Citazioni riguardanti l'opera
Opera in quattro atti.
Libretto di Achille DE LAUZIÈRES, Angelo ZANARDINI.
Musica di Giuseppe VERDI.
Prima esecuzione: 10 gennaio 1884, Milano.
⚫ Opera fra le più sofferte ed elaborate nell’intero percorso creativo verdiano, Don Carlos offre ancor oggi spunti di discussione e perfino di polemica soprattutto a causa delle due versioni allestite dall’autore, una in cinque atti per l’Opéra di Parigi -conforme pertanto alle consuetudini spettacolari del grand-opéra francese-, l’altra in quattro, con tagli sensibili e dolorosi, per i palcoscenici italiani. Critica ed esecutori sono divisi nell’appoggiare l’una o l’altra partitura, ma certo l’edizione in quattro atti in lingua italiana ha finora goduto di una larga preferenza, anche a ragione della sua maggiore sintesi e delle minori difficoltà d’allestimento. […] Tuttavia, è ormai largamente diffusa nella pratica teatrale anche l’ulteriore versione preparata da Verdi nel 1886, in cinque atti come quella originale, ma in italiano e senza i ballabili.
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⚫ La complessa realtà delle tante redazioni autografe […] ha inciso per molti anni anche sulla fortuna esecutiva dell’opera, che non sempre ha trovato grande attenzione fra il pubblico e gli interpreti. Giudicato a lungo come un lavoro troppo tortuoso, prolisso, gravato di un’atmosfera opprimente, il Don Carlos ha cominciato a imporsi davvero come uno dei massimi conseguimenti dell’arte di Verdi soltanto a partire da questo secondo dopoguerra, nel quale ha trovato grandi direttori d’orchestra capaci d’imporlo al pubblico e di conquistare quella «penetrazione musicale e drammatica» (Budden) che è la condizione essenziale per garantire un’immagine autorevole e fedele dei significati dell’opera.
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⚫ […] in particolare, Verdi fu attratto dalla tesi politica d’una impossibile alleanza fra l’assolutismo e il liberalismo (incarnati rispettivamente nelle figure di Filippo e di Posa). Per questo, dalle varie dichiarazioni di Verdi, risulta ben chiaro che il re di Spagna è il vero protagonista dell’opera. Anche l’amore impossibile fra la regina e l’infante, peraltro, entrambi vittime della ragion di stato, fece facile breccia nella sensibilità del compositore, che in quel medesimo periodo stava tra l’altro accarezzando l’idea di mettere in musica una Fedra: il tema quasi psicanalitico delle due vicende di eros frustrato è palesemente simile.
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⚫ Immediatamente dopo la ‘prima’ parigina, all’opera furono mosse critiche ingiuste e impietose: Verdi fu accusato soprattutto di povertà melodica e di muoversi in una pericolosa direzione wagneriana. Certo, tutti furono colpiti dal clima morboso che s’aggira nel Don Carlos, dalle sue armonie moderne e dalla concezione sempre più affrancata dalla struttura tradizionale in pezzi chiusi. In realtà, la drammaturgia verdiana seguiva fedelmente la propria strada: sarebbe infatti impossibile immaginare le soluzioni del Don Carlos senza la decisiva sperimentazione attuata nella Forza del destino, con la sua dilatazione temporale e l’ambiziosa tendenza a tradurre in opera lirica il modello narrativo dei Promessi sposi manzoniani.
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⚫ Al di là dei penetranti ritratti psicologici di cui il Don Carlos è portatore, una delle conquiste più singolari di questo lavoro così singolare è la trasformazione del modello vetusto del grand-opéra in vera opera: Verdi è riuscito a non lasciarsi condizionare dagli obblighi spettacolari di quel genere, sfruttando per contro quell’espansione e quella contaminazione dispersiva delle forme ai fini d’una complessa, sottile, veemente adesione ai mille problemi sollevati dalla scelta d’un dramma che certo non aveva in partenza le doti di sintesi e d’agilità scenica tanto care al Verdi degli anni immediatamente precedenti. […] Il musicista ebbe […] a riconoscere la superiorità del testo francese rispetto alle traduzioni italiane: il modellato del canto, la sua tensione verso il declamato, le sottigliezze della fusione fra prosodia e melodia, fanno del Don Carlos il capolavoro assoluto nel genere del grand-opéra, genere giunto ormai alla fase del suo fisiologico crepuscolo. Lo stile di Verdi non è mai stato altrettanto ‘sovranazionale’, ed è per questo che l’opera trae ogni profitto dall’esecuzione nella lingua in cui fu composta.
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⚫ È un peccato che Verdi abbia sacrificato alcune delle più belle pagine di quest’opera per fare uscire i parigini dal teatro una manciata di minuti prima: fra quelle, ad esempio, il coro introduttivo dei boscaioli nella foresta di Fontainebleau portava in orchestra un motivo caratterizzato da un’acciaccatura di semitono che nel corso dell’opera si rivela come una sorta d’idée fixe, un rovello a cui soggiacciono tutti i caratteri del dramma. In quel rovello, in quell’instabilità cromatica dell’armonia, sta la peculiarità stilistica più autentica del Don Carlos, ed è la pura traduzione in termini musicali dell’opprimente atmosfera tratteggiata da Schiller col ricorso alla libera ricostruzione storica di un’epoca fra le più sinistre, quella dell’inquisizione. […] è sufficiente osservare le scelte di Verdi alla luce delle esigenze drammaturgiche per avvertire che il colore tenebroso e maladif dell’opera [è] retto e guidato costantemente dalla forza morale di un artista che, pur nella costante evoluzione del proprio linguaggio, riesce a non tradire mai se stesso.
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⚫ Il monologo di Filippo nel Don Carlo di Verdi («Ella giammai m'amò!…») non esprime un conflitto interiore che conduca a una risoluzione,bensì descrive il tracciato circolare d'un sentimento che s'aggira su di sé: la ripresa della sezione iniziale come sezione ultima del brano, e quella del cantabile («Dormirò sol nel manto mio regal») come penultima, ha dunque un senso drammaturgico e non soltanto una funzione morfologico-musicale.
► Drammaturgia dell'opera italiana, Carl Dahlhaus, Storia dell'opera italiana, vol. 6, Torino, 1988, EDT
⚫ Dalla “scena” del sovrano si discosta l'“aria” di Eboli («O don fatale, o don crudel»), più convenzionale sotto il profilo formale ma nella sua struttura interiore più prossima a un monologo classico: la presa di coscienza d'un conflitto inestricabile conduce - almeno in apparenza - a una risoluzione. Il contrasto tra cantabile («O mia regina<, io t'immolai») e cabaletta («Oh ciel! E Carlo? amorte domani…»), per quanto dissimulato, è ancora avvertibile come impalcatura formale del brano, e ne riflette gli affetti contrastanti: alla contrizione per il tradimento perpetrato segue l'entusiastica idea d'un gesto redentore e liberatore. Senonché l'una è rivolta alla regina, l'altra a Don Carlo: Eboli viene sì dilaniata da sentimenti contrapposti, ma l'aria non rappresenta lo sviluppo cogente d'un conflitto bensì un'alternanza repentina degli oggetti su cui di volta in volta s'incentra lo sfogo arioso della passione. Se di consueto l'abbrivo della della cabaletta è motivato da un accidente esteriore, qui esso è giustificato dalla semplice deviazione del corso che prende il flusso tumultuoso dei sentimenti. Questo non significa beninteso che lo scompiglio psichico dell'aria d'opera sia meno “realistico” della logica mentale severa che sottende il monologo: ma basta a far vedere quante difficoltà incontri nell'opera in musica l'adozione di quel principio dello sviluppo che Wagner in una lettera aperta Intorno ai poemi sinfonici di Franz Liszt (1857) contrappose al principio dell'alternanza e rivendicò per il Musikdrama.
► Drammaturgia dell'opera italiana, Carl Dahlhaus, Storia dell'opera italiana, vol. 6, Torino, 1988, EDT
⚫ Al momento in cui ci aggingiamo a scrivere nei principali diarii italiani è già apparsa la buona novella. Il Don Carlo […] ha raccolto il verdetto dell'Italia, e questo fu un'entusiastica ovazione. Diciamo il verdetto dell'Italia, perocché domenica a sera, nel teatro Comunale di Bologna si adunava […] una eletta parte di maestri, dilettanti, artisti e critici dell'arte, accorsi dalle più cospicue città.
► Gazzetta musicale di Milano, anno XXII, n° 43, Don Carlo di Verdi al Teatro Comunale di Bologna, Antonio Ghislanzoni, Casa Musicale Ricordi, 1867
⚫ Una strana sorpresa ci ha recato questa musica del Don Carlo. Noi ci siamo domandati con maraviglia come mai una buona parte dei critici di oltremare abbiano potuto, a proposito di questo spartito, tirare in scena il nome di Wagner, e supporre nell'autore del Rigoletto, del Ballo in maschera, del Simon Boccanegra e della Forza del destino, una trasformazione, per la quale in certa guisa venga a smarrirsi l'individualità italianissima del maestro. Noi riconosciamo che, scrivendo pel teatro dell'Opéra, […] il Verdi abbia eliminato certe forme più addicevoli al teatro italiano, rinunziando a certi effetti convenzionali che pure, in altri suoi spartiti, l'illustre maestro superlativamente raggiunse. Egli non ha ripudiato la propria individualità, ma piuttosto di questa individualità non ha esposto che il lato più nobile, eliminando tutto ciò che potesse tornare meno conforme al gusto di un pubblico cosmopolita, ed alle speciali esigenze del teatro ove era chiamato a prodursi. Nel Simon Boccanegra, nel Ballo in maschera, nella Forza del destino, nel Rigoletto noi troviamo già molti tratti che promettono il Verdi del Don Carlo. […] nel Don Carlo vediamo da capo a fondo seguìto un concetto, una maniera, una forma unica e costante, dalla quale emerge potentissima l'individualità del maestro. Questi concetti sono sempre grandiosi, qualche volta sublimi; questa forma è larga, ritmica, quadrata - non mai una digressione, non mai una divergenza, che accenni l'oblio del quadro generale o una transazione puerile. Le maniere dell'Opéra comique, che talvolta nelle gravi composizioni del Mayerbeer, vi distraggono dal soggetto principale per trattenervi sopra un accessorio di nesssun conto, sono bandite dal Don Carlo.
► Gazzetta musicale di Milano, anno XXII, n° 43, Don Carlo di Verdi al Teatro Comunale di Bologna, Antonio Ghislanzoni, Casa Musicale Ricordi, 1867
⚫ A leggere i giudizi uscita dalla stampa francese ed inglese, noi ci attendevamo di dover assistere ad una di quelle opere, dove il canto è costantemente sacrificato allo istromentale, dove il dramma va ad incarnarsi esclusivamente nell'orchestra, dove la scena non presenta che un movimento misurato di personaggi condannati ad alternare colle voci i suoni che si partono dall'orchestra. Nulla di tutto questo. Il dramma di Verdi è nella parola, è nel canto, è nella voce e nel cuore umano. L'orchestrazione, tuttoché meditata, calcolata, e stupenda quanto lo può essere quella del più sapiente maestro del passato e del presente, rimane sempre ciò che deve essere, un accessorio del grande quadro, vale a dire la tenebra, il crepusdcolo e la gran luce.
► Gazzetta musicale di Milano, anno XXII, n° 43, Don Carlo di Verdi al Teatro Comunale di Bologna, Antonio Ghislanzoni, Casa Musicale Ricordi, 1867
⚫ Il Mariani [direttore dell'orchestra; n.d.r.], applaudito, festeggiato, portato quasi in trionfo, può esser lieto di aver raggiunto il suo scopo. E questo era che il successo del Don Carlo spargesse un po' di balsamo sulle piaghe dell'arte italiana. […] in questa occasione le sue forze erano centuplicate dall'amicizia che professa pel Verdi, dalla fiducia che l'illustre maestro aveva in lui riposta, e, diciamolo pure, dalla cura dell'onore del proprio paese, a cui egli ha provveduto facendo sì che il capolavoro di un compositore italianio avesse in Italia un'interpretazione che gli stranieri guarderanno con invidia.
► Gazzetta musicale di Milano, anno XXII, n° 44, Titolo, Francesco D'Arcais, Casa Musicale Ricordi, 1867
⚫ La sera di giovedì rimarrà nella memoria di Giuseppe Verdi, come una delle più bella della sua lunga carriera. Per un artista vi possono essere trionfi più importanti, o perché decidano dell'avvenire, o perché risolvano le sorti di una battaglia; vi possono essere trionfi più rumorosi, gl'inaspettati per esempio, ed anche, generalmente, quelli con cui vien tenuta al battesimo dal pubblico una nuova opera d'arte, ma siamo certi che non vi possa essere un trionfo più profondo, più intimo, più personale, diremo così, di quello che ebbe ieri l'altro l'autore di tanti capilavori. Arrestare nel suo viaggio per il mondo un'opera consacrata dal plauso di tutti i grandi teatri, ripigliarla in esame, scorgervi dei difetti di struttura con la severità consciente e sapiente di chi sa fare, ben diversa dalla severità vana di chi fa il mestiere di criticare gli altri; ed accingersi di proposito a correggere, a rifare, a trasformare il proprio lavoro applaudito - tutto ciò può sembrare uno strano ardimento. Si può temere che il pubblico s'impunti e rivendichi il proprio diritto sull'opera del genio a cui ha collaborato a modo suo, battendo le mani e gridando: bravo! - Eppure quest'ardimento è pienamente riuscito a Giuseppe Verdi. Il Don Carlo viveva, era applaudito dovunque, era dal pubblico e dalla critica messo fra i capilavori più robusti del tempo nostro; per dire tutta la potenza del Verdi dell'ultima maniera, si diceva volentieri: l'autore del don Carlo e dell'Aida - ed ecco l'autore ripiglia il suo lavoro, lo rimpasta, di cinque atti ne fa quattro, sopprime i ballabili che sono quasi sempre un innesto malsano in un'opera, una concessione al gusto corrotto o alle false esigenze dei grandi teatri; taglia alcuni pezzi, aggiumge un duetto, che è tutto uno splendore, accarezza, liscia, raffina qua e là con pochi tocchi sicuri, e ridà la sua opera così rinnovata al pubblico, e lo costringe a confessare che ha guadagnato molto, che è più bella di prima, che è più viva di prima, che nulla di ciò che fu rifatto venne guasto; che dovunque ha toccato la mano dell'artista, è spuntato un fiore.
► Gazzetta musicale di Milano, anno XXXIX, n° 2, Don Carlo al Teatro alla Scala, Salvatore Farina, Casa Musicale Ricordi, 1884
⚫ Come è nostro costume riproduciamo i giudizi dei principali giornali milanesi: La perseveranza (11 gennaio) L'ovazione veramente commovente fu poi quella al Verdi dopo la fine del secondo atto, o a meglio dire dopo il nuovo duetto, ed era quello veramente il momento meglio adatto. Gli applausi e gli appelli al maestro durarono un pezzo senza che si vedesse spuntare neppure un pelo della barba che rende così caratteristico il suo volto e dà tanto fulgore ai suoi occhi geniali, infine a forza di gridare e di picchiare si vide un leggero movimento nella cortina di una delle due porte del sipario, e la severa figura dell'illustre uomo comparve in mezzo, bella, dignitosa ed anche visibilmente commossa. […] P.S. Ci viene comunicato per telefono, che dopo l'ultimo atto del Don Carlo s'è fatta al maestro Verdi una imponentissima dimostrazione. Lo si volle ripetutamente da solo al proscenio. Tutti gli spettatori erano in piedi, agitando i signori i cappelli e le signore i fazzoletti. La Società degli Artisti lirici e maestri affini presentò al Verdi una pergamena, con cui lo si nomina socio benefattore e presidente d'onore. Essa è lavoro pregevolissimo della Scuola professionale femminile di Milano.
► Gazzetta Musicale di Milano, anno XXXIX, Supplemento al n° 2, Don Carlo al Teatro alla Scala, Filippi, Casa Musicale Ricordi, 1884
⚫ Come è nostro costume riproduciamo i giudizi dei principali giornali milanesi: Il Corriere della sera (11 gennaio) I giovani, se invecchieranno, potranno serbare fino agli anni più tardi, il ricordo dell'avvenimento artistico d'ieri sera. I vecchi devono rallegrarsi d'aver gustato la quarta maniera di Verdi! Se nel famoso nuovo finale del Boccanegra si trova la chiara manifestazione di una nuova maniera d'interpretare il dramma musicale, Verdi ha saputo manifestarla in modo assai migliore nei nuovi pezzi del Don Carlo! […] Innanzi a così alta, nuova, efficace manifestazione del genio verdiano, ci domandiamo se è possibile che Verdi non dia, in una nuova tragedia lirica, un quadro completo di questa maniera di interpretazione. Ci domandiamo se non sarebbe davvero doloroso per la gloria italiana non solo, ma per l'arte universale, che Verdi non volesse più scrivere nuove opere.
► Gazzetta Musicale di Milano, anno XXXIX, Supplemento al n° 2, Don Carlo al Teatro alla Scala, ag. (sic), Casa Musicale Ricordi, 1884
⚫ Come è nostro costume riproduciamo i giudizi dei principali giornali milanesi: Il Pungolo (11 gennaio) L'atto si chiude col duetto fra Posa e Filippo, nuovo nel suo svolgimento. - È un pezzo di musica stupendo, nel quale prevale la declamazione, un pezzo le cui bellezze di colorito musicale saranno certo ancor più apprezzate le sere successive. […] Tre chiamate agli esecutori. - Si chiama ad alte grida il maestro - si insiste - le grida aumentano. Finalmente Verdi compare dalla tenda della porticina a sinistra. - Un urrà! - Il pubblico è in piedi. - La figura di Verdi seria, contegnosa fa un'impressione incredibile. - Si ricorda che 42 anni or sono sulle stesse scene egli aveva il trionfo del Nabucco, - Verdi è commosso, i suoi occhi vivacissimi brillano più del solito. - Si ritira. - Lo si vuol vedere ancora. Egli cede alle chiamate insistenti, e ricompare. - Acclamazioni di vero entusiasmo. […] Bellisssimo l'effetto scenico del finale con l'apparizione di Carlo V. Tre chiamate agli artisti. Poi si grida: Verdi! Verdi! - e si torna a gridare. - Tutto il pubblico è in piedi. - Finalmente ecco Tamagno che trascina fuori quasi a forza l'illustre maestro. - Le signore agitano i fazzoletti - gli uomini i cappelli. - È una ovazione imponente, commovente - che si ripete altre due volte con altre due chiamate agli artisti e a Verdi.
► Gazzetta Musicale di Milano, anno XXXIX, Supplemento al n° 2, Don Carlo al Teatro alla Scala, anonimo, Casa Musicale Ricordi, 1884
⚫ Come è nostro costume riproduciamo i giudizi dei principali giornali milanesi: Il Secolo (11 gennaio) In questo primo atto, di nuovo v'hanno: un dialogato che prepara il duetto tra Filippo e Rodrigo, al quale la vecchia edizione fornisce ben poco. Questo duetto basterebbe da solo a provare che gli anni nulla tolsero alla potente fibra artistica del maestro, che ieri sera veniva con tanto entusiasmo e venerazione acclamato dal pubblico della Scala. Nell'a due tra Filippo e Rodrigo si sente come Verdi ancora oggidì studi e legga quanto dà di meglio l'arte musicale; la condotta generale del pezzo, l'istrumentazione, e la melodia ci dicono poi come la musica tedesca sia quella che di preferenza ferma la sua attenzione. Impressionò vivamente il pubblico la chiusa di questo duetto, quando cioè Rodrigo invece che sulla tonica (siamo in fa maggiore) finisce sulla dominante do, coll'accordo completo di settima diminuita. Questa sospensione nel canto, e la risoluzione affidata agli istrumenti invece che alla voce, produsse un bell'effetto.
► Gazzetta Musicale di Milano, anno XXXIX, Supplemento al n° 2, Don Carlo al Teatro alla Scala, V. V., Casa Musicale Ricordi, 1884
1a | Parigi, Thèâtre de l'Académie Impériale de Musique | 11 marzo 1867 | in francese, libretto di Joseph Méry e Camille Du Locle |
2a | Londra, Royal Italian Opera House, Covent Garden | 4 giugno 1867 | traduzione ritmica in italiano di Achille de Lauzières, con titolo Don Carlo; prima rappresentazione italiana: Bologna, Teatro Comunale, 27 ottobre 1867 |
3a | Napoli, Teatro San Carlo | 6 marzo 1872 | versione italiana; modifica del duetto Filippo - Posa (con nuovi versi di Antonio Ghislanzoni) e taglio nel duetto Elisabetta - Carlo dell'ultimo atto |
4a | Milano, Teatro alla Scala | 10 gennaio 1884 | versione italiana; libretto originale in francese ridotto da Camille Du Locle e Charles Nuitter, traduzione dei nuovi versi di Angelo Zanardini; eliminato il primo atto |
5a | Modena, Teatro Comunale Nuovo | 29 dicembre 1886 | versione italiana; ripristino del primo atto, seguendo per il resto la versione del 1884 di Milano; eliminazione dei balli |
► DEUMM, AA. VV. (UTET, 1999)
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