IL VESPASIANO
Dramma per musica.
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Libretto di Giulio Cesare CORRADI.
Musica di Carlo PALLAVICINO.
Prima esecuzione: 20 gennaio 1678, Venezia.
Personaggi:
VESPASIANO |
basso |
TITO figlio di Vespasiano |
contralto |
DOMIZIANO figlio di Vespasiano |
soprano |
ARRICIDA moglie di Tito |
soprano |
ATTILIO generale di Vespasiano |
soprano |
SERGIO capitano di Domiziano |
contralto |
LICINIO capitano di Domiziano |
tenore |
GESILLA schiava |
soprano |
ELVIDA schiava |
sconosciuto |
NISO paggio, custode di Gesilla |
sconosciuto |
ZELTO custode di Gesilla |
soprano |
GIUNONE su carro tirato da due pavoni |
soprano |
CIBELE su carro tirato da due leoni |
contralto |
FETONTE su carro tirato da due cavalli vivi |
tenore |
GIOVE sull'aquila |
basso |
Il PO |
basso |
Cavalieri, Paggi, e Soldati con Vespasiano;
Guerrieri con Tito;
Alabardieri, Domiziano;
Soldati, con Attilio;
Donne, con Arricida.
Città di Roma.
Argomento
Giunta all'estremo Occaso delle sue glorie la monarchia latina, le squadre dell'oriente, che militavano sotto il braccio di Vespasiano fecero improvvisamente risorgere un nuovo sole, fregiando a viva forza il loro duce di quell'alloro, ch'egli medesimo colla spada s'aveva raccolto sulle campagne di Palestina. Questa elezione fe' vacillar sul capo di Vitellio la corona imperiale, per difesa della quale ischierato a momenti un poderoso esercito, pretese, benché vanamente di conservar il lustro a quella porpora, ch'ormai aveva imbrattato col lezzo di tanti vizi nel dominio d'un impero tirannico. Imbrandito dunque l'acciaro s'oppose coraggiosamente a chi voleva rapirgli lo scettro, ma gli convenne cedere la vittoria prima lavando nel proprio sangue, poscia nell'onda del Tevere le lordure dell'obbrobriose sue scelleraggini.
Si finge che Domiziano ritrovandosi in Roma procurasse d'acquistare la corona al padre, della quale impadronitosi, volesse a sé medesimo usurparne il dominio.
Che Vespasiano ritornato dall'oriente si fosse attendato quella notte sul Tevere fuori della città, conducendo seco una schiava nell'amor della quale incenerivano le loro palme, Tito, ed Attilio; l'uno suo figlio maggiore, l'altro suo capitan generale.
Che Arricida moglie di Tito fosse stata rapita da Vitellio per violarla nella notte medesima della sua caduta. Queste finzioni, ed altri episodi danno l'intreccio al presente dramma intitolato «Il Vespasiano».
Cortile.
Nella reggia di Vitellio in cui segue formidabile combattimento fra le parti contrarie, nel maggior fervore del quale esce Domiziano con spada alla mano incoraggiando i suoi Soldati alla sorpresa della reggia.
DOMIZIANO
Al vibrar di questo brando
cada oppressa l'empietà
ch'ai tiranni il cor piagando
riede Roma in libertà.
Chi nei regni dell'aurora
l'aureo Gange incatenò.
Saprà sciorre il Tebro ancora
dalla man, che l'annodò.
Chi nei regni dell'aurora
l'aureo Gange incatenò.
Sergio, e Domiziano.
SERGIO
Gran folgore di guerra, omai dal ferro
abbattuta è la reggia.
DOMIZIANO
Sergio tu chiudi 'l varco:
io dal capo esecrando
di Vitellio l'indegno
volo a rapir co' la mia spada il regno.
(entra nella reggia seguìto da molti soldati)
Sergio con Soldati.
SERGIO
Vattene pur felice
certa vittoria oggi 'l mio cor predice.
Ah Vitellio Vitellio, indarno ancora
al voler delle stelle il brando opponi?
Vespasian l'invitto
eletto è al trono ad impor leggi al Lazio,
e Domiziano il germe tuo feroce,
vinto, e depresso il contumace orgoglio
t'innalzerà qui di repente al soglio.
Sì sì vincerà.
Da laccio severo
disciolto l'impero
ormai si vedrà.
Sì sì vincerà.
Atterrato,
debellato
sia l'orgoglio,
che nel soglio
lacerando altri se n' va.
Sì sì vincerà.
S'ode dall'alto la voce di Vitellio. Sergio, e poi Domiziano, che spunta da un balcone.
VITELLIO
Cieli! Numi! Soccorso!
SERGIO
Ma quai clamori?
VITELLIO
Pietà d'un re.
DOMIZIANO
Non merta
pietade il cor d'un empio,
egli d'Icaro ancor segua l'esempio.
Vitellio vien precipitato da una scala.
SERGIO
O spettacolo orrendo!
Fende le vie di Giuno
esanimata strage.
Questi è l'empio Vitellio, ed ecco alfin
che fabbrica un tiranno
sovra base d'orgoglio alte ruine.
Discende Domiziano da maestosa scala precorso da numeroso stuolo de' suoi Guerrieri, Sergio incontrandolo.
DOMIZIANO
Libertà libertà.
Nel far guerra al ciel di Roma
arse il lauro a la sua chioma
il Tifeo de l'empietà.
Libertà libertà.
SERGIO
Qual fulmine di Marte
splender mirai della tua spada il lampo.
DOMIZIANO
Ecco 'l tiranno.
Questi, che, l'orbe immenso
stimò vil pondo, e che tiranno ardito
aspirava su gli astri
del gran Giove a la sede
forma col capo suo base al mio piede.
(lo calpesta, e dai soldati vien gettato nel Tevere)
Licinio con Soldati discende velocemente dalla suddetta scala portando nella destra la corona solita a cingersi da Vitellio. Domiziano, e Sergio.
LICINIO
Signor compita è l'opra:
ogni guerrier nemico
cesse a l'estremo fato:
fra l'orror della notte
era inciampo la fuga,
certa morte il coraggio, e questo serto,
che sul crin di Vitellio,
fu già stella crinita al Campidoglio
con lieta luce or splenderà nel soglio.
(Domiziano fissa lo sguardo nella corona)
SERGIO
Che più si tarda? Al tuo gran padre, o duce,
l'aureo diadema appresta.
S'adori omai Vespasian sul trono.
LICINIO
Sì sì del mesto Lazio
consola i voti, e 'l sospirato rege
anco del sonno in grembo
vegga qual sia del fato
l'avventuroso dono.
SERGIO
S'adori omai Vespasian sul trono.
DOMIZIANO
Vespasian sul trono?
(leva il guardo dalla corona)
LICINIO
Ad inchinarlo umile,
fuor dalle mura istesse
vola baccante il Tebro.
SERGIO
Dalla ragion d'un figlio
coronato ei risplenda.
DOMIZIANO
(Ah non fia ver.) Sergio fedel repente
con diluvi d'acciaro
vieta feroce al genitor l'ingresso.
Egli sappi, ch'in Roma
cinger vogl'io di regio allor la chioma
amici è questi 'l tempo.
(strappa la corona di mano a Licinio, e gettato l'elmo a terra se la pone sul capo)
LICINIO
(Stelle che miro!)
SERGIO
(Tradito il padre?)
LICINIO
Che dirà Roma? Il popolo? Il senato?
DOMIZIANO
Non più: Roma, il senato,
il popolo, l'Italia, il mondo tutto
vide sol da mia destra
la libertà nel regno.
SERGIO
Sì dell'imper Domiziano è degno.
(parte)
LICINIO
(O inopinati casi!)
DOMIZIANO
Rapidi gli ottimati
venghino a piè del soglio.
LICINIO
Ubbidirò, signore.
(Costui fu sempre un Gerion d'orgoglio.)
Di novi strali armato
fra novi sdegni irato
il Tebro si vedrà.
Opporsi al tuo disegno,
negarti e scettro, e regno
costante egli vorrà.
Di novi strali armato
fra novi sdegni irato
il Tebro si vedrà.
Nel partir Domiziano s'arresta alla vista d'Arricida, che discende dalla scala suddetta tra le favorite di Vitellio.
DOMIZIANO
(Arricida? Che scorgo?)
ARRICIDA
Sì sì gioisci, o cor.
Le mie stelle
già rubelle
han cangiato alfin tenor.
Sì sì gioisci, o cor.
DOMIZIANO
(Qual fragranza osservo?)
ARRICIDA
Signor dalla tua spada,
che 'l sangue dei tiranni diffonde, e beve
di quest'alma l'onor vita riceve.
DOMIZIANO
Vaga diva del Lazio, e come? E quando
dell'estinto Tarquinio
tu fra lo stuolo impuro?
ARRICIDA
Violenza tiranna in questa notte
me rapì dagl'alberghi, e 'l ciel t'elesse
a conservarmi intatta.
DOMIZIANO
Temerario Vitellio. Io del tuo labbro
nido d'amor alle dolcezze aspiro.
ARRICIDA
(Numi ch'ascolto.)
DOMIZIANO
Vieni.
(vuol prenderla per la mano ella si ritira)
ARRICIDA
Dove?
DOMIZIANO
Fra le mie braccia.
ARRICIDA
Son moglie a Tito.
DOMIZIANO
Or d'un regnante in seno
ti conduce la sorte.
ARRICIDA
Tu re? Come sul Lazio
vibri contro il germano
incestuose fiamme?
DOMIZIANO
Egli abbastanza
arse dell'onor tuo.
(di nuovo vuol prenderla per la mano, ella si ritira, e s'inginocchia)
ARRICIDA
Deh mio gran sire
col folgore del brando
struggi popoli immensi,
ardi scettri, città, province, e regni
ma di sposa pudica
lascia, deh lascia almeno
per trionfo maggior intatto il seno.
DOMIZIANO
Seguimi: ho già risolto.
(strascinandosela addietro)
ARRICIDA
Indegno ferma:
ferma sesto lascivo, e qual ragione...
DOMIZIANO
Non più: tosto, o miei fidi
fra le veneri ancelle
venga costei, nelle cui luci avvampo.
(vien circondata da soldati)
ARRICIDA
Fuggo da Scilla, e in Cariddi inciampo.
DOMIZIANO
Tu non sarai sì cruda
quando ti bacerò.
Con mille frodi, e vezzi
vorrai, che t'accarezzi,
e forse io riderò.
Tu non sarai sì cruda
quando t'abbraccerò.
Con mille inganni, ed arti
mi pregherai d'amarti,
e forse io non vorrò.
Tu non sarai sì cruda
quando t'abbraccerò.
Arricida fra le Favorite circondata dai Soldati di Domiziano.
ARRICIDA
O stelle, e ancor tardate
a fulminar l'indegno?
Dal Tebro uscì novo tiranno al regno.
Chi mi difende olà? Chi mi difende?
Falangi guerriere
del Tebro invitte schiere
che tardate? Ove siete?
Se voi non accorrete
generose, e severe
la rocca del mio onore
d'un tiran contr 'l rigore
sol con armi di sdegno invan contende.
Chi mi difende olà? Chi mi difende?
Gran padiglione di Gesilla nell'esercito di Vespasiano attendato sul Tevere, in cui penetra un raggio di luna.
Attilio che pian piano s'introduce; Zelto e Niso addormito a piè d'altro picciolo padiglione, nel quale sta celata la Schiava.
ATTILIO
Notte amica ai dolci amori
scaccia omai la dèa triforme
per baciar un sol, che dorme
l'ombre chieggo, amo gl'orrori
scaccia omai la dèa triforme.
O Gesilla, Gesilla
felice 'l dì, ch'a Vespasian ti rese
prigioniera la sorte,
poiché sì caro laccio,
spesso m'annoda alle tue fiamme in braccio,
ma qui nel comun sonno
miro Zelto il custode: o quanto in petto
pietà d'amor chiude ver me costui
preda fa del mio sen le prede altrui.
Attilio, Elvida da una parte del padiglione, che dorme scoperta dalla tenda, Niso, Zelto a piedi del medesimo.
ATTILIO
Amico, amico.
ZELTO
Olà.
ATTILIO
Sorgi.
ZELTO
Chi sei?
ATTILIO
Della tua dèa non odi
l'Endimion notturno? Attilio sono.
ZELTO
Attilio? Or che pretendi?
ATTILIO
Temprar dell'alma i tormentosi incendi.
ZELTO
Duce lascia ch'io dorma.
ELVIDA
(È quest'il tempo.
Usa l'ardire Elvida,
e già che amico cielo
t'offre la sorte, vanne,
scopri l'ardor del core,
e svegliali nel sen fiamma d'amore.)
ATTILIO
Ah Zelto, Zelto
usa pietade, ascolta.
ELVIDA
Ah duce Attilio, ah porgi
a chi more per te subita aita.
ZELTO
(sorge in piedi)
Che voi da me?
ATTILIO
Che chiedi?
ELVIDA
Amor.
ATTILIO
L'occaso
vide tre volte il sol che de' suoi baci
mi fu avara Gesilla.
ELVIDA
(ad Attilio)
Così rispondi?
ATTILIO
(ad Elvida)
Ah taci.
ELVIDA
(ad Attilio)
Idolo amato.
ATTILIO
(ad Elvida)
Quanto sei importuna.
ELVIDA
E tu spietato.
ZELTO
Sin che non giunge il campo
di Romolo alla sede
vano è sperar dall'amor tuo mercede.
ELVIDA
(ad Attilio)
Così sprezzi il mio affetto?
ELVIDA E ATTILIO
Ah tu m'uccidi.
ZELTO
(ad Attilio)
Parti.
ELVIDA
T'arresta.
ATTILIO
Oh dio!
ZELTO
Deh parti dico.
Insieme
ELVIDA
Né placherò quella beltà che adoro.
ATTILIO
Nemmen vedrò quella beltà che adoro.
ZELTO E ATTILIO
O questo no.
ELVIDA
(ad Attilio)
Crudele (io peno, e moro);
almeno in pochi accenti
d'un'anima penante odi i tormenti.
ATTILIO
(ad Elvida)
Non odo, io son di scoglio.
Almen con brevi detti
concedimi svelar del cor gli affetti.
ZELTO
Non posso, oh strano imbroglio.
ATTILIO
E perché mai?
ZELTO
In preda
ella giace del sonno.
ATTILIO
Lascia, deh lascia almeno,
ch'io vibri un guardo al paradiso in seno.
ELVIDA
Deh per un solo istante
ti provi l'alma impietoso amante.
ATTILIO
Parla.
ELVIDA
Rispondi.
ATTILIO
Zelto.
ELVIDA
Attilio, cresce
tra speranza, e timore il mio tormento.
ATTILIO
T'accheterai.
ZELTO
Ma tu sarai contento?
ELVIDA E ATTILIO
Sì.
ZELTO
Seguimi vieni.
ATTILIO
(ad Elvida)
O caro Zelto, ecco ch'al sen t'allaccio.
(Fingerò.) Io ti stringo.
ELVIDA
O caro laccio.
ATTILIO
Vanne.
ELVIDA
Ti lascio, addio.
Ma teco resta il cor già non più mio.
Ingannatemi pur luci belle,
che di voi la vendetta sarò.
Se schernite chi tanto vi adora,
farò scorgermi in brev'ora,
ch'ancor'io lusingar vi saprò.
Ingannatemi pur luci belle,
che di voi la vendetta sarò.
ZELTO
Mira.
(alza la cortina del padiglione in cui si vede addormita Gesilla sopra due cuscini alla turchesca)
ATTILIO
Stelle! Numi! Che scorgo?
È questi 'l ciel? O pur del ciel l'imago?
Benché non vegga erranti
pupille i vostri giri
rote son d'Isione a' miei martiri.
ZELTO
Basta.
ATTILIO
O luci! O guance! O care labbra! O volto!
ZELTO
Diva sì vaga
latino giammai non vide. In Pafo, in Cnido
Venere fu men bella.
ATTILIO
Anco ritardi?
ZELTO
Non più.
(abbassa la cortina)
ATTILIO
Deh ferma, a la mia fiamma in braccio
cedimi per brev'ora.
ZELTO
Parti, vanne in buon'ora.
ATTILIO
Non posso oh dio partir!
Se l'alma per gioir
non stringe il sen ch'adora.
ZELTO
Parti, vanne in buon'ora.
ATTILIO
Non può fuggir 'l piè
se 'l cor non ha mercé
dal bel che l'innamora.
ZELTO
Parti, vanne in buon'ora.
ATTILIO
Parto sì, ma questo core
resta in preda al caro ben.
Se il tuo gelido rigore
vie più accende questo sen.
Parto sì, ma questo core
resta in preda al caro ben.
Niso si leva in piedi, e Zelto.
NISO
Ti ci ho pur colto,
ti ci ho pur visto,
no 'l puoi negar.
ZELTO
E chi t'ha sciolto
faccia di tristo
tu déi sognar.
NISO
Sì sì che siamo allocchi,
quando tu hai aperto il padiglione,
io faceva il minchione,
ma ti stav'a osservar
con tanti d'occhi.
ZELTO
E ben che male ho fatto?
NISO
Or te 'l dichiaro:
hai mostrata Gesilla a un cavaliere,
ed hai fatto un mestiere,
chiamato volgarmente il campanaro.
ZELTO
Siamo due per un paro:
ora sai come l'è,
lasciam le burle ormai, son uom d'onore,
e non somiglio a te.
NISO
Oh povero signore!
Dimmi che li mostravi allora quando
seco andavi ciarlando
in guisa di Volpone.
ZELTO
Gli mostrai nel padiglione
una cosa lunga, e larga,
che dell'uom fu sempre amica,
e la chiamano la ~ targa,
ch'è compagna alla lorica.
NISO
Oh questa è calzantissima ragione.
Or via non occor'altro,
ed io tosto che sia,
Vespasian destato
voglio farti la spia.
ZELTO
Taci Niso garbato,
mi vuol dar quel signore un bel regalo,
e n'averai la parte ancora tu.
NISO
Facciamo pace, io non ne parlo più.
Esce Tito dall'altra parte. Zelto immobile ad osservarlo.
TITO
Care tende adorate,
stanze dell'idol mio,
so ch'in un dolce oblio
sonnacchiosa l'aurora in voi celate.
Care tende adorate,
stanze dell'idol mio.
ZELTO
Tito.
TITO
Zelto qui desto? Or di Cocito
sulle tremende soglie
non ha sì vigil drago
la vezzosa Euridice.
ZELTO
Per evitar che di guerriero audace
passo, o guardo non giunga
furtivo a queste tende
la beltà di Gesilla Argo mi rende.
TITO
Lascia, ch'al sen t'annodi.
ZELTO
Ma tu signor che vuoi?
TITO
Queste luci bear, negl'occhi suoi.
ZELTO
O questo no: fra mille squadre, in campo
ciò permetter non deggio.
TITO
Cheto riposa ogni guerriero.
ZELTO
Altrove
farò paghe le tue voglie.
TITO
Pena d'inferno è l'amoroso indugio.
(s'invia verso il padiglione, Zelto lo trattiene)
ZELTO
Deh ferma o duce a Vespasiano al fine
rapida andrà l'accusa.
TITO
Nulla temo del padre.
ZELTO
A me di Zelto
cale ben sì la vita.
TITO
Lascia: così risolsi.
ZELTO
Non fia ver.
TITO
Lasciami dico indegno.
(lo minaccia)
ZELTO
Un sfrenato desir non vuol ritegno.
(si ritira)
Tito di propria mano alza la cortina del padiglione. Gesilla si risveglia.
GESILLA
Chi ruba la pace
del sonno al mio core?
È forse d'amore
la fiamma vorace?
Chi ruba la pace
del sonno al mio core?
TITO
Deh svegliati cor mio.
GESILLA
Qui gente? Olà: Zelto. Custode, aita!
(sbalza fuori del padiglione)
TITO
Ferma Gesilla, ah taci
Tito non scorgi?
GESILLA
Tito!
TITO
Ah sì: t'arresta
con le nevi del seno omai pietosa
all'infocate brame porgi ristoro.
GESILLA
Miro in faccia alle stelle il sol, ch'adoro.
(corre ad abbracciarlo)
TITO
Non è tempo d'indugi
di quella dea, che sulle sfere onori
bella schiava gentile
forz'è sottrarsi al guardo.
GESILLA
Già nell'Etna d'amor avvampo ed ardo.
Un labbro di cinabro
avventa ardori al sen,
ma se la bocca un riso scocca,
l'ardore soave divien.
Un labbro di cinabro
avventa ardori al sen.
TITO
Il dardo d'un bel guardo
impiaga, e ancide il cor,
ma se tranquilla è una pupilla,
ancide con dolce rigor.
Il dardo d'un bel guardo
impiaga, e ancide il cor.
(s'ode fremito di trombe)
Ma qual di tromba audace
ingrato suon l'aria notturna avviva.
GESILLA
Tacito il piè mi segua
faran nelle mie tende
eco i baci soavi.
(prende per mano Tito conducendolo verso il padiglione)
Zelto anelante poi Vespasiano con lettera in mano.
ZELTO
Tito, Gesilla fuggi.
Qui Vespasiano.
VESPASIANO
E dove?
(mentre Tito vuol sottrarsi da Gesilla ella finge esser tenuta da lui per forza)
GESILLA
Lasciami indegno.
ZELTO
Lascia.
GESILLA
Cotant'osa un impuro?
VESPASIANO
Temerario che chiedi? E qual ardire
t'arma d'osceni oltraggi?
ZELTO
Sappi.
GESILLA
Signor.
VESPASIANO
Tronca i singulti, o bella:
Tito queste l'imprese
son del tuo braccio? Incatenar l'aurora
te vide il trace: al Siloe, al Giordano
poner ceppi di ferro, ed or sul Tebro
dove l'armi, la patria, 'l cielo offendi,
di servile beltà schiavo ti rendi?
TITO
Padre.
VESPASIANO
Mira o lascivo.
(gli dà una lettera)
Mira se in molle arnese
Ercole effeminato
tempo è celarsi ad una Iole in seno.
TITO
(Perfida mi tradisti.)
(si ritira a leggere)
VESPASIANO
Or tu Gesilla
inulta non andrai. S'ai patrii nidi
t'involò quest'acciar, l'acciar medesmo
farà scudo all'onor: libero intanto
giunto che sia sulla romulea sede
spera veder dalle catene 'l piede.
GESILLA
Mi prostro umil a tante grazie, o duce.
VESPASIANO
Leggesti?
TITO
Lessi: io del german rubello
con quest'acciar, ch'a tuo favor guerreggia
l'alma...
VESPASIANO
Non più: fra i taciturni orrori
rapido ognun mi segua, e tu mio fido
sempre vi e più zelante
presta a costei la cura.
ZELTO
Non dubitar signore
appo di Zelto è l'onestà sicura.
VESPASIANO
Su fieri
guerrieri
vittoria, o morir.
Oppresso
depresso
da cieco furore
il nostro valore
non deve languir.
Su fieri
guerrieri
vittoria, o morir.
Nel partir che fa Vespasiano col figlio, Zelto pian piano prende per le vesti Tito, e Gesilla finge di piangere.
ZELTO
Signor.
GESILLA
Condona o Tito
il mio trascorso error. Del tuo gran padre
finsi così sol per sottrami all'ira.
TITO
Tergi o bella le luci,
e placato ogni sdegno
sagace cor sempre di lode è degno.
ZELTO
Andiam: l'orme reali
forz'è seguir, signora.
GESILLA
Tito, serba la fede a chi t'adora.
Ricordati di me se vuoi, ch'io t'ami.
Questo seno è tuo ricetto,
tua delizia è questo petto
mi son cari i tuoi legami.
Ricordati di me se vuoi, ch'io t'ami.
Tito solo.
Tito sei giunto in Roma.
Arricida? La moglie? O ciel! Preveggo
turbine infausto al gioir mio vicino
e lascerò Gesilla?
E fuggirò la moglie?
Ahi che l'una non posso,
ahi che l'altra non deggio; in qual Egeo
di confusi pensieri
sta fluttuando il core?
Cinosura mi sia l'astro d'amore;
se ad un cor innamorato
un sol dardo è sì molesto,
dimmi amor che fia di questo,
da due strali esanimato?
Se talor così vorace
sembra all'alma un foco solo,
quanto fia più acerbo il duolo,
se in due fiamme il cor si sface?
Sala dove si preparano le regie mense.
Domiziano alla reale, con Licinio.
DOMIZIANO
Stragi, lutto, incendi, e morti
armi sian d'offeso re.
Cada, pera,
Roma altera
spiri l'anima al mio piè.
Stragi, lutto, incendi, e morti
armi sian d'offeso re.
LICINIO
Dunque o signor...
DOMIZIANO
Così risolsi. E niega
sconoscente il senato
sparger incensi al regnator suo nume?
Tosto i miei cenni adempi
di Silla ancor vo' rinnovar gl'esempi.
LICINIO
O sommi dèi!
DOMIZIANO
Ma ferma: al novo giorno.
Si serban le stragi.
Apprestate le mense,
olà venga Arricida, e seco unite
sian del cielo latin le dèe più belle.
Lasciami o duce a vagheggiar le stelle.
(si preparano le mense)
LICINIO
Purché l'ira in sen rallenti
a tue brame assentirò.
Se dar morte altrui non tenti
fido ognor a te sarò.
Purché l'ira in sen rallenti
a tue brame assentirò.
DOMIZIANO
Ah dispietata in breve
fia che ceda il rigor dell'alma audace,
che all'amorosa face
mal sicuro resiste un sen di neve.
Arricida tra le Favorite di Vitellio. Domiziano e Licinio in disparte.
ARRICIDA
Eccomi, che pretendi?
DOMIZIANO
Bella, temprasti ancora
la crudeltà dell'alma?
ARRICIDA
A tue preghiere
selce son d'Arimaspe
che più s'indura al lacrimar del cielo,
chiudo in petto di smalto un cor di gelo.
LICINIO
(Che farà mai?)
DOMIZIANO
Lascia almen, ch'in quegl'occhi
l'anima agonizzante
trovi 'l suo rogo, e incenerisca amando.
LICINIO
(O temerario.)
ARRICIDA
D'altri son queste luci, e s'egli è vero
che per me fido amante avvampi, ed ardi
quest'occhi miei non tormentar coi guardi.
LICINIO
(Generosa costanza.)
DOMIZIANO
Perfida, e vieti al ciglio
la libertà del guardo? Ah se tu affretti
la morte mia perché 'l morir ritardi?
ARRICIDA
Quest'occhi miei non tormentar co' guardi.
DOMIZIANO
A tuo dispetto appagherò mie voglie.
Meco a regal convito
bella intanto qui siedi,
voi qui sedete ancora,
e a lato di ciascun sieda un'aurora.
ARRICIDA
(Assistenza dagl'astri il cor implora.)
(Domiziano presa per mano Arricida s'asside alla mensa frapponendosi a ciascuno cavaliere una dama; segue bizzarra sinfonia di stromenti, dopo la quale)
DOMIZIANO
Tu sola in lauta mensa
mesta il labbro non pasci?
ARRICIDA
Cibo che basta ad Arricida è il duolo.
DOMIZIANO
Porgi la dolce bocca.
(vuol baciarla ella si ritira)
ARRICIDA
Indegno, ed anco.
(si leva da tavola)
DOMIZIANO
Svelami il sen.
ARRICIDA
Frena la destra, o impuro,
de lascivi Tarquini
son rinomati in Roma
gli abominevoli incesti?
(Licinio si leva da tavola prostrandosi a' piedi di Domiziano)
LICINIO
Ah Domiziano, ah cesare, ah signore
deh se tu brami...
DOMIZIANO
Siedi.
LICINIO
Che l'alta fama alle tue glorie...
DOMIZIANO
Siedi.
LICINIO
Alzi grido immortal, di sen pudico
l'alma svenar ricusa.
DOMIZIANO
Servo mi sia, chi le mie grazie abusa.
(gli dà un calcio rovesciandolo per terra)
LICINIO
Questi è 'l rispetto a un cavalier latino?
DOMIZIANO
Chiudi quel labbro o indegno.
(sorge in piedi)
LICINIO
Apri, o signor della ragione i lumi.
DOMIZIANO
Olà? Costui nel Tebro
cada sepolto.
LICINIO
Licinio a morte? In che t'offesi, o duce?
DOMIZIANO
Voi eseguite
d'insano ardir sian le follie punite.
(vien circondato da soldati)
LICINIO
Stelle
rubelle
a torto morirò.
Vostro fato
dispietato
può svenarmi,
trucidarmi,
ma che tu tiranno indegno
viva lieto, e impune al regno
non te 'l credere no no.
Stelle
rubelle
a torto morirò.
Domiziano, ed Arricida.
DOMIZIANO
Tanto rigor in sì bel volto annida?
ARRICIDA
Oh dio lasciami in pace.
DOMIZIANO
Così ostinata?...
ARRICIDA
Sì.
DOMIZIANO
Voglia, o non voglia.
Mentre Domiziano vuol tentare di abbracciarla per forza sopraggiunge Sergio.
SERGIO
Sire, signor delle più scelte spade
munito è 'l Lazio, a tua difesa in Roma
veglia un mondo d'armati, or tu sicuro
senza temer del genitor lo sdegno
leggi puoi dar già di Quirino al regno.
ARRICIDA
(O traditor) a Vespasiano, a Tito
si negherà l'ingresso?
DOMIZIANO
È mio l'imper: tua la corona, e 'l trono
sarà se 'l cor m'appaghi.
SERGIO
(Che ascolto, o dèi!) Teco Arricida al trono?
DOMIZIANO
Per mia diva l'elessi, e in brev'ora
sovra fulgido scoglio
porgerà nova luce al Campidoglio.
ARRICIDA
Pria caderò svenata.
(tenta risorgere dalla tavola egli l'impedisce)
SERGIO
E Tito?
DOMIZIANO
Olà non mi s'opponga. Tosto
entro calice aurato or tu m'arrechi
liquid'ambra spumante.
SERGIO
Pronti ubbidisco.
DOMIZIANO
Deh placatevi omai lumi crudeli!
ARRICIDA
(Ditemi voi, che deggio fare o cieli!)
SERGIO
Eccoti, o invitto re.
(gli porge la coppa)
DOMIZIANO
Di licor soave e grato
questo d'or nappo gemmato
bella dèa consacro a te.
ARRICIDA
(Fosse la morte al labbro tuo mercé.)
DOMIZIANO
Olà: mentre di Creta
fra gli accesi rubini
arde il lucido vetro
di sirena canora odasi il metro.
(musico canta a capriccio, in questo mentre Domiziano vien preso dal sonno)
DOMIZIANO
Cessino i dolci canti, omai dal sonno
vinte son le mie luci.
Dileguatevi tosto, e tu mia diva
lascia che nel bel seno
sovra i gigli nevosi
abbia l'egra pupilla i suoi riposi.
(levato ognuno da tavola s'adagia in grembo ad Arricida)
ARRICIDA
(O sommo Giove!)
SERGIO
(E quali eccessi, o numi?)
ARRICIDA
(Ah sì: mentre del ciglio
tempra l'impuro affanno
dorma sonni di morte un re tiranno.)
(preso un coltello da tavola tenta di uccidere Domiziano, Sergio le trattiene il colpo)
SERGIO
Ferma: che fai?
ARRICIDA
Lasciami indegno.
(Domiziano si risveglia balzando in piedi)
DOMIZIANO
Come?
Barbara dispietata
contro d'un re ignudo acciaro avventi?
Olà soldati, costei si sveni.
(abbassano le lance contro Arricida)
(cade sulla sedia)
Ma no,
traetela a mie stanze:
con assalti di baci
vendicherò quest'alma,
fa' pur quanto tu vuoi,
son mantici d'amor gli sdegni tuoi.
(vien di nuovo circondata da soldati)
ARRICIDA
All'assalti d'un tiranno
fermo scoglio è questo cor,
e non può d'un re l'inganno
atterrar costante onor.
All'assalti d'un tiranno
fermo scoglio è questo cor.
Domiziano, Sergio.
DOMIZIANO
Sergio.
SERGIO
Signor.
DOMIZIANO
Su la tua fé riposa
questo regal diadema.
SERGIO
Servo son tanto basti.
DOMIZIANO
Fedel m'assisti.
SERGIO
Obbligo è di buon duce.
DOMIZIANO
Ma come oh dio su la regal pupilla
grave sopor più m'incatenai i sensi
veglia con l'armi.
SERGIO
Intesi o re.
DOMIZIANO
Sonno importuno al labbro
vai troncando gl'accenti:
Sergio guidami in braccio a' miei contenti.
D'una Venere nel seno
tragga i sonni un cor regnante,
scese in lucido baleno
anco a Danae il gran tonante.
D'una Venere nel seno
tragga i sonni un cor regnante.
SERGIO
In un profondo oblio
già sepolte ha le luci:
a' cenni miei, voi lo traete o duci.
Suburbi illuminati con porta della città in lontano.
Vespasiano, a cavallo precorso da trombe, e timpani, è seguìto da gran parte dell'Esercito.
VESPASIANO
Guerra, guerra.
Perirà
caderà
quell'Anteo
che rubello in sul Tarpeo
contro me gli strali afferra.
Guerra, guerra.
(scende a terra)
Sergio con Popolo.
SERGIO
Eccoti, o Roma al fine
il tuo verace, e sospirato nume.
Questi è 'l Giove del Lazio
di quel Giove favello, alla cui spada
chinò 'l Tanai la fronte,
pianse l'Eufrate, e 'l Tigri, e 'l Nilo altero,
quasi in un mar di sangue.
L'alma spirò da serte bocche esangue.
Molti eccelse, archi, e colossi
innalzare al Tebro in riva
viva Vespasiano, e viva, viva.
Vespasiano incontrato da Sergio, che se li prostra ai piedi.
VESPASIANO
Sergio fedel.
SERGIO
Alto monarca eccelso
Roma prostrata al tuo valor s'inchina.
VESPASIANO
Duce, popoli, amici, al sen v'accolgo:
ma che si tarda? Or che 'l vietato ingresso
m'apristi già col messagger tuo foglio,
l'Aventino superbo
dal nostro ardir sia cinto,
e chi s'arma Tifeo ne cada estinto.
SERGIO
Deponi il ferro, o sire
non ha contrasto il tuo regal diadema.
Agli applausi festivi di Roma
ritolga la chioma il bellico acciar,
ch'il fragor del Tebro guerriero
ti chiama all'impero,
t'invita a regnar.
VESPASIANO
Dov'è il figlio rubello?
SERGIO
Di luminosa face
segui i tremoli rai?
Prova maggior della mia fé vedrai.
VESPASIANO
Sento l'alma che predice
duri affanni al mesto cor.
Cieca sorte, dammi morte
ch'il dar morte a un infelice,
è pietade, e non rigor.
Sento l'alma che predice
duri affanni al mesto cor.
Licinio, Vespasiano, Sergio e suddetti.
LICINIO
Ah barbaro, ah crudele.
VESPASIANO
Quai clamori?
SERGIO
Quai voci?
LICINIO
Numi del ciel, la vostra aita imploro!
VESPASIANO
Che sarà mai?
SERGIO
Che fia?
(esce Licinio condotto da soldati per essere gettato nel Tevere)
LICINIO
Uccidetemi pur stelle spietate.
SERGIO
Questi è Licinio.
Licinio.
VESPASIANO
Amico.
LICINIO
O sommi dèi! Che veggo?
Vespasian, mio sire. Sergio,
deh togliete alla parca
l'alma d'un innocente.
VESPASIANO
Chi stimola i suoi fati?
SERGIO
Chi traditor t'ancide?
LICINIO
Sappi gran re, che Domiziano...
VESPASIANO
Basta:
troncategli que' nodi.
SERGIO
Lasciatelo felloni.
VESPASIANO
Serba i tuoi casi altrove
seguimi Sergio, e tu Licinio intanto
con sciolto piè sulle native arene
spira del patrio ciel l'aure serene.
LICINIO
Amico i' resto alle tue grazie avvinto.
SERGIO
Forse morrà chi te bramava estinto.
Licinio solo.
Forse morrà chi te bramava estinto
ah che sol questa destra
può vendicar miei torti: io sol dell'empio
atto sono alle stragi.
Animo sì, chi già nell'onda immerso
bramò vedermi esangue
versi al piè di Licinio, e l'alma, e 'l sangue.
Son disciolto da catene,
ma farò crudel vendetta
contro un barbaro tiranno
questa man con giusto inganno
vibrerà fatal saetta.
Son disciolto da catene.
Spiro l'aure ancor di vita,
ma vedrò d'altrui la morte
contr'un perfido omicida
benché 'l ciel me stesso ancida
armerò mia destra forte.
Spiro l'aure ancor di vita.
A suono di trombe, e timpani, segue l'ingresso di Tito, e d'Attilio a cavallo.
TITO
All'armi.
ATTILIO
Alle stragi.
ATTILIO E TITO
All'armi, alle stragi.
TITO
D'un Icaro insano
si tarpi l'orgoglio.
ATTILIO
Ei miri nel soglio
di sangue inumano
aperti i naufragi.
TITO
All'armi.
ATTILIO
Alle stragi.
ATTILIO E TITO
All'armi, alle stragi.
ATTILIO
Ma qui Gesilla.
TITO
Scortiam la bella.
ATTILIO
Egli è ben giunto, amico.
Gesilla, Zelto, Niso, Elvida, e detti.
GESILLA
Tito, Attilio.
TITO E ATTILIO
Gesilla.
ELVIDA
(ad Attilio)
Amato ben.
ZELTO
(ad Elvida)
Taci.
NISO
(ad Elvida)
T'accheta.
GESILLA
Qui neghittoso il passo?
ZELTO
(ad Attilio)
Non ti scoprir amante?
TITO
Servir di guida alle tue piante intesi.
GESILLA
Vago nume adorato.
ZELTO
(piano ad Attilio)
Tieni il tuo foco ascoso.
NISO
Costui è diventato
il pedante amoroso.
ELVIDA
(piano ad Attilio)
Mia vita.
ATTILIO
(ad Elvida)
Anzi tua morte.
(a Gesilla)
A farsi scorta ogni dover m'astringe.
GESILLA
Idolo mio vezzoso.
ZELTO
(a Gesilla)
Fa' che 'l labbro sia scaltro.
GESILLA
M'obbliga l'uno, e m'incatena l'altro.
ELVIDA
È impossibile oh! dio
che ancor sdegni per me, covi nel seno?
ATTILIO
Chiudo per te d'ogn'aspide il veleno.
TITO
(Sì cortese ad Attilio?)
ATTILIO
(Sì gentile con Tito?)
ZELTO
(a Gesilla)
Dubito.
GESILLA
Anch'io pavento.
NISO
Il negozio è spedito.
ELVIDA
O che tormento.
TITO
Il sospetto m'ingombra.
ATTILIO
(Il timore m'assale.)
ZELTO
(a Gesilla)
Tito è sospeso!
GESILLA
In sé raccolto è Attilio.
TITO
(M'accerterò.)
ATTILIO
(Render mi vo' sicuro.)
Porgi tua man di giglio.
TITO
A me si deve
si quell'alba il candore.
ELVIDA
Perfido ingannatore.
ZELTO
Ambo siete in errore
Zelto solo è custode, e mio gran duce
vieta ch'altrui la bella schiava affidi.
(volendola ambedue prenderla per la mano Zelto gliel'invola mostrando di fuggire)
GESILLA
(piano a Tito)
Seguimi.
(piano ad Attilio)
Vieni.
ELVIDA, ATTILIO E TITO
Ah gelosia m'uccidi.
TITO
La fiamma sincera,
che in sen mi sfavilla,
ti mova a pietà:
che lungi alla sfera
l'ardore del core
più crudo si fa.
La fiamma sincera
che in sen mi sfavilla
ti mova a pietà.
ZELTO
Lasciatela partire.
GESILLA
Oh dio? Mi fai languire.
ATTILIO
All'aspro martire,
che l'alma mi strugge.
Il piè, che se n' fugge,
sospendi mio ben,
che 'l cieco desire,
che in petto è ristretto,
più acerbo divien!
All'aspro martire,
che l'alma mi strugge.
S'arrestano alle voci d'Arricida, che spunta da un balcone.
ARRICIDA
Io sposa d'un lascivo? E questo seno
accoglierà un tiranno?
NISO
Quest'è un altro malanno.
TITO
Ciel...
ATTILIO
Numi!...
ELVIDA E GESILLA
Ch'ascolto!
(tutti intenti ad osservarla)
ARRICIDA
Pietà stelle pietà.
TITO
Questa è Arricida.
Arricida, mio bene, e come...
ARRICIDA
Tito,
ah Tito, ah sposo, ah mio consorte, e nume
pria, che l'empio cognato
m'assaglia impuro.
TITO
O scellerato, indegno!
ARRICIDA
Stringi l'acciar, arma di furie il brando.
TITO
Tito, Attilio, e Gesilla
Zelto, guerrieri, oh dio.
ARRICIDA
Stimola il passo.
Vieni caro non tardar.
Con la vindice saetta,
di tue furie i vanni affretta
questo seno a sprigionar.
Vieni caro non tardar.
(si ritira)
Tito, e suddetti.
TITO
Sì si dolce mia vita,
nelle stragi d'un empio
volo di Tebe a rinnovar l'esempio.
Compatitemi luci adorate,
se m'involo da vostri bei rai,
il sereno, ch'in fronte portate,
dal mio core non parte giammai.
Compatitemi luci adorate.
Attilio, Gesilla, e Zelto.
ATTILIO
Compatitemi luci adorate...
Ah perfida Gesilla!
GESILLA
Che dir vorrai?
ZELTO
Qual gelosia t'ingombra?
ELVIDA
E che fia mai?
ATTILIO
Non fu vano il sospetto.
(mostra di partire)
GESILLA
Deh t'arresta!
ATTILIO
Non più.
ZELTO
M'ascolta!
ATTILIO
Taci.
Son le discolpe sue troppo mendaci.
Voglio perder il cor
se si trova in amor
donna fedel.
GESILLA
Deh placati idolo mio.
ATTILIO
Voglio perder il cor
se si trova in amor
donna fedel.
Tutte son menzognere,
facili all'ingannar:
ha più costanza il mar:
tanto non varia il ciel.
Voglio perder il cor
se si trova in amor
donna fedel.
Gesilla, Zelto, Niso, Elvida.
GESILLA
Zelto, Niso.
ZELTO
Gesilla.
NISO
Se ti dole, e tu strilla.
GESILLA
Dunque fia ver
ch'abbandonata, e sola
qui resto alfin delle mie pene in braccio.
ZELTO
Non ti smarrir signora,
Roma d'amanti abbonda,
non uscirà dall'oriente il giorno,
che stuolo avrai d'adoratori intorno.
NISO
De' zerbini senza quattrini
se ne trovano a tutte l'ore.
Se s'affaccia una civetta
con la scuffia in sul balcone
ne vedrai più d'un milione
gir un punta di forchetta
a tirar di mio signore.
De' zerbini senza quattrini
se ne trovano a tutte l'ore.
GESILLA
Ah che d'amor nel regno
troppo è vile quell'alma,
ch'al balenar di minaccioso sdegno
turba del suo gioir la dolce calma.
Chi la vuol con questo core
in amor la perderà.
Lo splendor di guancia molle
farà sì ch'ogn'alma folle
del rigor si pentirà.
Chi la vuol con questo core
in amor la perderà.
Chi la vuol con questo volto,
no che mai non vincerà.
Il fulgor di crine aurato
farà sì ch'un petto irato
ad amar ritornerà.
Chi la vuol con questo volto,
no che mai non vincerà.
ELVIDA
Infelice mia sorte
mentre fida e costante
seguo chi m'odia, e chi mi sprezza adoro
e protesta in armar beltà tiranna
tra penosi martir l'alma s'affanna
ma chissà la speranza
più salda renderà la mia costanza.
Spera mio cor crudele
goder chi ti piagò
che l'anima crudele
placata non vedrò.
Spera mio cor crudele.
ZELTO
Questa signora schiava
è una donna assai brava
e mi par ch'ella sia;
guarda s'è andata via...
NISO
Non c'è pericolo
oh, oh, sta giù, giù giù, là in fondo al vicolo.
ZELTO
Mi par che sia con quei suoi modi astuti
un cervellin da fabbricar statuti.
NISO
Ma d'Elvida che dici?
ZELTO
Ha una gran pena.
NISO
È pazza da catena,
poiché se fossi in lei
gli amanti così fatti
alle forche mandar certo vorrei.
Le donne pratiche,
quando capiscono,
che un gonzo incantano
con la beltà:
fan le selvatiche,
s'insuperbiscono,
e se ne vantano
in qua, e in là.
ZELTO
Ma se trascorrono
con chi ha le regole
di farle stridere
senza pietà,
dietro le corrono
come pettegole,
ch'ognun fan ridere
per la città.
Orride prigioni nella reggia; Domiziano sopra una sedia, che dorme incatenato; Vespasiano, e Sergio.
SERGIO
Eccoti il figlio.
VESPASIANO
(Luci mie che vedete!)
SERGIO
Di possente letargo in lauta mensa
io le sue labbra aspersi,
e le grandezze ad un sognar conversi.
VESPASIANO
Troppo rigor esercitasti, o duce.
SERGIO
Per salvar come dissi
dal barbaro disegno
l'onor a Tito, e a Vespasiano il regno.
DOMIZIANO
Questo cor è tuo dono.
Meco tu passerai da mensa al trono.
SERGIO
Udisti o sire.
VESPASIANO
(Così deturpa oggi sua gloria un figlio?)
Ritiriamci in disparte.
DOMIZIANO
Pur ti stringo, pur t'abbraccio
idol mio, placato un dì
men severa al sen t'allacc...
(si risveglia)
(si leva in piedi)
Ma ohimè! Dove mi trovo?
Questa è la reggia? E questi
sarà dell'orbe il fren, sogno? O son desto?
Catena al piè? Senza diadema il crine?
O Sergio traditor, o padre indegno.
Sì sì col vostro sangue
spezzerò questi ferri,
desolerò la regia,
struggerò Roma, il Lazio, e posto il piede
sull'Erebo profondo
crollar farò dalla sua base il mondo.
VESPASIANO
Figlio?
SERGIO
Nel sen tanto rigor s'annida?
DOMIZIANO
Sei qui fellon? Con questa mano...
(avventasegli)
VESPASIANO
Ferma.
SERGIO
Non è fellon chi la ragion difende.
DOMIZIANO
Empio tu mi tradisti.
VESPASIANO
Placa le furie.
SERGIO
Oprò mia fé ciò che voleva il fato.
DOMIZIANO
Servi, guerrieri, amici
chi mi toglie da ceppi?
Chi m'appresta un acciaro?
VESPASIANO
O indomita fierezza?
DOMIZIANO
Ti sbranerò, ti squarcerò le vene,
ma tu padre crudele
soffri veder tra lacci
il vincitor del Tebro?
VESPASIANO
(Mentir qui giova.)
SERGIO
Deh tu mio re.
VESPASIANO
Perfido Sergio iniquo
pagherai con la morte
sì temerario eccesso.
SERGIO
A me?
VESPASIANO
Sì crudo mostro
togliti al mio cospetto.
Fuggi da me per sempre.
SERGIO
O ciel! D'un regno
è la mercé l'esilio.
VESPASIANO
(Saprò involarlo all'empietà del figlio.)
Domiziano si getta genuflesso ai piè di Vespasiano.
DOMIZIANO
Ah padre, padre, ah mio signor mio sire.
VESPASIANO
Figlio riedi in te stesso,
modera i tuoi costumi. Al seno, al piede
ti ritolgo l'acciar? Ma si sovvenga
che Vespasiano alla cui mente Astrea
della ragion giusti dettami inspira,
saprà con egual sorte
esser padre all'amor, giudice all'ira.
(fattegli levar le catene, parte con faccia alterata)
Domiziano dopo aver osservato il Padre sin dentro la scena, si leva in piedi.
Confuso il genitore,
parte, e mi lascia,
che far degg'io? Di mascherati inganni
forz'è munir il labbro.
Ancor farò di mie grandezze il fabbro.
Sul mio crin sì voglio alloro,
sol regnando il cor appago,
mi tributi il Gange, e 'l Tago,
mi s'inchini, e l'Indo, e 'l Moro.
Sul mio crin sì voglio alloro.
Al mio piè ti bramo o soglio:
questa speme il cor mi pasce,
dove Febo, e more, e nasce
saprò alzarmi un Campidoglio.
Al mio piè ti bramo o soglio.
Palazzo delizioso, che corrisponde ad un giardino.
Tito tenendo per la mano Arricida.
TITO
Dolce spira, e dolce freme.
ARRICIDA
L'aura lieve, e 'l rio d'argento
lusingando in grembo ai fiori,
ma nel cor più dolce io sento
che tra i fiori della speme
va scherzando ignudo amor.
Dolce spira, e dolce freme.
TITO
O fido Sergio all'opra tua sagace
Tito deve l'onore.
ARRICIDA
Lascia pur, che tra ceppi
di Vespasiano all'ira
scopo rimanga il tuo germano infido,
vuò mirar senza strali il mio cupido.
È tempo o luci belle
di consolarmi un dì:
lontan dal vostro ardore
non vi può dir il core
la pena che soffrì.
È tempo o luci belle
di consolarmi un dì.
TITO
Sì sì pupille amate
ch'or or v'adorerò,
con lieto, e vago riso
rasserenate il viso
del sol, che m'infiammò.
Sì sì pupille amate
ch'ogn'or v'adorerò.
Gesilla cogliendo fiori, e suddetti.
GESILLA
Tu mi fuggi, e più non m'ami,
ma crudel so ben perché?
(finge di non vederli)
ARRICIDA
Qual bellezza rimiro?
TITO
(Gesilla? Ahi che far deggio?)
GESILLA
T'innamora un altro volto,
ti lusinga un nuovo guardo,
e così Teseo bugiardo
neghi al cor la sua mercé.
Tu mi fuggi, e più non m'ami,
ma crudel so ben perché.
(s'adagia infiorandosi la chioma)
ARRICIDA
Ma chi è costei, che di sue pompe altere
flora ne spoglia, e se n'adorna il crine.
TITO
(Oh dio!) Questa che vedi
del genitor in campo
restò preda infelice.
ARRICIDA
(Un geloso tormento il cor predice.)
TITO
Bella affrettiam e nostre gioie.
ARRICIDA
Ferma.
Il costume stranier, l'abito, il volto
a rimirarla invita,
accertar mi vogl'io se fui tradita
gentil straniera.
TITO
Vaga Gesilla.
GESILLA
Invitto eroe, signor
l'uno ha Febo ne' rai, l'altra l'Aurora.
TITO
(piano a Gesilla)
Questa è mia sposa.
GESILLA
(Purtroppo il so.)
ARRICIDA
Dimmi se pur t'aggrada
contro di chi le tue querele avventi?
GESILLA
Per sollievo del cuor ragiono a' venti.
TITO
(O risposta sagace.)
ARRICIDA
Amasti dunque?...
GESILLA
Amai...
TITO
Vieni Arricida.
ARRICIDA
Non ti sia grave intanto
svelar l'autor delle tue doglie...
TITO
(piano a Gesilla)
Ah taci.
GESILLA
Ti sdegnerai se 'l dico?
ARRICIDA
Io no...
TITO
Crudel che pensi?
GESILLA
(Resti l'empio punito.)
Bella l'autore delle mie doglie è...
ARRICIDA
Tito,
sì sì t'intesi, o crudo mostro; e questa
sarà la fé di sposo?
TITO
In che peccai?...
ARRICIDA
Lascivo.
GESILLA
Ah no signora...
ARRICIDA
Impura,
osi mentir ciò ch'accennasti? In breve
con saette omicide
svenar saprò con la sua Iole Alcide.
(a Tito)
Con le furie di Cocito
lacerar ti voglio il cuore.
Mostro ingrato
sempr'irato
sarà teco il mio furore.
Con le furie di Cocito
lacerar ti voglio il cuore.
(contro Gesilla)
Con lo stral della vendetta
saettar ti voglio il seno.
Alma dura
mai sicura
tu sarai del mio veleno.
Con lo stral della vendetta
saettar ti voglio il seno.
Tito, Gesilla.
GESILLA
Empio, contro Gesilla
dell'irata consorte
tu le furie eccitasti.
TITO
Io le furie eccitai?
GESILLA
Perfido iniquo
non si comparte a più d'un seno il core.
TITO
Sola sinor fosti alle gioie, e ai vezzi.
GESILLA
Menti Giano bifronte.
TITO
Aborrirò la moglie.
GESILLA
Ti fuggirà Gesilla.
(finge partire)
TITO
Deh placati mio ben.
TITO
(si prostra)
Bella non più rigor,
deh sana il mio dolor.
Plàcati per pietà,
e pur crudel vedrai
fra mill pene, e guai
il cor, che morirà.
Bella non più rigor,
deh sana il mio dolor.
GESILLA
Lasciami infido.
TITO
Dunque schernita, e mesta
dée quest'anima languir, bella t'arresta.
GESILLA
No ch'ai preghi d'un labbro vezzoso
non resiste lo sdegno del cor,
basta il lampo d'un guardo amoroso
perché io tempri dell'alma il rigor.
TITO
Sì ch'il duolo sen fugge dal petto
ai baleni d'amica pietà,
e l'ardore ch'in seno è ristretto,
vieppiù caro, e soave si fa.
Gesilla, e dopo Attilio, e Zelto, Elvida in disparte.
GESILLA
Il disegno sortì: ma qui velocemente
Attilio ancor se n' viene:
sappi mio cor, che simular conviene.
ATTILIO
Gesilla alle tue piante.
ELVIDA
(Oh dèe, che scorgo.)
(Gesilla dopo aver guardato Attilio gli volta le spalle)
ZELTO
Usa pietà signora.
ATTILIO
Genuflesso, e pentito.
ZELTO
Renditi men crudele.
ATTILIO
D'Attilio 'l cor, che la sua diva offese.
ZELTO
Basta sei vendicata.
Pregala, e la vedrai tosto placata.
ATTILIO
Degno fa' di perdono.
GESILLA
Alle preci d'un empio è questi il dono.
(lo percuote col guanto)
ELVIDA
Alma sta lieta entro le gioie io sono.
ATTILIO
Voglio perder il cor
se si trova in amor
donna fedel?
ATTILIO
Deh ascolta almeno!
GESILLA
Ah sconoscente, ingrato.
Voglio perdere il cor
se si trova in amor
uomo fedel.
Tutti sono mendaci,
facili all'ingannar,
ha più costanza il mar
tanto non varia il ciel.
Voglio perdere il cor
se si trova in amor
uomo fedel.
Attilio, Zelto, Elvida.
ATTILIO
L'empia così le mie preghiere ascolta?
ELVIDA
Segui chi ti disprezza, e lascia ingrato
chi per te pena, e muore
questa è la mercé di fido core.
ZELTO
Tal'è di donna l'uso.
Questo sesso leggero
mille volte in un dì cangia pensiero.
ATTILIO
Che far poss'io?
ZELTO
Se Gesilla ti fugge, Elvida abbraccia.
ATTILIO
Non posso.
ELVIDA
Empio, perché?
ATTILIO
Lo vieta amore.
ZELTO
È pur anche vezzosa.
ELVIDA
(ad Attilio)
Arde l'anima mia solo per te.
ATTILIO
Sei bella sì, ma nulla piaci a me.
ELVIDA
Sebben tu mi disprezzi
sempre ti voglio amar.
T'assalirò co' vezzi,
e con lusinghe accorte
conseguirò la sorte
di farmi idolatrar.
Sebben tu mi disprezzi
sempre ti voglio amar.
ATTILIO
Zelto, ma che farà?
ZELTO
Secreto, e solo di Gesilla alle stanze
oggi t'aggrada.
ATTILIO
L'Atlante sei d'ogni mia speme, o Zelto.
ZELTO
Vo', che la schiava ancora
le sue grazie rinnovi a chi l'adora.
ATTILIO
Due bellezze soavi, e gradite
van piagando l'amato mio cor.
Ambe lusingano,
ambe m'apportano gioie, e dolor.
Due bellezze soavi, e gradite
van piagando l'amato mio cor.
Anfiteatro.
Domiziano solo.
Cieca dèa, che de' mortali
reggi il freno alle vicende,
sol da te so, che dipende
darmi al crin bende reali.
Ma qui fra stuol di luminose schiere
il grave passo ha il genitor rivolto
finto si chiami il pentimento in volto.
Vespasiano con séguito di Cavalieri.
VESPASIANO
Figlio?
DOMIZIANO
Padre.
VESPASIANO
Qual nube
di fosco duol turba la mente? Ah forse
cieco desio di regno
l'animo ancor t'ingombra?
DOMIZIANO
Tolganlo i numi: il più deforme oggetto
io non ho dell'impero.
VESPASIANO
Ma chi turbato tiene il tuo ciglio?
DOMIZIANO
L'orror de miei delitti.
VESPASIANO
Scrissi in polve l'offesa.
DOMIZIANO
In duro marmo
Tito bensì l'alta vendetta incise.
VESPASIANO
Io placai le sue furie.
DOMIZIANO
Padre rendesti a questo cor la calma.
VESPASIANO
Per maggior tuo conforto
d'anfiteatro eccelso
te solo elessi a vagheggiar le pompe.
Olà miei fidi
s'appresti omai la meditata scena.
DOMIZIANO
(A chi non regna ogni delizia è pena.)
VESPASIANO
Combattuto ogn'or dall'onda
non si frange il pino in mar,
ma sovente in lieta sponda
giunge il lido a ribaciar:
il destin cangia sue tempre,
e 'l torbido del ciel non dura sempre.
Se talor l'alpi gelate,
Borea crudo minacciò,
spesso ancor sue furie alate
quercia annosa disprezzò:
così irato il ciel non teme,
e 'l rigido Aquilon sempre non freme.
Mentre Vespasiano e Domiziano s'assidono, a suono d'una gran sinfonia s'alza la tela vedendosi Giunone in macchina, Fetonte sopra un carro tirato da due cavalli, Cibele tirata da due leoni.
GIUNONE
Qual d'insolito ardor fiamma vorace
il mio gelido imper divora, e strugge
fuman le nubi istesse, e già per l'Etra
senz'evitar di rio Vulcano i danni
tarpati, ed arsi han gl'aquiloni i vanni.
(sorge il Po tutto scarmigliato)
PO
Dove misero, e dove
fuor dall'algose sponde
traggo l'umide piante, ahi, che fra poco
ha l'Eridano in grembo un mar di foco.
CIBELE
Cinta non più di fiori
la mia chioma vegg'io, ma sol cosparsa
d'infocate ruine
un inferno ho nel seno, e l'altro al crine.
GIUNONE
Sommo Giove, e dove sei?
PO
Dove posi o gran tonante.
CIBELE
Mira lacero il sembiante
fra l'ardore d'incendi rei.
Sommo Giove, e dove sei?
FETONTE
L'eclittica perdei, ma 'l cor non perdo.
Fra calli ignoti in sull'eterea mole
additerò novi sentieri al sole.
(discende Giove sull'aquila armato di fulmine)
GIOVE
Temerario Fetonte
così dunque le leggi
di natura, e del ciel torcer presumi?
Meta all'ardir è la caduta estrema!
Dal mio strale in un punto
chi le fiamme destò resti consunto.
Scagliato un fulmine, Fetonte cade nel Po, spezzandosi il carro, e precipitando i cavalli con gran furia s'abbassa la tela.
Resta l'anfiteatro.
Vespasiano, e Domiziano.
VESPASIANO
Figlio che dici?
DOMIZIANO
Io l'alte pompe ammiro.
VESPASIANO
Quella, che tu vedesti
per la tua man del regnator tiranno
fu la caduta orrenda.
A dar norma a sé stesso
dai costumi d'un empio il saggio apprenda.
DOMIZIANO
(L'enigma intesi.) Ogni tuo gesto, o padre
saggi dogmi produce. Il sol imiti,
ch'a pro d'altrui la luce sua comparte.
(Oggi deluderò l'arte con l'arte.)
Niso, e suddetti.
NISO
Primo fulgor del Tebro
Giove romano, e difensor del Lazio,
di festivo Oricalco
già rimbomba la reggia,
vieni, che la corona
impaziente attende
se rimirar alfine
d'un sì degno monarca ascesa al crine.
VESPASIANO
(Chi l'impone?)
NISO
Il senato.
DOMIZIANO
(O me infelice.)
VESPASIANO
Andiam.
DOMIZIANO
Permetti, o sire,
ch'alle tue glorie un figlio
sol per brevi momenti
gioco festivo a meditar s'arresti.
VESPASIANO
Duci servi a sue leggi.
Lascia che del tuo volto
baci intanto il sereno.
(l'abbraccia)
DOMIZIANO
Or cada l'empio alla sua parca in seno.
NISO
Veramente è sì garbato
questo novo imperatore,
che per certo il dirne male
saria troppa infamità.
Sol la mancia, ch'ei m'ha dato
lo fa scorger un signore
generoso, liberale,
di grandissima bontà.
Veramente è sì garbato
questo novo imperatore.
DOMIZIANO
Appressati, ove sei?
De lottatori antei, fa' ch'a miei cenni
venga l'invitto stuolo.
NISO
T'inchino o nume, e ad ubbidirti io volo.
Domiziano solo.
Son morto o speranza
se 'l regno non ho.
Di serto lucente
ricoprimi il crine,
o misero alfine
svenar mi saprò.
Son morto o speranza
se 'l regno non ho.
Domiziano nel partire viene arrestato da Sergio.
SERGIO
Ferma Domiziano.
DOMIZIANO
Indegno ancora
vieni al mio aspetto?
SERGIO
Io del romano impero
l'alto regal diadema
ti riporrò sul crine.
DOMIZIANO
Come? Che parli?
SERGIO
Tanto prometto.
DOMIZIANO
Il genitor non preme
dell'orbe augusto il trono?
SERGIO
Ei farà suo se 'l brami,
ch'il favore de le schiere, e in un del Lazio
di questo brando ai cenni
s'armerà coraggioso.
DOMIZIANO
Nulla ti chiedo: adempi
ciò, ch'il dover t'astringe.
SERGIO
(Sergio che fai? Che mi consigli o fato?
Ah sì cada dal soglio un rege ingrato.)
Volo a l'impresa.
DOMIZIANO
Ferma:
già che così risolvi
miglior consiglio adopra: odi a momenti
da la plebe raccogli
turba avvezza a le stragi indi veloce
riedi occulto a la reggia,
conscio sarai di quant'oprar si deggia.
SERGIO
(A nostri giusti voti
prospero fato arrida.)
DOMIZIANO
(Va': tu pur morirai anima infida.)
Su le nemiche stragi
al trono ascenderò;
di Lete entr'i naufragi
l'alme cader farò.
Su le nemiche stragi
al trono ascenderò.
Col lampo di mia spada
l'imper distruggerò,
farò ch'a terra cada
l'empio che m'ingannò.
Su le nemiche stragi
al trono ascenderò.
Stanze di Gesilla.
Arricida sola.
De la schiava impudica
quest'è l'odiato albergo: ah sì qui dove
il pampino frondoso
stende le braccia, e ne fa tetto al cielo
l'orme di Tito ad osservar mi celo.
Vo cercando
sospirando,
il crudel, che m'ingannò.
Insegnatemi 'l mio bene
o nel mar di tante pene
crude stelle io morirò.
Vo cercando
sospirando.
Tito, e Gesilla in alto, Zelto a un balcone.
TITO
Sin ch'io vivo...
GESILLA
Sin ch'io spiro...
GESILLA E TITO
Altri rai non amerò.
TITO
Luci belle.
GESILLA
Vaghe stelle.
Insieme
TITO
Lieto sol per voi sarò.
GESILLA
Lieta sol per voi sarò.
(s'adagiano vicino a un balcone l'uno tasteggiando soavemente una spinetta, e l'altra spiegando un libro di musica)
Zelto, disceso a basso e suddetti.
ZELTO
Fin che d'amor, Tito a le gioie è inteso
da questi alberghi, Attilio
forz'è tener lontano:
sa gl'amanti ingannar un buon mezzano.
È un mestier di gran giudizio
l'amorosa servitù.
Spesse volte il dir il vero
è cagion di molti impicci
e mostrar per bianco il nero
se ne toglie il pregiudizio
e il mentir divien virtù.
È un mestier di gran giudizio
l'amorosa servitù.
Arricida, e Zelto.
ARRICIDA
E dove o Zelto.
ZELTO
(O maledetto incontro.)
Tracciando io vo qui di Gesilla il passo.
ARRICIDA
(Scaltro è costui.) Cerchi Gesilla, e intanto
con Tito ella dimora.
ZELTO
Così parli o signora.
D'una casta donzella a torto offendi
la modestia, e l'onore?
ARRICIDA
Casta donzella? A quegli alberghi tosto
scortami 'l piede.
ZELTO
Ecco maggior l'imbroglio.
ARRICIDA
Tronca ogn'indugio.
ZELTO
Forse...
ARRICIDA
Armerò, se tu tardi,
contro di te lo sdegno.
ZELTO
Questa volta per me non val ingegno.
Nel partir Arricida ode a cantar Tito, e s'arresta tenendo per mano Zelto.
TITO
Chi non vide il sol ch'adoro
non sa dir che sia beltà.
Là dal ciel in pioggia d'oro
scender Giove un dì farà.
Chi non vide il sol ch'adoro
non sa dir che sia beltà.
Arricida, e Zelto a basso. Tito, e Gesilla in alto.
ARRICIDA
Traditor, d'empio consorte infido
son pur queste le voci?
ZELTO
(verso i balconi)
Sappi Arricida...
GESILLA
Arricida?
(s'affacciano ai balconi)
TITO
Che sento?
ARRICIDA
Scorta mi dissi a quegli alberghi.
(strascinandosi addietro Zelto)
ZELTO
O cielo.
GESILLA
A questi alberghi?
ZELTO
Piano.
ARRICIDA
In sua discolpa
or che dirà l'ingannator confuso.
ZELTO
Tal'oggi dì d'ogni consorte è l'uso.
(ascendono le scale di Gesilla)
Gesilla, e Tito.
GESILLA
Tito oh dio che risolvi?
TITO
Fuggir.
GESILLA
Dove, o mio bene.
TITO
Non so.
GESILLA
Giove supremo
deh tu ci porga aita.
TITO
Facile scampo il tuo timor addita.
(si cala per una vite, che circonda la casa)
Attilio, che sopraggiunge, poi Arricida, e Gesilla in alto.
ATTILIO
(Occhi miei che vedete!)
ARRICIDA
Ove Tito è riposto?
GESILLA
Io qual di Tito
riverita signora
posso darti contentezza.
ARRICIDA
Osi celarlo impura.
GESILLA
Bella a torto m'offendi.
ARRICIDA
Ah già lo scopro: invano
fuggi dagl'occhi miei mostro inumano.
(affacciandosi al balcone vede Tito a fuggire)
Attilio, Tito che fugge, Elvida.
ATTILIO
Fermati, o duce.
TITO
Ah lascia amico: sappi,
che della schiava a canto
mi scoperse Arricida.
ATTILIO
Ohimè che sento!
ELVIDA
(ad Attilio)
Udisti.
Brami ancor di più?
ATTILIO
(Quanto molesta.)
Lasciami in pace, oh dio!
ELVIDA
Sarò Clizia in seguirti idolo mio.
ATTILIO
Tradì quest'empia la mia fede.
TITO
E come?
ATTILIO
Oh scellerata, oh impura.
TITO
Dunque così li affetti miei deludo.
ATTILIO
Il nostro affetto o Tito
fu da costei con doppio cor schernito.
ELVIDA
Segui pur ad amar quel sembiante,
che scaltro, e incostante
ogn'un schernirà
Attilio pietà
deh scaccia il rigore
deh cangia tenore
non più crudeltà.
Segui pur ad amar quel sembiante.
Arricida tenendo per mano Gesilla, Tito, ed Attilio.
ARRICIDA
(verso Tito)
Che dirai menzognero?
TITO E ATTILIO
(verso Gesilla)
Ecco l'infida.
TITO
Io sol del guardo.
ATTILIO
Io 'l possessor del l'alma.
ARRICIDA
Non rispondi a una moglie?
TITO
Questi è 'l tuo ben.
ATTILIO
Questi è 'l tuo nume.
ARRICIDA
(Oh cielo!
Son delusa, e derisa!)
TITO
Donna peggior d'un mostro.
ATTILIO
Mostro peggior d'Averno.
ARRICIDA
Tito.
(lo prende per le vesti)
TITO
Lascia importuna.
ATTILIO
(verso Gesilla)
Non otterrai perdono.
ARRICIDA
Ricorrerò d'un vero Giove al trono.
Gesilla s'umilia agli amanti.
GESILLA
Idoli miei vezzosi.
TITO
Taci.
ATTILIO
Chiudi quel labbro o indegna.
GESILLA
L'ira in petto frenate.
TITO
E non ti sveno il core?
ATTILIO
Perfida, e non t'uccido?
GESILLA
D'ogni vostro rigor stolti mi rido.
Adesso è bizzarria
saper cangiar amor.
Costume è d'ogni bella
il dir «sarò costante»,
ma scaltra ad ogni amante
fa dono del suo cor.
Adesso è bizzarria
saper cangiar amor.
Adesso è bizzarria
saper cangiar pensier.
Il dir «sarò fedele»
costume è di ciascuna,
ma non si trova alcuna
paga d'un solo ardor.
Adesso è bizzarria
saper cangiar pensier.
Tito, Attilio, e Zelto in alto.
ATTILIO
Amico, e che risolvi?
TITO
Zelto punir con questo ferro.
ATTILIO
Io pure,
de l'infame custode
farò strazio crudele.
TITO
Oggi i miei sdegni,
strali saran contro di lui rivolti.
ZELTO
(Fuggir saprò le vostre furie, o stolti.)
TITO
Disperata mia speranza
tu m'insegna a lagrimar,
che al rigor de l'incostanza
sol m'avanza a sospirar.
Disperata mia speranza
tu m'insegna a lagrimar.
Attilio solo.
Pianga Tito a sua voglia, io più sagace
estinguer vuò d'impuro ardor la face.
Non dar fede a donna alcuna
o mio cor ho già risolto,
s'in amor non ho fortuna,
è l'amor pazzia da stolto.
Non dar fede a donna alcuna.
Il penar per donna infida
è follia di sciocco amante,
se l'inganno è ogn'or sua guida
fuga il piè bella incostante.
Il penar per donna infida
è follia di sciocco amante.
Salone imperiale.
Vespasiano con scettro, e corona, Tito, e Domiziano.
VESPASIANO
Nel ciel di vostra fronte, or che serena
con insegne di pace Iride splende
beato, o figli il viver mio si rende
rieda Sergio al mio aspetto: un giorno al fine
de l'orbe di Quirino
di Voi ciascuno aggirerà il destino.
TITO
Sul fuso adamantin Cloto rivolga
per te padre benigno
lunghi stami vitali.
VESPASIANO
Girino immensi lustri
pria che di morte esposto
io ti vegga a l'artiglio
s'appresti omai ciò che prepari, o figlio.
(Vespasiano ascende il trono. Tito, e cavalieri intorno)
DOMIZIANO
Pronto ubbidisco
uscite o prodi, e generosi atleti.
(escono i lottatori)
Condottier di più bel giorno
Febo mai dal Gange uscì:
cinto d'oro, e d'ostri adorno
regio sol c'apporta il dì,
al cui ciglio giocondo
ride il ciel, brilla il suolo, e gode il mondo.
Entra nella scena formandosi un gioco di Lottatori dopo il quale esce di nuovo Domiziano con spada alla mano seguito da molti Sicari.
DOMIZIANO
Basta: de' gladiatori
danzi omai ne le stragi il ferro ardito:
sì, mora sì Vespasiano, e Tito.
Correndo verso il trono precipitano tutti con Domiziano in una prigione sotterranea.
VESPASIANO
Quai congiure?
TITO
(levandosi in piedi)
Quai frodi?
VESPASIANO
O stelle!
TITO
O dèi!
VESPASIANO
La terra inghiotte il traditor, e i rei.
Sergio, e suddetti.
SERGIO
Sire, de la mia fede
opra fu questa.
TITO
O generoso amico.
VESPASIANO
Ah figlio indegno figlio,
con sì barbare forme
tenti rapirmi il trono?
Ma che parlo del figlio? Il fato solo
le mie grandezze, il mio regnar contrasta.
Prendi, o mostro de' numi
il tuo scettro, 'l tuo imper, 'l ostro, il diadema.
(gettando via tutto)
Non ambisco corone,
non m'allettano i sogli.
Ma tu crudel fermati acciar: che tenti?
(denuda la spada contro Sergio poi s'arresta)
Sergio mi diè la vita,
Sergio rapimmi il figlio,
o figlio, o Sergio, o Vespasiano, o Tito
o stelle, o lumi, e non piangere? Ed anco
bevo l'aura di vita?
Viscere mie sepolte
la vostra tomba istessa
mi sia culla gradita.
(tenta di gettarsi, nella voragine, e vien trattenuto)
TITO
Ferma.
SERGIO
Che tenti, o sire.
VESPASIANO
In ogni loco
a un'alma disperata
sono aperti gli abissi
teco voglio morir se teco i vissi.
TITO
Ah genitor, ah no mio re t'arresta.
Soccorretelo amici.
(fuggendo Vespasiano come un disperato Tito ordina alle guardie di seguirlo)
Tito, e Sergio.
SERGIO
Che stravaganze o dèi.
TITO
Sergio guerrieri
per un figlio rubello
stolto così Vespasian delira.
SERGIO
Ah ch'io pur fui di sue sventure il fabbro.
TITO
Consolati, o buon duce
chi dà morte a un tiranno erge a sé stesso
obelischi di gloria.
SERGIO
Ma che farò confuso?
TITO
Rapido o fido Sergio
vola a saper da gl'empi, e se la parca
colà fra le rovine
alcun ne serba in vita, al mio cospetto
scorta l'anima rea.
SERGIO
Eseguirò tuoi cenni.
(O ciel anch'io fui traditor d'Astrea.)
TITO
Spirti fieri di cruda vendetta
tutti armatevi dentro 'l mio cor:
già l'ardire a l'impresa v'affretta,
perché pera d'un empio il rigor!
Spirti fieri di cruda vendetta
tutti armatevi dentro 'l mio cor.
Cieche furie di barbaro sdegno
tutte armatevi d'ira crudel,
ne la strage comune d'un regno
spiri l'alma il germano infedel.
Cieche furie di barbaro sdegno
tutte armatevi d'ira crudel.
Vespasiano scuotendosi da Licinio, e da Attilio.
VESPASIANO
Temerari lasciate.
ATTILIO
O stelle o dèi?
LICINIO
Figlio, prole, mia vita e dove sei?
ATTILIO
Sire da' legge al duol: ferma pur'anco
il germe tuo, l'aura vital respira.
VESPASIANO
Chi respira? Chi vive?
LICINIO
Domiziano il figlio.
VESPASIANO
Il figlio?
ATTILIO
Sì: da la fatal ruina
salvo fra tante stragi
mira, ch'a te sen viene.
VESPASIANO
Cessate omai di tormentarmi, o pene.
(resta fisso ad osservar Domiziano)
Domiziano appoggiato ad uno di que' Soldati, che lo conducono.
Domiziano, e suddetti.
DOMIZIANO
Per pietade ahi chi m'uccide?
Chi l'acciar mi vibra in petto?
Ahi se 'l cor mi squarcia Aletto
ai miei voti il fato arride.
Per pietade ahi chi m'uccide?
Tito con spada alla mano s'avventa a Domiziano.
TITO
Tito de l'empia vita
troncherà il fil.
VESPASIANO
Ferma crudel, che tenti?
(gli leva la spada)
DOMIZIANO
Padre lascia dar fine a miei tormenti.
Sergio con suddetti.
SERGIO
Degna solo di morte
è di Sergio la colpa:
(si prostra)
ah sire in petto
tu mi vibra l'acciaro complice anch'io
fui, de l'alta congiura, e se diverso
del mal nato disegno oprò 'l consiglio
fui nondimeno un traditor al figlio.
VESPASIANO
O ciel.
ATTILIO
Ch'intesi mai!
Arricida, che seco conduce Gesilla, e detti.
ARRICIDA
Gran re tu, che d'Africa
reggi in terra l'impero, omai punisci
d'un consorte le colpe, egli o signore
per questa schiava impura
la fé di sposa, e le sue glorie oscura.
VESPASIANO
Ah figlio figlio
sì contumace ancora?
Di vindice saetta, allor ch'armato
veder dovresti il braccio mio sul trono
dispensi Augusto universal perdono.
ATTILIO
Somma clemenza.
LICINIO
Alta bontà infinita.
DOMIZIANO
Son felice.
TITO
Io scontento.
ARRICIDA
Io son tradita.
VESPASIANO
Figli ne vostri petti
l'odio estinto rimanga.
A l'impero de l'Asia
Domiziano eleggo
Tito in sen d'Arricida!
Tragga l'ore pudiche;
Zelto, e Gesilla al pullular de l'alba
riedano a' patri lidi.
ARRICIDA
Va' pur, lungi da me ne porta 'l piede
che in amarti immortal, sarà mia fede.
GESILLA
Prigioniera del tuo braccio
io non chieggio libertà.
Se sgradito è questo laccio,
che la pena, e la catena
più soave ogn'or si fa.
Prigioniera del tuo braccio
io non chieggio libertà.
VESPASIANO
E tu mio Sergio
da la cui fé vita, ed impero ottenni
sempre del ciel latino
sarai l'astro più degno.
DOMIZIANO
A le gioie.
ATTILIO
A le pompe.
ARRICIDA E VESPASIANO
Al regno, al regno.
ARRICIDA
È risorta nel mio core
la speranza, che perdei?
Già nel porto
del conforto
sete giunti o spirti miei.
È risorta nel mio core
la speranza, che perdei?
È rinato nel mio seno
quel piacer, che già svanì,
ne la calma
di quest'alma
godo pur felice un dì.
È rinato nel mio seno
quel piacer, che già svanì.
Piazza attendata.
Vespasiano a suon di trombe, e timpani, seguìto da lungo stuolo di Cavalieri si porta in loco eminente per osservar le pompe destinategli dal Popolo: in questo mentre spunta dall'alto sul caval pegaseo Apollo, vedendosi la terra, l'acqua, l'aria, ed il foco.
VESPASIANO
Là dal meriggio acceso ove mia luce
libra più chiaro il giorno
di Vespasian, per illustrar li chioma
Febo di rai cosparsi
scende a l'invitta Roma,
carchi già di sua gesta
son gli emisferi: or del tonante è legge
che di giubilo in segno ubbidienti
al piè di tanto nume
danzino gli elementi.
Su lieti sorgete,
carole tessete
con rapido piè
inchinate
venerate
del tarpeo l'eccelso re.
Su lieti sorgete.
Qui compariscono vari personaggi che figurando li Quattro elementi, formano leggiadrissimo ballo in terra, in acqua, in aria, e in foco.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)