Citazioni riguardanti l'opera
Dramma buffo.
Libretto di Giovanni RUFFINI.
Musica di Gaetano DONIZETTI.
Prima esecuzione: 3 gennaio 1843, Parigi.
⚫ La trama si rifà a un libretto di Angelo Anelli, musicato da Stefano Pavesi nel 1810 come Ser Marcantonio. Il librettista del Don Pasquale fu invece Giovanni Ruffini. Esule a Parigi perché mazziniano, Ruffini avrebbe poi scritto due romanzi di successo, Lorenzo Bernoni e Il dottor Antonio. Ma proprio perché letterato di alto lignaggio si rifiutò di far figurare il proprio nome nel libretto, sul frontespizio del quale appare l’indicazione ‘Dramma buffo in tre atti di M. A.’. Le sigle M. A. rispondono al nome e al cognome di Michele Accursi, un altro esule mazziniano amico sia di Donizetti sia di Ruffini. Come che sia, il libretto del Don Pasquale può non essere un saggio di alta letteratura, ma ritmo serrato e teatralità lo rendono, operisticamente parlando, eccellente.
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⚫ Che Donizetti avesse il senso dell’umorismo è provato anche dall’epistolario, oltre che dalle opere comiche che compose. Delle quali molte sono abborracciate e gremite di luoghi comuni e banalità, ma almeno tre hanno una consistenza storica: L’elisir d’amore (1832), la Fille du régiment (1840) […]. La terza opera comica donizettiana di grande spicco è appunto il Don Pasquale. Quest’opera evidenzia la capacità di Donizetti (se in stato di grazia) di cogliere con sottigliezza quello che potrebbe essere definito il ‘clima ambientale’. Don Pasquale è opera salottiera, quanto l’Elisir d’amore è opera agreste. In altri termini si trattava di creare un’atmosfera borghese e cittadina, giacché «l’azione si svolge a Roma», come avverte il libretto.
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⚫ La sinfonia, iniziata dalla languida melodia di quella che sarà, nel terzo atto, la ‘serenata’ di Ernesto, s’impernia poi sul frizzante motivo della cavatina di Norina (“So anch’io la virtù magica”), mentre il terzo tempo ha a tratti un sapore rossiniano forse troppo scoperto. Nella seconda scena del primo atto compare un’aria che non è né frizzante, né originalissima, ma improntata, sotto il tono apparentemente estatico, a una melliflua levità. È il Larghetto cantabile “Bella siccome un angelo” del dottor Malatesta. La replica di Don Pasquale, il Vivace “Ah, un foco insolito mi sento addosso” ha invece la grana un poco grossa della farsa, ma ai fini della caratterizzazione del personaggio non manca di efficacia. Arguto e soprattutto molto centrato psicologicamente è il successivo colloquio Don Pasquale-Ernesto. Qui, dal tono tronfio e pomposo con il quale Don Pasquale annuncia al nipote le proprie nozze (va sottolineato il semplice ma salace commento orchestrale) si passa in pochi tratti, con singolare scioltezza, al malinconico lirismo del cantabile di Ernesto, “Sogno soave e casto”, altro esempio di rapida caratterizzazione d’un personaggio.
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⚫ La comparsa di Norina, nella seconda parte del primo atto, accentua il tono salottiero, ma vanta anche la rapida capacità di caratterizzazione del miglior Donizetti. Il languore un poco affettato con il quale Norina legge la storia del cavalier Riccardo, trafitto da uno sguardo fatale, ritrae un temperamento aggressivo ed estroso, e anche un poco spregiudicato e anticonformista. La giovane donna accantona presto le fantasie letterarie e prorompe nello scattante Allegretto “So anch’io la virtù magica”. Quando poi Norina e Malatesta provano la scena che dovrà ammaliare Don Pasquale, subentrano notazioni parodistiche, come il sapore epicheggiante dello strumentale all’inizio dell’Allegro “Vado, corro al gran cimento”.
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⚫ Tipica del Don Pasquale è l’efficacia con la quale il lirismo e la malinconia si contrappongono al sorriso malizioso o anche alla schietta risata. Quando, nel preludio al secondo atto, la tromba introduce lo sconforto di Ernesto, il languore accorato della melodia cancella all’istante la scintillante gaiezza del finale del primo atto. In fondo l’aria “Cercherò lontana terra” è pleonastica, si ispira a una situazione che Norina e Malatesta sono sul punto di capovolgere. Ma era istintivo in Donizetti innamorarsi di certi momenti lirici indipendentemente dal fatto scenico […] e ricavarne melodie struggenti. Di fatto, aver idealizzato e romanticizzato il tenore del melodramma giocoso, mediante genuine estasi o sofferenze, fu un merito esclusivamente -o almeno prevalentemente- donizettiano.
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⚫ Nei passi più farseschi […] tutti i personaggi si tramutano in ‘buffi’ e il loro canto diviene ‘parlante’, mentre la melodia si trasferisce all’orchestra. Questo era un procedimento tipico degli ultimi settecentisti, ma sublimato da Rossini. Si veda il momento in cui Norina, a matrimonio già celebrato, inizia l’aggressione a Don Pasquale (“Calmate quel gran fuoco”), o quando comincia a dare ordini folli al maggiordomo, coadiuvata da un commento strumentale fresco e vivace (“Di servitù novella”). Ma forse il meglio […] è nel quartetto “È rimasto là impietrato”: l’inizio è rossiniano, ma poi subentra il Donizetti faceto, che rifà il verso anche a se stesso, parodiando (si notino certi funerei ritmi orchestrali) i suoi celebratissimi concertati d’opera seria, non escluso il famoso sestetto della Lucia di Lammermoor.
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⚫ Il terzo atto è forse il più leggiadro sotto il profilo lirico-melodico. Il meglio della parte iniziale è il patetico motivo dell’orchestra (Larghetto in 6/8) che segna, dopo un ultimo scontro con Norina e la scena dello schiaffo, la disfatta e il crollo di Don Pasquale. Anche il raddolcito linguaggio di Norina (“È duretta la lezione”) procede sulla scia di questa pietà per la vittima d’una trama che, in quel momento, appare perfida, crudele. Poi Norina torna a investirsi della propria parte, e lo fa al ritmo d’un molle e fiorettato valzer (“Via caro sposino”). Sullo stesso ritmo procede la parte conclusiva del celebre coro dei servitori della terza scena del terzo atto, dando una sorta di cornice mondana allo scandalo che sta per scoppiare in casa di Don Pasquale. C’è un crescendo di comicità, a questo punto, identificabile con la burlesca e cospiratrice gravità di Don Pasquale, che s’illude di potersi vendicare della giovane moglie, e di Malatesta, che finge di assecondarlo.
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⚫ Il canto di Ernesto non ha più l’accoramento dell’amore perduto e del prossimo esilio, ma l’abbandono sentimentale sia della serenata della sesta scena (“Com’è gentil”) sia, in modo precipuo, del successivo duetto con Norina, il Larghetto in 6/8 “Tornami a dir che m’ami”, denominato da Donizetti ‘Notturno’. Questo, assai più che il gorgheggiante rondò di Norina che enuncia - al modo consueto dell’opera buffa italiana e in un clima di generale giubilo - la morale della storia (“La moral di tutto questo”), è il vero finale dell’opera. Ed è evidente che nell’ampliamento, al di là dello sfondo farsesco, dell’area riservata alle espansioni amorose, va individuata una delle ragioni che fanno del Don Pasquale un’opera, nel suo genere, eccezionalmente variegata e compiuta.
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