L'ULISSE ERRANTE
Opera musicale.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Giacomo BADOARO.
Musica di Francesco SACRATI.
Prima esecuzione: carnevale 1644, Venezia.
Personaggi:
AMORE |
sconosciuto |
MERCURIO |
sconosciuto |
DISCORDIA |
sconosciuto |
ULISSE |
sconosciuto |
POLIFEMO |
sconosciuto |
CICLOPE |
sconosciuto |
ORACOLO |
sconosciuto |
GALATEA |
sconosciuto |
CIRCE |
sconosciuto |
PLUTONE |
sconosciuto |
FRODE |
sconosciuto |
TIRESIA |
sconosciuto |
CALIPSO |
sconosciuto |
CINATEA sua dama |
sconosciuto |
CANORIA sua dama |
sconosciuto |
ALCINO re dei Feaci |
sconosciuto |
NAUSICA figliuola del re |
sconosciuto |
MANTENITORE del torneo |
sconosciuto |
AVVENTURIERE del torneo |
sconosciuto |
SONNO |
sconosciuto |
VENERE |
sconosciuto |
GIOVE |
sconosciuto |
MINERVA |
sconosciuto |
La PACE |
sconosciuto |
Al signor Michel'Angelo Torcigliani
Dal discorso avuto con v. s. intorno al mio Ulisse errante, e dalla varietà de' pareri, ch'odo venirne data da alcuni, si contenterà, ch'io prenda occasione di trattenerla alquanto con questa lettera.
Chi usa, signor Torcigliani mio, a comporre senz'altro fine, che di lusingar il proprio genio, ha adempita la maggior parte de' suoi obblighi, quando abbia soddisfatto sé stesso. Basterebbe per far sapere a che fine ho composto l'Ulisse errante, il dire, ch'io non ricerco di portare né gloria a me stesso, né esempio agli altri: i miei studii, che a niente mi tengono obbligato, fuori che al mio compiacimento, mi hanno posto in pensiero quest'opera, la quale, quando non sia biasimata da' moderni auditori, poco son per curarmi, se non fosse fra le approvate dagli antichi scrittori. Hanno gli antichi prescritte in molte cose le regole, perché si tenevano a gloria, che 'l mondo si fermasse ne' loro precetti, e forse agli uomini del venturo secolo restasse levata la facoltà dell'inventare. Chi vuol sottoscrivere in tutte le cose questa legge, lo faccia; io per me la chiamo una ragione di stato combattuta dall'interesse, e dal tempo. Infelice secolo, se l'orme de' passati obbligassero il nostro piede ad un inalterabil camino; ben potrebbe chiamarsi questa l'età de' ciechi, che non sanno se non essere guidati. Faccia pur ella palesi i sensi di questa lettera, acciò l'errore di coloro, che non sanno dire, se non quel che dissero gli altri, non porga ad alcuno materia di perturbarsi. Feci già molti anni rappresentare il Ritorno d'Ulisse in patria, dramma cavato di punto da Homero, e raccordato per ottimo da Aristotile nella sua poetica, e pur'anco allora udii abbaiar qualche cane, ma io non fui però tardo a risentirmene co' sassi alle mani. Ora fo vedere l'Ulisse errante, ch'è in sostanza dodici libri dell'Odissea d'Homero: in parte ho diminuiti gli episodi, in parte ho ingrandito il soggetto con invenzioni per quanto mi parve il bisogno, non dilungandomi però nell'essenza dalla rappresentata storia. Se dirà alcuno, che non era soggetto da portarsi in scena, io dirò di sì, sperando che tosto udito che l'abbia, sia per cangiarsi d'opinione. Se dirà, che sono più azioni, io dirò, che l'ho detto prima di lui, e ciò potrassi agevolmente vedere nelle divisioni di esse, che a questo effetto io gliele mando qui occluse. In riguardo agli accidenti, che occorrono viaggiando ad Ulisse, sono, è vero, più azioni; ma in riguardo alla intenzione del viatore, che è di girne in patria, non è che una sola. La favola, com'ella sa, vuol esser una unius.
Una dunque è la mia favola, perché d'unità materiale è sempre Ulisse, d'unità formale è sempre errore: né i molti errori fanno molte favole, ma molte parti di favola, che la costituiscono azione tutta una, e grande, come ricerca Aristotele. Se queste ragioni piacciono, s'accettino: se no, dicasi c'ho voluto rappresentare gli accidenti più gravi, occorsi ad Ulisse nel gir in patria. Quelli, che di propria invenzione si fabbricano i soggetti, fanno ottimamente a camminare con la puntuale osservazione delle regole; poiché stando ad essi la eletta, prudentemente operano, se vanno con la comune: ma chi s'obbliga all'individuo d'una storia non può assumerla senza la particolarità di quegli accidenti, che necessariamente la accompagna. Non sarebbe errante Ulisse, se viaggiando non ritrovasse diversità di paesi, e se cangiando i paesi, non si mutassero i personaggi, sarebbe un fabbricarsi un mondo fuori della natura a capriccio. Ho voluto dunque rappresentar gli errori d'Ulisse, e tanto basti: se perciò fare ho ricercata la migliore strada, non può alcuno appuntarmi. Quest'opera portava necessariamente l'uscir delle regole, io non lo tengo per errore, e s'altri pur vuole, ch'egli sia, sarà errore di volontà, non d'inavvertenza. I mostri sono difetti della natura, perché nascono fuori della sia intenzione; i giganti non sono difetti, né mostri, benché si levino dalla comune misura degli altri uomini, ma nascono tali per eccesso di materia. Se dirassi, che questa opera sia un mostro, dirò di no; se dirassi, che 'l soggetto ecceda la comune dell'altre tragedie, dirò che è un gigante nato per eccesso di materia, e non contro la mia volontà. Se vorrà affermar un bell'ingegno, che di questo soggetto poteva farne cinque opere; io le rispondo, ch'è vero, ma non le ho fatte, perché ho voluto, e saputo farne una sola. Replicherà, che il soggetto è più da epopea, che da tragedia, ed io le dico, che chi vorrà leggerlo in epopea andrà nell'Odissea d'Homero, e chi vorrà sentirlo in tragedia, venirà nel teatro dell'illustrissimo signor Giovanni Grimani, dove in poco tempo, e con minor fatica lo vedrà più pomposo comparire sopra le scene. Potrei aggiungere, che i precetti della poetica non sono come le proposizioni matematiche, certi, e permanenti, non sono certi perche hanno in essi vagato anche gli antichi, non accordandosi tra di loro circa la quantità de' personaggi, le uscite di quelli limitate da alcuni al numero di cinque, le proibizioni di parlare agli spettatori, ed anco circa la necessità del prologo, che pure rimane con l'altre indecisa. Per il tempo, che deve misurare il soggetto, vollero alcuni concedere otto ore, e non più, altri un giro di sole, alcuni due giorni, altri tre, e pure queste incerte regole non sono state sempre osservate da Eschilo, da Euripide, e da Sofocle, mentre in alcuni loro soggetti scorrono i mesi, e gli anni; altri dissero, che bastava assai, che la favola potesse essere abbracciata da un riflesso di memoria senza fatica, ed a quest'opinione io potrei appigliarmi. Non sono poi permanenti i precetti della poetica, perche le mutazioni de' secoli fanno nascere le diversità del comporre, che però la tragedia ne' suoi primi giorni era recitata dal poeta solo tinto il volto delle vinaccie; dipoi v'introdussero i personaggi, e le maschere, indi vi aggiunsero i cori, la musica, i suoni, le mutazioni di scena, in luogo de' cori i balli, e forse per l'avvenire col cambiare dell'età vedranno i nostri posteri introdotte nuove forme. Erano in queste detestate una volta le variazioni di loco, ed al presente per dare soddisfazione all'occhio, pare precetto ciò che allora era proibito, inventandosi ogni giorno maggior numero di cambiamenti di scene; niente si cura al presente per accrescer diletto agli spettatori il dar luogo a qualche inverosimile, che non deturpi la azione: onde vedremo, che per dar più tempo alle mutazioni delle scene, abbiamo introdotta la musica, nella quale non possiamo fuggire un inverosimile, che gli uomini trattino i loro più importanti negozi cantando; in oltre per godere ne' teatri ogni sorte di musica, si costumano concerti a due, tre, e più, dove nasce un altro inverosimile, che essi favellando insieme possano impensatamente incontrarsi a dire le medesime cose. Non è dunque meraviglia, se obbligandoci noi al diletto del genio presente, ci siamo con ragione allontanati dall'antiche regole. Sapeva monsignor Leoni (soggetto di molta dottrina, e gran stima) che stando nelle proposizioni degli antichi non poteva comporre una tragisatiricomica, e pure stampò la Roselmina, e ne riportò molta lode; ciò ch'egli fece dire in sua difesa, vedasi nel prologo della detta, che servirà anco al presente mio caso. E v. s. parimente, in quel suo dramma, di cui mi comunicò alquante scene, tenendo un sentiero, né da alcuno de gli antichi, né da moderni calcato, con nuovo e meraviglioso ritrovamento non fa vedere, che un componimento tragico, che pure ha per soggetto il lagrimevole, può essere lieto in sé stesso, mentre, oltre l'aspettazione, e quasi che non dissi il possibile, fa risultare dall'orrido il dilettevole? Il Tassoni in altro genere unendo mirabilmente il comico con l'eroico, ha composto un lodabile mostro, che ne porta appresso tutti i letterati gli applausi: onde in ogni tempo si è veduta aperta la strada dell'inventare, non tenendo noi altro obbligo circa i precetti degli antichi, che di saperli. E vero, ch'è anco stata sempre libera la penna de bell'ingegni nell'opponere alle altrui composizioni, che però avrà ella veduto il Tasso, e l'Ariosto nell'epico, il Pastor fido, e la Canace nel drammatico, e sino la canzone del Caro nel lirico opposta. Posso dire in oltre, che le cose tutte prendono il suo essere dal fine, a che sono indirizzate. I primi componevano le tragedie per avvertir dolcemente i tiranni de' loro difetti, ed insieme per suscitare i popoli ad odiare la tirannide, ed amare la libertà; per questi studiavano d'accrescere in loro oggetti dolorosi, e di morte. Dopo, che più non avevano luogo le crudeltà de' tiranni, si è abbandonata questa sorte di tragedia, e si è trovato un altro modo di comporre, che serve non a contristar gli animi, ma a rallegrarli, e queste sono le tragedie di lieto fine. Per colpir bene è fatto lecito abbandonar la puntualità degli antichi, alterare in qualche parte il soggetto, accrescere le invenzioni, ed in somma portare in qualche modo gli animi alla meraviglia, ed al diletto con lo sforzo maggiore dell'arte. Alcuni camminando dietro all'eccesso hanno introdotto il ridicolo con indecoro, altri il licenzioso; i primi riportandone poca lode, gli ultimi molto biasimo. I geni di questa città (che non si appagano più delle cose buone, quando siano ordinarie) danno che pensare agl'ingegni, per fabbricar cosa di loro gusto. Io non volendo abbandonare il costume, o decoro, stimato da me necessarissimo in si fatte composizioni, ho voluto più tosto, staccandomi dalle regole non d'invenzione o capriccio, ma con la scorta del primo poeta della Grecia battere una strada, non da altri calcata, sicuro, che se vivesse Aristotele ne' presenti tempi, regolerebbe anch'egli la sua poetica all'inclinazione del secolo: anzi che, quando egli dice, che di tali azioni non vi è finalmente altro giudice, che l'applauso, dà la sentenza per me; poiché è verissimo, che non si possono aver questi applausi, se non s'incontra felicemente nell'universal genio de' spettatori. A questo passo potrei dire, che gli scrittori hanno cavati i precetti dall'uso de' poeti: onde prima è stata la tragedia, e poi la poetica: Aristotele la cavò da Sofocle, e da Homero; se questi avessero in altra maniera composto, con altri precetti sarebbe uscita la poetica. Niente però è meraviglia, che la Poetica d'Aristotele contenga quei precetti, che venivano comandati dall'uso di que' secoli né per questo si dée concludere, che mutati i tempi non si possano anche mutare i modi del comporre. Aggiungo, che per confessione universale non si è trovata la Poetica d'Aristotele tutta intera, e perfetta: onde se fosse a nostra notizia il rimanente, vedressimo per avventura altri precetti, che ne assicurerebbero della libertà, che per mio senso tiene il discreto compositore. Vedasi dunque l'opera, e quando abbia fortuna ella di bene incontrare, non mi tassi altri con le regole; poiché la vera regola è soddisfare a chi ascolta. Se gl'ingegni ritroveranno qualche intoppo, ne incolpino la strada non piana, per non esser battuta dagl'altri: ma non restarono gli antichi di adorare quegl'idoli, che tenevano i loro templi sopra le cime de' monti. Fu il Ritorno d'Ulisse in patria decorato dalla musica del signor Claudio Monteverde soggetto di tutta fama, e perpetuità di nome, ora mancherà questo condimento; poiché è andato il gran maestro ad intonar la musica degli angeli a dio. Si goderanno in sua vece le gloriose fatiche del signor Francesco Sacrati, e ben'era di dovere, che per veder gli splendori di questa luna, tramontasse prima quel sole. Avremo per ordinator di macchine, e di scene il nostro ingegnosissimo Torelli, che col suo impareggiabil valore gli anni addietro ha di già guadagnata la grazia, e l'affezione universale di tutti. Le comparse, e gli abiti saranno regolati da chi sa, e da chi può. Nel resto se per il mio particolare si ritroverà qualche sconcio, sappia ognuno, che a comporre m'invita non l'altrui lode, ma il mio proprio trattenimento, e di mille pensieri, che del continuo m'agitano la mente non mai oziosa, questo è il minore. Ella intanto, per esser meco uniforme di sentimenti, sostenga le mie con le sue proprie opinioni, pregandola per ovviare a' disordini, che suol portar seco la scena, che voglia involar tanto di tempo alle sue virtuose occupazioni, onde resti favorita l'opera della sua assistenza; nella cui donazione, come in quella parimenti di me stesso, riconosca la stima, ch'io faccio della sua virtù, e l'affetto insieme, di cui sono tenuto alla gentilezza di v. s. alla qual bacio cordialissimamente la mano.
L'assicurato accademico incognito.
A chi legge
La prova mi fa conoscer per vero, che spesso i favori accrescono l'ardire in chi li riceve; Io ebbi dalla mano dell'autore l'Ulisse errante, con privilegiata autorità di farlo stampare in grande con le figure dopo fornite le recite, ed ciò intrapresi per aver occasione di mostra al mondo quelle fatiche, che ho io incontrate per ben servire a questi cavalieri; ora dalla pienezza di questa grazia è nato in me nuovo ardire di farla anco stampar in questa forma per incontrar la soddisfazione di quelli, che godono più simili cose, quando siano accompagnate dalla lettura, spero che chi fece il primo passo per favorirmi, non mi rinfaccerà della licenza del secondo, mentre io mi porrò per scudo la tua curiosa soddisfazione o lettore. Vivi felice.
Giacomo Torelli
Argomento dell'opera
Fu in riguardo della contesa delle tre dèe Troia nel suo eccidio da alcune deità combattuta, e da altre difesa. Venere non avendo potuto con la sua forza distornar le ruine da' Priami, e vedendo di già consumati gl'ardori di guerra in incendi di fuoco, dispersa in fumi la patria del benefattore Paride, si diede a machinare vendette co 'l drizzar le sue persecuzioni contro i distruttori di Troia. Le contrarie deità, che dispensarono favori alla giusta causa de' Greci, intrapresero anco volentieri la difesa de' gloriosi, e contrapponendosi alle macchine della rivale, favorirono con benigni influssi il ritorno de' vincitori. Per tal causa gli eroi maggiori della Grecia furono fatti gioco delle concitate deità. Ulisse fra gli altri provò lunghissime le vicende, a questo più che ad ogni altro attesero l'insidie di Venere; onde istigando contro di lui il figliolo Amore, deità fra' piaceri terribile, lo fece il corso di due lustri errare con perdita di roba, e compagni. Passò in questo tempo egli i mari più irati, vide i deserti più orridi, superò i mostri più fieri, calcò le magiche violenze, disprezzò le lusinghe del bello, visitò l'inferno, e rifiutò il dono dell'immortalità, per arrivare alla patria, e godere la moglie. Quanti lacci fabbricò Amore ministro dell'ira materna, tanti ne sciolse Mercurio esecutore del fato: onde le guerre divine tenendo dieci anni agitato, ed ERRANTE Ulisse, terminarono finalmente col ritorno dell'eroe in Itaca, e così ne' petti celesti rimpatriò la pace.
La scena è lo scoglio de' Ciclopi nell'arcipelago.
Personaggi della prima azione:
Coro di Dèi, Amore, Mercurio, Discordia
nella prima scena in vece di prologo.
Compagni di Ulisse, Polifemo, Ciclope, Oracolo, Galatea, coro di Ninfe ballatrici.
Boschereccia nello scoglio de' Ciclopi.
Coro primo di Deità amiche de' Troiani. Coro secondo di Deità favorabili à Greci.
Discordia, Mercurio, Amore.
CORO
Iº
Ulisse in patria no non anderà.
IIº
Ulisse in patria sì ritornerà.
DISCORDIA
Giù nel mondo, e che sarà?
Se contendono anco in ciel
le discordi deità?
Fra mortali, e chi potrà
fuggir l'ire, s'anco Amor
disdegnoso irato va?
MERCURIO
Accinto a grande impresa
oggi Cupido sei,
meco non hai contesa,
ma col re degli dèi.
AMORE
La contesa non schivo, e non disprezzo
alle vittorie avvezzo.
MERCURIO
Vuoi dunque Ulisse morto?
AMORE
O morto, o vivo,
ben di sua patria privo.
MERCURIO
Ed io, che torni al desiato regno,
l'infallibil destin ti do per pegno.
AMORE
Stringerò novi lacci
d'inganni, d'incanti
d'amori, di pianti, ch'alfin
vinceranno il destin.
MERCURIO
L'amoroso desio
è un affetto che vola,
presto vien, poco sta, ratto s'invola.
AMORE
Col fuggitivo greco
farò Nettun sdegnato.
MERCURIO
Ed io renderò seco
sempre Giove placato.
AMORE
Contro il decreto eterno
conciterò l'inferno.
MERCURIO
Io svelerò tue frodi,
io scioglierò tuoi nodi.
AMORE
Al cominciar.
MERCURIO
Alla frode.
AMORE
All'inganno.
MERCURIO
Al macchinar.
AMORE
Voli voli chi sa volar.
DISCORDIA
Mortali è mia quest'opra,
dagli dèi disprezzata
feci col pono d'or fiera vendetta,
dal cielo discacciata
so nov'ira destar novo furore,
e far ministro de' miei sdegni Amore.
Per me per me vedrete,
e del tempo, e del loco
lo spazio e la misura
non obbedir natura;
dalle guerre divine
sia l'ordine distrutto,
negl'errori d'Ulisse
sia disordine tutto.
Ulisse, e Compagni.
ULISSE
Troia disfatta in cenere, e caverne
non riderà d'un'Elena rapita;
noi sì ch'abbiam la vita
salva da tanti rischi,
penosa chiamerem l'alta vittoria,
ma ne' perigli sol stassi la gloria.
Abbiam finor fuggito
le guerre degl'orribili Ciconi,
l'oblivion de' Lotofagi tristi,
o memorie gioconde, o lieti acquisti.
COMPAGNI
Gran virtù contenti aduna
gran virtù ria sorte opprime
di virtù serva è fortuna.
ULISSE
Ma non convien tanta baldanza ancora,
vediamo pria ciò che destina il fato
questo silvestre loco inabitato
vuo' penetrar, che la miglior fortuna
palliata ben spesso all'uom si mostra,
altri mi segua, altri alle navi vada
io vi farò co' rischi miei la strada.
Antro de' Ciclopi con valle per dove passa il fiume Aci.
Polifemo, Oracolo.
POLIFEMO
Udite queste voci
ingiustissimi numi,
de miei grandi natali
offensori immortali:
io figlio di Nettuno,
del monarca del liquido elemento,
io, che porto terribile spavento
solingo abitator d'un antro oscuro,
sembro in scorza natia chiuso animal.
Mia forza orribile,
guardo terribile
niente mi val.
Numi sprezzatemi,
ingiuriatemi,
sono immortal.
POLIFEMO
Con ragion m'arrabbio, e fremo
per voi il cielo preparaste
fieri numi, e qui cacciaste
in un antro Polifemo.
ORACOLO
Ulisse il greco duce
ben tosto fia, ch'a questo scoglio arrivi,
e sia, che ardito privi
quell'occhio tuo di temeraria luce.
POLIFEMO
Ah, ah, ch'io non pavento
oracolo di vento,
quell'Ulisse, quell'uom forte, e robusto
che può toglier la luce a questa mole
torrà più facilmente
dalla fronte del ciel l'occhio del sole.
Galatea. Polifemo.
GALATEA
Non so se liete, o meste,
se innamorate, o pie,
Aci mio trasformato
sian le memorie mie;
dileguato mio bene,
ecco, che per goderti,
per riposarti accanto
teco mi unisco, e mi dileguo in pianto;
già fummo un tempo stretti, or fatto sei
sei fiume vagabondo e fuggitivo,
i languidi occhi miei
sol per unirmi a te, formano un rivo.
Amorosa ragion lacrime chiede,
dritto è ben che si stilli
in pianto, chi sospira un'onda errante,
s'acqua è il suo ben, sia d'acqua anco l'amante.
Ma che spargi lamenti
Galatea, né rammenti,
che cangiando il mortal corporeo velo
questo liquido cielo
accoglie immortal nume
l'adorato tuo fiume;
festeggia pur in questa riva amena
sarai dell'acque sue dolce sirena.
Augelletti
sussurrate,
bei fioretti,
ricamate il vago suol;
lieta aurora
qui s'indora,
qui si specchia il novo sol.
Dalle sponde
colorite
veggio l'onde
più fiorite aprir il sen;
bei cristalli
nei lor balli
fan riflessi al ciel seren.
Polifemo. Galatea.
POLIFEMO
Leggiadra Galatea,
eppur segui ostinata
un fuggitivo fiume,
e sprezzi ancora ingrata
innamorato nume;
son vani i pianti tuoi, vuota la spene,
insanabile il duol, stolte le pene;
Aci gentil morì,
più da tue braccia stretto ei non sarà,
piangi l'estinto sì;
ma pungati del vivo anco pietà.
GALATEA
È vana tua fatica
hai perduto il rival, non la nemica,
non v'è pietade, non v'è mercé,
Aci tanto amo, quanto odio te.
POLIFEMO
Partite dal mio core
speranze disperate,
né più nutrite amore.
Dal rigor di quel petto,
dal gelo di quel core
il foco estinto cada;
e nel mio fiero ingegno
ceda amor disperato a giusto sdegno.
Ulisse. Compagni.
COMPAGNI
S'è ver, che saggia, e provvida natura
non opra indarno mai,
come dir tu potrai,
che questo loco inabitato sia?
Qui di smeraldo i prati,
fiorite l'erbe, e coloriti i fiori,
del dipartito April serban gl'onori.
Vedesti le campagne
ne le di latte, e non canute spiche,
non lontane mostrar le biade amiche.
Polifemo. Ulisse. Compagni.
POLIFEMO
Affé, che siete nella ragna colti
o semplicetti, o stolti.
Ma chi voi siate, e quale
destin, fortuna, o voglia
qui vi conduca io di saper intendo.
ULISSE
Noi greci siamo, e la superba Troia
a piè del grande Atride
vedemmo incenerita; or siam condotti
non pirati, e corsari
da combattuti venti,
da perigliosi mari.
COMPAGNI
Giove supremo dio, ch'a tutti giova
a dolcezza, a pietade
il tuo gran genio mova.
POLIFEMO
Giove a sua voglia regge
il mal diviso impero,
ma l'immortal ciclope
non cura d'altro dio comando, o legge.
Voi tutti, voi sarete
esca di Polifemo
cibo della mia fame,
sazierò le mie brame,
con voi satollerò la voglia mia,
e questo il primo fia.
COMPAGNI
Crudel ohimè crudel
anco in onta del ciel
l'umanità consumi?
O Giove, o cielo, o numi!
POLIFEMO
Tu ch'hai sembianti, al gesto
mi rassembri il più forte, e par ch'ardisci
tentar contro di me vendetta, o danno.
Dimmi dimmi il tuo nome,
ch'io ti prometto, e giuro
di farti dono tal, che ti fia grato.
ULISSE
Niuno mi chiam'io
Niuno mi nomaro
la madre, e 'l padre mio;
ma che don mi puoi far crudel spietato
se d'un compagno amato
m'hai già, m'hai già privato.
POLIFEMO
Niun l'ultimo fia, ch'io mangiar deggio
dopo i compagni suoi.
Questo è il don, ch'io promisi; e che più vuoi?
ULISSE
Crudel'è il don, più crudo il donatore,
non dona altro, che danno
disumanato core;
ma già che sì t'aggrada
la nostra carne in cibo
gustar non ti dispiaccia
questa greca bevanda.
Dal presente periglio
novi partiti imparo;
a' disperati ogni consiglio è caro.
POLIFEMO
O buon greco, o buono affé
un bicchier non basta no.
COMPAGNI
Bacco può
consolar chi è mal sicur
bevi pur.
POLIFEMO
Suona tu, suona clò clò
una volta, due, e tre.
COMPAGNI
Bacco de'
consolar chi è mal sicur,
bevi pur.
POLIFEMO
Come gode, come ride allegro il cor
qual porta letizia il dolce licor:
nell'occhio m'abbonda
ne' sensi m'inonda
soave sapor.
COMPAGNI
Vieni sonno, sonno grato
al grand'occhio oscura il dì
dormi sì,
Polifemo dormi sì.
ALTRI COMPAGNI
Dorme affé.
ALTRI
Taci ohimè.
ULISSE
Fidi, e forti compagni
or ch'ebro dorme il perfido, e spietato
è tempo di tentar vendetta, e fuga;
ne toglie il cielo, il fato
dar la morte al feroce.
COMPAGNI
Perché?
ULISSE
Perché? Perché immortal è nato;
ben fia sano consiglio
all'occhio del crudel toglier il sole,
ond'egli cieco in tenebrosa notte
non veggia più de' nostri passi l'orme.
Drizzate o dèi l'effetto
a miei desir conforme.
POLIFEMO
Ohimè chi mi tradisce?
Voi vicini cielo
accorrete, accorrete
e 'l perfido uccidete.
Ciclope. Polifemo.
CICLOPE
Amico Polifemo, e chi ti oltraggia,
chi turba la tua quiete,
chi doglioso ti rende?
POLIFEMO
Niun, Niun m'offende:
CICLOPE
E se niun t'offende
or perché stolto gridi;
se ti castiga Giove,
e che potiamo noi contra niuno?
Invoca, e prega il padre tuo Nettuno.
POLIFEMO
Ohimè, che dalla doglia
l'alma mi si diparte;
ma cercherò la parte
dell'uscita dell'antro, e s'io la trovo
non anderà impunito
il sagace, l'ardito.
ULISSE
Non cercar Polifemo
non t'affannar più no;
io sono Ulisse il greco,
son quel che t'accecò.
POLIFEMO
Ah fu troppo verace
l'oracolo da me schernito pria:
ma se la destra mia
dell'usato valore il ciel non priva,
attendi Ulisse, attendi
ch'all'altera tua fronte
mando per aria messaggero un monte.
ULISSE
Cieco saettator
lunge colpir non sa.
COMPAGNI
Siam noi fuggiti già.
ULISSE
Chiama Nettuno pur, chiama in aiuto
che l'occhio già perduto
ei non ti renderà.
POLIFEMO
Pietà Nettun pietà,
sommergi tu l'iniquo,
vendica padre amato
queste lagrime amare
con l'onda del tuo mare.
La natura empia matrigna
solo un occhio mi donò,
sorte rea, sorte maligna
del sol occhio mi acciecò.
Qual dei torti or piangerò?
Scarsa natura il tuo favor avaro
or tua perdita sarà
se mi desti un occhio sol
nel mio fiero atroce duol
un sol occhio piangerà.
Per te sorte mi fe' cieco
finto, e perfido Niun,
che vorrebbe cieco ognun,
una cieca deità.
Cielo vincesti or non siam più rivali
già che fra queste grotte
in tenebrosa notte
del mio sole perduto io mi querelo,
non si dirà più Polifemo il cielo.
Galatea.
GALATEA
Aci diletto
mio vezzosetto,
dolce vendetta or mira:
con duolo estremo,
qui Polifemo
cieco s'aggira:
la sua miseria la tua doglia eccede,
se tu non godi il bello, egli no 'l vede.
Ninfe sorgete
da bei cristalli,
a lieti balli
il piè movete,
uscite a schiera
gite ballando
le vie calcando di primavera.
Festose e belle
danzate ogn'ora,
ch'in cielo ancora
danzan le stelle,
più non vedremo no l'empio gigante,
se non ama alla cieca esser'amante.
Ballate, danzate
col tremulo piè,
saltate, girate
ch'il cieco non v'è.
Ballo delle Ninfe del fiume Aci.
La scena è l'isola di Circe.
Personaggi della seconda azione:
Mercurio, Ulisse, compagni d'Ulisse, Circe, damigelle di Circe.
Statue, che parlano. Cavalieri, e Dame, che ballano.
Boschereccia nell'isola di Circe.
Ulisse.
Son troppo o ciel frequenti
i tuoi sdegni i miei danni;
troppo le stelle troppo
amano i miei tormenti, a pena uscito
dall'antro periglioso,
che contro anco il favor d'Eolo cortese
disprigionati i venti
armano a danno mio d'orgoglio i flutti:
già vidi i lestrigoni
scagliar le rupi, e fulminar i monti,
ed alle navi amiche
piover naufragi, e tempestar le morti.
Ed or dell'amatissimo Polite
soggetto forse a caso orrendo, e strano
l'aspettato ritorno io cerco invano.
Mercurio, Ulisse.
MERCURIO
Ulisse e dove vai?
ULISSE
O bel Cillenio, o favorabil dio.
MERCURIO
Del vicino palagio
è Circe abitatrice,
Circe l'incantatrice:
colà vedrai stupori,
meraviglie udirai,
da quell'arte incantata
natura è superata.
Mostreranno a' tuoi passi
umanità le belve, e senso i sassi.
In Polite è seco
gl'altri da te mandati, in fiere, in belve
vivono trasformati.
Del mio consiglio privo
simil destin ti aspetta
vieni, che nel brevissimo viaggio
saprai come tu possa
vincer di Circe i vanti,
destar gl'amori, e superar gl'incanti.
Cortile di Circe con Statue.
Due damigelle di Circe.
DAMIGELLA PRIMA
Al soffio d'un vento
svanisce il goder,
d'un solo momento
si veste il piacer.
DAMIGELLA SECONDA
Non passi in rifiuto
quel ch'oggi ne dà
che ieri è perduto
dimani non si ha.
DAMIGELLA PRIMA
Amanti godete
del tempo prendete
a scherzo lo scherno.
A DUE
Lieti d'Amor
cogliete i fior
prima che giunga il verno.
DAMIGELLA PRIMA
Per duolo, o parola
mai ferma non sta
l'estate, che vola,
la vita che va.
DAMIGELLA SECONDA
Del tempo l'inganno
non possi schivar,
ben fugge l'affanno
chi sallo sprezzar.
DAMIGELLA PRIMA
Amanti contenti
chiamate i tormenti
trastulli d'Averno.
A DUE
Lieti d'amor
cogliete i fior
prima che giunga il verno.
Ulisse, Damigelle, Compagni, Circe.
ULISSE
Son qui (s'il ver n'intesi)
metamorfosi strane
fiere le donne, e son le fiere umane.
Son le belve cortesi
e spietata la maga
disumanar l'umanità s'appaga.
DAMIGELLA
Vieni Circe alla preda.
LE DUE DAMIGELLE
Volgar non è l'acquisto,
il nobil cavalier non far che rieda;
alla preda alla preda.
CIRCE
Viator curioso
rimira, osserva, godi,
e in disusati modi
servo della mia voglia
cangia pensiero, e spoglia.
Di questa verga al replicato cenno
per cui la terra, e 'l ciel si cangia e muta
s'uomo sei ti tramuta.
ULISSE
Empia maga inumana.
CIRCE
Ohimè pietade, ohimè bello, e sdegnoso,
se per virtù celeste
ti sei reso immutabile agl'incanti,
non farti inesorabile a' miei pianti.
ULISSE
Tua frode non mi alletta,
e nemica ed amante
Circe è sempre sospetta.
CIRCE
Disarmo il petto mio d'inganni, e d'arte
chieggio pietà, mercede,
cangio la frode in fede,
e porgo umili voti al mio bel Marte.
ULISSE
A incognito straniero
come, come s'inchina
diva, donna, o regina.
CIRCE
Mercurio alato dio
più volte mi predisse
la tua venuta Ulisse.
Il tuo valor, che noto a me ti rende
anco l'affetto accende.
ULISSE
Ardor di maga è periglioso foco,
far si puote mortale
ogni scherzo, ogni gioco.
CIRCE
Godi mia vita, e non temer d'inganni,
cogli quel fior, ch'io ti presento in seno
t'apre il ciel nel mio volto un bel sereno
di tue fortune a ristorar i danni.
Voi Felinda e Licori
l'eroe con vostri canti
invitate agl'amori.
LE DUE DAMIGELLE
O cieco non vede, o ingegno non ha
chi sdegna, e non cura cortese beltà.
Chi folle, chi stolto
la grazia di un volto disprezza,
non sa che sia gioir, che sia dolcezza:
solo amando si gode
stato lieto, e giocondo
amor e la beltà fan caro il mondo.
CIRCE
In virtù de' miei carmi
spogliate il pelo, e rivestite l'armi.
Se pur sono in amore i doni grati
ecco ch'a te riedono i greci amati.
COMPAGNI DI ULISSE
Noi padre ti direm se figli sono
gl'uomini generati, ancor son figli
gl'uomini ritornati.
CIRCE
Ristora or tu contento
l'innamorata amica.
Non costa il godimento
né tesor né fatica.
DAMIGELLA PRIMA
Sprezzar donna che prega
è stolta voglia insana.
DAMIGELLA SECONDA
Alma che piacer nega
è divina, o villana.
CIRCE
Discaccia il dubbio, il forse,
segna fra' tuoi più cari un sì bel dì,
cor mio deh dimmi sì.
ULISSE
La patria che m'aspetta
non vuol ch'io ti prometta.
CIRCE
Giuro per gl'alti dèi, per Stige orrenda
un'ora, un'ora sola
sforzato non fermarti.
COMPAGNI
Così la donna accorta
del dubbio passo, ond'altri sì innamora,
spesso la strada ingemma, e 'l suolo indora.
CIRCE
Io ti prometto, e giuro
un'ora, un'ora sola
sforzato non fermarti;
ma sin che vuoi goderti,
quando vorrai lasciarti.
ULISSE
Bella amorosa diva
alle preghiere cedo,
al giuramento io credo.
CIRCE
O dolcezze d'amore
quanto improvvise più, più care al core.
ULISSE
O bellezze beate
quanto servite men, tanto più grate.
CIRCE E ULISSE
O stoltezza d'amanti
cercar piaceri, e cominciar da' pianti.
Damigelle, Compagni, e Statue.
DAMIGELLE
In tanto
co 'l canto
passiam lieto dì.
COMPAGNI
D'Ulisse il diletto...
DAMIGELLE
Di Circe l'affetto
cantiamo così.
Ma prima è ben, che voi sappiate, o greci
che non son queste statue, o sorde, o mute.
Ivi stanno nascosi
Lara, Zoilo, Teon, ed altri molti
uomini trasformati, e donne ancora:
ch'odono l'altrui parole,
e parlano talora.
COMPAGNI
Questa forma novella
troppo nel vivo offende
la scarsa libertà della favella.
ALTRO
Non basterà guardarsi
dall'uom troppo loquace, anco dovrassi
temer le statue, e dubitar de' sassi?
STATUE
Quanti sembrano in viso e statue e marmi
ch'han pronte a' danni altrui le prose, e i carmi.
DAMIGELLE
Questi è Zoilo mordace
raro, o non mai mendace.
ALTRA
Amici greci a lor non rispondete
osservate i lor detti, e trascorrete.
COMPAGNI
Come vuol che scherzi il ciel
il mortal con l'immortal
e qual genio empio e crudel
sa far l'uom bruto animal.
DAMIGELLE
Tiene l'uom le donne a vil
il tiran della beltà,
né può mai rendersi umil
se pria d'uom non si disfà.
STATUA
Quinci le donne accorte
perché divenga umile
trasformano il consorte.
DAMIGELLE
Da maledico satiro dovea
uscir cosa sì rea.
ALTRA
La donna in amore
più d'uno n'invita,
vuol esser servita.
STATUA
La stolta fa errore
pria ch'abbia peccato
l'onor se n'è andato.
DAMIGELLE
Bellezza femminile
quasi pianta si spoglia,
ha poco frutto amor se non ha foglia.
COMPAGNI
Primavera gentile
di donnesca beltà
perciò pregia l'Aprile
della più fresca età.
STATUA
Giovanetto amator dà pene, e guai,
poco ama, e parla assai.
COMPAGNI
Lamentevole, e mesta
Circe ver noi se n' viene,
son ben presto seguaci
delle gioie le pene.
DAMIGELLE
Amor gioco è di dado
le fortune son corte,
ogni punto scompiglia, e cangia sorte.
ALTRA
Gettò mal punto Ulisse
perché sforzato stassi.
STATUA
E nel gioco d'amore
alle donne non piacciono gl'ambassi.
Circe, Ulisse, Compagni.
CIRCE
O come, ahi come presto
cangi pensiero e voglia;
appena hai tocca l'amorosa soglia,
ch'il palagio d'amor ti vien molesto.
Viator sitibondo
al desiato fiume
china il ginocchio appena,
che trattane la sete
al baciato cristal rivolge il tergo;
così tu discortese
lasci il goduto albergo,
e porgi un sorso solo
alla tua sete alla tua fuga il volo.
Ulisse ahi crudo Ulisse
mostri un raggio di sol col piè di lampo,
che porta agl'occhi pace,
lucida, ma fugace.
Trapianti le dolcezze
sugl'orli de' sepolcri,
perché lieta d'amor gioconda sorte
confini con la morte.
O come, o come presta
vicina al lampeggiar de' primi albori
del mio fugace dì la sera è gionta.
Né so ben, se più vidi
l'aurora di quel sol, ch'or mi tramonta.
Meco piangete amanti
dei piaceri le fughe,
dell'allegrezze i corsi,
sono di vetro l'amorose pompe,
e la gioia d'amor splende, e si rompe,
se di bocca baciata il prego è dolce.
Ulisse ah non partir, deh non partire,
troppo è grave martire,
piacer poco goduto
piacer tosto perduto.
E la tua dipartita
fugace troppo, e presta,
resta Ulisse, deh resta.
ULISSE
Cadei da te pregato, e non t'ascosi
la ferma volontà del partir mio,
godei necessitato,
osserva, osserva tu ciò che giurasti!
Diva sei, questo basti.
CIRCE
Alle gioconde dive
non è tolto l'amar,
a innamorato core
non disdice il pregar,
amorosa preghiera
contro ragion molesta,
resta Ulisse, deh resta.
ULISSE
Spergiura tu sarai,
se il tuo pregar mi sforza,
talvolta ancora i vezzi
han titolo di forza.
CIRCE
Niente può niente vale
in duro core inutile bellezza,
di tua fiera durezza
l'ultima prova è questa,
resta Ulisse, deh resta.
ULISSE
Risoluto voler mi fa crudele,
ergiti Circe, e lascia
i preghi e le querele,
la patria mi ricerca,
Penelope mi attende,
il partir desiato
chi mi vieta m'offende.
CIRCE
Il tuo petto orgoglioso
nemico è di riposo,
già che fuggi il godere,
avrai danni, e sventure, ed or convienti
gir nel profondo inferno:
con orribile fiato
ivi ti condurrà Borea spietato
per intracciar dall'indovin tebano
i segreti del fato.
ULISSE
Danni non temo, e non pavento orrori.
COMPAGNI
Fuggansi pur gl'effeminati amori.
CIRCE
Copra omai le delizie a questo cielo
nero e funesto velo.
Sparisca pur sparisca
l'incantato cortile,
e gli spirti legati
in virtù degl'incanti
sciolgansi lieti a suoni, a balli, a canti.
Rovina la scena e si trasforma in orrida.
Ballo di Dame, e di Cavalieri.
Nell'inferno. La scena è la città di Dite co' campi elisi.
Personaggi della terza azione:
Amore, Plutone, Frode, la medesima in sembianza di Penelope, Tiresia, Ulisse.
Mostri infernali, che ballano.
Infernale co' campi elisi.
Plutone. Amore.
PLUTONE
Qual fiero caso, o qual desio novello
amoroso Cupido
ti guida in questi orrori?
Son dissimili troppo
dalle furie gl'amori.
AMORE
Un temerario greco,
Ulisse l'itacense,
vivo e mortal se n' viene, e tentar vuole,
per riparar sue sorti,
di vaticinio i morti;
non lasciar, ch'egli porti
il passo in questi regni,
è troppo offesa all'infernal governo,
far all'uom praticabile l'inferno.
PLUTONE
Mortal quaggiù non viene
senza voler del fato,
né deve il dio d'abissi
opporsi al destinato.
AMORE
Se pur di sua venuta a te non cale,
a mia richiesta almeno
a lui vieta l'uscita
ai regni della vita.
PLUTONE
Non sol all'uom che vive (e tu lo sai)
anco al morto insepolto
star nell'inferno è tolto;
portalo in pace, o faretrato arciero,
nel grande affar che scerno
non può servirti Averno.
AMORE
Macchinator ingegno
lascia almen ch'io ne adopre,
permetti a tuoi vassalli
il colorir de' miei disegni l'opre.
PLUTONE
Pur che illesa ne resti
la regale corona,
ogni poter il mio poter ti dona.
AMORE
Vo' che la Frode sola
si mova a mio talento.
PLUTONE
Sorga dal più profondo
l'ingannevole Frode
aprasi ancor l'indivisibil centro.
Esce la Frode.
PLUTONE
Amoroso Cupido,
dalla scaltra ministra
ricerca ciò che vuoi,
obbedirà la Frode a' detti tuoi.
FRODE
Comanda pur,
gl'amorosi maneggi io so condur:
dall'imperio d'Amor non son bandita
al sagace amator so dar la vita.
AMORE
Maestra ingegnosa
d'ogni più industre cosa
cangia per stabilir l'opra novella
e sembianza, e favella.
Passerà vivo Ulisse
da questi chiostri oscuri,
colà ne' campi elisi
l'incognito viaggio ei cercherà.
Fia tua gloria, tuo vanto,
s'egli in patria per te non tornerà.
Di Penelope sua consorte amata
sembianze imita, e gesto,
spirito lamentevole, e funesto,
chiama la morte, e la fortuna ingrata.
Morta la crederà
dolente innamorato,
morta la piangerà:
a ragion disperato
egli in patria per te non tornerà.
FRODE
Intendo il tuo volere,
non durerò fatica
ad ingannar, son degl'inganni amica.
AMORE
Amanti mirate,
amore lodate,
ch'è tutto bontà;
s'a vostro sol danno
ei tesse un inganno,
l'inferno gliel dà,
ei puro bambino d'inganni non sa.
Ulisse.
Ecco un vivo fra morti
da Borea trasportato
ad obbedir il fato,
elisi campi a voi
porto l'ardito piede;
ivi d'udir m'appresto
dal tebano Tiresia
al sconsigliato mio lungo viaggio
il consiglio più saggio.
Frode dentro. Ulisse.
FRODE
(Penelope)
Ulisse un tempo caro, un tempo dolce
ora perduto amico,
viator degl'abissi,
peregrin degl'orrori, e perché porti
col seren di tua vita invidia ai morti?
ULISSE
Spirito amico, e qual offesa, o danno
t'arreca un sventurato,
che per trovar un giorno
e la patria, e la sposa
non si ferma, o riposa,
FRODE
(Penelope)
Allor tu mi perdesti.
Ch'alla troiana impresa
partir tosto volesti, or mi ritrovi
sfortunata consorte
perduta in vita, e ritrovata in morte.
ULISSE
Di Penelope questi
forse è lo spirto amato?
O destin omicida, o cielo ingrato!
Dunque morta tu sei?
Almeno mi consola
con una vista sola,
apparisci consorte agl'occhi miei.
FRODE
(Penelope)
Avvezzati a mirar feroci i mostri
se vuoi che mi ti mostri.
S'apre il mostro e si vede Penelope.
ULISSE
Penelope infelice,
ferita dalla morte,
inghiottita da' mostri,
dall'ombre circondata,
ventura sfortunata
ritrovar fra perduti
quel ben, che si desia,
se vita più non hai non sei più mia,
gira pur, gira il mondo
Ulisse doloroso,
il tuo dolce riposo è nel profondo;
già le miserie tue
ad abissarti intente
t'han condotto qui dentro,
e vedi alle sventure,
alle scritte sciagure
spalancato l'abisso, aperto il centro,
voi numi oscuri, e neri aprite aprite
poche viscere sole
d'una pietà mendica,
e rendete al mio duol la dolce amica.
Ma pietà non si trova,
ove speme non giova, o disperati
siete a ragion spietati.
Giusti numi del cielo
ascoltatemi voi,
udite i pianti miei,
consolatemi o dèi,
ma posto negl'abissi
dalla vostra pietà son troppo lunge,
ch'una voce d'inferno al ciel non giunge.
FRODE
(Penelope)
Acqueta Ulisse acqueta
gl'affetti, e le parole,
l'umanità così comanda e vuole;
morte già mi t'ha tolta, i Proci ingiusti
t'hanno occupato il regno
e 'l nobil figlio tuo cedendo al fato
incognito, e lontan mena i suoi giorni,
tardo Ulisse ritorni.
Qui si chiude il mostro.
ULISSE
Così dunque mi lasci?
Una morta pietade anco mi togli?
Con il tuo dir mi spogli
e di regno, e di figlio, e di consorte?
Addio figlio, addio regno,
addio compagna amica,
addio mondo de' vivi,
così tutti vi lascio,
e trarrò miei conforti
fra disperati e morti.
Sommergi onda di Lethe
ciò che di vivo ha la memoria mia,
e fa' ch'almeno io sia
nel gran decreto eterno
un smemorato suddito d'Averno;
era meglio per me fra belve, e incanti
viver con Circe in un penoso stato,
che per cercar l'oscurità del fato
visitar vivo il popolo dei pianti.
Indovino tebano, e che dirai?
È tratto il dado alla mia sorte amara
qual contento l'esilio or mi prepara,
non val consiglio a disperati guai.
Tiresia, Ulisse.
TIRESIA
Ascolta Ulisse, e in questi
di Tiresia indovin veraci accenti
accogli di tua sorte
i venturi accidenti.
Da queste rive uscito
prima vedrai delle sirene i lidi,
chiudi le orecchie tu, chiudi le porte
alla canora morte;
di poi trovar convienti
i sassi cianei, gli scogli erranti,
ove d'augei lo stuolo
non ha sicuro il volo, ed ivi appena
fra l'uno e l'altro sasso
la nave d'Argo ebbe sicuro il passo;
indi fra mostri orrendi
di Cariddi, e di Scilla
t'aprirà seno il mare;
spaventevoli questi
sogliono in varie sorti
mangiar i vivi, e vomitar i morti;
all'isola Trinacria alfin verrai,
ove del sol gli armenti
pascono l'erbe verdi;
se per fame, o per scherno
sarà da voi la nobil greggia offesa
vedrai sdruciti i legni,
affogati i compagni
e tu se schiverai l'irato giorno,
tardo infelice alfine
a Penelope tua farai ritorno.
ULISSE
A Penepole mia morte può trarmi,
che morta è l'infelice, io già la vidi
ne' tenebrosi chiostri
fatta preda de' mostri;
ohimè son vani i vaticini vostri.
TIRESIA
È vano il tuo sospetto
è mentita la fé dell'ombre nere;
quei fieri quei crudeli
all'altrui danno avvezzi
son ministri di duol, ridon de' mali:
non mancan frodi a' spiriti infernali;
è Penelope viva
dolorosa ti aspetta,
che se crudel morte l'avesse,
la saggia accostumata
saria ne' campi elisi, e non dannata.
ULISSE
Così lieto sperar dunque degg'io?
TIRESIA
Ti manda il Fato a penetrar miei detti,
non a creder sospetti,
d'una ingannevol'ombra
ravviva in me le fede, e 'l dubbio sgombra.
Qui s'odono strepiti nell'inferno.
TIRESIA
Ma già tu senti d'ululati, e strepiti
pieno l'inferno, e spiriti, e mostri, e furie
escono armati di furore, e d'impeto
che da quel dì, che fu rapito Cerbero
de' vivi passegger temon l'insidie.
Fuggi quest'aria Ulisse,
segui chi ti conduce
per la porta d'avorio esci alla luce.
Escono i Mostri dell'inferno, e in atto di guardare, ove sia gito il mortale fanno il ballo.
La scena è ne' giardini di Calipso posti nell'isola Ogigia.
Personaggi della quarta azione:
Amore in sembiante di Moro, Mercurio, Ulisse, Calipso, Cinatea sua dama, Canoria sua dama.
Le quattro Stagioni. I mesi, che ballano.
Giardini di Calipso.
Ulisse.
Tiresia a che tacesti
fra miei predetti errori
di Calipso gl'amori?
Ciò che vaticinasti
di sirene di Saffi,
di Cariddi, di Scilla,
dell'isola del Sole,
de' compagni perduti è tutto vero.
Ma qual error maggiore,
ch'in amorosi inganni
perder la vita, e gl'anni?
Troppo è torbida, e fiera
la stella, che predisse,
che viva sempre effeminato Ulisse.
Calipso. Cinatea.
CALIPSO
Udisti Cinatea
vive annoiato Ulisse, e tosto nasce
dalla noia il disprezzo.
CINATEA
L'uom per natura ardente
è il primo a desiar,
ma instabile di mente
è il primo a disamar.
CALIPSO
Mira lunge deh mira
Calipso sfortunata
dell'aria pria tranquilla
i commossi perigli,
ove nere, e moleste
vengon le nubi a preparar tempeste.
Amore in sembianza di Moro. Calipso. Cinatea.
AMORE
(Moro)
Sorde son l'onde,
son fieri i venti,
son crudi i mari,
più sordi, più fieri,
più crudi i corsari,
gl'empi, gl'avari,
fugga chi sa,
viva la libertà.
Dama e signora il mio desti acerbo
con questi ceppi pria
schiavo di gente ria m'incatenò,
or del mio duol pietoso
ingannevole fuga ei m'insegnò.
Supplice corro a te
armato d'ali il piè.
CALIPSO
Ben approdasti a questa spiaggia amica,
ove del cenno mio l'eterna legge
solo comanda, e regge.
Regina, e diva io prima inchino il vanto
di tua dolce pietà.
Poi lieto canto
viva la libertà.
CINATEA
Non mi sarà discaro
udire a miglior tempo
di tua sorte dolente il fato amaro.
AMORE
(Moro)
Udrai ne' casi miei
dure fortune in tenerella età.
CALIPSO
Qual gemma, o qual tesoro
nascondi entro quell'oro?
AMORE
(Moro)
Quivi cose racchiudo,
ch'a donne ancorché grandi, anco regine,
sarebbon care, e grate
ma tu, che diva sei
avresti forse a scherno i doni miei.
CALIPSO
E che doni son questi?
AMORE
(Moro)
Quivi è un fior, ch'odorato,
allor che cade all'occidente il sole,
render può sonnacchioso
il marito geloso.
CINATEA
Son del sonno gl'orrori
paraninfi agl'amori.
AMORE
(Moro)
Dell'onor della donna
è quivi un'erba amica;
poiché tocco con questa,
il linguacciuto, e vantator amante
il furtivo goder tosto si scorda,
né può giammai ridire
l'amoroso gioire.
CINATEA
O sempre maledetto
chi nel proprio godere
non sa far, e tacere.
AMORE
(Moro)
Il bel cinto che vedi,
è legame d'amor e di costanza;
questo con forza estrema
fa chi non ama amante,
e 'l leggero amator rende costante.
CALIPSO
O di questo vedrei
volentieri la prova.
AMORE
(Moro)
S'hai nella nobil reggia
donna severa, o donzelletta schiva,
che d'ogni affetto sia
nemica non che priva,
fa' che da me riceva il nobil dono,
e ben tosto vedrai
s'è ver quanto ragiono.
CINATEA
Sarà (s'io non m'inganno)
al bisogno conforme
Canoria lascivetta,
lascivetta, e difforme.
CALIPSO
Or va' tu la ritrova,
e ne vediam la prova.
Curiosa è l'impresa
ed a grand'uopo giunta.
AMORE
(Moro)
Velato bendato,
vincente sarà.
Qual astro maligno,
qual cor di macigno
resister potrà.
Canoria, Moro, Cinatea, Calipso.
CANORIA
Ahi che strana figura
che mostro di natura!
AMORE
(Moro)
Affé che dir possiamo
che due mostri noi siamo.
CINATEA
Non è lunge dal vero
un mostro bianco, un nero.
CANORIA
Calipso e qual desio
ti fa vogliosa a conversar con l'ombre?
Scaccia da questa reggia il mostro rio.
CALIPSO
Uomo egli è ben nero, e seco porta
di sua grandezza testimon verace,
oro, gemme, e tesori.
AMORE
(Moro)
Sono amabili i mori.
CINATEA
E se donano poi?
AMORE
(Moro)
Prendi Canoria prendi
Canoria lascivetta,
ch'al tuo lascivo gesto
il bel cinto s'aspetta.
CANORIA
Amando donando
uom mal mi allettò,
a mostro sì strano
più schiva sarò.
CALIPSO
Non ricusar gradisci,
gradisci il don gentile
del leggiadro monile.
CANORIA
È pregiato il lavoro,
mi cingo, m'incateno,
che non è mai servil catena d'oro.
CINATEA
La bellezza del dono
farà del donatore
la bruttezza minore.
CANORIA
O qual meglio figuro,
nero volto, ma bello.
CALIPSO
Gran virtude del moro.
CINATEA
O gran forza dell'oro.
CANORIA
Adombrate bellezze
quanto insolite più, tanto più belle.
In un ciel tenebroso
miro due brune stelle.
AMORE
(Moro)
O s'io trovassi un dì
bella ch'al mio pregar
mi rispondesse un sì,
quanto vorrei amar.
CANORIA
Per sì, bel moro, io so
ch'averei bandito il no.
CALIPSO
Veggio l'amor destarsi
in un sen dispietato,
vedrò forse fermarsi
anco Ulisse turbato.
CANORIA
Mal volontario il piè fugge il desio.
AMORE
(Moro)
O bell'acquisto è il mio.
Moro. Mercurio in disparte.
AMORE
(Moro)
Ben s'inganna chi mi crede
moro schiavo, e fuggitivo,
non si presti all'occhio fede,
son Cupido mascherato,
d'arco, strali, e face privo,
son arciero disarmato.
Di Venere mia madre è l'aureo cinto,
che a Canoria donai,
rimarrà Ulisse alla sua forza vinto.
Conosciuta la prova
al perturbato amante
Calipso il donerà,
parta poi se potrà.
Mercurio solo.
Il cinto di Ciprigna,
lo sa chi lo provò
fatto di vezzo, di lusinga, e gioco
al comando divin non darà loco.
Dunque pria ch'io mi scopra
con novo inganno vincansi le frodi
e le trame d'amor Mercurio snodi.
Moro. Canoria.
AMORE
(Moro)
Donnesco assedio
non ha rimedio
non val fuggir.
CANORIA
Deh più affrettami,
brunetto aspettami
ch'io vuò morir.
AMORE
(Moro)
Tu preghi invan, quest'alma non si piega
avvezza fra corsari
a chi piangea chi prega.
CANORIA
Son pur'anco talora in calma i mari,
e se ti piace il navigante errore
è par un mare amore.
AMORE
(Moro)
Il mar in calma, o in onda
al navigar invita
s'amor è un mar, m'accingo alla partita.
CANORIA
Discortese inumano
ahi che fuga non chiede
la mia candida fede.
AMORE
(Moro)
Pensier leggero, e stolto
vantar candida fede a un nero volto.
CANORIA
Sei più che ghiaccio freddo
se non senti gl'ardori,
ove Cupido accende
gl'uman petti, e i cori.
AMORE
(Moro)
Udisti mai, ch'il strepitoso Nilo
tacito all'abitante
assordasse l'orecchie
al viator andante,
anch'io nato colà, dov'arde il sole,
appresi dal natio fervente loco
a non sentir il foco.
CANORIA
Empio amor, amor empio, iniquo, e rio.
AMORE
(Moro)
Taci ch'amor è un dio.
CANORIA
E perché mi ferì?
AMORE
(Moro)
Forse per prova.
CANORIA
Crudo dio, dio crudel: che fere, e gode.
AMORE
(Moro)
Taci che forse ei t'ode.
CANORIA
Oh qui l'avessi almeno.
AMORE
(Moro)
Te lo torresti in seno.
CANORIA
Oltraggerei l'ingrato.
AMORE
(Moro)
L'ameresti anco in moro trasformato.
Cinatea, Canoria, Moro.
CINATEA
Canoria affretta tosto, affretta il passo
Calipso a te m'invia.
CANORIA
Io vado, e lascio qui l'anima mia.
CINATEA
E tu così possente
serpentello,
tristarello,
sei mago o incantatore?
AMORE
(Moro)
Fingi ch'io sia senza faretra, Amore.
Calipso, Ulisse.
CALIPSO
Più d'una volta Ulisse
dicesti di partir, vanne se vuoi,
io non farò mai forza a' voler tuoi.
Un solo aggravio un solo
t'impone l'amor mio;
del cinto, ch'io ti diedi,
non ti privar giammai, te lo conserva.
Altra fé non mi osserva.
ULISSE
Ch'io da te mi diparta
ch'io da te mi divida, è vero, è vero
un volante pensiero
me lo insegnò talora,
ma lasciar non si può ciò che s'adora.
CALIPSO
Verace moro, e prezioso cinto.
ULISSE
Partire ohimè partire
nell'amorosa scola
è barbara parola.
La patria riveder sovente l'alma
desiosa diviene,
ma vera patria è il bene.
CALIPSO
Dunque partir non vuoi?
ULISSE
No ch'io non parto, e quel pensier rubello
alla divinità del tuo bel volto,
ch'osò por nella mente un tal desio,
lo condanno all'oblio.
CALIPSO
Bellissime incostanze,
rinverdite speranze,
compagno di natura è fatto Amore.
Così stagion d'orrore
mutando stato alterno
riede in aprile il verno.
ULISSE
Lasciam Calipso bella
le memorie noiose,
senza punger la man cogliam le rose.
CALIPSO
Mio sarai?
ULISSE
Tuo sarò.
CALIPSO
Partirai?
ULISSE
No, no, no.
CALIPSO
Qui dove l'aura fresca in grembo all'erbe
fa tremolar gli odori,
rinfreschiamo i calori
dell'ardente desio,
n'invita ai scherzi ai baci
dell'onda il mormorio.
ULISSE
Caro letto odoroso
adagia i tuoi smeraldi al mio riposo.
CALIPSO
Come più dell'usato
l'aura chiara risplende.
ULISSE
Il tuo volto beato
più splendente la rende.
CALIPSO
Auretta dolce e grata
aura in ciel trasformata.
ULISSE
E qual sia meraviglia
che cielo ella rassembri?
Da diva respirata
cangia l'aereo velo
e si trasforma in cielo.
CALIPSO
Sì nel tuo vago viso
le delizie d'amor fan paradiso.
ULISSE
Al tuo divino in grembo
immortal gl'affetti.
CALIPSO
Alla tua fede in braccio
dormono i miei diletti.
ULISSE
Nei rai di tua bellezza
fo beati gl'errori.
CALIPSO
In sen di tua fermezza
si fan grati gl'amori.
O come chiaro splende il vago cinto,
ch'il mio amor ti donò.
ULISSE
Egli splende, e incatena,
dal tuo volto imparò
così mentre il mio core annodi, attraggi,
le forme del tuo bel son lacci, e raggi.
CALIPSO
Invidiate o cieli
la mia gloria, il diletto, eccovi Ulisse
in trionfo d'amor, legato, e stretto.
ULISSE
E perché tua bellezza
m'annoda, e non quest'oro,
le mie catene adoro.
(Mercurio di nascosto ruba il cinto)
CALIPSO
Tenerissimi affetti.
ULISSE
Traboccanti diletti.
CALIPSO
Uniformi voleri.
ULISSE
Sublimati piaceri.
CALIPSO
Questi petti annodate.
ULISSE
Questi seni beate.
CALIPSO E ULISSE
E l'alme e i cori,
faccian seggio agl'amori.
Mercurio.
Giove ch'al fato il termine prescrisse
bella diva Calipso, a te mi manda,
con legge irrevocabile ei comanda
ch'ora s'accinga a dipartirsi Ulisse.
Non adoprar inganni o forza, o prove
lascia, ch'ei volga il piè da questa sponda
il volontario suo partir seconda
così per bocca mia t'impone Giove.
E tu trova te stesso eroe perduto,
arma d'ira il tuo petto ai dolci pianti,
ecco disfatti gl'amorosi incanti,
mostrati ai prieghi ai vezzi, e sordo, e muto.
Calipso. Ulisse.
CALIPSO
Ladro dio, ladro rapace
fuggisti, e m'involasti
col bel cinto la pace
il piè di fuga armato
assicura il tuo stato;
per render salvi i mali
la tua divinità t'impena l'ali.
In che t'offesi o Giove,
che delle gioie mie privar mi vuoi?
Forse i diletti miei son torti tuoi?
Sì sì furon mai sempre
contro le amanti dive
fur maligni i talenti
delle divine menti.
Così poco goderò
l'Aurora d'Orione
Cerere di Iasone.
Ma che mi preme, o duole,
ch'il decreto divin rigido sia,
s'esser tu solo puoi,
dolce nume adorato,
moderator del doloroso fato?
Già poco pria dicesti
ch'il vero seggio è questi
del tuo ben, di tua vita,
così non mi molesta
dubbio più di partita.
Ruba Mercurio invano,
Giove invano comanda, invan minaccia.
Destin crudele, e rio
chi sarà contro me s'Ulisse è mio.
ULISSE
Mutai pensier, né voglio
dell'incostanza mia render ragione.
Tosto eseguir intendo
ciò che Giove m'impone.
CALIPSO
Così dunque in un punto
compariscono ardite
in faccia a mie speranze
le tue crude incostanze?
ULISSE
Calipso io vuò partire,
taci, o spiega i tuoi guai,
altra voce da me più non avrai.
CALIPSO
Una sola parola avaro amico
spender per me non vuoi?
Sovvengati crudele
che quella vita, ond'or tu spiri, e vivi,
a te la diedi in dono,
io la rubai da' flutti,
dall'ire di Nettuno;
allor che tu fra l'onde
perduto abbandonato
mille trovavi, e mille
umide morti, instabili sepolcri.
Ingiustissimo dunque
del fonte ch'a te diedi
una stilla mi neghi? Una sol voce
dona crudo a' miei preghi.
Perfidissimo spirto
se ne' fatti e nell'opre
esser tu vuoi feroce
dolce e pietosa almeno,
articola una voce.
Un picciolo conforto
d'un'aura vagabonda anco mi togli?
E s'altro non puoi dire,
a danno mio l'ingrata lingua sciogli,
e di' che vuoi partire.
Non mi negar ingrato
un lievissimo fiato,
una sola parola,
una grazia che vola.
Odi Ulisse gran colpo
di mia divinità, dell'amor mio,
se prometti fermarti, e non partire,
io non voglio che provi
di vecchiezza, o di morte
il colpo universale,
ma ti faccio immortale.
Ancor pensi, ancor taci
dunque dell'amor tuo
i preziosi doni
l'eternità non paga?
E di farti immortale
la tua mente superba
non è contenta, o paga?
Anima troppo ingorda,
s'al tuo pensiero augusto
sembra l'eternità termine angusto?
Ma se ti paion forse
l'alte proposte mie lunge dal vero
faran più chiare, e certe
le promesse ragioni
e l'anno, e le stagioni.
Le Stagioni, Calipso, Ulisse.
PRIMAVERA
Sono Ulisse perduti i fiori tuoi
in grembo a primavera
cercargli indarno puoi.
Ella fugge s'aggira, e lieta torna,
ma non per te ritorna.
ESTATE
Fra le guerre, e le morti alle fatiche
la calda estate dissipò le spiche.
L'età fresca si muta
nel cenere troian tu l'hai perduta.
AUTUNNO
Or di glorie ripieno
il pomifero autunno
ti porge grazie al volto, e gioie al seno,
ei resterà
non fuggirà
misurata dal sempre avrai l'età.
INVERNO
Ove spira e s'aggira
il Zefiretto eterno
non soffia orrido verno,
nevi e pruine
non giungeranno ad imbiancarti il crine.
Cedi Ulisse all'assalto
dal mortale all'eterno, è grande il salto.
ULISSE
Natura al morir nata
tanto su non aspira.
Sia pur l'eternitade
privilegio agli dèi,
e sia la libertade
concessa a' passi miei.
Immortal non mi vuol la patria mia
colui che nacque umano, umano sia.
CALIPSO
Tu cangiasti pensiero, io cangio voglia:
in te cessa l'amore, in me la doglia.
Forniscan le contese
già tu fosti piagato, io fui ferita,
or tu parti sanato, io son guarita.
Mesi formano il ballo.
La scena è in Feacia ora detta Corfù.
Personaggi della quinta azione:
Alcino re dei Feaci, Nausica figliuola del re, coro dei Feaci, Ulisse, Mantenitore del torneo, Avventuriere del torneo, Amore, Sonno, Venere, Giove, Mercurio, Minerva, coro di dèi, La Pace.
Reggia de' Feaci.
Alcino re. Coro de' Feaci.
ALCINO
Oggi fornisce appunto
sudditi miei feaci il quarto lustro
termine già prescritto
dall'oracolo irato di Nettuno,
alla vendetta, all'ira.
Voi popoli diletti allegri intanto
alle lodi del cielo alzate il canto.
CORO
Il castigo promette,
e poi perdona il ciel.
Più pietoso, che pronto alle vendette.
ALCINO
Nettuno si placò
la nave minacciata
in sasso ei non cangiò;
voi popoli diletti allegri intanto
alle lodi di lui movete il canto.
CORO
Il dio del mar
prima sdegnato
dolce, e placato
oggi n'appar;
speriam contenti,
prosperi i venti
al navigar.
ALCINO
Dell'allegrezza in segno oggi tra voi
siano giuochi guerrieri;
tu forte Laomedonte
Mantenitor sarai.
Nausica. Alcino. Ulisse.
NAUSICA
Padre, e signor, tu cui natura diede
inclinato a pietà regio potere,
perdona all'ardir mio;
alla spiaggia vicina,
ove donnesco affar pria mi condusse,
trovai fra morto, e vivo
da spirti abbandonato,
povero naufragato;
lo consolai, l'accolsi,
come pietà chiedea,
dolce padre, e signor tu lo ricrea.
ALCINO
Nausica figlia amata
ben sai quanto i Feaci
a favorir i passegger sien pronti,
accolto anch'ei sarà,
lodo la tua pietà.
ULISSE
Sotto le mura alla nemica Troia
due lustri affaticò l'itaco Ulisse,
ed altrettanti ancora
combattuto, e perduto
per non calcate vie
per incogniti mari
soffrì dolenti sorti, e casi amari;
or eccolo non lunge
dal fin del suo lunghissimo viaggio,
Alcino illustre rege,
sopra le navi tue chiede passaggio.
ALCINO
Grand'eroe, che tu sia
in Itaca portato a tuo piacere,
sarà nostro il pensiere,
intanto non ti sia
allegrezza molesta
in onor di Nettuno,
oggi veder la preparata festa.
ULISSE
Vostri regi favori
mi saran tutti onori,
ma peregrin bramoso
cosa non ha più lieta,
che la patria, e 'l riposo.
ALCINO
Dunque al riposo, e intanto
le destinate feste altri prepari,
altri forbita nave a' remi pronta
appresti alla partita;
lascia pensoso i guai,
perch'oggi Ulisse in Itaca sarai.
NAUSICA
Che dite, che dite di me
ad un cavaliero ho dato la vita,
fanciulla più ardita,
più ardita non c'è.
Voi pur dell'opre mie
imparate, o fanciulle, ad esser pie
anco in tenera età
è pur bella pietà.
Grotte del Sonno.
Amor. Sonno.
AMORE
Non s'accinga a fiera lite
chi non soffre, e chi non dura,
son gemelle, e vanno unite
la fatica, e la ventura;
dentro il mondo che non sta
l'ostinato vincerà.
Gran dio del Sonno alza gravoso il ciglio,
della bella Ciprigna ascolta il figlio.
SONNO
Dolci per te godei
di Pasitea gl'amori
lieto dio del piacer nume de' cori.
AMORE
Co' tua virtù più densa e più profonda
più simile alla morte
fa' ch'oggi Ulisse il forte
tratto dall'acque alla feacia sponda,
orbati i lumi, addormentati i sensi
alla sua patria ritornar non pensi
tanto cerco da te, tanto déi far,
Sonno non me 'l negar.
SONNO
Di mia sorella morte
ben sono i sogni eterni,
ma il mio fisso letargo alfin fornisce
il tuo rimedio è lieve
sarà l'aiuto breve.
AMORE
Rendimi pur contento
che ben saprò con novi inganni, e frodi
al vagabondo piè stringer i nodi.
SONNO
Del morbido mio letto
mal volentieri mi privo.
Cupido vezzosetto.
Potriano i miei ministri
far opera men forte
pur conviemmi lasciar l'amate piume,
per ben servir il supplicante nume.
AMORE
Vattene Sonno amato
all'eroe, ch'è già stanco
sarai ben caro, e grato.
SONNO
Io movo il tardo volo,
sonnacchiose delizie a voi m'involo.
Amor se qui m'attendi, e fermi il piè,
guarda deh guarda ohimè,
non iscoprir quei vasi
non esalar quei fumi,
ch'il sopor, ch'il letargo
faria dormir con cento luci un Argo.
AMORE
Insolita dolcezza
devono aver le delicate piume
se appena il pigro dio le può lasciar,
affé ch'io vuò provar.
(va sopra il letto, e discopre il vaso)
O dolce riposar.
(qui s'addormenta)
Si serra la stanza del Sonno.
Giove sull'aquila. Mercurio.
GIOVE
Mercurio assai facesti, il tutto io vidi,
già son l'ore vicine,
ch'abbia il Fato il suo fine.
Vola tosto e fa' noto
a Venere amorosa,
ch'il suo figlio riposa
nelle stanze del Sonno addormentato.
Né senza l'opra sua sarà destato.
Riserbo al suo ritorno
l'ammirabile cinto,
e le dirai, che Giove Amore ha vinto.
Intanto ch'io con efficace impulso
indurrò il rege Alcino,
a tosto rimandar in patria Ulisse
così in soglio di cielo il Fato scrisse.
MERCURIO
Ad eseguir quanto imponesti io volo.
Anfiteatro per la barriera.
Alcino, Ulisse.
ALCINO
Alla bocca di rege
poca promessa basta, oggi vedrai
o conturbato Ulisse,
il desiato regno
ti do la destra in pegno.
ULISSE
Così spero gran re, così confido,
ALCINO
Godiamo pria cavallereschi vanti
de' giostratori amanti.
Il Mantenitore fa leggere il cartello.
MANTENITORE
Chi ha petto, e cor per sofferir rivale
non ha per ben'amar petto, né core,
d'alma gelosa è disperato il male,
né vuol nel suo goder compagno Amore.
Sensato amante a gran ragion si duole
che non è sol se non è solo il sole.
Il mondo mi oda,
ch'io taccia, e goda
la dolce amica non credea no
il ben rifiuto
e risoluto
col forte braccio io proverò
ch'il lasciar di goder'è meglio assai,
che godendo soffrir gelosi guai.
ALCINO
Ulisse? Ulisse dorme.
L'Avventuriere fa leggere il cartello.
AVVENTURIERE
La bellezza non è scarsa di gioia,
ch'abbia tutto a serbar per un sol petto,
invido l'altrui ben, non mi dà noia,
né scema il mio piacer l'altrui diletto.
Ch'il mio ben si divida a me non duole,
ch'in raggi ancor si divide il sole.
Prima infedele
ch'empia, e crudele,
la mia nemica mi placherà.
D'un vero amante
l'asta pesante
col forte braccio sostenterà:
che prima di servir chi ognun disprezza
meglio è goder universal bellezza.
Così sostenta armato
il sofferente cavalier stellato.
ALCINO
Un mio pensier mi dice
che si fermino i giochi, e si conduca
alla patria promessa
l'itacense addormito
su portatelo al lito.
Venere, Amore in carro.
VENERE
La facessi da bambino
da fanciullo dormiglioso
nel contender col destino
ti sei dato qui al riposo.
T'acquistasti un bell'onor,
levati, destati, svegliati Amor.
Di te il cielo si trastulla,
chi ti scherne, e chi t'inganna,
se da pappe, sei da culla
bambozzetto fa' la nanna.
T'acquistasti un bell'onor,
levati, destati, svegliati Amor.
AMORE
Di quest'occhi le tenere pupille,
al violento sonno
chiuder la via non ponno.
VENERE
Non son figlio per te l'imprese grandi,
scoccar dardi e saette,
non eseguir vendette.
Io perdei, vinse Ulisse, ei torna in regno
così Giove comanda;
tu per salvar l'onore
de' tuoi famosi acquisti,
potrai dir che dormisti.
La scena è tutta cielo.
Mercurio. Minerva. Venere. Amore. Giove. Coro di Deità.
MERCURIO
Venite all'alto soglio eterni dèi
udite i pregi miei;
ho vinto Amor
nume del ciel maggior.
Il suo strale
niente vale,
la sua face
spenta giace,
coronatemi il capo, o stelle, o dèi,
udite i pregi miei
ho vinto Amor
nume del ciel maggior.
MINERVA
Vincesti Amor? Non furon tue le prove
con il decreto suo lo vinse Giove.
VENERE
Rubasti il cinto è vero
questo fu sol trofeo della tua mano;
dio nei furti sovrano.
AMORE
Madre non ti sdegnar del troppo ardir,
io lo farò pentir.
MERCURIO
O che minacce; io rido
del guerriero Cupido.
AMORE
Tu ridi sì, tu ridi
riderò tosto anch'io de' tuoi sospir,
credilo a me, che ti farò pentir.
GIOVE
Cessi lo sdegno omai cessino l'ire
vi voglio o saggi dèi placidi, e cheti,
poté l'itaco Ulisse in patria gire,
al decreto di Giove, ognun s'acqueti.
Prendi o figlia il tuo cinto
prendilo, e lo riserba
a più grand'uopo, ad opere più illustri.
E tu saggia Minerva
contro i proci superbi
arma la destra al peregrino Ulisse.
Che vittoria, e vendetta
l'alto decreto aspetta.
E voi dell'alto ciel divine menti
lasciate l'ire omai lasciate i sdegni
più non s'odano risse in questi regni,
ma della pace sol s'odan gl'accenti.
La Pace fra gli dèi.
PACE
Oh che giubilo sente il core
se il furore più forza non ha
pace pace si goderà.
Cantate
beate
godete
ben liete.
Eterno riso
di paradiso
qui s'averà.
Oh che giubilo sente il core
se il furore più forza non ha
pace pace si goderà.
CORO
Pace pace si goderà.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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