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Al fiero mio tormento

par che pianga il ruscel, languisca il fiore.

Alma mia, fra tanti affanni

a che giova il lagrimar?

Dopo l'impeto de' pianti

ci mostriamo più costanti,

e si pensi anco a regnar.

Reina, egli è ben giusto il tuo dolore,

se perdi in un momento e regno, e sposo.

Fabbro è ognun di sua sorte: io già che seppi

il diadema acquistar, saprò serbarlo.

Nobil, ma vana speme.

Di questo cielo i fermi poli.

Pria che fossi reina,

sai che per me avvampar Sivenio e Cino.

Il foco

cercò sfera maggior; nel re mio sposo

alzò la fiamma e dilatò la vampa.

Che pro? Rompono l'armi

il nodo maritale.

Ed in un punto

vergine, sposa, vedova già sono.

A lasciar già vicina,

asceso appena, è mal gustato il trono.

Lasciar il trono? Ah, pria

mi si strappi dal sen l'alma e la vita.

Caro Teuzzon, perdona

se t'insidio l'onor della corona.

Qual pietà, qual affetto!

Amo Teuzzone; il cielo,

che ben vedea quanto l'amassi, intatta

mi toglie al padre e mi preserva al figlio.

Strano amor!

Vuò regnar per regnar seco,

vuò ch'egli abbia il diadema

da me, non dal suo sangue, e a me frattanto

servan le fiamme altrui. Cino s'inganni,

Sivenio si lusinghi,

e per regnar tutto si tenti alfine;

l'amante in braccio e la corona al crine.

Come suol la navicella

tra le Sirti e la procella

sospirar l'amato lido,

tal si lagna il tuo bel cor.

Gran nocchiero è il dio di Gnido,

ma nel mare della speme

a fugar l'aure serene

move i nembi reo timor.

(Cominci da costui l'opra e l'inganno.)

Nel regio sposo, o duce,

molto perdei. Pur, se convien ne' mali

temprar le pene e raddolcir il pianto,

sol col mio re, non mio consorte ancora,

una fiamma s'è spenta

ch'illustre mi rendea, ma non contenta.

I miei voti seconda, e tua mi giuro.

Serbami un trono

che il ciel mi diede, e non soffrir, se m'ami,

che abbietta io serva, ove regnai sovrana.

Altri m'abbi regina,

tu m'abbi sposa. A che tacer? Che pensi?

Quai sien queste?

Egli arde

per me d'amore.

L'odio dunque l'irriti.

Mal può, perché ben ama,

gli affetti simular l'anima mia.

Fingasi, se ti piace; e tu con Cino

primo l'opra disponi, offri, prometti.

Io, poco avvezza, intanto

seguirò l'arti; ma te sol, mio caro,

tutta fida, amorosa,

sposo e re abbraccerò, regina e sposa.

Tu, mio vezzoso,

diletto sposo,

mi sii fedele,

e son contenta.

Mio sia quel core,

e del nemico

destin crudele

l'ira e il furore

non mi spaventa.

O sposo, o dolce

di quest'alma fedele unica speme;

o felice momento

che dilegui il mio affanno e il mio spavento.

Ma qual dolor v'ha, che non lascia intero

alla tua gioia il corso?

Del tuo duol degno è il padre.

Io, se v'assenti, ad ogni sguardo ignota

ne osserverò la strana pompa e 'l rito.

Eh, Teuzzone;

tutto, tutto il mio orgoglio

è regnar sul tuo cor, non sul tuo soglio.

Io vi getto l'amare

memorie del mio amore.

Io d'oro...

...e il sacrificio onoro.

(piano, a Sivenio)

Ma te non turbi intanto

un geloso timor. Già sai ch'io fingo.

Cino, l'amor, con cui m'è gloria al fine

ricompensar tua fede,

io non vorrei che interpretassi a fasto.

Ragion mi move ad accettar la destra

che mi ferma sul trono.

Godrò d'esser regina

per esser tua. Da quel poter, cui piacque

innalzarmi agli dèi,

cader senza tua colpa io non potrei.

Oh, come dolce allora

fia l'abbracciarti!

(piano, a Sivenio)

È tutto inganno, il sai.

Più non s'indugi; andiamo, o prence, e svelto

cada di mano al fier Teuzzon lo scettro.

(E due cori così prendo ad un laccio.)

(a Cino)

Sarò tua, regina e sposa.

(a Sivenio)

Non temere, ch'io l'inganno.

(So ben io qual fa per me.)

(a Cino)

Ama pur, bocca amorosa...

(a Sivenio)

Sebben fingo, io non l'adoro...

(Ma se fingo so perché.)

Udiste, o cieli, udiste; e che far posso,

donna sola e straniera in tal periglio?

Suggeritemi, o dèi, forza e consiglio.

Per non solite vie tentar conviene

la comune salute.

Miei fidi, si taccia

la sorte mia; voi nella reggia il passo,

cauti e occulti v'aprite. Ove fia d'uopo,

al vostro braccio avrò ricorso. Argonte

solo mi segua ove m'inspira il cielo,

e verran meco ardir, costanza e zelo.

La timida cervetta,

che fugge il cacciator,

va errando per timor

per la foresta.

Tal io colma d'affanni,

in mezzo a tanti inganni

errando vado ognor,

confusa dal timor

che il sen m'infesta.

Alma bella che vedi il mio core,

sarà eterna la fé che prometto.

Cinesi, i re temuti

non fa il sesso, ma il core.

Norma delle mie leggi

sarà il pubblico bene. A' vostri sonni

veglieran le mie cure;

pia, giusta, e tale insomma

che non abbia a pentirsi

del suo amor, di sua scelta, il re mio sposo.

Cercherò sol nel vostro il mio riposo.

Magnanimi pensieri!

Sieguo l'invito, e l'umil bacio imprimo.

S'uccida?

O dèi!

Regina,

vacilla il tuo destin s'egli non cade.

Fermate, iniqui, e non osate a' danni

del vostro re volger le spade e l'ire.

E tu, donna, se brami

regnar felice, or non voler che il regno

da una colpa cominci.

(Che volto!)

Tal sono,

che risponder non degno ad uom sì iniquo.

Guardami, e temi

d'offender nel mio seno

le deità più sacre. Io, che ad Amida

son vergine diletta,

tutto so, tutto vedo, e l'opra mia

quasi raggio del sol vien di là sopra.

Sivenio, il cielo

mai non si tenti, e in chi i doni ne vanta

si rispetti l'audacia anche del vanto.

Vanne, ed a me costanti

tu del campo fedel conferma i voti.

Della reggia in difesa

Egaro vegli. Cino,

tu osserva il prence, e quanto

egli tenta previeni; indi le pompe

di questo giorno a noi sì sacro, in cui

nacque col maggio il mondo,

sia tua cura dispor. La comun pace

e me stessa confido al vostro affetto.

Ubbidirò qual deggio.

Sivenio, in te confido

la più forte ragion di mie speranze,

ché quanto caro sei, tanto sei fido.

Tu, s'egli è ver che tanto

giungi addentro ne' cori, e tanto vedi,

chiaro saprai s'altro più tema il mio

che di Teuzzon la morte e la ruina.

Regna sovra i tuoi sensi, e sei regina.

Ah, che dentro di noi

freme il nostro tiranno.

Ragione imperi, ed il tiranno è vinto.

Impotente ragion!

Sì, dove il cieco

desio di dominar regge a sua voglia.

O il tutto non intendi, o il peggio taci

di mia viltà.

Quando gli errori in parte

dissimulo d'un core,

assolvo il volto tuo da un gran rossore.

Ah, sii pietosa, o donna,

come sei saggia: vanne,

va', te n' priego, a Teuzzon; digli che alfine

l'ire deponga, digli

che non ricusi in dono

ciò che in retaggio ei chiede.

Regni, ma per me regni, e l'abbia a grado.

Che?

Renda...

Siegui!

Amor, Zidiana, il regno.

Ohimè...

Taci e sospiri?

(O silenzio, o sospiro

vergognoso e loquace!

Va', digli... Ah, che assai dissi!

S'intende un cor, quando sospira e tace.)

Mio core, io non m'inganno; una rivale

scopro nella regina,

né mai con pace una rival si trova.

Ma non sarei sì amante

se non fossi gelosa. In traccia io vado

del mio Teuzzon. Lontano

dai cari lacci onde m'avvinse amore

non sa vivere il core.

Ti sento, sì ti sento

a palpitarmi in sen,

speranza lusinghiera.

E dice al mesto cor:

qual rapido balen

cangerà il tuo martor;

costante spera.

Ove, o prence, fra l'armi?

Senza me dove, o sposo?

Ferma, ché se vuoi regno io te l'arreco;

se morte, ho core anch'io per morir teco.

Qual trionfi t'infingi,

debole, e contro tanti?

Non è ceder vendette il maturarle.

Egli è più da temer, ché alla vittoria

se non giova la forza, usa l'inganno.

Non sempre

la parte ch'è più giusta è la più forte.

Morte vuoi? Vanne pur, crudele, oh dèi!

Ma signor, poiché nulla

ti rimuove dall'armi, almen permetti

che anche pugnino teco

i Tartari miei fidi e pugni Argonte;

e fra i rischi e le stragi

fida ti seguirà la tua Zelinda.

Su, mi si rechi elmo, lorica e brando.

Per soffrir l'armi e per vibrarle in campo

avrò vigore anch'io,

o prenderlo saprò dall'amor mio.

E mi credi sì vil, che alla tua tomba

sopravviver potessi?

Il cor si spezza.

Mio caro, ah! Non fia questo,

cieli, se v'è pietà, l'ultimo amplesso.

Parte il mio sposo? Oh dio!

Io più no 'l rivedrò? Già d'ogni intorno

mi s'affollano orrori. Udir già parmi

il fiero suon dell'armi:

miro l'ire, le stragi, e miro - oh dio! -

tutto piaghe languir l'amato bene.

Teuzzon, ferma; deh, ferma!

Dove vai? Dove sei?

Deh, ti movi a pietà de' pianti miei.

Un'aura lusinghiera

mi va dicendo: spera,

ché forse tornerà

la calma al core.

Talor d'iniqua sorte

contro d'un petto forte

non val la crudeltà

d'empio rigore.

Teuzzon vuol armi ed ire? All'ire, all'armi!

Questa è forse la via

di piacere al crudel: l'esser crudele.

Miei fidi, ite là, dove

più feroce è la pugna.

Teuzzon cercate, in lui volgete i passi;

piagatelo, uccidetelo... Ah no, tanto

viver se li consenta,

ch'io giunga a dirli ingrato, ed ei mi senta.

Regina, a te mi guida...

Dimmi, piace all'ingrato

forse più del mio scettro e del mio core

il cimento e l'orrore?

Che le dirò?

Libera parla, esponi

com'ei ti ricevé, che fe', che disse?

Non tacer ciò che serve ad irritarmi.

Teuzzon...

...vuol armi ed ire? All'ire, all'armi!

Non ascolta ragion sdegno ch'è cieco.

Il tuo sia da regina: odimi, e poi

serba l'ire, se puoi.

Tuoi detti attendo.

(Giovi il mentir.)

Per tuo comando, in traccia

fui di Teuzzon, ma giunsi

ch'era accesa la mischia, e il vidi - ahi! - tinto

non so se del suo sangue, o dell'altrui.

Né gli esponesti allora...

Come potea vergine imbelle aprirsi

fra le stragi il sentier? Parlar d'amore

ove Marte fremea? Misero prence!

Cinto il lasciai di cento ferri e cento,

oggetto di pietade e di spavento.

Mia sovrana, ai tuoi voti

propizio è il cielo; or sei regina, hai vinto.

Ma del prence che avvenne?

Che di Teuzzon?

Morto egli è forse?

Ei vive,

ma volte in lui l'armi, le forze e l'ire,

gli tolgon le difese, e non l'ardire.

Cadrà se tardi... Ah, no 'l soffrir...

Vi sento,

teneri affetti. Egaro,

va', riedi al campo, i cenni miei vi reca:

salvisi il prence, e basti

ch'ei prigioniero al mio poter si renda;

così pietà m'impone.

(piano a Zidiana)

E non amore?

(piano ad Egaro)

Tu l'arcano ne sai, salva il mio core.

Parto veloce.

Amica,

qual pietà per Teuzzon, qual turbamento?

Nella sua morte il tuo dolor pavento.

E credi tu che al fine

ceda l'alma orgogliosa a' miei desiri?

Vuoi ch'io libera parli e senza inganno?

Sì, te n' priego.

Il suo core

non è facil trofeo, Zelinda il tiene;

Zelinda, a cui gran tempo

diè nel tartaro ciel fede di sposa.

E sprezzata sarò per altra amante?

Lo vinceranno i tuoi

favori eccelsi e il suo destin presente;

non disperare: amore

per sentiero di pene

guida i seguaci suoi,

e quanto più bramato,

tanto è più grato ancor d'un core il dono.

(Se mi tradisce, ahi! che di morte io sono.)

Sospese il tuo comando

a' tuoi guerrieri in su la man feroce

la morte di Teuzzon; l'hai prigioniero.

Ma troppo importa il far ch'ei cada estinto

a Sivenio ed a Cino.

È in balia del mio amore il suo destino.

Va', tu ne sii custode,

e dall'odio il difendi e dalla frode.

La gloria del tuo sangue

vedo che oppressa langue

d'una morte all'orror

aspra e spietata.

Forse pietoso amore

donerà calma al core,

se ti mostri costante

e non ingrata.

Mercé al vostro valor, che su la fronte

mi fermò la corona, oggi alla mia

felicità nulla più manca, o duci.

La testa sua?

Fregio della vittoria è la clemenza.

Lui prigionier temer si dée?

Orsù, mi rendo: mora,

mora Teuzzon, ma giusta sembri al regno

la man che lo condanna:

le sue colpe all'esame

pongansi omai; legge le pesi, e dia

la sentenza fatal ragion, non odio.

Giudici voi ne siate, e il gran decreto

poi la destra real segni e soscriva.

(E amato viva.)

Generosa virtù!

M'accingo all'opra.

(Se no 'l salva l'amor...)

Condannato è, reina,

l'innocente amor tuo.

S'egli fia l'amor mio, sarà innocente.

Senza la tua pietà, morto il compiango.

Pietà si chiede? Ei me ne dia l'esempio.

Ma...

Qui è Sivenio.

(Scellerato ed empio.)

Contumace alle leggi,

ribelle alla corona,

è convinto Teuzzon.

Giusta sentenza!

(Traditor vassallo!)

Facciasi.

(O me infelice!)

Custodi, a me si rechi

onde il foglio vergar.

Dov'è il tuo amore?

Già stabilii ciò che far deggia il core.

Colà il deponi.

(Odo e non moro?)

Imprimerollo, e per Teuzzon saranno

i caratteri miei note di sangue.

(Alma, non v'è più speme.)

(va al tavolino e prende la sentenza)

Sì.

Ma...

Non è tempo ancora.

(depone la sentenza sul tavolino)

(Respiro.)

Vanne; pria che il dì cada

il foglio segnerò. Chi siede in trono

questa aver puote autorità sui rei.

Va', già intendesti i sensi miei.

Arde Sivenio, e tollerarlo è forza.

E Cino ancora è fra i delusi amanti.

Lusingarlo a me giova.

(E a me saperlo.)

Ma del caro tuo prence?

Qui mi si guidi, e ne sia scorta Egaro

per le vie più segrete.

Che far risolvi?

Ei sia,

in così avversa sorte,

arbitro di sua vita e di sua morte.

Tu là ascosa sarai,

testimon de' suoi sensi.

(Ahimè, perduto

ho il caro ben.)

Che pensi?

Forse ti spiace, o pur disperi - o dio! -

ch'io possa trionfar dell'amor mio?

Guarda in quest'occhi, e senti

ciò che ti dice il cor.

Se ben il labbro tace,

il core, ch'è loquace,

geme pe 'l tuo dolor.

Due seggi qui.

Reina, eccoti il prence.

Seco mi lascia, e ad ogni passo intanto

si divieti l'ingresso... O dèi, t'arresta.

Egaro... Ahi, qual rossore?

O d'amar lascia, o ardisci; ché a chi perde

un felice momento,

non resta del piacer che il pentimento.

S'ami dunque, e s'ardisca.

Io tua nemica? Fammi

più di giustizia. A tuo sollievo stendo

la stessa man da cui ti credi oppresso.

E pur, se no 'l ricusi,

al tuo, che ora è mio, trono il ciel ti chiama.

Non ti sia grave, o prence,

meco seder.

(Ma donde

muoverò i primi assalti?

Parlar deve a quell'alma

la regina o l'amante?

La lusinga o il terror?)

Senza colpa del labbro

vorrei, Teuzzon, vorrei

che intender tu potessi

il linguaggio del cor ne gl'occhi miei.

Mira più attento

de' lumi il turbamento,

e intenderai che d'amor peno e moro.

Morto il mio sposo? Ah no, ch'egli in te vive,

e lo vedo, e li parlo, e ancor l'adoro.

Sì, ancor l'adoro! Ma più bel, ma degno

più degli affetti miei,

giovane, amabil, fiero; e quel tu sei.

E amando in te ciò che di lui ci resta

in che, dimmi, l'offendo? E' tanto eccesso

che sia amante del figlio

chi del padre fu sposa, e non mai moglie?

Caro amor mio...

Sì; altri sensi userò, ma quelli, ingrato,

che mi detta il dolor d'un tuo disprezzo.

Su, conosci, o crudel, dopo il mio amore

tutt'anco il mio furore.

Regina e vincitrice

ho ragione, ho poter sulla tua vita.

Vanne misero, e leggi,

leggi quel foglio, e vedi

qual mano irriti e quale amor disprezzi.

(Or mi sovvien. Zelinda è che mi rende

difficile trofeo quel cor che bramo.)

E solo manca il mio

nome a compir la capital sentenza.

Di', vuoi soglio o feretro?

Mi vuoi giudice o sposa?

Scegli, e pieghi il tuo fato

là dove piega il tuo voler. Risolvi:

qui te stesso condanna, o qui t'assolvi.

Cari soavi accenti,

conforto di quest'alma,

uscite pur da quel bel labbro, e in seno

d'amorosa speranza...

Sei pur ritroso. O dèi! Perché rubella

al tuo labbro è la man?

Amabile ti sembro,

idolo tuo m'appelli;

e non è questo un dir ch'io speri, o caro?

E parli a chi non t'ode?

Dove?

Quest'idea si cancelli.

Lo faccia,

se no 'l puote il mio amore, il tuo periglio.

Ne sarà prezzo il trono mio...

...il viver tuo...

...la tua innocenza.

Meglio ancor pensa, ancora

questo momento alla pietà si doni.

Fa tu la tua sentenza: o morte, o soglio.

T'ubbidirò, spietato, e sul quel foglio

scriverò le vendette.

(va al tavolino)

Ove ti porta

cieco furor?

Dove! Me 'l chiedi? L'ire

ei proverà d'una beltà schernita.

(scrive)

Scampo non veggio più per la sua vita.

Segnato è il foglio; ei morirà.

Regina,

odimi.

Ei mi sprezzò.

Ma al primo assalto

vuoi che ti ceda un cor? Nuovi ne tenta.

Espormi al disonor d'altro rifiuto?

Fa che a Teuzzon mi si conceda il passo,

e 'l disporrò al tuo amor.

Tanto prometti?

Sì. Tu sospendi intanto

la morte sua.

Custodi,

nella prigion diasi a costei l'ingresso.

Ma se m'inganni?

Ogni pietà s'esigli;

siano ancor co' suoi giorni i miei recisi.

Risorgete, speranze!

(Ahi, che promisi!)

Ritorna a lusingarmi

la mia speranza infida,

e Amor per consolarmi

già par che scherzi e rida,

volando e vezzeggiando

intorno a questo cor.

Ma poi, sebben altero,

il pargoletto arciero

già fugge e lascia l'armi

a fronte del mio amor.

Già disposti i miei fidi

per unirsi al destin del caro sposo,

nulla più resta all'opra; ma se n' viene

Cino: prima ch'io vada

al carcere fatal, giovi usar seco

l'arte. Un credulo amor si disinganni,

e dell'evento abbi la cura il cielo.

Cino...

Errai; dovea

dirti signore, e re?

In breve accrescerà sangue innocente

i diletti all'amore, i fregi agl'ostri.

Così ti parla al core

ambizione ed amore.

Misero, e non intendi

qual col mio labbro a te favelli il vero?

Re del cinese impero,

sposo a colei che adori,

godrà un rival di tue fatiche il frutto,

e a te fia che rimanga

sol d'infamia e 'l rimorso, e l'onta, e il lutto.

Più non dirò. Vanne; a Sivenio il chiedi,

a Sivenio, che gode

più dell'inganno tuo che del suo amore.

Tant'è soave oggetto

un tradito rival, povero core.

Con palme ed allori

t'invita la gloria,

con serti di fiori

t'alletta l'amor.

Ma, povero amante,

con doppia vittoria

invano tu speri

dar pace al tuo cor.

Principi, onde tant'ire? E qual furore

vi spinge all'armi?

(Ohimè!)

Tanto su gl'occhi miei? Più di rispetto

alla vostra sovrana. (Ahi, che far deggio?)

Dirò. Cino... Sivenio... (Io mi confondo.)

(Malfermo ancora è 'l mio destin. Costoro

ne son tutto il sostegno.

Nessun s'irriti, arte mi giovi e ingegno.)

Sivenio, è vero: a te promisi affetti.

A te, non niego,

Cino, giurai d'amarti;

né fu il labbro mendace.

Datevi pace.

Io qui spergiura

non sarò a voi; d'entrambi

pari è il grado, la gloria, il zel, l'amore.

Ad entrambi del pari

deggio gli affetti miei, del par gli avrete.

Dite. Lice ad un re, che in Cina imperi

l'aver più mogli?

All'uso

chi diè vigor?

Chi stabilì la legge?

Or chi ha tra voi l'alto poter?

E Zidiana, che or regna,

altre leggi far può?

In pari grado, in pari amor ben tosto

ambo...

Non son io vostra sovrana?

Del par sarete...

Basta...

Già m'intendete.

(a Cino)

Sì, per regnar

diletto sposo

t'attendo in sen.

Povero amante,

tanto costante,

il premio godi

delle tue frodi,

mio caro ben.

(a Sivenio)

Sì per goder

volto amoroso

t'attendo in sen.

Povero amante,

tanto costante,

il premio godi

delle tue frodi,

mio caro ben.

A che m'astringi, amor? Teuzzone, io vengo...

Tua più non mi chiamar; questa si ceda

sospirata fortuna ad altra amante,

o si ceda più tosto alla tua vita.

Vivi, e benché d'altrui, vivi felice.

Sì, ben veggio

che il tuo cor si fa gloria

d'essermi fido ne' respiri estremi.

Ma te n'assolvo. Un gran timor te 'l chiede:

nulla pavento più che la tua fede.

Ahimè!

Zidiana

t'ama, dal tuo disprezzo

nasce il tuo rischio e il suo furor; se amarla

non puoi, t'infingi almeno...

Il déi

se m'ami, e 'l puoi.

Crudel, più non s'oppone

la mia pietà. Già dal tuo esempio apprendo

com'esser forte; il tuo destin s'affretti.

Sovra te cada il colpo,

ma sol non cada. Alla rival feroce

una vittima accresca anche Zelinda.

Tu del tuo fato

arbitro resta; io lo sarò del mio.

L'onor tu ascolta, io l'amor sieguo. Addio.

T'arresta.

O dèi!

Sdegna più lunghi indugi

il destin di Teuzzone e l'amor mio.

Vuolmi ei nemica o amante?

Vengo da te a saperlo

su gli occhi suoi. Poi me n'accerti anch'egli.

Ah, che dirò?

Tu abbassi i lumi, e chiude

tronco sospir gli accenti? Intendo, intendo:

con quell'alma ostinata

vana è la tua pietà, vano il mio amore.

Me 'l dice il tuo silenzio ed il mio core.

Ei cederà, ma tempo...

Tempo non v'è. Qui morte o vita...

(Anima mia, sii forte.)

Perfido, ingrato, ciò che chiedi avrai.

Egaro, olà!

Regina...

Alla sua pena

tosto si guidi il reo; dove la reggia

splende in lieti apparati

cada l'indegno capo

tronco. Ah, Teuzzon, per la tua vita ancora

v'è un momento. Tu stesso

salvati; il puoi, le furie mie disarma.

E te n' priega per me la tua Zelinda.

Il momento già passa.

Vanne, spietato, vanne

quella pena a incontrar che ti è dovuta.

Non più pianto, non più; sangue mi chiede

l'atroce piaga. Unisci

la rivale all'amante,

crudel regina, ed a Teuzzon Zelinda.

Zelinda... Che?

Nel mio dolor, nel mio

furor la riconosci; in me finisca,

barbara, il tuo delitto.

Qui l'odio tuo sarà più giusto; dammi,

dammi una morte in dono:

la tua rival, la tua nemica io sono.

(Vedi Zidiana, vedi

a qual fé s'appoggiar le tue speranze!)

Perfida! Or l'arte intendo.

Tu quella sei ch'inspira il ciel? Tu quella...

Basta, sovvengon tutte

l'empie tue frodi all'amor mio tradito,

e nel tuo sen no 'l lascerò impunito.

Piacemi l'odio tuo, sfogalo appieno;

sfogalo, e te ne assolvo in questo seno.

Resta pur qui fra l'ombre, e custodisci

l'idea di mie vendette.

Io parto a maturarle, e debitrice

parto alla mia rival d'un gran dispetto.

Armiam, tu d'ira, io di fermezza il petto.

Già libero e disciolto

tengo dai lacci il core,

or che fuggita sono

dalla rete crudel del dio d'amore.

Io sembro appunto

quell'augelletto,

che alfin scampò

da quella rete,

che ritrovò

nascosta tra le fronde.

Pur alfin sciolto,

solo soletto

volando va.

E libero non sa

donar pace al suo cuor,

se nel passato impegno

ei si confonde.

Chi sa, stelle, chi sa che di mie vene

l'umor non basti ad ammorzar quell'ire

che minacciano oltraggio all'alma mia?

Felice me, se tanto

ottien da voi la mia pietade e il pianto.

Ho nel seno un doppio ardore

di speranza e di timore,

or sì dolce, or sì crudele,

che il mio labbro dir no 'l può.

E alla voce lusinghiera

d'una speme menzognera,

crudo amor, irato cielo,

più resistere non so.

Liete voci, amiche trombe,

festeggiamo un sì bel dì.

Di sue glorie il ciel rimbombe

poiché il mondo partorì.

Al sacrificio illustre

stien le vittime pronte, e pronto il ferro.

(D'ingiustizia e d'amor fiero trofeo.)

Tu leggerai la sua condanna, o Cino.

Ma con che spaventarti avrà la morte.

(ad Egaro)

Eseguiscasi il cenno.

(L'empietà e la virtù pugnar qui denno.)

Popoli, al reo Teuzzon v'ha un reo maggiore

ch'unir si dée. Col vanto

di saper sovrumano osò poc'anzi

noi schernire e gli dèi;

il sacrilego, l'empio ecco in costei.

Ed è in costei ben giusto

che di vindice Astrea cadan le pene.

Amato bene!

(Dura legge!)

Priva di te, mia vita,

come viver potrei?

Tutte in me stanca l'ire, e te 'l perdono.

Ma chi fia l'empio, e il traditor punite.

Come?

(Son tradita!)

O dèi!

Siam perduti.

Ohimè, che miro!

O d'eroica pietade inclito vanto!

O d'eccelsa virtù ben raro esempio!

Feroce cor!

Indegno

è di tue grazie il mio fallire.

Dolce mio ben!