Citazioni riguardanti l'opera
Opera in quattro quadri.
Libretto di Giuseppe GIACOSA, Luigi ILLICA.
Musica di Giacomo PUCCINI.
Prima esecuzione: 1 febbraio 1896, Torino.
⚫ Liberatosi dai diritti d’autore il fortunato e popolare romanzone di Murger apparso a puntate su ‘Le Corsaire’ dal 1845 al 1848 e ridotto in seguito (1849) anche per le scene con la collaborazione di Théodore Barrière, furono in due a pensare di trarne un’opera: Leoncavallo ci pensò per primo, ma la prima a essere rappresentata fu quella di Puccini, che condannò presto al dimenticatoio la fatica dell’autore di Pagliacci. Fu polemica continua non solo fra i due, ma anche fra le rispettive case editrici, Sonzogno e Ricordi, e tra ‘Il Secolo’ e il ‘Corriere della Sera’. Dal romanzo francese, attivato anche secondo percezione scapigliata, Illica prevede un libretto in quattro atti e cinque scene, mentre nella stesura definitiva l’opera sarà in quattro quadri, con la soppressione della scena di festa ambientata nel cortile della casa di via Labruyère, che avrebbe dato largo spazio a Musetta e che sarà il secondo atto dell’opera di Leoncavallo.
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⚫ Nella forma generale, l’articolazione è quella preferita da Puccini: presentazione dell’ambiente e dei personaggi; duetto d’amore a ridosso dell’inizio (come sarà palese in Tosca e Madama Butterfly); svolgimento drammatico, stavolta con una miscela inaudita tra la spensieratezza bohémienne e la tragedia che cova nel petto innocente della protagonista. Ma le protagoniste, benché con spazi di tanta diversa ampiezza testuale, stavolta sono due, perché Musetta, civettuola e leggera, è una Mimì più avanti nell’esperienza della vita, o meglio l’altro aspetto della femminilità di cui l’opera vuol rappresentare, secondo intenzione dei librettisti esposta in didascalia, citando da Murger, l’Ideale (così Mimì, che nel libretto fonde due diversi personaggi di Murger, Mimì appunto e Francine, è agnizione di sognato femminino per lo stupito Rodolfo, esclamante sull’inizio: «Alzandosi: una donna!», come di fronte a una rivelazione di generale femminilità che gli interpreti di Puccini hanno ben messo a fuoco).
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⚫ Terminato [il secondo atto,] blocco di sostanziosa unità spazio-temporale, la narrazione di Bohème fa un salto. Per l’intanto è comunque da notare come la coerenza della narrazione abbia udibile riscontro nello svolgimento musicale. Se alla ricchezza melodica s’era voluta spesso contrapporre da taluni una relativa parsimonia tematica, bisogna dire che l’oculatezza di Puccini nello sfoderare temi su temi ha una sua propria necessità di tessitura narrativa, con riprese ed espansioni calibrate, luminosamente procurate, costituenti la quarta dimensione del libretto. Per dire che la riuscita di Bohème sta nell’assoluta adeguatezza e interdipendenza di parole, situazione drammatica e musica.
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⚫ Per il libretto strettamente inteso, ne va riconosciuta la notevole consistenza drammaturgica: per quanto contrastato, il lavoro svolto da Illica e Giacosa sotto le non flessibili direttive di Puccini è riuscito nell’impresa di una delle opere più felici dell’intero repertorio, e il tempo ha mostrato la consistenza di quel valore, degno della musica che lo porta. Alla quale musica, per buona parte ma non per l’integrità dell’opera, arrise subito successo, anche se poi il giudizio complessivo volle vedere un regresso rispetto a Manon e al suo presunto sinfonismo.
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⚫ In Bohème anche la discussa questione del nodo di naturalismo, verismo e decadentismo in Puccini è affare ingarbugliato. Si direbbe che questa musica ‘tiene’, in senso anche, se non esclusivamente, tecnico e retorico, a una dolcezza che diventa fatto orchestrale, ovvero lirismo delle piccole cose di un piccolo mondo che si immagina come compiuto universo, in sé conchiuso. Una tradizione molto italiana, da paese del melodramma, ma non a caso trapiantata in ambiente di Francia, tra finezza e geometria; non olî, non acquerelli: l’orchestra di Bohème colora e contorna col pastello e talvolta con la disinvoltura di un artigiano dei gessetti, o del carboncino; ma di quell’artigianato sa sempre fare un’arte per intensità della mano. Come quest’arte somigli tanto a un artigianato e non lo sia, è tutto il mistero del genio Puccini.
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⚫ [Rodolfo e Mimì] si danno a rammemorare i giorni lieti di “Mi chiamano Mimì” e di “Che gelida manina”. Mimì s’era allora subito accorta di tutto, della chiave nascosta, per esempio, ed era stata al gioco, ingenua ma non tanto. Tossisce. Tutti si accorgono di quel che sta per capitare, tranne Rodolfo, che non vuole cedere al destino. Sul manoscritto della partitura è il punto in cui Puccini, che sapeva quando far morire le donne fragili che creava, che sapeva come colpire i cuori per spillarne lacrime, ha disegnato il teschio con le due ossa incrociate sotto, come lo stendardo dei pirati, lui pirata del sentimento in musica. Sotto teschio e ossa, in atto di suprema consapevolezza teatrale e non meno supremo, ma provvisorio, cinismo, Puccini ha scritto «Mimì».
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