, riferendosi alle lotte fra i seguaci di Guglielmo III d’Orange e i fedeli del detronizzato Giacomo II, aveva collocato il suo romanzo nella Scozia del 1689, mentre Cammarano retrodatò Lucia alla fine del Cinquecento.
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⚫ Lucia fu una sorta di Pirata che, partendo da fatti meglio coordinati sotto il profilo narrativo, esprimeva più compiutamente l’esperienza belliniana. D’altronde Bellini e Donizetti s’erano sovente mossi, fino ad allora e sia pure con formule in parte diverse, nella stessa direzione. Benché alcune opere di Rossini avvincessero ancora il pubblico, il romanticismo esigeva un linguaggio meno stilizzato, meno fiorito e tale da raffigurare con maggiore immediatezza le situazioni sceniche. Bellini e Donizetti presero ad accostarsi a un linguaggio per l’epoca realistico, sopprimendo o riducendo le fioriture e l’ornamentazione nel canto delle voci maschili e, a volte, anche in quello delle voci femminili. Fu il primo passo verso la verosimiglianza del linguaggio vocale […]. Il secondo passo furono melodie che partivano dall’accentazione delle parole per svilupparsi in un motivo semplice, tenero, malinconico. Così nacquero le arie, definite ‘nenie’ o ‘cantilene’, che furono la sigla e di Bellini e di Donizetti.
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⚫ […] gli spunti veementi e iracondi nascono dall’immediata trasfigurazione melodica della accentazione delle parole. Come nel Larghetto “Cruda, funesta smania” di Enrico (I,2) e, subito dopo, nella veemenza dell’Allegro moderato “La pietade in suo favore”, che funge da cabaletta. Altrettanto aderente all’accentazione ‘parlata’ è il Larghetto di Edgardo “Sulla tomba che rinserra”, che non per questo perde una felice flessuosità melodica (scena e duetto del finale primo).
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⚫ Per la protagonista, il discorso sul linguaggio vocale è diverso. Donizetti, come Bellini in tutte le sue opere, applica soltanto saltuariamente al canto del soprano il procedimento di renderlo realistico eliminando vocalizzi e fiorettature; e questo proprio mentre il realismo drammatico guadagna spazio. Ma esiste una ragione storico-psicologica. Già agli albori del melodramma il canto fiorito e vocalizzato distingueva i personaggi mitologici o regali dai comuni mortali. Nel melodramma romantico il canto fiorito risponde al concetto della donna virtuosa, inaccessibile, portata a nascondere le proprie forme dalla foggia della crinolina, che il moralismo del periodo 1830-60 contrappone al ricordo d’un passato, ancor prossimo, ritenuto licenzioso. Si tratta, insomma, d’un linguaggio allegorico che afferma l’avversione della donna alle basse passioni. Lucia prova certamente slanci d’amore fervidi, appassionati, ma Donizetti le inibisce il canto sillabico e ‘spianato’ perché non allegorico, non idealizzato. Quando Lucia entra in scena e narra l’apparizione d’un fantasma (“Regnava nel silenzio”, I,4) la vocalità è prevalentemente ‘spianata’, ma quando è descritto l’amore per Edgardo (“Quando rapita in estasi”) diviene gradualmente virtuosistica.
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⚫ Notevoli in Lucia i recitativi, anche per la loro varietà. Se Donizetti usa il recitativo ‘monofonico’ - articolato, imitando il ‘parlato’, sulla ripetizione di una stessa nota - lo ravviva facendo gradualmente salire di tono ogni frase (scena di Enrico e Lucia del secondo atto, “Appressati, Lucia” e “M’odi, spento è Guglielmo”). Adotta il ‘parlante-misto’, dove il recitativo è affine al canto, ma il motivo conduttore è in orchestra (nel dialogo di Enrico e Arturo prima della scena delle nozze). Sono presenti anche il ‘declamato’ (Edgardo, prima della ‘maledizione’) e il recitativo arioso che sfiora il cantabile (Edgardo in “Tombe degli avi miei”). Questa complessità dei recitativi rende più serrato il ritmo della narrazione.
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⚫ Il momento magico vissuto da Donizetti durante la composizione investe tutte le strutture dell’opera. Tra le pagine d’insieme emerge il sestetto del finale secondo, dove tra l’altro si scorge in Donizetti l’allievo di Mayr, per talune analogie con il sestetto del finale primo di La rosa bianca e la rosa rossa (1813). La parte corale, vasta e accurata, s’inserisce felicemente nell’azione a partire dalla prima scena dell’opera, ora bellicosa (“Percorriamo le spiagge vicine”), ora festosa (“Per te d’immenso giubilo”, finale secondo), ora partecipe del dolore di Edgardo e commossa dalla sua agonia nel finale.
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⚫ La strumentazione è abilmente correlata al mutare degli eventi scenici, anche attraverso interventi solistici. Nell’atmosfera notturna del parco, nel quale Lucia compare per la prima volta, è l’arpa ad annunciarla, con suoni liliali e sognanti; quando è convocata da Enrico, piagata dalla lunga assenza di Edgardo, è il lamento dell’oboe che la introduce; mentre nella scena della pazzia l’accompagna il suono ‘bianco’ e scarno del flauto.
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1a | Napoli, Teatro San Carlo | 26 settembre 1835 | |
2a | Parigi, Thèâtre de la Renaissance | 6 agosto 1839 | versione ritmica in francese con varianti, di Alphonse Royer e Gustave Vaëz |
► DEUMM, AA. VV. (UTET, 1999)
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