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Trespolo tutore

TRESPOLO TUTORE

Commedia ridotta per dramma.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giovanni Cosimo VILLIFRANCHI.
Musica di Alessandro STRADELLA.

Prima esecuzione: 31 gennaio 1679, Genova.


Interlocutori:

TRESPOLO tutore balordo

basso

ARTEMISIA sua pupilla innamorata del tutore

soprano

NINO suo amante

contralto

CIRO suo fratello pazzo, amante ancor esso d'Artemisia

soprano

SIMONA lor balia, vecchia balorda

tenore

DESPINA sua figliola accorta

soprano




La scena si rappresenta in una villa.

All'eccellentissimo...

...sig. dottore Gio. Battista Ricciardi.

Mossa v. s. eccellentissima non da alcun desiderio di gloria, (passione alienissima dalla candidezza dell'animo suo, che possiede tante prerogative più grandi, e più mirabili per ottenerla) ma stimolata da un semplice impegno contratto con suoi amici di dimostrare che la commedia alla plautina, come quella, che è fondata su le vere regole della poetica, sarebbe ancor piaciuta nel presente secolo, (quantunque in questa parte corrottissimo) si messe un tempo fa a comporre alcune veramente commedie, con le quali per la copia de sali, e delle finezze concatenate con i più rigidi precetti dell'arte, mostrò a tutto il mondo, e dette una riprova a quelli, che intendono, che le regole degl'antichi, come quelle, che anno il fondamento sopra le più stabili osservazioni, non possono patir mai mutazione; ma devono rimaner per ogni tempo ammirabili, ed inalterate, e fece arrossir quelli, che non sapendo più là, si credono, con scriver le parole, che dicon fra di loro più interlocutori, d'aver subito composta una commedia. Dopo molt'anni vedendo io praticarsi ancor quest'abuso nella commedia in musica; onde per lo più i compositori di detta non pare, che abbino altro scopo, che d'accozzare una moltitudine di mutazioni di scena, (vizio nella commedia plautina, che per averne ad esser priva, è di difficilissima composizione) e d'infilzare una quantità d'ariette, le quali, purché siano con soave voce, e graziosi trilli cantate, e poste alla fine delle scene, nulla si abbada se facciano a proposito, o se ripugnino all'unità, e connessione della favola, ed a gl'altri precetti, ebbi concetto di far vedere, che la commedia di v. s. eccellentiss. sarebbe ancor piaciuta in musica, e che sarebbero sempre belli, e graziosi i drammi fatti con tutte le leggi poetiche, e particolarmente osservata quella del decoro, distinguendo Davus ne loquatur an heros, ed in fine di mostrare, che una musica ben intesa non snerva, ma rende più spiritosi quei sali, dei quali simil composizione deve esser ripiena. Presi però la sua bellissima commedia intitolata Amore è veleno, e medicina degl'intelletti, e volgarmente detta Trespolo tutore, ed avendogliene partecipato, (perché io so, che rispetto si deve a gl'autori, e particolarmente viventi) la ridussi in dramma, senza aggiungervi concetto alcuno di mio, fuori che qualche cosa indifferente nella pazzia di Nino per dar qualche satisfazione al musico, anzi cominciai gl'atti con le stesse parole della sua prosa, per fuggir al possibile il nome d'esser un di quelli, che s'usurpano, o che alterano l'opere altrui. Dopo, che l'ebbi quasi terminato lo diedi a leggere a vari; ma però non ho mai avuto congiuntura, né di farla metter in musica, né di farla recitare; nel qual caso, oltre alle mie sopraccennate intenzioni, desideravo di far vedere tutti gli artifici, che sono innumerabili, i quali v. s. eccellentissima ha usato in comporla, e che in tutte le recite, che ne ho veduto (fuori che in quelle dove è intervenuta lei) sono stati, o non conosciuti, o trascurati. Quando sentii la mia medesima commedia esser recitata in Roma, ma con aggiunta d'interlocutori, di scene, e d'arie d'altri autori da essi forse non ancora pubblicate, e per conseguenza alterate l'invenzione, le purità, le regole, e le massime di v. s. eccellentissima: mi turbò altamente quest'avviso; ma la lontananza, e l'altre mie continue occupazioni, mi tennero a viva forza quieto, e tanto più avendo poi sentito essersi ancor recitata in Genova, dove quei signori, come che intelligenti, e però generosi, e discreti, non volsero in nessun conto recitar la mutata, ma con quella perfezione, che da lei fu composta, e con la medesima purità, che da me fu ridotta. Pensavo, che fossero terminate l'occasioni d'aver più rammarico di questa cosa, quando ho penetrato, che il medesimo dramma alterato sia di nuovo per recitarsi in Napoli, e qua, dove v. s. eccellentissima potendo aver occasione di vederlo con gli occhi propri, e dolersi di me, mi ha fatto risolvere di pubblicarlo, quantunque non rivisto, e (per non aver avuto ancora occasione di farlo ancora recitare) nel suo primo abbozzo, solamente per far conoscere al mondo, che io so bene i termini con i quali si devon trattare i letterati, ed in particolare v. s. eccellentiss. alla quale ho sempre tributato i più vivi attestati d'una sincerissima reverenza, e tenutala sempre, come fanno tutti, in una singolarissima stima; e nel medemo tempo per far vedere ad altri virtuosi, che io non son di quelli, che mi voglia usurpare i lor sudori, e fare un mancamento così notabile. Questo è il mio puro scopo, e solo per questa causa mi son risoluto di darla al pubblico, assicurandola, che se fosse stato uno de' miei parti, non ne avrei fatto risentimento alcuno; ma avrei il tutto sopportato, quantunque da Gio. Villifranchi mio zio magno avessi potuto imparare a non tollerar questi strapazzi, il quale volse ristampare la sua Amaranta, che senza sua saputa era stata posta sotto il torchio, benché da suoi amici, e senza alterarla dal suo originale fosse fatta stampare. Si compiaccia dunque v. s. eccellentissima di restar appagata per questa mia dimostrazione del rispetto, che ho sempre portato al suo merito, come a quello di tutti i letterati; si come con la medesima spero abbia da restar certificato il mondo, che io non sono un uomo, che non intenda qual mancamento sia l'usurparsi, e l'alterar l'opere altrui, ed avrà campo di mantenermi l'affetto, che sempre m'ha dimostrato, per il quale potrò vantarmi d'esser, come sono, e sarò sempre

di v. s. eccellentiss.

di Firenze lì 11 giugno 1679

Dev.mo ed obbl.mo servitore

Gio. Cosimo Villifranchi.

Atto primo
Scena prima

Simona, e Despina.

SIMONA

Ti torno a dir Despina,

ch'il marito si piglia

come la medicina,

che quando può giovare

non bisogna badare,

ma se ben contro a gusto,

senza pensarvi più

bisogna serrar gli occhi, e mandar giù.

DESPINA

Ma questa qui sarebbe

non da fargli serrare,

ma da fargli più tosto vomitare.

SIMONA

Alla fine della fine

Trespolo, che cos'ha che ti dispiaccia?

DESPINA

E che volete voi, che mi ci piaccia?

SIMONA

Egli è vago, e grazioso.

DESPINA

Come un orso è peloso.

SIMONA

Egli è savio, ricco, e bello.

DESPINA

Non ha punto di cervello.

SIMONA

Uomo schietto,

è perfetto:

DESPINA

Tutto sciatto,

mezzo matto.

SIMONA

Migliorar più non si può.

DESPINA

Ed in somma io non lo vo'.

SIMONA

E come non lo vuoi.

DESPINA

Dico di no, pigliatelo per voi.

SIMONA

Ah ragazza maledetta,

dispettosa, superbetta;

l'ha due dì,

e che sì

che la vorrà saperne più di me?

Insieme

SIMONA

Io non la voglio a fé.

DESPINA

Io non lo voglio a fé.

Scena seconda

Nino, Simona, e Despina.

NINO

Balia, balia, che c'è?

SIMONA

O siet'il bentornato signor Nino.

L'hai da pigliare in tanta tua malora,

che, siete tornat'ora?

NINO

Sì ben: ma che c'è stato?

SIMONA

Disubbidientaccia,

vi sete voi straccato?

NINO

No, ma lei in che v'ha disubbidito?

SIMONA

Sì, sì brontola pur quanto tu vuoi,

e nel viaggio avete voi patito?

NINO

Madonna no. Ma quale

è la cagion, che voi state a gridarla?

SIMONA

Gridavo seco a conto di sposarla.

NINO

Ma sentite Simona;

Despina è giovinetta,

meraviglia non è ch'abbia aborrito

il nome di marito.

SIMONA

Sì, se ben l'è piccina

la se ne piglierebbe una dozzina.

NINO

Dunque, che rumor c'è?

SIMONA

Che la non vuol quello, che piace a me.

DESPINA

Lo piglierei, s'ella mi desse un uomo,

ma non vo', signor Nino

che mia dia per marito un babbuino.

SIMONA

Il tutor d'Artemisia

Trespolo gli vuo' dare.

Insieme

DESPINA

Guardate s'è un partito

che per pigliar marito

si possa migliorare!

SIMONA

Guardate s'è un partito

che per pigliar marito

si possa peggiorare!

NINO

Questo è un mal da poterci rimediare.

Ma dite; e che cos'è

di Ciro mio fratello?

Del suo poco cervello

ha egli ancor delucidato i rai?

SIMONA E DESPINA

Gli è più pazzo, che mai.

NINO

Cruda sorte, iniquo amore,

che fec'io, che fece quello?

Ond'a lui tolt'ha 'l cervello,

ed a me rapito ha 'l core.

Cruda sorte, iniquo amore,

che fec'io, che fece quello?

Balia non pensat'altro

andateven'in casa,

ch'io con Despina so,

che modo troverò,

che senza più gridar vi soddisfaccia.

(Simona parte)

DESPINA

Se vi riesce sputatem'in faccia.

Scena terza

Nino, e Despina.

NINO

E ben, Despina, dimmi

se per il tempo, ch'io son stato fuori

ha deposto Artemisia i suoi rigori?

DESPINA

L'è più cruda, che mai,

non vuol saper d'amore, e non vuol guai.

NINO

Ah mio rigido fato,

ah mia sorte severa,

mentr'avete accoppiato

a bellezza sì vaga, alma sì fiera.

Certo per altro oggetto

ha le fiamme nel petto.

Ma di', Despina, di'

osservaste tu mai,

se d'Artemisia il cuore

avvampi d'altra fiamma, o d'altro ardore?

DESPINA

Che volete, ch'io sappia,

so che tal volta piange,

la vedo sospirare,

or borbotta fra denti,

ora pianta una vigna;

se questi ch'io vi do

sian poi segni d'amore io non lo so.

NINO

Ah pur troppo son questi

segni dell'amor suo

evidenti non men, che sian funesti.

Che t'ho fatto empio amor dimmi

che? Che?

Che sì barbaro, e sì rio

l'idol mio

non mi vuole usar mercé?

Che t'ho fatto empio amor dimmi

che? Che?

DESPINA

Ma padrone oramai

non avete i prim'anni;

voi vi pigliate pur gli sciocchi affanni?

Non vuol esservi amante?

Sì che nel mondo non ce ne son tante?

NINO

Ma però come la mia

tutta grazia, e cortesia

nel mio genio non ce n'è.

E il mio core

nell'amore

notte, e dì

sarà sempre così, sempre immutabile.

Che quel che vuol il fato è inevitabile.

Ma vorrei ben, Despina,

che tu per aiutarmi,

mi facessi un favore,

che fingessi d'amare il suo tutore.

DESPINA

Il finger d'amare

lo posso ben fare,

non dico di no,

ma farlo da vero,

oh questo pensiero

venir non mi può.

NINO

Basta, che tu t'infinga.

DESPINA

Fin a finger lo farò;

ma un marito, che sia brutto,

ch'io lo voglia, oh questo no.

Fin a finger lo farò.

NINO

Per togliermi di guai,

basta, tu lo farai?

DESPINA

Non vi date pensiero,

sarà mia cura il fingere:

con lui però vorrei ben dir da vero.

Scena quarta

Artemisia sola.

ARTEMISIA

Quando mai fra tanti, e tanti

duoli, e stenti,

e tormenti,

che trafiggono gl'amanti,

si trovò maggior martire,

d'esser amante, e non poterlo dire?

Artemisia infelice

che di Trespolo ardendo,

del mio proprio tutore

m'arrossisco a scoprirgli il mio dolore.

Ah rossor troppo tiranno,

troppo barbaro, tropp'empio,

fai lo scempio

d'un cuor, che viva in amoroso affanno.

Ah rossor troppo tiranno,

troppo barbaro, tropp'empio.

Cieli dunque, che farò?

Palesate il vostro intento.

Tacerò:

ma se taccio, oh che tormento!

Parlerò; ma egual sorte

s'io parlo moro, e s'io non parlo ho morte.

Ma già le luci mie stanche dal pianto

mi domandan riposo.

Sì, sì, dunque dormite

almen voi mie pupille;

già che vergogna, e amore

non fan dormir quella del mio tutore.

Scena quinta

Ciro solo, e Artemisia, che dorme.

CIRO

Ah, ah, ah, ah, ah,

che spropositi si fa?

Ah, ah, ah, ah, ah.

Che ha da far con Catone

catinella, e catino?

La ronda, col rondone,

se questo è un uomo, e quello è un uccellino?

E nessun lo considera, e lo sa.

Ah, ah, ah, ah, ah,

che spropositi si fa!

Chiaman botte quel vasone,

che riempesi di vino,

e poi chiamano un bottone

quel bordel sì piccolino,

e nessuno lo considera, e lo sa

né rimedio gli si dà.

Ah, ah, ah, ah, ah,

che spropositi si fa!

Chi è quest'addormentato?

Ell'è una donna a fé,

oh vien pure il gran sonno ancor a me.

(sbadiglia)

Ma sta; sento rumore,

certo ch'ella si sogna,

mi sento per la vita un pizzicore,

stat'a veder, che m'ha a venir la rogna.

Ma me ne voglio andare,

e perché ho da partire?

Eh voglio ritornare;

ma gli è meglio fuggire.

Ma che fo?

Me ne vo?

O sto qui?

Sì', o no?

No, o sì?

Eh sì.

Eh no.

Eh no.

Eh sì.

Tant'è, gli è meglio addormentarsi qui.

Scena sesta

Trespolo, Ciro, e Artemisia, che segue a dormire.

TRESPOLO

O garbato, o garbato,

Artemisia là in terra, e 'l pazzo a lato.

Senza dubbio egli è quello.

Orsù, vedo che il pazzo

vuol cominciare a metter cervello.

Lei? Che fa qui signore?

CIRO

Zitto, non far rumore.

TRESPOLO

Via signor pazzo, cominciate a ire.

CIRO

Lasciatela dormire.

TRESPOLO

Sì che voi il sonno per non gli guastare

la volevi ninnare?

Artemisia, Artemisia.

ARTEMISIA

E chi mi toglie dal riposo mio?

CIRO

Eh nessuno, nessuno.

TRESPOLO

Oh buono, io, io.

ARTEMISIA

Riflettendo al mio duol qui fra me stessa,

restai dal sonno, a poco, a poco oppressa.

TRESPOLO

Se non si dava il caso, in conclusione

d'abbattermi a venire,

voi volevi sentire altra oppressione,

che quella del dormire.

ARTEMISIA

Ma chi è questo, che m'è qui vicino?

TRESPOLO

Egli è quel pazzo, quel fratel di Nino.

ARTEMISIA

Sì, sì, sempre di questo

io ho sentito dir gran cose fuori.

TRESPOLO

S'io non venivo presto

le volevi però sentir maggiori.

Orsù, padron, mio caro,

noi c'avremmo a parlare,

e che voi ci sentissi io non vorrei.

CIRO

Non son qui per sentir i fatti d'altri:

ero per fare i miei.

TRESPOLO

E già me n'ero avviso.

Andate via in buon ora.

CIRO

Ma vo', che venga meco la signora.

ARTEMISIA

Che gran fastidio, o dio!

TRESPOLO

Sì, sì verrà; vostra signoria s'avvisi.

CIRO

Non so se cognizione ha del mio merto?

TRESPOLO

Sì, vi conosce certo.

CIRO

Ma se non m'ha parlato,

come può mai sapere il mio bisogno?

TRESPOLO

V'avrà parlato in sogno.

CIRO

Vo' lasciargli il mio nome.

TRESPOLO

Eh, che lo sa.

CIRO

Ma come?

TRESPOLO

Oh che pazienza!

CIRO

Vo' dirlo, o ch'io m'adiro.

Quanto al mio nome, è Ciro,

ch'alle genti persiane

in lingua lor vorrebbe dir un cane.

TRESPOLO

E per quanto si vede

siet'un cane amorevole, e alla moda;

perché a fatica viste le persone

voi vi mettete a dimenar la coda

volete uscir di qui?

ARTEMISIA

Fatemi tanta grazia di partirvi.

CIRO

Ora vado signora ad obbedirvi.

(parte)

ARTEMISIA

Pur alfin s'è partito.

TRESPOLO

O mal viaggio, egli se n'è pur ito.

(Ciro torna)

ARTEMISIA

O cieli, ecco che torna.

O stelle contro me troppo spietate?

TRESPOLO

Orsù, ch'il can vuol delle bastonate.

CIRO

Signora, io son tornato,

perch'io m'ero scordato.

Dianzi di riverir vossignoria.

(parte)

TRESPOLO

Terra via, terra via.

Scena settima

Trespolo, e Artemisia.

TRESPOLO

Tant'è gli è cane, e pazzo,

che son due modi strani,

perch'il cervello addrizzare ai pazzi

gli è come addrizzar le gambe ai cani.

Or, Artemisia mia, preso ho partito

(eh non dite di no)

di darvi un dì marito,

perch'io son vecchio, e so,

che tutte le fanciulle, o savie, o ardite,

com'una certa lor età compiscono,

son giusto, come i fiaschi d'acquavite,

che quando non si turano svaniscono.

ARTEMISIA

Ed io voglio pigliarlo. È ben dovere,

ma vo' però, che sia di mio piacere.

Un marito

non gradito,

troppe angosce al cuor ne dà,

d'un consorte poi, che sia

tutto genio, e simpatia

qual mai gioia maggior dar si potrà?

Se mio sposo non diviene,

chi è il mio cuor quel, ch'è il mio bene

Artemisia giammai si sposerà.

TRESPOLO

O quanto a questo è giusto,

che sia di vostro gusto.

È ben ver, che bisogna

mandar via la vergogna,

ma dir liberamente chi vi piace.

Non far la mon'onesta, e far il tace.

ARTEMISIA

Quanti segni n'ho dati!

Voi lo sapete, e fallo

ma...

TRESPOLO

Ma, le brache di un gallo,

bisogna dir chi, e come,

bisogna dirmi il nome.

ARTEMISIA

Il nome del mio amante,

ch'io lo possa ridire

questo qui gli è impossibile.

TRESPOLO

Sicuro è un negromante,

che faccia qualche diavol comparire,

o qualche altra fantasima terribile.

ARTEMISIA

Avevo nel disegno

di darvelo a conoscer con un segno.

TRESPOLO

Ditemelo mai più.

ARTEMISIA

Ma venite più su, perch'ho in concetto

in casa di fuggir quando l'ho detto.

TRESPOLO

Eccovi qui vicina,

perché se non vi basta entrare in casa,

vi possiate fuggire anco in cantina.

ARTEMISIA

Ma poi me lo darete?

TRESPOLO

Certo ve lo darò

ARTEMISIA

Se poi dite di no?

TRESPOLO

O che diavol sarà?

Venga la rabbia quando lo dirà.

ARTEMISIA

Farete, che m'accetti?

TRESPOLO

Trespolo vi promette,

che farà, che v'accetti,

s'egli avesse a comprar dugento accette.

O cominciate a dire?

ARTEMISIA

Voglio esser sulla soglia.

TRESPOLO

Mi vien pur la gran voglia

l'ho pur avuto a dire.

A noi, dite mai più.

ARTEMISIA

Venite più quassù.

TRESPOLO

Verrò dove volete

ma quando lo direte?

ARTEMISIA

Altri che lui non c'è;

or vi dico, chi egli è.

Quel ch'amo è qui presente,

ed eccetto che lui non v'è altra gente,

or eccovelo detto.

M'avrà pur inteso a suo dispetto.

(in casa)

Scena ottava

Trespolo, e Ciro.

TRESPOLO

Quel ch'amo è qui presente?

Ed eccetto che lui non v'è altra gente.

Che diavol c'è d'intorno?

O cospetto di me!

Gli è pazzo, il pazzo affé

o questa ci mancava

non meraviglia, che si vergognava.

CIRO

Buongiorno signor mio.

TRESPOLO

Bacio le mani anch'io.

Chi l'avrebbe mai detto

ch'avessi un viso, come il suo sì bello

dietr'ad un pazzo a perdere il cervello!

CIRO

Chiamavi forse me?

Mi volevi parlare?

TRESPOLO

E signor no. Tant'è

non mi ci so arrecare.

CIRO

Parlerò dunque a voi.

TRESPOLO

Noi ci parleremo poi.

E pur bisogna dargliela.

E rimedio non c'è,

perché se no, lo piglierà da sé.

CIRO

Non si può parlar più?

TRESPOLO

O via dite pur su.

CIRO

M'avresti a far veder quella ragazza,

che qui dianzi svegliasti

con tant'asinità?

TRESPOLO

Voglio servir la sua bestialità.

Che, vi par forse bella?

Ditemi vi piac'ella?

CIRO

Io non lo posso su due piè sapere.

TRESPOLO

E però dianzi in terra

vi volevi distender a giacere;

ma perché queste voglie

di volerla vedere?

La piglieresti voi forse per moglie?

CIRO

Io non ne son lontan d'opinione,

per quanto tempo?

TRESPOLO

Oh ve' pazzo briccone!

Che, risolvete di pigliarla o no?

CIRO

Se l'ho a pigliarla per sempre io non la vo'.

Non vo' poi, che vi volessi

rimborsar sul patrimonio

quando morto io non potessi

il debito pagar del matrimonio.

TRESPOLO

O questo poi non vi dia noia no;

perch'in tal caso v'assicurerò.

Ma mentre voi vivete

dite la piglierete?

CIRO

Mentre son vivo, s'io la piglierei?

Son uomo da pigliarne sino in sei.

Ma quando me la date?

TRESPOLO

O pian piano; aspettate,

un ch'è pazzo, un ch'è ridicolo

sent'a uso al cuor martello,

perché lor non c'è pericolo,

che vi perdano il cervello.

CIRO

Non è venuta ancora?

TRESPOLO

La si liscia; vien ora.

Ma pazzo; e che pens'io?

All'amor d'altri, e lascio star il mio?

O Despina tanto bella

ch'al tuo Trespolo tutore

con la spina del tuo amore

vai bucando le budella;

spina vaga, e graziosa,

spina dolce, e gioviale,

nella quale

saprei ben trovar la rosa.

Ora batto, e frattanto

ritiratevi voi là su quel canto!

Scena nona

Artemisia, Trespolo, e Ciro in disparte.

ARTEMISIA

Chi batte e là?

TRESPOLO

Lo sposo.

ARTEMISIA

Come lo sposo? O dio!

Oh mia sorte cortese!

Lodato il ciel pur alla fin m'intese?

CIRO

Ditemi: che dic'ella in conclusione?

TRESPOLO

Che voi siete un bestione.

Ma guardate che umore;

perché vi state il viso a ricoprire?

ARTEMISIA

La vergogna, e 'l timore

mi tolgono l'ardire.

TRESPOLO

Ci mancava ancor questa;

forse che non vi pare

d'esservi tanto fatta storiare?

Statemi adesso a far la mon'onesta.

CIRO

Ditemi; resto, o parto?

È ell'ancor tutta mia?

TRESPOLO

O signor no, che ce ne manca un quarto.

ARTEMISIA

Amor sì stravagante

mi facev'arrossire

nel discoprir l'amante.

TRESPOLO

Quanto a questo gli è vero

gli è un po' stravagantuccio,

ma gli ha a far un mestiero,

ch'io tengo un'opinione

che lui ne sappia quant'un cicerone.

CIRO

O fatela sbrogliata

a che siam noi?

TRESPOLO

Noi siamo all'insalata.

ARTEMISIA

E m'accetta per sua?

TRESPOLO

Ve ne fo sicurtà.

E voi siete contenta?

Voi vi voltate in là?

ARTEMISIA

O dio; la gran vergogna

m'impedisce a guardar dove bisogna.

TRESPOLO

Vogliamla noi finire

con questo vergognarsi?

Ecco lo sposo che vi dà la mano,

bisogna pur voltarsi.

CIRO

Se no questo è uno smacco,

perché io non vo', che compre gatta in sacco.

TRESPOLO

E tanto più va fatto,

perché questo è un cane, e non un gatto.

ARTEMISIA

Cielo! Che veggo! O dio!

Questo è lo sposo mio?

Dunque un pazzo scimunito

per marito

Artemisia aver dovrà?

Un che meco tant'ardisce,

che non teme e s'arrossisce

di pretenderne pietà.

O questo è quello poi che non farà.

Prima di farne il grazioso, e 'l bello

rimettete il cervello.

Ch'io così non vi voglio; andate via.

(in casa)

TRESPOLO

Buon pro a vostra signoria.

(in casa)

Scena decima

Ciro solo.

Questo matrimonio,

si può dir consumato;

se men principio non gl'è stato dato.

Ma che vogliamo noi mai dir che sia

questa nostra pazzia,

che par ch'ognun mi scacci,

badando a dir, che mi fa far versacci?

Ognun bada a dirmi ohibò,

ma sapete che farò;

gli vo' far crepar di rabbia,

che per fare i versi belli

vo' far com'i filinguelli

mi vo' fat metter in gabbia.

Gli vo' far crepar di rabbia.

Scena undicesima

Trespolo, e Artemisia.

TRESPOLO

Ma chi v'intenderebbe?

Ora non ne so più.

Ma però da qui in su

giuro che più non me date a vendere.

ARTEMISIA

E pur, o dèi, non m'ha saputo intendere.

Non è Ciro,

che martiro

a quest'anima ne dà.

Altro bene

stare in pene

questo viscere mi fa.

TRESPOLO

Ma chi diavolo, sarà?

ARTEMISIA

Fate così. Mandiamo

una lettera scritta a nome mio

ah quel ben che tant'amo,

sarà vostra la mano,

per fuggir quel rossor, ch'io sfuggo invano.

Così per questa via

s'intenderà chi quest'amante sia.

TRESPOLO

A noi in tanta malora,

purché noi la finissimo.

ARTEMISIA

Siete all'ordine ancora?

TRESPOLO

All'ordinissimo.

ARTEMISIA

In questa guisa il volto,

discoprendomi a voi, non s'arrossisce.

TRESPOLO

Finiamla a noi ch'il tavolin patisce.

ARTEMISIA

Orsù detto: «Mio bene».

TRESPOLO

Ed io scrivo: «Mio bene».

ARTEMISIA

«E pure a tanti segni»...

TRESPOLO

«A tanti segni».

ARTEMISIA

...«non avet'anco inteso»...

TRESPOLO

«Non avet'anco inteso».

ARTEMISIA

...«ch'il ben, per cui mi moro»...

TRESPOLO

«Per cui mi moro».

ARTEMISIA

...«che tant'amo, ed adoro»...

TRESPOLO

«Che tant'amo, ed adoro».

ARTEMISIA

Siete voi?

TRESPOLO

«Siete voi».

ARTEMISIA

Siete voi.

TRESPOLO

«Siete voi».

ARTEMISIA

Voi, voi, voi, siete voi.

TRESPOLO

Ho scritto «Siete voi».

ARTEMISIA

Dico voi voi.

TRESPOLO

E ben, «voi, voi», l'ho scritto,

o presto ch'io non posso star più ritto.

ARTEMISIA

Ah cieli, e non intende?

Seguitate, e scrivete.

«E ancor non conoscete,

che la sola vergogna»...

TRESPOLO

«Che la sola vergogna».

ARTEMISIA

...«è lei, che mi trattiene»...

TRESPOLO

«Che mi trattiene».

ARTEMISIA

...«dal dirvi, ch'el mio bene»...

TRESPOLO

«Ch'el mio bene».

ARTEMISIA

È posto in voi?

TRESPOLO

«È posto in voi».

ARTEMISIA

In voi.

TRESPOLO

«In voi».

ARTEMISIA

In voi, in voi.

TRESPOLO

O bene ho scritto «in voi».

ARTEMISIA

Ma in voi, vi dico, in voi.

TRESPOLO

O bene, e io dico che c'ho scritto «in voi».

ARTEMISIA

Ed ancor non mi giova?

E pur siete sì stolto.

TRESPOLO

«Sì stolto».

ARTEMISIA

Che non vedete il mio pensier rivolto.

TRESPOLO

«Rivolto».

ARTEMISIA

Tutt'a voi?

TRESPOLO

«Tutt'a voi».

ARTEMISIA

A voi.

TRESPOLO

«A voi».

ARTEMISIA

A voi, mio bene, a voi.

TRESPOLO

«A voi, mio bene, a voi».

ARTEMISIA

Ma voi non m'intendete, dico a voi.

TRESPOLO

Ancor questa ci va, dopo le molte,

dir ch'io non v'abbia inteso

quando c'ho scritto a voi tremila volte.

ARTEMISIA

E pur sempre ha la benda.

E che posso far più perché m'intenda?

Voi conversate meco in casa mia.

TRESPOLO

Pian piano, o questo poi

tocc'a intenderl'a me, come la stia,

che conversate meco in casa mia.

ARTEMISIA

E seguitate il sunto.

TRESPOLO

Orsù virgola, e punto.

ARTEMISIA

«Né vedete il mio cuore

viver in tanto ardore?»

TRESPOLO

«Tant'ardore».

ARTEMISIA

«Sol per cagion delle bellezze vostre?»

TRESPOLO

«Bellezze vostre».

ARTEMISIA

«Dir delle vostre proprie

è 'l sentimento mio».

TRESPOLO

E delle vostre proprie ho messo anch'io.

ARTEMISIA

Delle vostre, e non d'altri, ah rio destino.

TRESPOLO

Si ch'avrò messo quelle di Pasquino.

ARTEMISIA

Già che non può giovar, la va serrata.

TRESPOLO

Sì, ma ci va la data.

Quanti n'abbiam del mese?

ARTEMISIA

Non lo posso sapere,

perché la vita mia colma di stenti

non numero coi dì, ma coi tormenti.

TRESPOLO

Ho messo ai trentanove.

Ora si serrerà.

Scena dodicesima

Nino, e detti.

NINO

Ecco qua quella fiamma,

che con perpetuo ardore

mi cruccia l'alma, e mi tormenta il core.

TRESPOLO

Ora dite a chi va?

ARTEMISIA

La soprascritta va

(qui non m'ode altra gente)...

Ah Nino impertinente!

(entra in casa)

Scena tredicesima

Trespolo, e Nino.

TRESPOLO

A Nino? Oh questo sì

lo pigli pure in pace,

o questo si è di garbo, o lui mi piace.

NINO

Buongiorno signor Trespolo.

A chi scrivete voi con tanto incomodo?

TRESPOLO

O signor Nino mio,

ho caro di trovarvi,

perché appunto ho una lettera da darvi.

NINO

Di chi possa inviarmela

dubbioso ancora il mio pensier vacilla.

TRESPOLO

Ve la manda Artemisia mia pupilla.

NINO

Che può voler da me?

TRESPOLO

La dirò come l'è.

Vi scrive in due parole,

ch'ella crepa del ben che lei vi vuole.

NINO

Cieli che sento? Ohimè!

La signora Artemisia

viv'amante di me?

TRESPOLO

Di voi.

NINO

Di me?

TRESPOLO

Di voi.

NINO

Di me, proprio di me?

TRESPOLO

Di voi, proprio di voi.

NINO

Di me? Di me? Di me?

TRESPOLO

La forca, che v'ingoi

di voi, di voi, di voi.

Questo è un altro bordello

oggi con questi voi

credo d'aver a perder il cervello.

Ora voi m'intendete

leggetela, tornate, e risolvete.

Che dite padron mio?

Non rispondete?

NINO

Addio.

Atto secondo
Scena prima

Simona, e Ciro.

SIMONA

E qua sì che ne fate;

fra l'altre quel vestito

chiama lontan le miglia le sassate.

Bisogna lisciarsi,

bisogna abbellirsi,

rassettarsi,

ripulirsi,

perché tutte

belle, o brutte

la beltà, dicon, che sia

in denari, e in pulizia.

CIRO

Ma questo perché occorre?

SIMONA

Perché non si può dire al naturale,

oh che bel taglio d'uomo,

mentr'il vestito sia tagliato male.

CIRO

E pur senza la gonna,

si può ben dir, che bel taglio di donna.

SIMONA

Eccoti lì; ci vuol per farsi amare,

l'imparare a discorrere.

CIRO

Voi mi fate impazzare

con queste vostre scuole.

Mi dicesti pur dianzi ch'alle donne

volevan esser altro che parole.

(salta)

SIMONA

E quei salti di cervo? Oh che pazzia!

CIRO

Io lo fo per provare,

chissà com'abbia a andare

quando Artemisia divenisse mia.

SIMONA

Ma quel nasaccio brutto

a che occorre arricciarlo?

CIRO

E quanto a questo poi bisogna farlo,

perché badon al naso, più ch'a tutto.

SIMONA

Io non vo' più impazzare;

fate quel che vi pare.

CIRO

Come posso trattenermene,

se non so,

né m'avvedo,

e da me non mi vedo

quel che fo,

e se fo qualche pazzia

non è tutta colpa mia,

ch'io la fo senz'avvedermene.

Come posso trattenermene,

se non so.

SIMONA

Guardatev'alla spera, e vi vedrete.

CIRO

Ma se fosse per sorte uno sperone?

SIMONA

Meglio per voi che sete sì bestione.

CIRO

Pur che sia

tutta mia

d'Artemisia la beltà,

vada via

la pazzia

se ritorni in gravità.

SIMONA

Pensa tu se lo farà.

(partono)

Scena seconda

Despina, e Trespolo.

DESPINA

Traditor voi burlate.

TRESPOLO

Ah Despina! Io per te

ho nel corpo una cucina,

dov'amore

il mio core

arrossisce sul tre piè.

DESPINA

Così amor tratta ancor me

sol in questo la sorte ha variata

che voi v'ha cotto arrosto, e me stufata.

TRESPOLO

E che voi tu inserire?

DESPINA

Lo so ben io, quello ch'io voglio dire.

Ora io vo' bene a voi,

voi ne volete a me,

mia madre n'è contenta più di noi,

sì che noi siam d'accordo tutti tre,

tal che non manca a questa conclusione.

Che dirne una parola al mio padrone.

Fra noi tre difficoltà

non v'è punta, né poca,

s'il padron non disdità,

sarà fatto il becco all'oca.

TRESPOLO

Che diavol dici tu?

DESPINA

Quel che dice il proverbio, e nulla più.

TRESPOLO

L'avverbio non mi va,

non poteva dir oca

senza star lo sguaiato a dir più là?

Ma torniamo a proposito

il signor Nino ancora

vuol bene ad Artemisia,

com'anco lei l'adora;

ma se non mi dà te, può ire in pace,

ch'alla fin a me tocca a dare il place.

Se la vorrà

mi darà te;

quanto che no

non si può

la festa non s'ha a far senza di me.

Ora vo in casa per veder se c'è.

DESPINA

Non andate gli è fuora,

e m'ordinò di darvi questa lettera,

perché voi la portassi alla signora.

TRESPOLO

Che lettera sarà!

DESPINA

La risposta di quella,

che gli mandò Artemisia poco fa.

TRESPOLO

Molto aperta! E perché?

DESPINA

Per quel ch'ha detto a me

prima che gliela diate

vuol che voi la leggiate.

TRESPOLO

Despina?

DESPINA

E che volete?

TRESPOLO

Dimmi la verità;

il tuo padrone è cotto o pur lo fa?

DESPINA

Perché causa?

TRESPOLO

Per nulla;

senti titol infame a una fanciulla

«Impiattonita, e bene».

DESPINA

Non può mai dir così,

che dite voi!

TRESPOLO

Quello ch'è scritto qui.

DESPINA

«Impietosito bene»

vedo, ch'egli c'ha scritto; o che anima?

TRESPOLO

Poh questo tuo padron scrive pur male!

O questa qui poi non si può salvare,

or sì m'imbestialisco, e m'indemonio.

Ah se non fosse il nostro matrimonio!

DESPINA

E che dirà mai più?

TRESPOLO

Senti; e dove sei tu?

Ah, «Quel corno mancino».

DESPINA

Come? Non può mai stare.

TRESPOLO

La non si può negare

ecco qui 'l testimonio.

Ah se non fosse il nostro matrimonio!

DESPINA

«Quel cor non è meschino».

Mi par che dica.

Ben dicevo che Nino

non averebbe mai scritto così.

TRESPOLO

Son pur lettere grandi, e badiali!

Forse verrà perch'io non ho gl'occhiali,

or ch'io gl'ho non si può più scusarlo;

ma io voglio arrivarlo

s'egli fuggisse a casa del demonio.

Ah se non fosse il nostro matrimonio.

DESPINA

Che scrive il signor Nino?

TRESPOLO

«Che quel corno mancino

il qual possa sfondare

le reni del tutore»

vegga ben lui confitto,

se dal mancin non basta anco dal dritto.

Ma lo vo' bastonare

s'io c'avessi a splacare

quel pocolin ch'io ho di patrimonio.

Ah se non fosse il nostro matrimonio!

DESPINA

«Quel cor non è meschino

il qual possa fondare

la speme a tutte l'ore».

Così va compitata,

oh che dottore! (so che farei aggiustata).

TRESPOLO

Ah Despina

assassina,

e così

si tradì

un che t'ama più di sé?

Non m'aspettavo mai questo da te!

DESPINA

Che cosa c'è? Che cosa?

TRESPOLO

Non meraviglia dunque,

che faceva con me la schizzinosa.

DESPINA

O via leggete forte.

TRESPOLO

«E già che ho avuto sorte

d'abbracciar Despina»,

(ecco la sorte) razza malandrina.

Ecco qui

ora sì

che farai?

Che dirai?

Scusati, pensala, trovala, di'.

Ora sì

ecco qui.

DESPINA

E ch'in vederla non dirà così.

«E di già che la sorte

d'abbracciar mi destina

congiuntura sì grata

di poter riverir la mia adorata.»

Così mi par che stia.

TRESPOLO

Despina hai da scusar la gelosia.

DESPINA

Basta ci siamo intesi; io vi prometto.

TRESPOLO

Va' a dir al tuo padrone ch'io l'aspetto.

DESPINA

Eccol appunto qua, me ne vo' andare.

TRESPOLO

Addio, mio ben; e pur mi vuoi lasciare?

Ma tua madre che fa?

DESPINA

Insegna al pazzo a star in gravità.

Il qual perché Artemisia

lo guardi con buon occhio

fa profitto maggior ch'io non credevo.

TRESPOLO

Vuol far, s'io non m'inganno, un grand'allevo.

Scena terza

Trespolo solo.

Or è tempo Trespolo, in tuono!

Eccolo qua

gravità

furberia,

che Despina resti mia,

qui bisogna far di buono.

Or è tempo Trespolo, in tuono!

Scena quarta

Nino, e Trespolo.

NINO

Pur vi trovo in buon ora:

non ha vossignoria

ricevut'una mia per la signora?

TRESPOLO

Io l'ebbi signor sì.

Eccola appunto qui.

NINO

Non l'ha vedut'ancora?

TRESPOLO

O signor no, perch'iol'ho avuta or ora,

e poi Despina dianzi

mi disse, che volevi

ch'io la leggessi innanzi,

che con sua buona grazia

l'era scritta sì male,

che se Despina non mi dava scuola

non m'intendevo manco una parola.

NINO

Condonate l'errore

alla passion, che divertisce il cor.

TRESPOLO

Mi diceva Despina,

che ancor vossignoria

non intese la mia.

Et avendone un pezzo

considerato il sunto

dopo le molte, non l'ha intesa punto.

NINO

È vero signor sì.

TRESPOLO

Dunque facesti bene

a risponder così, che la risposta

si deve far conforme alla proposta.

Ma per tornar a noi

cominciam a trattare,

voi volete Artemisia, e lei vuol voi,

e io ve la vo' dare,

ma prima di venire a conclusione,

con patto, e condizione...

NINO

E condizion di che?

Quando ch'a voi tocc'a dispor di me?

TRESPOLO

Per dirvi il pensier mio

mi sento voglia di tor donna anch'io.

Tutta notte mi trattengo

con un certo pizzicore,

ed ancor non mi rinvengo

s'ell'è rogna, o s'egli è amore

basta il fatto si è,

che s'io do moglie a voi, la diate a me.

NINO

Dite con libertà,

perché il tutto per voi si tenterà.

TRESPOLO

Non ci va gran sudore

già la madre è contenta,

e quant'a lei mi vuol un ben che muore.

NINO

Ditemi pur chi sia

questa vostra adorata.

TRESPOLO

Io voglio dirvel alla spiattellata

è Despina, il mio cuor l'anima mia.

Scena quinta

Trespolo, Nino, e Artemisia alla finestra.

TRESPOLO

È Despina quella cagna

che mi dà tanti martelli,

che m'ha il cuor preso alla ragna,

de' biondissimi capelli

così belli

ch'un di quelli

tirarebbemi in cuccagna.

È Despina quella cagna.

ARTEMISIA

Che sento ohimè! D'un altro amor si lagna?

TRESPOLO

È Despina quella cagna.

ARTEMISIA

Dunque cerca il mio tutore

altro amore

altra compagna.

TRESPOLO

È Despina quella cagna.

NINO

Vi compatisco, è bella,

e quel che importa più valente, e onesta.

(qui Nino vede Artemisia, e la riverisce)

TRESPOLO

E via mettiti in testa,

ma l'è savia, e valente

la mia pupilla ancora.

Eh coprite in buon ora.

NINO

Anzi la fo maggiore,

di bellezza e d'onore

all'antiche Lucrezie, e alle Sempronie.

TRESPOLO

E non facciam di grazia cerimonie

mettete in capo per l'amor...

NINO

Quest'è debito mio.

TRESPOLO

Che debito, o non debito?

Se v'avete del debito

ci vuol migliori aiuti,

chi ha da aver vuol altro, che saluti.

NINO

Ciò fo sol, perché bramo

riverir, chi tant'amo.

TRESPOLO

Già lo so che m'amate,

credete ch'io sia sordo?

Ch'occorron dunque tante sberrettate?

NINO

Questo lo devo fare

per mia convenienza.

TRESPOLO

E più una riverenza,

mec'avete a trattare

alla familiare.

NINO

Dunque non m'è concesso

di dar saluti a chi daria me stesso?

TRESPOLO

Di voi non me ne curo,

che n'averei da fare

Despina sì, che voi m'avete a dare,

e in quel cambio Artemisia io vi darò.

ARTEMISIA

Soffrir più non si può,

vo' togliermi di qui.

Scena sesta

Nino, e Trespolo.

NINO

Il mio bel sol dagl'occhi miei sparì.

TRESPOLO

Ohimè voi m'ammazzate,

con tante scappellate,

e via mettete su,

io m'ho per riverito,

voi m'avete stordito

in grazia mia non me ne fate più.

NINO

Ne devea riverire al suo balcone

la signora Artemisia.

Se lei sol è 'l mio ben, l'idolo mio.

TRESPOLO

Ah bene, bene, ora l'ho intesa anch'io.

NINO

Sì lei sola desidero, e sol bramo.

TRESPOLO

Andat'in là, ch'or ora ve la chiamo.

Scena settima

Trespolo, Artemisia, e Nino in disparte.

TRESPOLO

Artemisia?

ARTEMISIA

Che c'è?

Che volete da me?

TRESPOLO

Pian, piano, non tanta furia.

NINO

Qualche sinistro evento il ciel m'auguria.

TRESPOLO

Ho dato quella lettera.

ARTEMISIA

E che lettera? A chi?

TRESPOLO

A chi voi dianzi mi dicesti qui.

ARTEMISIA

Non ho mandato lettere a veruno.

NINO

Tien il timor l'anima mia scomposta.

TRESPOLO

Come dite a nessuno

se n'ho qui la risposta?

ARTEMISIA

Come risposta?

TRESPOLO

Che? Vi parlo greco?

Sì la risposta: eccola qui, l'ho meco.

(mentre Artemisia legge la lettera)

NINO

Carte amate

voi ch'andate

mie furiere

per avere

dal mio ben qualche mercé,

ditegli voi le pene mie per me.

TRESPOLO

Voi la stracciate?

ARTEMISIA

Ho letto.

TRESPOLO

E ch'io l'avevo detto,

(e Despina lo sa)

che c'era dentro un mar d'infamità,

e la furba voleva

starmi dietro a correggere,

e ben non mi pareva

d'essermi già dimenticato il leggere.

NINO

E perché

questo a me?

Ch'adorandovi,

ed amandovi

con umiltà

vengo a chiedervi pietà

tutto ossequio ai vostri piè.

E perché

questo a me?

NINO

Luci bellissime,

e splendidissime

quale errore

del mio cuore

in quel ciel poté turbarvi?

Non ho fatto altro error, che d'adorarvi.

TRESPOLO

Se l'ho a dir com'è,

faresti uscir del manico ancor me.

Gli scriv'un monte di furfanterie,

e poi gli viene a far le cortesie.

ARTEMISIA

Disperate pur pietà,

non si gode

questo cuore

con la frode.

Ma l'amore

il possesso altrui ne dà.

Disperate pur pietà.

Quant'a vostra non sarò,

bell'amante,

ch'una fante

prezzo dell'idol suo degno stimò.

Quant'a vostra non sarò.

Nino m'avresti a intendere

me non avete a vendere

o trattarne baratto, e mercanzia

io son dama, e vi basti. Andate via.

(in casa)

TRESPOLO

Bon pro a vossignoria.

Scena ottava

Nino, e Trespolo.

NINO

Che muovo? Che penso? Che dico?

Che fo?

Dunque, o dio!

La mia bella

l'idol mio

dal bel sen mi discacciò?

Che dico? Che fo?

Che penso? Che dico? Che fo?

TRESPOLO

Sì, ci vuol altro, che dico, che fo...

Scrivi un mar di bricconate,

poi vien tutto scappellate,

aspettandosi il buon pro.

NINO

Che muovo? Che penso? Che dico? Che fo?

TRESPOLO

Sì ci vuol altro, che dico, che fo,

o signor Nino affé,

che scapperebbe l'asino anche a me,

che son de tocchi, e che tutor gli so.

NINO

Che penso? Che dico? Che fo?

Che dico? Che fo? Che dico? Che fo?

TRESPOLO

Sì, ci vuol altro che dico, che fo.

NINO

Quand'il misero Nino

ha mai contro di lei commesso errore?

TRESPOLO

E quel corno mancino,

che possa sfondar voi, non il tutore?

NINO

Sì, sì, dite al mio core,

ditegli il proprio errore,

ch'io son pronto col sangue a cancellarlo.

TRESPOLO

Voi lo sapete senza replicarlo.

NINO

Ma facciamo così,

sarà vostra Despina;

ma per mostrar, ch'in lei non si baratti,

ora non se ne tratti,

e fra tanto Artemisia mi darete.

TRESPOLO

Oh quanto a questo non m'impegnerete.

NINO

Ma sentite. Faremo...

TRESPOLO

Sì sì noi vederemo...

NINO

Né di questo favore...

TRESPOLO

Servitor servitore.

(parte)

Scena nona

Nino solo.

Che pensi mio cuore?

Che rumini tu?

Già perso è il tuo bene,

e seco ogni spene

d'averlo mai più.

Che pensi mio cuore?

Scena decima

Artemisia alla finestra, e Nino.

ARTEMISIA

L'amare è destino,

e non volontà,

però signor Nino

non v'uso pietà,

s'il cuore

in amore

piegato non s'è,

doletevi del fato, e non di me

perch'io vi mostri tanta crudeltà.

L'amare è destino,

e non volontà.

S'io non v'amo, e vi sfuggo, è per ch'il fato

con tropp'antipatia c'ha generato.

(parte)

Scena undicesima

Nino solo.

Dunque i fati

sempre irati

con il misero mio cor

lo ferno

scherno

de propri rigor?

Che dunque da te

potrò verso me

sperar sorte ria

s'ho per nemica infin l'anima mia?

Scena dodicesima

Ciro, e Nino.

CIRO

Quanto, o quanto è impossibile

il non farsi indivisibile

dal bellissimo balcone,

dov'è colei, ch'ho fitta nel polmone.

Come polmone! Ohibò?

Polmone? Oh questo no.

Nel cuore. Oh questo sì

è miglior detto, e torna più così.

NINO

Perché Nino di'

non fuggì l'aspetto

dell'empio ricetto

di chi t'aborrì?

Perché Nino di'.

CIRO

Le budella, e che dirò?

Ho le viscere già fritte.

Che concetto!

Ho le viscere trafitte,

(meglio detto)

ch'Artemisia le piagò.

Così sì che dir si può.

NINO

Ohimè, non posso, ohimè,

come o dio

dal cuor mio

potrò mai volger il piè?

Ohimè, non posso, ohimè.

Ma dove vai pensiero a lusingarti?

Fors'hai l'arte di Circe,

di costringer un sasso ad adorarti?

Mostro terribile...

CIRO

Nume adorabile...

NINO

Furia più orribile...

CIRO

Volto più amabile...

NINO E CIRO

Non ho di te...

NINO

Megera...

CIRO

Né stella...

NINO

Più fiera...

CIRO

Più bella...

Insieme

NINO

L'inferno non ha.

CIRO

Il cielo non ha.

NINO

Empia maga...

CIRO

Luce vaga...

NINO

Mostro rio...

CIRO

Idol mio...

Insieme

NINO

Non ti posso veder, ti dico addio.

CIRO

Non ti posso lasciar né dirti addio.

NINO

Addio sì...

CIRO

Addio no...

Insieme

NINO

Voglio aborrirti finché spirto avrò.

Crudo tormento mio

addio per sempre addio.

CIRO

Voglio seguirti finché spirto avrò.

Dolce contento mio

addio per poco addio.

(partono)

Scena tredicesima

Trespolo, e Artemisia.

TRESPOLO

Al tutore?

ARTEMISIA

Al tutore signor sì,

o mia roba, o proprio onore

nelle man sei tu di chi?

TRESPOLO

Al tutore?

ARTEMISIA

Al tutore signor sì.

Quand'è il ver non ho timore

di rispondervi così.

TRESPOLO

Al tutore?

ARTEMISIA

Al tutore signor sì.

Né l'età vi fa migliore,

ma si peggiora ogni dì?

TRESPOLO

Al tutore?

ARTEMISIA

Al tutore signor sì.

Né confondevi il rossore

e potete anco star qui?

TRESPOLO

Al tutore?

ARTEMISIA

Al tutore signor sì,

ch'io non voglio da voi viver depressa.

TRESPOLO

In questo modo qui

sarò 'l pupillo, e voi la tutoressa.

Non occorre gridare,

ch'io mi voglio ammogliare.

ARTEMISIA

Gli è dovere, ma gli è

prima dover di dar marito a me.

TRESPOLO

Ma quanti ve n'ho dati?

Il ciel lo può sapere.

ARTEMISIA

Nessun però, che sia di mio piacere.

TRESPOLO

Ma se non mi sapete

dir quel, che voi volete?

ARTEMISIA

Quanti segni v'ha dati

per dimostar quest'alma mia chi brama!

TRESPOLO

Qui vuol esser il dir come si chiama.

ARTEMISIA

E pur persiste, o dio!

Siete d'un tempo voi giusto quant'esso.

TRESPOLO

Il boia morto, ed io

eramo tutt'a due d'un tempo istesso,

e se pur c'era svario

non ci occorreva mai maggior lunghezza

di quel che si sia lunga una cavezza.

ARTEMISIA

Tre sillabe nel nome ha come voi,

ha l'istessa statura,

con esso avete le maggior faccende.

TRESPOLO

Queste l'ho con l'ebreo.

ARTEMISIA

Né meno intende.

M'intenderete affatto

s'io vi mostro il ritratto?

TRESPOLO

Chi sa, ch'io non m'inganni

o ch'io l'abbia mai visto?

S fosse a sorte quel del prete Ianni?

ARTEMISIA

Anzi con questo qui

voi praticate sempre notte, e dì.

TRESPOLO

A noi dunque, a portarlo.

ARTEMISIA

Ora vado a trovarlo.

Gli porterò lo specchio,

dove in veder sé stesso

gli averò pur il mio pensiero espresso.

(in casa)

Scena quattordicesima

Trespolo solo.

Bene alla fé, che si dicesse in villa,

che del mio matrimonio

me ne tenesse conto la pupilla.

Sarebbe ben da mettere in canzone,

ch'ella volesse ancor tener la taglia

della consumazione.

Scena quindicesima

Artemisia con lo specchio, e Trespolo.

ARTEMISIA

O cristallo limpidissimo,

e purissimo,

che rappresenti

in quegl'argenti

qualunque immagine

ch'in te mirò.

Deh sappi or prendere,

e far intendere

il vero oggetto

che mi piagò.

Eccovi qui il ritratto.

TRESPOLO

O gli è molto coperto!

Vien'incognito certo!

ARTEMISIA

Quel rossor, che m'opprime

non vuol, che voi vediate al mio cospetto

quel, ch'è dell'amor mio l'unico oggetto.

(parte)

Scena sedicesima

Trespolo solo.

Ma che ritratto è questo?

Di chi può esser mano?

Son ancor fra le due;

ma trattandosi qui di parentadi

non può esser se non di Cimabue.

Ma per pigliarmi gusto

lo vo' così pian piano

succhiellar da lontano.

Scena diciassettesima

Trespolo, e Simona.

(Trespolo subito mette lo specchio in casa senza riguardarlo)

TRESPOLO

Questa sì, ch'ella non è minchiona.

Questo qui è il ritratto di Simona.

SIMONA

Che cosa è lì, che riponete voi?

TRESPOLO

È niente, niente ve lo dirò poi.

Non v'è da dir più la,

siam per l'appunto dell'istessa età.

SIMONA

Io v'averei signor Trespolo a parlare.

TRESPOLO

Or ora vengo, ho non so che da fare.

Il fatto delle sillabe consuona

tres, tres, po, lo; si, mo, na.

SIMONA

Io ho fretta sapete.

TRESPOLO

E se v'avete fretta, e voi sedete.

I segni son gli stessi

appunto ho seco a conto di Despina

i maggiori interessi.

State su bell'e ritta.

SIMONA

Ecco fatto, e perché?

TRESPOLO

L'è grande per appunto quanto me.

SIMONA

Quando v'ho da parlare?

TRESPOLO

Come diavol s'ha da fare?

Una donna ad una altra?

Guardate stravaganza,

ed io non so, se ce ne sia l'usanza.

SIMONA

Io non voglio star qui tutta mattina.

TRESPOLO

E pur bisogna dargliela,

perché se no, non averei Despina.

SIMONA

O su ritornerò.

TRESPOLO

No, no Simona no,

v'ho da dire una cosa.

SIMONA

E che?

TRESPOLO

V'ho fatta sposa.

SIMONA

Sposa? Di chi?

TRESPOLO

D'una bella figliola.

SIMONA

Oh che concetto strano!

Che fu di Chianti, o di Montepulciano?

TRESPOLO

Vi dico ch'Artemisia mia pupilla

vi vuol ben infinito

e vi vuol per marito.

SIMONA

Com'Artemisia?

TRESPOLO

Sì Artemisia, e otto.

SIMONA

Sentite due parole,

Trespolo siete cotto

TRESPOLO

Cott'è lei che vi vuole.

SIMONA

Oh questa qui è da ridire:

orsù andate a dormire.

TRESPOLO

Quanto a darvela io vo'.

SIMONA

Sì, sì la piglierò.

TRESPOLO

No non l'abbiate a male,

ch'io vo', che la pigliate

s'io ve l'avessi a dar n'un serviziale.

SIMONA

E via; le corna vo' che voi mi diate.

TRESPOLO

O non ve n'adirate,

e non fuggite via,

che queste vengon di lor cortesia.

Atto terzo
Scena prima

Trespolo, e Simona.

TRESPOLO

Fermatevi una volta,

perché non la volete?

Dite che forse non è buona tolta?

SIMONA

S'io son donna, e lei donna

come l'ho da pigliare?

TRESPOLO

So ch'Artemisia legge tutto il dì.

Dunque se vuol così

lo deve saper lei se si può fare.

SIMONA

E lei non si vergogna

di dir queste pazzie?

TRESPOLO

Quasi che n'ha vergogna,

non gl'è mai dato il cuore

di dir liberamente questo amore;

e se di voi non mi dava il ritratto

non l'intendevo certo a nessun patto.

SIMONA

Il mio ritratto dunque v'ha mostrato?

TRESPOLO

Si ben gl'era quel quadro,

che poco dianzi in casa ho riportato.

SIMONA

Io l'ho intesa. O ch'io vada nell'avello

se la pazzia di Ciro

non è montata nel vostro cervello.

TRESPOLO

Dunque Ciro guarì?

SIMONA

Lui sì, ma quanto poi

al suo fratel, fa più pazzie di voi.

TRESPOLO

È buon economia di due fratelli

tener anco il bilancio

dell'entrata, e l'uscita dei cervelli.

Basta Artemisia voi la sposerete?

Ell'è ricca sapete.

Pigliatela Simona,

se non per altro, perché domattina

poss'io sposare Despina,

se poi vi viene a noia

renunziatela a Ciro,

che par che se ne muoia.

SIMONA

Così mi piace, la sposerò io,

e poi metterò Ciro in cambio mio.

Orsù il negozio è fatto.

Farem questo baratto.

Io cercherò Artemisia, e gli dirò

ch'io mi contento, e ch'io la piglierò.

E voi trovate Ciro

per veder s'egli inclina

a sposarvi Despina.

TRESPOLO

Quello non me l'insegni,

perché s'io glielo dico

Ciro ci guasta subito i disegni.

SIMONA

Perché?

TRESPOLO

Perché Artemisia

non mi vuol dar Despina,

e lui che gli vuol bene, se lo sapessi,

non sarebbe gran cosa,

che per contentar lei, non me la dessi.

SIMONA

Ma perché non volere?

TRESPOLO

Perché mi vuol dar moglie a suo piacere.

Concludiamla fra noi,

quand'io l'ho presa poi

bisognerà ch'ognun dica di sì.

SIMONA

Com'il fatto è così

facciam come volete.

TRESPOLO

Io do una giravolta, e voi battete.

SIMONA

Andate pur di là:

che come l'è mia

qualcosa sarà.

Non sarò di quei mariti

scimuniti,

e minchioni,

portar io voglio i calzoni

e così bisognerà

molto ben ch'ella ci stia.

Andate pur là:

che come l'è mia

qualcosa sarà.

Scena seconda

Simona, e Artemisia.

(Simona picchia alla casa d'Artemisia)

ARTEMISIA

O quanto gran contento

ho d'avervi veduta.

SIMONA

E perch'io lo sapevo io son venuta.

ARTEMISIA

Ma come lo sapete

se mai dissi a verun simil concetto?

SIMONA

Fuor ch'al vostro tutor, lui me l'ha detto.

ARTEMISIA

Come? Se mai non glien'ho detto nulla?

SIMONA

O ben, così s'ha a fare

s'ha ben a vergognare una fanciulla.

ARTEMISIA

E che vergogna? E come?

SIMONA

Della vergogna di non dirgli il nome

ora potete dir la verità.

Trespolo volet'altro,

me l'ha contata tutta come sta.

ARTEMISIA

E v'ha scoperto tutto il mio disegno?

SIMONA

M'ha detto tutto per filo, e per segno.

Anzi mi manda qui,

acciò ch'io sia presente

a finir di levarvi

questa vostra vergogna impertinente.

ARTEMISIA

E 'l mio tutore v'ha mandato qui?

SIMONA

Ohimè 'l vostro tutore, dico di sì.

ARTEMISIA

Per tormi quel rossore

che dal gioir tien' il cor mio disgiunto?

SIMONA

Per questo per appunto.

ARTEMISIA

Ora balia che dite?

Mai vedeste un'amante

che sia stata di me più stravagante?

Quando poi si saprà

pensat'il mondo quel che ne dirà.

SIMONA

E state allegra, e quieta,

che questi maldicenti

fanno come le lime,

che rodi rodi, alfin perdono i denti.

Fare fare, e lasciar dire.

Se state a badare

a quel che si sente

fra poco la gente

vi fa intisichire.

Fare fare, e lasciar dire.

ARTEMISIA

Credete voi che Trespolo

abbia inteso da vero

senz'equivoco alcuno il mio pensiero?

SIMONA

Se fosse un pazzo affatto

non v'averebbe inteso,

se gli date il ritratto?

ARTEMISIA

Ma pur che ne pensate?

Queste mie nozze si concluderanno?

SIMONA

Son qui per questo, non vi date affanno.

L'è bellina alla fé

stat'a veder ch'io l'ho a tener per me.

ARTEMISIA

Dunque il fatto è concluso?

SIMONA

Noi siam d'accordo, datemi la mano.

ARTEMISIA

Ecco data la mano.

SIMONA

Oh che presenza.

Tant'è la vo' per me.

Per questa volta Ciro avrà pazienza.

ARTEMISIA

Orsù trovate Trespolo, e ritornate insieme

per dar l'ultima mano ai miei sponsali.

(le dà un anello)

Questo fra tanto sia

un segno dell'affetto,

ch'incatenata tien l'anima mia,

e serva questo a rammentar l'amore

a quella man' che m'ha legato il core.

(in casa)

Scena terza

Simona.

La dice il vero, e non mi dà la baia,

oh chi m'avessi detto

ch'io avessi a pigliar moglie in mia vecchiaia.

Ora sì

ho pietà

di chi stava notte, e dì

a veder questa beltà.

A quanti

miei amanti,

ch'io davo tormento!

Ora sì ch'io me ne pento.

Questo anello

gli è pur bello,

poh guardate che fattura!

Tant'è questa ragazza

m'ha cera d'esser di buona natura.

Scena quarta

Ciro.

Quant'è falso, che faccia l'amore

frenetico un cuore

col proprio velen!

È ben pazzo chi crede, che sia

la nostra pazzia

quand'è 'l nostro ben.

Ed io lo so, che tosto,

ch'in Artemisia il guardo mio fissai

dalle confuse idee l'alma purgai.

Oh quante grazie

nobile elleboro

delle nostr'anime

amor ti do

unico antidoto,

dolce rimedio,

che render lucida

la mente può.

È amor nel nostro seno

medicina dell'alme, e non veleno.

Scena quinta

Nino.

Oh quanti soli, oh quanti soli

oh quanti soli, oh quanti sol, sol.

Che volevo dir io?

Ah sì sì, quanti soli,

quanti soli vegg'io,

oh quanti sì, ma non ci vedo il mio.

Ma che strano vapore

mi conturba la mente, offusca il cuore!

Ah sì sì, gli è ben quello.

Ho perduto il cervello,

così sta

vedi Astolfo, vedilo là,

che nella luna lo va cercando

per riportarlo in qua con quel d'Orlando.

Astolfo che fai

che cerchi lassù?

Ritorna quaggiù,

perché non si può

trovar il mio cervel sopra la luna,

se fu il mio sole quel che lo rubò.

Che sole! E che diss'io?

Il mio cervel nel fiume è dell'oblio.

Oblio che lento, e tacito

bendi le piaghe al cuore,

e a poco, a poco

v'ammorzi il foco,

che con face crudel accende amore.

Le mie fiamme segrete

spargi d'acqua di Lete

né svegli in me gl'addormentati affanni

cantava sul bi molle un barbagianni.

Ma perché sì perplesso

amor mi fa scordar sì di me stesso?

E pensando all'infida

non so ancor s'io mi pianga, o s'io mi rida?

Ah, ah, ah, gl'è meglio ridere.

Così è.

S'arte mi sia non vuol me,

non però mi vogl'uccidere.

Ah, ah, ah, gl'è meglio ridere.

Ahimè gli è meglio piangere.

Come mai,

potrò viver senza guai

se quel cor non si può frangere?

Ahimè gli è meglio piangere.

Su dunque fuggite

correte, correte,

che pericolo temete

danneggiarvi tutti quanti.

Già che presto vederete

sgorgar da questi lumi un mar di pianti.

Scena sesta

Trespolo, e Despina.

TRESPOLO

All'un ora ceniamo

è 'n manco tempo ch'io non te l'ho detto.

Artemisia si spoglia, e va nel letto.

DESPINA

E allora ch'ho da fare?

TRESPOLO

Io lascerò l'uscio di dietro aperto,

e come son due ore

t'hai da venire, spingere, ed entrare.

DESPINA

Ma nell'uscir di casa,

mia madre sentirà.

TRESPOLO

E tua madre è d'accordo, e già lo sa.

Ora tu intendi come hai da fare.

DESPINA

Non c'è che dir non mi ci so arrecare.

TRESPOLO

S'io t'ho a esser marito

a che far la ritrosa?

DESPINA

Però dunque a che fine

s'ha da far così al buio questa cosa?

TRESPOLO

Le donne son pur matte:

anzi tutte le cose

del matrimonio al buio vanno fatte.

Io ti dirò, Artemisia

non vuol, ch'io pigli moglie,

et io acciocché lei non se n'avvegga

mi son però disposto

a veder di pigliarla di nascosto.

DESPINA

Bene, ma questo affare

a lei che gl'ha a importare?

No qualcosa c'è sotto

non può esser di no.

TRESPOLO

Quel che poi s'abbia sotto io non lo so.

Basta verrai?

DESPINA

Verrò.

TRESPOLO

A due ore sii qui

DESPINA

Alle due ore, ho detto pur di sì.

(parte)

Scena settima

Trespolo, e Simona.

TRESPOLO

Finalmente chi vuole una persona

basta averla nel capo;

ecc'appunto Simona.

Or che dice Artemisia

s'è alfin saputa dichiarare?

SIMONA

Ora non ce n'è più da dubitare.

Ma sentitemi; l'è

sì bella, vaga, graziosa, e scaltra

ch'io la vo' tor per me,

e se Ciro la vuol, ne pigli un'altra.

TRESPOLO

Tanto che v'è garbata?

SIMONA

Anzi di più son stata regalata.

TRESPOLO

E che cosa v'ha dato?

Di che v'ha regalato?

SIMONA

M'ha dato questo anello,

guardate come luccica, è pur bello,

di che oro sarà?

TRESPOLO

Oh, dal lume che fa,

secondo il mio parere,

gli è di lucerna, o gli è di candeliere..

SIMONA

Ed io, perché a Despina

vi possiate sposare

ve lo voglio donare.

TRESPOLO

Questo lo piglierò, ma del resto Despina

la vo' tor come l'è.

SIMONA

La dote d'Artemisia poi quant'è?

TRESPOLO

Suo padre gliela dà nel testamento.

SIMONA

Bisogna pur vederlo,

per saper prima s'io me ne contento.

TRESPOLO

Aspettate costì,

ch'adesso adesso ve lo porto qui.

Scena ottava

Simona.

Insomma io vo' arricchirmici,

che, diavol, sarà mai,

so che la parrà dura,

ma alla fin non ci va,

altro che perder la manifattura.

Parrà stravaganza,

ma certo non è;

s'ell'è ne' vestiti,

o dunque perché

non è nei matrimoni anco l'usanza?

Scena nona

Trespolo, Simona, e Ciro, che sopraggiunge.

TRESPOLO

Eccovi il testamento.

CIRO

Balia v'ho da parlar di certi affari.

TRESPOLO

Gli è pur che scritto ladro!

SIMONA

È scritto di notari.

Veng'or or ho da fare.

TRESPOLO

Questo non fa per noi lo vo' saltare.

CIRO

Il mio fratel non può.

SIMONA

Eh sì sì, già lo so.

CIRO

Egl'è finit'affatto d'impazzare.

SIMONA

Oh s'egli è pazzo fatelo legare.

TRESPOLO

Questi qui son legati.

SIMONA

E son tutti adempiti?

TRESPOLO

Certo. Feci legar tutte le viti,

poi legar il bestiame,

e quel che più a badar hanno i tutori

feci legar dai birri i debitori.

Quanto ai legati fu 'l primo pensiero.

SIMONA

Capperi, fusti puntual davvero.

CIRO

Quando vogliam noi dir ch'abbia a guarire?

SIMONA

E chi meglio di voi ce lo può dire?

Quando poc'ore fa

non facev'altro che bestialità?

Cercate della dote?

CIRO

Che foglio è questo qui?

SIMONA

È un testamento.

CIRO

Testamento di chi?

SIMONA

Del padre d'Artemisia, che morì.

CIRO

Ho gusto appunto anch'io d'udirlo leggere.

SIMONA

Voi ci potrete frattanto correggere.

TRESPOLO

Oh cominciamo. In omni.

SIMONA

Oh pian piano, non è

del padre d'Artemisia il testamento o?

TRESPOLO

Già ve l'ho detto, e cento,

del padre così è.

SIMONA

Oh l'orco che v'assonni.

Dunque se gli è del padre

c'han da fare i nonni?

CIRO

Voi l'avevi a finire

in omnibus ha a dire.

TRESPOLO

Anch'io fin qui c'arrivo,

se voi mi davi tempo io lo finivo.

CIRO

Ma va letta così.

TRESPOLO

Ormai l'è fatta. O comincia di qui.

«Et si liberos mascules non habet»,

e se liberi i muscoli non ha,

che appunto fu così

per che subito morto intirizzì.

«Et si liberos masculos non habet».

CIRO

E se figlioli maschi egli non ha,

TRESPOLO

«Artemisia fit heres»,

Artemisia si terrà,

«ex asse, dos autem»

facciam la costruzione

«ex asse autem dos»

da sei asse alte addosso.

CIRO

Or sì ch'il riso più tener non posso.

TRESPOLO

Dite, e di che ridete?

CIRO

Io rido, per che voi non l'intendete,

che vuol dire quel costrutto,

che Artemisia erede sia del tutto.

Ma voi guastate il sunto,

perché a quel "dos", non vi mettete il punto.

Il qual poi messo lì

fa mutar senso, e lo fa dir così.

«Dos autem eius fis sextans totius.»

Ma, la sua dote sia

TRESPOLO

Lasciate dir a me, ch'è parte mia

diavol, ch'io non l'accozzi,

ma la sua dote sia sextans totius.

Di sei staia di tozzi.

SIMONA

E che diascol dirà?

TRESPOLO

Dico come la sta.

SIMONA

Ha da dir, come dich'io.

Sextans, sei stanze,

sotius, di quelle, che lasciò 'l suo zio.

Così va detta, e questo è il parer mio.

CIRO

Ma la sua dote sia sextans totius,

interpretata va

la sesta parte dell'eredità.

SIMONA

La sesta parte eh?

CIRO

Sì.

TRESPOLO

Vi par che metta poco il testamento?

SIMONA

No, no me ne contento.

CIRO

Mi contento? Di che?

TRESPOLO

Egli è un negozio, ch'è fra lei, e me.

CIRO

«At tutor teneatur, et debeat.»

SIMONA

Così non può mai dire.

TRESPOLO

Come? E perché?

SIMONA

Perché vuol inserire,

tutor atteneatur

cioè che sia il tutore attanagliato,

ch'è un brutto modo di tirar le cuoia,

e tanto più debeat, cioè dal boia.

TRESPOLO

Oh furfante briccone!

Sbudellato ben lui sia da Plutone.

CIRO

«At tutor teneatur»,

(deponete il furore)

ma sia tenuto, e deva il suo tutore,

così va definito.

«Dare ei virum», dare a lei un marito.

«Ad illius satisfactionem.»

TRESPOLO

Intendo che gli dia satisfazione.

SIMONA

Questo di già si sa.

TRESPOLO

L'animo non so poi se ve ne dà.

SIMONA

Almen mi proverò.

CIRO

Vi proverete a che?

TRESPOLO

Egli è un negozio, ch'è fra lei, e me.

Basta noi siam d'accordo.

SIMONA

Sarà com'ho dett'io.

TRESPOLO

Datemi il testamento?

CIRO

Eccolo.

TRESPOLO, CIRO E SIMONA

Addio.

Scena decima

Ciro solo.

Che cosa mai fra loro

posson aver costoro?

Dunque Ciro

mai respiro

aver deve, iniquo amore,

ch'appena acquisto il senno, io perdo il core?

Dunque mai

riderai

s'or il core, or il cervello

pianger devo in me stesso, o nel fratello?

Martiri

non più;

oppresso cadrò,

che questo mio core

resister non può

al tanto rigor

ch'opposto gli fu.

Martiri

non più.

Scena undicesima

Despina, e Ciro.

DESPINA

Oh signor appunto io vi cercavo.

CIRO

Mi cercavi? E perché?

DESPINA

Per una bella cosa:

Trespolo, con mia madre

stasera son d'accordo ch'io sia sposa.

CIRO

Senza dirmene nulla?

DESPINA

Ma il più bello poi è,

ch'io devo andar da lui, non lui da me.

CIRO

Questo com'esser può?

DESPINA

L'è come vi dirò.

Trespolo non può uscire, onde alle dui

ho per l'uscio di dietro a' andar da lui.

CIRO

Ma tanta quiete a che?

DESPINA

O vi dirò per che,

che Trespolo s'accasi

la signora Artemisia non vorrebbe,

e dubitan, che lei l'impedirebbe.

CIRO

Ma tu ch'hai risoluto?

DESPINA

Finsi d'accontentarvi,

per quiete di mia madre, e vostro aiuto.

CIRO

Favore a me più grato,

e di miglior proposito non v'è,

taci Despina, e lascia fare a me.

Scena dodicesima

Trespolo.

Voglio entrarmene in casa,

perch'io son rifinito,

che già gli è tardi, e mi sent'appetito.

Che musica bella

mi fann'a due voci

la fame, e l'amore!

Lui suona 'l mio core,

e lei le budella.

Che musica bella.

Scena tredicesima

Artemisia, e Trespolo.

ARTEMISIA

Molto tardi tornate.

Ma la balia dov'è?

TRESPOLO

Capperi, voi ci siate.

Senza la balia non può stare in piè.

ARTEMISIA

Dite quanto può stare?

TRESPOLO

Ohimè non può venir, per ch'ha da fare.

Pur alla fin v'intesi.

ARTEMISIA

Grazie ne rendo a voi numi cortesi.

TRESPOLO

C'è voluto che fare,

a farvi dichiarare.

ARTEMISIA

Oh dio! Questo rossore

m'annodava la lingua,

che non potea dir la passion del core.

TRESPOLO

Ma lei m'ha pur contato

d'avervelo levato.

ARTEMISIA

È ver mi sollevò.

Ma non da tutto il mal mi liberò.

Quanto pensaste bene

per levarvi di pene

di mandarla da me?

TRESPOLO

Oh sentite ch'amore? Oh questa c'è?

ARTEMISIA

Ma l'anel che li diedi?

E come vi gradì?

TRESPOLO

Capperi se mi piacque! Eccolo qui.

ARTEMISIA

Basta che presto si concluderà.

TRESPOLO

Con la pazienza il tutto si farà.

ARTEMISIA

E me n'assicurate?

TRESPOLO

Certo, non dubitate,

non vi date pensiero.

Canchero c'è davvero.

ARTEMISIA

La balia finalmente

è pur donna gentile, è pur trattabile.

TRESPOLO

Quant'a questo gli è pur vero.

L'è di natura molto maneggiabile.

Ma sarà meglio, che n'andiamo a cena

per discorrer d'amore a pancia piena.

ARTEMISIA

Andiam dove vi pare.

TRESPOLO

Alle due ore quanto c'è che fare?

ARTEMISIA

L'una poc'anzi c'è battuta lì.

TRESPOLO

Crediam noi che quest'altra

vogli esser lunga quanto questa qui?

Orsù andiancene in casa,

ho, ch'abbiate un gran sonno.

ARTEMISIA

Tant'è vero, ch'a pena

più queste luci mie regger si ponno.

(in casa)

TRESPOLO

Venite due ore,

perché più vicina

mi possa Despina

cavare l'umore.

Venite due ore.

Ogni mosca col suo volo

mi fa subito fermare,

che mi pare

ogni cosa un orivolo;

applicato

tengo il fiato

per sentir se son sonate.

Oh due ore quanto state!

Scena quattordicesima

Nino, e Ciro.

NINO E CIRO

Chi non sa cosa si sia...

NINO

Orridezza...

CIRO

Gentilezza...

NINO

Tirannia...

CIRO

E cortesia...

NINO E CIRO

Venga o dio venga da me

a veder la donna mia.

Insieme

NINO

Che mostro più crudel di lei non v'è.

CIRO

Che donna più gentil di lei non v'è.

NINO

Il negro Averno...

CIRO

Il cielo eterno...

NINO

Fosca voragine.

CIRO

Lucida immagine.

NINO

Dell'empietà...

CIRO

Della pietà...

Insieme

NINO

Mostro più perfido certo non ha.

CIRO

Stella più splendida certo non ha.

NINO E CIRO

Dal cielo scendino...

NINO

Fulmini asprissimi...

CIRO

Lampi bellissimi...

NINO

Per atterrirmela...

CIRO

Per abbellirmela...

Insieme

NINO

Mentre non temino quel suo rigor.

Venite dunque

venite venite

o voi tenebre gradite

a ricoprir gl'inganni.

CIRO

Che gl'abbi a vincere quel suo splendor.

Venite dunque

venite venite

o voi tenebre gradite

a secondar gl'inganni.

CIRO

Che già ch'amor lo vuole

in grembo della notte io tendo al sole.

NINO

A secondar gl'inganni,

che tende quell'infida agl'altrui danni.

CIRO

Ma già l'ora è vicina

ch'io devo entrar in vece di Despina,

di già la porta cede,

tenebrosa è la notte, e nessun vede.

Grand'amore

sii propizio ai miei desiri,

in martiri

non tener più questo cuore.

Grand'amore

sii propizio ai miei desiri.

Scena quindicesima

Nino solo.

Tarapà, tarapà, tarapà.

Alla guerra, alla guerra si va.

Tarapà, tarapà, tarapà.

Su su cavalieri

con armi, e destrieri

venite pur qua.

Tarapà, tarapà, tarapà.

Alla guerra, alla guerra si va.

Alla guerra d'amore,

per espugnar della mia cruda il core.

Vittoria, vittoria.

La piazza s'è presa,

s'è resa, s'è resa,

sì, sì l'espugnai:

s'è resa sì, ma più crudel che mai.

Ma già son lasso, ohimè

ho troppo combattuto,

non posso dal sudor più star in piè.

Quietati dunque o Nino

sì sì dormi infelice,

già ch'Artemisia m'addormenta, e dice...

Fa' la nanna Nino mio.

Dormi tu, ch'io dormo anch'io,

dormi pur, non ti dar pene,

ch'Artemisia ti vuol bene,

la si strugge, e si vien meno,

ti fa letto del suo seno.

Poi ti copre col bel viso

che dormir di paradiso,

che dolcezza ci sent'io!

Fa' la nanna Nino mio.

Ma non posso dormire,

ch'a turbarmi la quiete

mandon le furie sue Cocito, e Lete.

Ma dove dove andate?

Io son qui non fuggite.

Son tutte ritornate

alla reggia di Dite,

che men soffrir poterno

le pene del mio cor, che dell'inferno.

Ma se piegar non la potei co 'l pianto,

or a forza d'incanto

le vo' far ritornar da quegli orrori,

per ch'Artemisia ad onta sua m'adori.

Venghino in questo circolo

le furie più terribili,

ed i mostri più orribili

d'Averno.

Scatenisi l'inferno,

ripassi pur Caronte,

di qua dal Flegetonte

tutti i mostri.

Da quegl'orridi chiostri

Tantalo ed Ifione

venga a far paragone

ai miei tormenti.

E resi poi clementi

dai miei crudi martiri,

faccian che lei sospiri

al pianto mio.

Quel che v'è più di rio

venga a violentarla,

ed a necessitarla

ad adorarmi.

Ma che vedo? E Plutone,

Cerbero, e Gerione

son venuti all'incanto?

Eaco, e Radamanto,

seco è di qua Megera,

che sembianza severa!

Ecco Erinni, ecco Aletto!

M'amerà pur l'iniqua a suo dispetto.

Scena sedicesima

Artemisia con spada, Trespolo con spada, e candelliero, e Ciro.

ARTEMISIA

Quest'affronto? Questo a me?

Con sì fatta scortesia

su quest'ora in casa mia

tentar di por furtivamente il piè?

Quest'affronto? Questo a me?

TRESPOLO

O ve' che pazzo!

Entrarmi in casa

su le due ore,

senza rumore

senza schiamazzo.

O ve' che pazzo!

CIRO

Ma lasciatemi dire.

ARTEMISIA

E che direte mai?

CIRO

Dirò ch'io non v'entrai

con sinistra intenzione.

TRESPOLO

Se non urtavi in quello sgabellone

sull'uscio di cucina,

se n'avvedeva lei se l'intenzione

era dritta, o mancina.

CIRO

Per far veder l'intenzion mia non mala,

dirò, che l'onor mio qua m'ha portato.

TRESPOLO

Che l'avevi lasciato

sul tavolin di sala?

ARTEMISIA

E come il vostro onore?

CIRO

Questo vostro tutore

perseguita ogni dì la mia Despina.

A tal, che la meschina

fu importunata sì

che gli disse alle due di venir qui.

E lasciò per non essere scoperto

a questo fin l'uscio di dietro aperto,

io che sapevo il tutto,

per impedir sì fatta enormità,

per debito d'onor ne venni qua.

Per riprender Despina,

la qual trovata in fatto

non potesse negare il suo misfatto.

Questo è stato il motivo

del mio presente arrivo

per zelo sol del mio, del vostro onore,

che cerca d'infamar questo tutore.

Ma s'egli non desiste

da questa enormità

gli farò ben lo sdegno mio provare.

(La seppi pur a tempo ritrovare.)

(via)

Scena diciassettesima

Trespolo, e Artemisia.

ARTEMISIA

Voi sentite

quel che fate.

Or che dite?

Che pensate?

Discolparvi? Questo è

dunque l'onor, che voi portate a me?

Misero genitore

se vedessi il rispetto

che porta alla tua figlia il suo tutore?

Ah se visibile

fosse dall'Erebo,

quest'indicibile

infamità,

vedresti sorgere

quell'alma nobile,

per più non scorgere

tant'empietà.

TRESPOLO

Ma...

ARTEMISIA

Tacete, che ma?

Ed anco potete

aver tanto ardire

ch'in fin pretendete

voler ricoprire

la vostra empietà?

Tacete, che ma?

TRESPOLO

Non voglio...

ARTEMISIA

E che non volete

risorger un dì?

Che sempre così

melenso sarete?

E che non volete

risorger un dì?

TRESPOLO

La moglie...

ARTEMISIA

Quietatevi lì.

Che si deve prender moglie,

ch'in onor, ed in denari

sia sua pari

non conforme alle sue voglie,

in palese, e non così.

Quietatevi lì.

TRESPOLO

E pigliare...

ARTEMISIA

Pigliar, così è.

Si deve una tale

di nascita eguale,

e simil a sé,

non che vi sia di gran disuguaglianza.

(qui Artemisia dà a caso nella candela, e la fa cadere, e la spegne)

ARTEMISIA

Deh lasciate ormai quest'ignoranza,

che la mente vi turba, e v'affascina.

TRESPOLO

Adesso vado a accenderlo in cucina.

ARTEMISIA

Deh conoscete un dì

l'affetto di colei,

che vi vuol fin che muoia

per suo cuor, per suo vezzo, e per sua gioia.

Scena diciottesima

Ciro, e Artemisia.

CIRO

Con chi parla Artemisia a questo oscuro?

ARTEMISIA

E pur sarò forzata

con chiare note a discoprirmi amante

già che segno nessun mai fu bastante.

CIRO

A chi dire?

ARTEMISIA

A chi dico? A voi crudele,

che, spietato,

disprezzato

sempr'avet'il mio duol, le mie querele.

A chi dico? A voi crudele.

CIRO

Dite a me?

ARTEMISIA

A voi dico sì,

di notte l'ardore

qua ebbi in orrore

d'esprimervi il dì.

A voi dico sì.

CIRO

Ma...

ARTEMISIA

Che ma? O dio!

E dubitate ancora

di dar corrispondenza a chi v'adora?

Ingrato, e tacete?

E ancor dubitate.

E ancor riflettete,

se pur voi deviate

voltate l'amore

ad una, o dio, che v'ha donato il core?

CIRO

Sì, ma...

ARTEMISIA

Che ma? O dio!

Non vuole, un vero amor esser ristretto

non va condizionato un vero affetto;

ed amar non volete

senz'altra condizione

chi per il vostro amor tanto languì?

Non volete esser mio? Ditelo.

CIRO

Sì.

ARTEMISIA

Andiam dunque a fermare

il matrimonio in guisa,

che non si possa poi più ritrattare.

Pur alfin si dileguò

quella folle stolidezza,

che sì barbara amarezza

a quest'anima portò,

ed a mille martir la tenne esposta.

CIRO

O stolidezza a tempo inver deposta.

Scena diciannovesima

Simona sola.

Il tutto è ormai imbrogliato,

Nino è di già impazzato,

e Ciro è rinsavito,

e Despina a quest'ora

dev'esser sulla grossa col marito,

solamente a me tocca

a star in casa a dimenar la rocca.

Non occorre pensar più,

per esser amata,

e vagheggiata

la vuol esser gioventù.

Non occorre pensar più.

O fior di gioventù dove sei ito?

Mancon i denti, e cresce l'appetito.

Scena ventesima

Trespolo, Simona, Artemisia, e Ciro.

TRESPOLO

Terra via, terra via.

Veh se l'ha fatta destra,

ci vogliam noi giocare o signor cane,

ch'io vi chiappo la coda,

e ch'io vi tiro fuor della finestra?

SIMONA

Che stravaganze strane:

non so quel ch'io mi tresco

Trespolo grida al cane,

quando gli avrebbe a esser in gattesco.

CIRO

Quietatevi, perché

la signora Artemisia è già mia moglie,

e rimedio non v'è.

TRESPOLO

La mi par molto dura:

da quando in qua le mogli

si piglian da per sé,

che son forse cavalli da vettura?

CIRO

Insidiata non l'ho,

fu lei, che mi chiamò

con il nome di sposo,

né io ho ricusato

un tanto ben, che m'ha concesso il fato.

SIMONA

Artemisia sua sposa!

Oh s'egli è vero questo

la sarà sposa mia questo bisesto.

ARTEMISIA

Dunque se volle il fato,

con aver io cambiato,

darmi un altro consorte,

si taccia il pazzo amore

del mio proprio tutore,

e si faccia il mio cuor cangiar di sorte,

così si salverà,

e l'onorevolezza, e l'onestà.

TRESPOLO

Che dite? Che parlate

così sopra pensiero?

Ditela, è ver quel che m'ha detto?

ARTEMISIA

È vero.

TRESPOLO

E verissim'ancor voglio che sia,

che la vostra Despina resti mia.

CIRO

E vostra resterà

ma ditemi, che fa

il mio misero Nino, il mio fratello?

SIMONA

Ha finito di perder il cervello.

CIRO

Grand'infelicità,

che la bella ragione,

che dagli altri animal vari ci fa,

sia così sottoposta a una passione!

Dunque amore

ogni core,

ogni gran mente

può far pazzo, e far prudente.

Ed ha per destino

un cieco, un bambino

di toglier, e di dar la cecità.

Grand'infelicità!

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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