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Citazioni riguardanti l'opera

Il campanello

Bella cosa, amici cari

Operina buffa.
Libretto e musica di Gaetano DONIZETTI.
Prima esecuzione: 23 maggio 1837, Napoli.




Contro la malinconia

⚫ Moderne, frequenti e fortunate riprese hanno confermato la gustosa validità comica sia de Il campanello (Napoli, Nuovo, 6 giugno 1836), un irresistibile susseguirsi di dituazioni farsesche; sia della commediola sentimentale Betly (ivi, 24 agosto 1836) trattata con magistrale finezza. Anche i libretti di questi due spartiti furono scritti da Donizetti in momenti di prostrazione, quasi a reagire contro la malinconia di una sorte avversa che in pochi mesi lo aveva privato del padre, della madre e di un secondo figlio che, come il primo, vide la luce per brevissimo tempo.

Storia dell'opera, diretta da Alberto Basso; volume primo L'opera in Italia, Torino, 1977, UTET

Il colore locale

⚫ Il Teatro Nuovo di Napoli era per tradizione il teatro della commedia per musica e della farsa. A questo fortunato genere Donizetti offrì un felice contributo con Il campanello, atto unico composto per risollevare dalle precarie condizioni impresario e cantanti del Nuovo, rimasti disoccupati per la crisi in cui versavano i teatri della città a metà degli anni Trenta. Come per un’altra sua opera, Betly, Donizetti rivestì qui la duplice veste di librettista e compositore, scrivendo alla fine del maggio 1836, in non più di una decina di giorni, l’intera opera. Certo, le proporzioni sono ridotte: solo cinque numeri musicali intercalati da parti in prosa (non manca la parte dialettale per il basso buffo, Don Annibale) nella concezione originale. L’anno seguente Donizetti stesso curò una ripresa al Teatro del Fondo, trasformando la farsa in operina buffa: sostituì la prosa con recitativi secchi, tradusse la parte dialettale in italiano e ampliò la parte musicale. Iter comune a quasi tutte le farse, funzionale all’eliminazione del colore locale caratteristico del luogo di produzione – fosse esso Napoli, Venezia, Roma – che, se costituiva una delle maggiori attrattive per gli spettatori della città d’origine, diventava un limite all’esportazione in ambiti diversi.

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La trama

⚫ La trama è quasi un topos dell’opera buffa: il vecchio speziale di un sobborgo napoletano, Don Annibale Pistacchio, sta festeggiando le nozze con la giovane Serafina e i parenti tutti, quando irrompe Enrico, ex amante di lei segretamente riamato, rivendicandone l’amore («Non fuggir!») e cercando con mille fantasiosi espedienti di evitare che Don Annibale possa finire a letto con Serafina. Il campanello diventa diabolico strumento al proposito di Enrico, che suona alla bottega dello speziale ora travestito da damerino francese, indi da cantante che ha perduto la voce («Ho una bella»), infine da vecchio che sciorina una interminabile lista di medicine («Mio signore venerato»). Arriva l’alba, e Don Annibale deve lasciare la moglie e partire in diligenza. L’antico corredo della farsa - i travestimenti, il gioco di entrate e uscite, i paraventi, il buio, il plurilinguismo (che è gioco di dialetti, di lingue storpiate) - rivive come propaggine settecentesca in un secolo che, dopo Elisir d’amore e Don Pasquale, a teatro avrebbe riso poco.

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Il cammino dell'opera

⚫ Nella duplice forma di farsa con prosa in italiano e di operina buffa con recitativi, Il campanello conobbe nell'Ottocento numerose riprese nei teatri di molte città italiane ed all'estero, riprese cui Donizetti però non prese parte. La partitura per noleggio, resa disponibile da Ricordi nel 1955 […] stardardizzò la versione con i recitativi, e in tale veste l'opera ha proseguito il suo cammino.

, http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/spartito/LO10369084/12

Da farsa napoletana ad operina buffa

⚫ […] Donizetti stese il libretto partendo dall'originale francese [La sonnette de nuit n.d.r.] e non da una traduzione. Secondo la bibliografia redatta da Giovanni Salvioli, la prima traduzione italiana apparve infatti nel 1850 con il titolo Il campanello dello speziale, ed altre ne seguirono. […] Il passaggio del Campanello da un teatro di tradizione popolare e vernacolare, qual era il Nuovo, alle esigenze di un teatro regio come il Fonfo, comportò modifiche in base alle quali la farsa finì col cambiare radicalmente aspetto; e non tanto per l'aggiunta e sostituzione di due numeri, quanto per un processo di adeguamento imprescindibile al rispetto delle convenzioni che reggevano la stretta divisione di ambiti dei teatri napoletani. Fu così che eliminati i due elementi caratteristici del genere farsesco - il dialetto e la parti in prosa - Il campanello venne trasformandosi da farsa napoletana di stampo settecentesco in operina buffa con testo italiano e recitativi atta a circolare nei teatri italiani ed esteri.

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La diffusione dell'opera

⚫ Il generale successo dell'opera, che percorse in pochi anni tutta la penisola, non fu solo italiano. Infatti nel 1837 fu rappresentata a Londra, con interprete Federico Lablache, nel nuovo teatro italiano consacrato all'opera buffa, il Lyceum, ed incontrò gli assoluti favori del pubblico inglese. Seguirono rappresentazioni, sempre in italiano, a Dublino (1838), Barcellona (1855), Bruxelles (1862), San Pietroburgo (1864) e Madrid (1869). La fortuna di cui Il campanello godette per tutto l'Ottocento è attestata dalle traduzioni che ne furono ben presto approntate (francese, inglese, spagnolo) e dalle numerose trascrizioni e fantasie sopra i temi più celebri pubblicate da Ricordi, straordinario e capillare mezzo di diffusione della produzione operistica contemporanea. Già nell'aprile del 1837 veniva infatti pubblicata da Ricordi […] una Fantasie pour le piano sur le motifs favoris du Campanello de Donizetti, op. 437, composta da Carl Czerny, cui seguiva un'analoga composizione per pianoforte a quattro mani […]; l'anno successivo l'editore milanese dava alle stampe una raccolta di pezzi scelti dell'opera trascritti per uno e due flauti […].

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La fortuna dell'opera

⚫ La fortuna del Campanello fu certamente legata alla teatralità di un libretto che, con una versificazione estremamente fluida e un uso della parola improntato ad una disinvolta agilità verbale, declina nel breve arco di un atto unico una trama esile ma irresistibilmente comica nell'incalzare di situazioni che spingono la beffa contro il vecchio speziale fino all'amaro e precipitoso esito del finale. Pur attenendosi strettamente alla fonte originale di Lhérie, Donizetti si mantenne sulla scia del tradizionale realismo della commedia napoletana settecentesca imprimendo al libretto un colore locale dato dalla dovizia di allusioni a luoghi di Napoli, dalla persistenza di personaggi della tradizione teatrale comica […]

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Versioni

1a Napoli, Teatro Nuovo 1 giugno 1836 Opera con arie e dialoghi parlati; la parte di Don Annibale è parlata in dialetto napoletano; la definizione è Farsa in un atto
2a Napoli, Teatro del Fondo maggio 1837 I dialoghi parlati vengono sostituiti da recitativi; anche i recitativi di Don Annibale sono in italiano

Wikipedia Vedi

DEUMM, AA. VV. (UTET, 1999)

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