IL SOCRATE IMMAGINARIO
Commedia per musica.
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Libretto di Giambattista LORENZI.
Musica di Giovanni PAISIELLO.
Prima esecuzione: ottobre 1775, Napoli.
Personaggi:
Donna ROSA seconda moglie di don Tammaro, dama imperiosa |
soprano |
Don TAMMARO Promontorio benestante di Modugno, marito di donna Rosa e padre di Emilia, uomo impazzito per la filosofia antica, facendosi chiamare Socrate secondo |
basso |
Mastro ANTONIO barbiere di professione, uomo sciocco e padre di Cilla |
basso |
CALANDRINO cameriere di don Tammaro e poi da questi dichiarato suo bibliotecario |
basso |
LAURETTA cameriera di donna Rosa |
soprano |
EMILIA figlia del primo letto di don Tammaro, innamorata d'Ippolito |
soprano |
CILLA figlia di mastro Antonio, ragazza semplice |
soprano |
IPPOLITO giovine di onesti natali, amante di Emilia |
tenore |
Coro di Discepoli di Socrate e di finti Demoni.
La scena si finge in Modugno e nella casa di don Tammaro.
[Sinfonia]
Cortile con una scala praticabile da un lato e dall'altro porta che introduce al giardino.
Don Tammaro che precipita dalle scale inseguito da donna Rosa con un bastone, Emilia, Lauretta e Calandrino, che la trattengono. Ippolito che sopraggiunge e non veduto ascolta.
[Sestetto]
ROSA
Fuora, birbaccio, che in casa mia
più non ti voglio: va' via di qua.
TAMMARO
(sempre con flemma)
Troppo mi onora vossignoria:
son tutte grazie, che lei mi fa.
EMILIA, LAURETTA E CALANDRINO
Ma che vergogna! ma che trattare!
IPPOLITO
(Qui si contrasta: voglio ascoltare.)
ROSA
Vo' disossarlo...
TAMMARO
Si serva pure...
ROSA
Vo' divorarti...
TAMMARO
Ho l'ossa dure.
ROSA
Con quella flemma crepar mi fa.
TAMMARO
Cara, non si alteri, che suderà.
EMILIA, LAURETTA E CALANDRINO
Ma via, finitela per carità.
IPPOLITO
(Il cor mi trema: che mai sarà!)
ROSA
Dunque ridotta, oh dio!
son oggi ad un tal segno,
che il tenero amor mio,
che il mio severo sdegno,
in quel tuo curo tiranno
non hanno più valor?
L'abbiamo almeno queste
lagrime di dolor!
(affetta di piangere)
TAMMARO
De' vasi lagrimali
tergi quegli escrementi,
che appena li stivali
bagnan de' sapienti:
non giunge quell'affanno
di Socrate nel cor:
ché birri sono i pianti
del sesso ingannator.
ROSA
Ah bricconaccio, mi oltraggi ancora?
Gli occhi dal capo vo' trarti fuora:
quegli occhi perfidi mangiar ti vo'.
TAMMARO
(sempre con flemma, come sopra)
Ecco qui gli occhi: la fronte è questa:
sempre il terz'occhio ti guarderò.
ROSA
Mi burla il perfido, voi lo vedete?
Non posso questa mandarla giù.
(si avvicina al marito nuovamente)
LAURETTA E CALANDRINO
Ma che vergogna! Sempre starete
col fiele in bocca a tu per tu.
TAMMARO
Non teme, Socrate: non la tenete:
la mazza affina la mia virtù.
EMILIA E IPPOLITO
(Barbari cieli, più strali avete?
tiranne stelle! non posso più!)
Recitativo
LAURETTA
Via padroni, non più: siete alla fine
marito e moglie.
ROSA
Lo so: così mi avesse
mangiata l'orco prima di sposarlo!
Oltraggiarmi con tante porcherie!
Io non so che tu diamine ingarbugli.
Il fatto sta che se non lasci questa
tua pazza idea di maritar l'Emilia
con mastro Antonio il tuo barbiere...
EMILIA
Come? Che dite voi?
IPPOLITO
(Che ascolto!)
ROSA
Signor sì, signor sì, ti ha destinata
tuo padre a mastro Antonio.
EMILIA
E sarà vero?
TAMMARO
Sì, mia cara figlia,
il genitor ti rese genitrice.
EMILIA
(Misera me!)
IPPOLITO
(Ippolito infelice!)
LAURETTA
(Povera padroncina!)
CALANDRINO
(in segreto a don Tammaro)
Sostenete l'impegno e tollerate
qualunque impertinenza:
Socrate fu l'idea della pazienza.
TAMMARO
Odi, garrula pica:
non è più mastro Antonio
quel mastro Antonio, che fu mastro Antonio.
Filosofo divenne mastro Antonio:
gittò ranno e sapone,
vestì la toga e diventò Platone...
sua figlia Cilla sarà Aspasia.
ROSA
Ma dimmi, arcipazzissimo,
tu come insegni ad altri
filosofia, se appena sai di leggere?
TAMMARO
Appunto perché sono
una bestia solenne, io son filosofo.
Chi fu Socrate? un asino.
ROSA
Orsù: non più parole.
Tammaro, senti.
TAMMARO
Ah! Non guastarmi il timpano
con quel nome volgar: chiamami Socrate.
E tu da questo istante
ti chiamerai Xantippe,
essendo questo il nome,
che avea quell'altra indiavolata moglie,
di quel Socrate primo. Tu, mia figlia,
ti chiamerai Sofròsine;
tu, Calandrino, Simia, e tu, Lauretta
Saffo ti chiamerai.
LAURETTA
Che baffo e zaffio lei mi va dicendo,
io non lascio il mio nome.
TAMMARO
In casa mia
voglio che tutto sia grecismo: e voglio...
ROSA
Non posso più. Tammaro, patti chiari:
registra il cervello,
e non parlarmi più di mastro Antonio,
o farò... basta... basta.
TAMMARO
Mia Xantippe,
mia figlia è di Platone e le mie spalle
sono al vostro comando. Ho fatto tale
filosofico callo, che all'ingiurie
non sol non mi risento,
ma l'istesse mazzate io più non sento.
[Sestetto]
ROSA
Mi burla, il perfido: voi lo vedete.
Non posso questa mandarla giù.
(si avventa contro il marito)
LAURETTA E CALANDRINO
Ma che vergogna! Sempre starete
col fiele in bocca a tu per tu!
TAMMARO
Non teme Socrate, non la tenete:
la mazza affina la mia virtù.
EMILIA E IPPOLITO
(Barbari cieli, più strali avete?
Tiranne stelle, non posso più!)
(parte don Tammaro, condotto via da Calandrino)
Donna Rosa, Emilia, Lauretta e Ippolito.
Recitativo
IPPOLITO
(si fa avanti)
Ah, signora, pietà di un infelice!
EMILIA
Ippolito, tu qui!
IPPOLITO
Sì, bella Emilia,
qui celato ascoltai
il decreto fatal della mia morte,
e giù vado a morire.
EMILIA
Ingratissimo ciel, questo è martire.
(piange)
LAURETTA
Coraggio, signorina.
ROSA
Animo, buon amico.
Non dubitare che donna Rosa
è teco, sappi che costei
amo piucché se fosse
una mia propria figlia.
Udite: in ogni disperato caso,
e che cadesse il cielo, ad una fuga
io vi aprirò la via, ed anderete
ove vi guida amore.
EMILIA
Vorrei prima morire,
che macchiare il candor della mia stima
con un atto villano.
ROSA
Sposeresti il barbier?
EMILIA
Lo sposerei.
[Aria]
LAURETTA
Una rosa ed un giacinto
se portate uniti in petto
bel piacer da quel mazzetto
bell'odor che n'uscirà.
Ma se a guasto tulipano
voi la rosa poi unite,
quell'odor più non sentite:
quella rosa marcirà.
Signorina, si stia bene:
lei giudizio già ne tiene:
già capisce, come va.
(parte)
Donna Rosa, Emilia e Ippolito.
Recitativo
IPPOLITO
Misero me!
ROSA
Non ti avvilire, amico.
In questo punto io vado
dal mio Socrate bestia,
per farlo disdire, o per cucirlo
in un sacco di tela e seppellirlo.
IPPOLITO
Fermate: forse amore
mi suggerisce un mezzo,
facile più per ottenere l'Emilia;
(tra esso e donna Rosa)
vostro marito già non mi conosce:
voglio abbordarlo e finger che da Atene
io vengo adorator del suo gran nome:
e dando vento alle sue pazze vele,
gli chiederò la figlia.
ROSA
E ben, tentiamo questa strada ancora.
IPPOLITO
Crudele, ad onta
di quel tuo cuore, ad acquistarti io vado.
EMILIA
Ma che ti fece alfine? Alfin che disse?
Parlò la figlia allor; ma in ogni istante,
non sai, come mi parla in sen l'amante.
[Aria]
Pugnano nel mio petto
l'amore e il dispetto,
e la fatal contesa
non è decisa ancor.
Questo dell'alta impresa
già vincitor si crede;
amor però non cede,
ma non dispera amor.
(partono)
Solitario ritiro con qualche fontana.
Don Tammaro e Calandrino.
Recitativo
TAMMARO
Simia, tu adesso devi
partire per la Grecia.
CALANDRINO
Per la Grecia!
TAMMARO
Signor sì, per la Grecia: là ritrova
Diogene Laerzio
e digli che non manchi
di scriver la mia vita,
dov'è chi asserir possa,
ch'io Socrate non sia in carne e in ossa?
CALANDRINO
E chi lo può negare?
TAMMARO
E pur Xantippe
mogliema il niega; ma che vuoi? La sorte
di noi socrati è questa.
CALANDRINO
Che non passò quell'altro
Socrate primo co' la moglie sua?
Dice bensì che un giorno,
saltando a quella certo umor bestiale,
versò in testa al marito un orinale.
TAMMARO
Un orinale! Oggi Xantippe voglio,
che me ne versi in testa ventiquattro.
Ohibò: non voglio
che a scriver la mia storia si ritardi.
Partiti adesso adesso.
CALANDRINO
(Dunque partir dovrò, senza vedere
la cara Cilla mia!)
TAMMARO
Ti bacio, Simia mio.
CALANDRINO
A rivederci (Cara Cilla, addio.)
[Aria]
(Ah, che il core mi si spezza:
Cilla mia, non posso più.)
Me ne vado e prego il cielo,
che a misura del suo zelo
gridi ognuno dalle... dalle:
ah, il baston per le sue spalle
vada sempre su e giù;
onde possa nella storia
la sua gloria andar più su.
Signorsì, sto singhiozzando:
così vado discacciando
dal mio cor la debolezza,
per lasciarci la virtù.
(Ah, che il core mi si spezza:
Cilla mia, non posso più.)
(parte)
Don Tammaro, Calandrino che subito ritorna, e poi mastro Antonio e Cilla.
Recitativo
TAMMARO
Socrate, in questo tuo
solitario ritiro, or va pensando
come possa Xantippe oggi onorarti
di un orinale in testa, e immortalarti.
CALANDRINO
Allegrezza, allegrezza:
è arrivato Platone co' la figlia.
TAMMARO
(abbracciandolo)
Oh mio Platone! Oh lubrica fontana
dove bevono i dotti.
ANTONIO
Anzi, zampillo delli tuoi condotti.
A te, mia figlia Aspasia,
vasa la mano a Socrate.
CILLA
Schitto la mano, né?
ANTONIO
E che borrisse
vasarle pure... mo te lo deceva.
CILLA
E che saccio, 'gnu pa': co' gnora zia
nuje 'nce vasammo 'n faccia.
ANTONIO
Ma l'ommo, nenna mia,
non se vasa, ché cacca.
CILLA
Porcaria!
CALANDRINO
(Bella semplicità che m'innamori!)
TAMMARO
(Quella innocenza mi rapisce!)
ANTONIO
Socrate,
venimmo al nostro quàtenos.
Sappi, ch'io sono stato
a conzurta' l'oracolo
nella Grotta Minarda,
pe' sapere chi fosse
il maggior sapio de la Magnagrecia:
e cierti pecorare,
che mm'hanno ditto ch'erano
li saciardote de lo nummo Apollo,
dapo' che mm'hanno 'n cuollo
attizzato li cane e consegnate
cierte poche vrecciate a li filiette,
da parte del gran dèo, lo capo bùttaro,
o sia lo capo saciardoto lloro,
l'oracolo mm'ha ditto:
e ccà co' no cravone mme l'ha scritto.
(mostra una carta sudicia)
TAMMARO
Che cartaccia bisunta!
ANTONIO
Te lo credo:
si nce teneva dinto arravogliate
lo saciardoto quatto mozzarelle?
TAMMARO
Via leggi. Questo oracolo
d'intendere mi preme.
ANTONIO
E sa che mmano, ch'è?
Leggimmo 'nzieme:
[Duetto]
TAMMARO E ANTONIO
(leggono)
«Sa che sa, se sa, chi sa,
che se sa, non sa, se sa:
chi sol sa, che nulla sa,
ne sa più di chi ne sa.»
TAMMARO
In questo oracolo io ci trovo espressate
la battaglia dei cani e le sassate.
Don Tammaro e mastro Antonio.
Recitativo
TAMMARO
Siedi, Platone, e allunga
le orecchie al mio parlar.
ANTONIO
Deponi pure.
TAMMARO
Dimmi: chi sono i cittadini?
ANTONIO
Puorce.
TAMMARO
Io non parlo di quelli di Sorrento:
degli uomini ti parlo.
ANTONIO
Scusami: io non capii le tue favelle.
TAMMARO
La patria come vive?
ANTONIO
Co le 'zelle.
TAMMARO
Non dico questo, diavolo!
ANTONIO
Ma si tu me 'mbruoglie
co st'argomiente tuoie,
parlame, senz'addimmennerme niente.
TAMMARO
Sempre domanda Socrate sapiente.
Ma parlerò più trito.
Or di': tua figlia
com'è inclinata al mascolino genere?
ANTONIO
Se nce fa tanto d'uòcchie.
TAMMARO
Bene: la sposerò.
ANTONIO
Ma tu non haje moglièreta?
TAMMARO
Socrate n'avea due.
ANTONIO
E quann'è chesto
salute, e lardo viecchio.
TAMMARO
Oh Socrate felice!
Non altro alfin ti manca,
che da Xantippe un orinale in testa.
(parte)
ANTONIO
Non dubitar, che l'occasione è chesta!
Mastro Antonio solo, indi donna Rosa, Emilia, Lauretta e Ippolito vestito alla greca.
ANTONIO
Non c'è che dire: Socrate
è ommo granne, ma Pratone puro:
vide ca no pazzea.
Donne, dal ciel pozza cadervi in testa
Giove disciolto in perle
de no ruòtolo l'una.
ROSA
Ah, ah, ah, ah...
ANTONIO
(piccato)
Gno'? mmr redite 'n faccia?
Questo è n'affrunto...
LAURETTA
Ah, ah, ah...
ANTONIO
Tu puro?
IPPOLITO
Oh dio! Ah ah ah ah...
Chi siete voi?
ANTONIO
Pratone...
ROSA
Chi?
ANTONIO
Pratone...
Non sapite, Pratone lo felòseco?
ROSA
Tu filosofo?
ANTONIO
Io.
ROSA
E in che consiste
la tua filosofia?
ANTONIO
E io mo che saccio? Ve derrìa boscia.
[Aria]
Ch'è stato? Che bedite,
che mme redite 'n faccia?
Che so' quacche mammuòcciolo
fatto de carta straccia?
Mmalora! So' feloseco
co' tanto de scagliune
e appriesso li guagliune
porzi' li tricche tracche
mme veneno a sparà.
Ved'osseria che smorfie!
Vi' la tentazione!
Po' dice ca Pratone
te sguarra na cità.
(parte)
Donna Rosa, Emilia, Lauretta, Ippolito e poi don Tammaro.
Recitativo
ROSA
Ma può trovarsi uomo più sciocco?
IPPOLITO
Oh dio!
Per qual figura palpitar degg'io!
ROSA
Tacete: mio marito.
Fatevi avanti voi; noi qui da parte
osserveremo.
TAMMARO
Ma qui dov'è Platone?
IPPOLITO
Socrate, onor del mondo, ti desidera
Ippolito, salute.
TAMMARO
E tu chi sei?
IPPOLITO
Un greco adorator del tuo gran nome.
TAMMARO
Un greco! Un greco voi!
IPPOLITO
Nacqui in Atene.
TAMMARO
Greco di Atene! Oh mio signor magnifico!
Che fortuna!... Baciamoci...
Io per Atene mi farei scannare!
E bene signor greco, vi dobbiamo
rendere alcun servigio?
IPPOLITO
Altro non chiedo dall'eccelso Socrate
se non che accetti in dono alcune poche
rarità della Grecia.
TAMMARO
(umiliandosi)
Mio signore!
IPPOLITO
In primis vi presento in questa scatola
due nottole di Atene imbalsamate.
Queste tre caraffine son ripiene
dell'acque di tre fiumi,
là nella Grecia rinomati tanto,
il Gran Meandro, il Simoenta e il Xanto.
Queste son vostre.
TAMMARO
Mie? Io mi subisso
nella mia confusione.
IPPOLITO
Compatite:
queste son bagatelle.
TAMMARO
E voi chiamate
bagatelle tre fiumi?
IPPOLITO
(Io crepo dalle risa.)
EMILIA
(Non posso più...)
(risoluta si accosta al padre)
ROSA
Fermati...
LAURETTA
Dove andate?
EMILIA
Signor padre...
TAMMARO
Scusi, signor greco...
EMILIA
Che greco dite voi? Tal'ei si finge
per avermi da voi con questo inganno:
confesso che ci amiamo
per quanto amar si può; ma l'amor mio
giammai non giunse ad usurpar que' dritti,
che sul cuor di una figlia
tutti del padre son. Della mia mano
disponete voi dunque.
ROSA
(La rabbia mi divora.)
TAMMARO
(dopo qualche riflessione, così parla con tutta le flemma, e gli restituisce i regali)
Signor greco, falsario,
questi sono i suoi fiumi e i pipistrelli,
se ne torni in Atene:
gli auguro buon viaggio e si stia bene.
[Aria]
IPPOLITO
Lagrime mie di affanno,
sospiri del mio cor,
all'idol mio tiranno
spiegate il mio dolor.
Ma che mi giova, oh dio!
Piangere e sospirar,
se ingrato l'idol mio
non cura il mio penar?
Ah se crudele in seno
non ha pietà per me,
un fulmine, un veleno
ditemi almen dov'è.
(parte disperato)
Donna Rosa e don Tammaro.
Recitativo
TAMMARO
Fermati, moglie, deggio parlarti.
ROSA
(Affetterò dolcezza:
a torto tante volte
l'ho bastonato; ma da ora avanti
sarò con lui un oglio.)
TAMMARO
Senti, e stupisci.
Voglio pigliarmi un'altra moglie...
ROSA
(saltandogli co' le mani sul viso)
Prima
pigliar ti possa il diavolo. Briccone!
TAMMARO
Socrate primo in un istesso
tempo ebbe due mogli,
e due ne voglio anch'io.
ROSA
E chi sarà la nuova sposa?
TAMMARO
Aspasia, la figlia di Platone.
ROSA
(Io l'ho da subissar questo briccone!)
Ebben qualora vuoi
prenderti un'altra moglie,
voglio un altro marito anch'io pigliarmi.
TAMMARO
Ma lo sposo sarebbe?
ROSA
Eccolo appunto.
Ippolito e detti.
TAMMARO
(vedendo Ippolito)
Oh bella! Il signor greco
delli due pipistrelli imbalsamati?
ROSA
Questi sarà lo sposo mio. Ippolito,
dammi la mano.
IPPOLITO
Come? Che significa questo?
ROSA
Lo saprai; secondami per ora.
E ben, signor filosofo,
non dite nulla?
TAMMARO
Non m'importa niente.
[Aria]
ROSA
(con espressione ad Ippolito)
Sempre in festa, sempre in gioco
noi staremo, idolo amato.
(sottovoce al suddetto)
Or che parlo, vedi un poco
mio marito cosa fa:
non fa nulla?
(prendendo per il petto il marito)
Vien qua...
Tu sei uomo o sei cavallo?
Parla, di', rispondi a me.
Le finezze non son buone,
coll'ingiurie non si arriva,
non si arriva col bastone,
questa tua è malattia,
è malìa... che cos'è?
Ah che il pianto mi soffoca,
riflettendo al caso mio...
Fosse qui quella bizzoca
che mi fece unir con te!
(parte con Ippolito)
Don Tammaro solo, indi Cilla e Calandrino e poi mastro Antonio.
Recitativo
TAMMARO
Gran festa stravagante!
Necessaria però: ché senza questa,
non farebbe risalto la mia testa.
CILLA
Socreta...
TAMMARO
Aspasiuccia: io ti ho portato
un bel marito.
CILLA
No marito!
TAMMARO
Basta.
CALANDRINO
(Ohimè che sento!)
CILLA
E quanno mme lo date?
TAMMARO
Tra poco...
ANTONIO
Allegramente, mastro Socrate:
l'oracolo s'è sciuòveto, e tu si' stato
da tutte iudecato
pe lo chiù sapio de la Magnagrecia.
TAMMARO
A te mi umilio, arcofetente Apollo!
ANTONIO
Orsù, viene a la scola a fa' lezione
a li scolare tuoje.
Cilla e Calandrino.
CILLA
Maramé, se l'ha fatta mastro Socreta,
e manco mm'ave dato
chello che m'ha 'impromisso...
(raccoglie in fretta le sue coserelle e le ripone in sacca)
CALANDRINO
Dunque tanto ti preme la promessa di Socrate?
CILLA
Sicuro, vi che specie: se tratta de
marito! Non lo lasso da pede...
CALANDRINO
Ascolta, ingrata: e puoi così lasciarmi,
dopo avermi ferito?
CILLA
T'aggio feruto?
CALANDRINO
Non dicesti d'amarmi?
CILLA
E ch'è stata qua' botta de cortiello?
CALANDRINO
No, cara: anzi vorrei,
che tu mi amassi sempre.
CILLA
Sì, t'amammo.
CALANDRINO
E mi vuoi per marito?
CILLA
Tanto bello.
CALANDRINO
E se venisse l'altro e ti volesse?
CILLA
Mme piglio a tutte duje: ché, non potesse?
CALANDRINO
Due mariti in un tempo!
Bella innocente!
CILLA
Che d'è? Tu ride? Oje scigna,
vi', ca mme 'mpesto, sa! Non te credisse
de trovar na locca;
ca lo judizio ll'agio nfi' a la vocca.
[Aria]
So' fegliolella,
ma non so' nzemprece,
ca lle cervella
le tengo ccà.
Io saccio torcere,
saccio pelare,
saccio li gliommere
arravogliare:
e quanno è festa
porsì le zeze
da la fenesta
sapimmo fa'!
Vi' mo, don Pruocolo,
sta figliolella
si 'nzemprecella
se po' chiammà!
(partono)
Sotterraneo, o sia cantina, destinata per la scuola di Socrate. In fondo di essa, rustica scala praticabile, per la quale si ascende ad un passetto, che termina in alto con una piccola porta similmente praticabile. Da un lato della scena altra porta, dalla quale per pochi scalini si cala al piano: anche praticabili.
Donna Rosa, Lauretta e Ippolito; indi Emilia dalla porta vicino al piano, e poi don Tammaro, vestito da filosofo all'antica maniera seguìto da mastro Antonio e da quattro suoi Discepoli, vestiti ad uso de' pastori della Basilicata, e finalmente Cilla e Calandrino.
Recitativo
ROSA
Zitto: venite meco. Io non veduta
voglio osservar quest'altra
pazzia di mio marito; e se mai vedo,
che co' la figlia di quel malandrino
faccia tantino il matto,
farò con fuoco terminar quest'atto.
Non temete, io qui sono.
(vanno per la scaletta e si celano dietro la porta superiore; nel tempo stesso che Emilia comparisce per l'altra porta vicino al piano e poi ritorna a celarsi)
EMILIA
(E qui son io
a difender, se occorre, il padre mio.)
ANTONIO
Salute, mastro Socrate.
TAMMARO
Basta, Platone, basta, non occorre
impegnar la tua lingua nel mio fondo.
(monta su una tina, assistito da mastro Antonio e dai suoi discepoli)
Diletti alunni, altissime speranze
della Basilicata.
Due sono i fondamenti
della filosofia: musica e ballo.
Fuggite i libri: questi
son la vergogna dell'umano genere,
son gli assassini della vita umana.
Credete a me: la vera
filosofia è quella d'ingrassare.
La musica diletta e fa dormire;
la ginnastica poi fa digerire.
ROSA
(Che testa squinternata!)
TAMMARO
Or io che son filosofo,
conoscendo superflui que' tre generi:
diatonico, cromatico, enarmonico,
risolvetti di rompere tre corde
al tetracordo mio ed una sola
ce ne lasciai appena; e da qui venne
quell'aureo detto poi,
tu mi hai rotto tre corde
e l'altra poco tiene. Or, riducendo
ad una corda sol tutta la musica.
E in conseguenza i musici
tutti legati ad una corda istessa,
con certezza sicura
la musica sarà facile, e pura.
ANTONIO
Mmalora! Tu venive
tutto 'sto zuco 'ncuorpo?
TAMMARO
Che succo? Io sono un asino;
or va' Simia, a pigliare
il mio nuovo istromento.
CALANDRINO
Ecco qui l'istromento.
(ritorna coll'istromento)
CILLA
Uh! Chista è na coscia di cavallo.
TAMMARO
Or ascoltate.
(appoggia l'istromento sulle spalle di Calandrino e suona)
[Aria]
Luci vaghe, care stelle,
di quest'alma amati uncini:
sfavillanti cannoncini,
che smantellano il mio cor.
Or che dite? Questa corda
non l'accorda il dio d'amor?
Ne' suoi tuoni troverete,
che passione voi volete:
vuoi l'affanno? Ahi... ah...
Vuoi sospiri? Ehi... eh...
Vuoi lo sdegno? Ohi... oh...
Vuoi il pianto? Uhi... uh...
Ma le note le più belle
sono quelle poi d'amor.
Recitativo
ANTONIO
Orsù, Socrate è tiempo
de datte lo triunfo, e bbuje fegliule,
zompanno attuorno a isso,
jate cantanno puro
chelle parole greche, che sapite.
[Finale I]
I Discepoli di don Tammaro cantano e saltano per istruirsi nella ginnastica e lo stesso fanno gli Attori, eccetto Cilla, che siede in un angolo e si diverte con i suoi straccetti e bambocci.
CORO
Andron apanton
Socrates sofotatos.
ANTONIO
Patron apantalon
soreta scrofototos.
TAMMARO
Ton d'apamibomenos.
ANTONIO
Va chia' mmalora, ca nce spallammo...
(saltando si urtano confusamente tra loro e vanno a terra)
CALANDRINO
Quand'io m'infiammo... salto a tempesta...
TAMMARO
Ohimè la testa!
CALANDRINO
La gamba, oh dio!
ANTONIO
Lo vraccio mio... mm'ha fatto trà.
CILLA
Ah, ah: 'sta vusta va no ducato.
TAMMARO
Ti hai fatto male?
CALANDRINO
Son rovinato.
ANTONIO
E io mo animale! vago a zompa'!
TAMMARO
(in aria magistrale)
Zitto: parentesi. Quando si tombola,
e si rompessero anche le costole,
non fa la macchina che solo smuoversi,
e il centro perdere la gravità.
ANTONIO
Ma vi' lo diavolo comm'a proposeto
ma scioscia a Socrate pe nce zuca'.
CILLA
Io voglio ridere: tornate a fa'.
CALANDRINO
Lesto, lestissimo: eccomi qua.
TAMMARO
E viva Simia; ma fatti in là.
ANTONIO
Via 'ncoronàmmolo; menammo va'.
(i discepoli cantano e saltano nuovamente, e poi mastro Antonio incorona don Tammaro)
CORO
Andron apanton
Socrates scrofotatos.
ANTONIO
Patron apantalon
soreta scrofototos.
TAMMARO
Ton d'apamibomenos.
(gli mette in testa una corona di erba)
ANTONIO
Di pampini di quercia
ricevi 'sta corona:
meriteresti in testa
na cercola in persona;
ma se le forze mancano,
pigliane almeno in cor.
TAMMARO
Questa corona accetto;
ma con Aspasia allato,
d'altra corona aspetto
vedermi incoronato.
Aspasia, co' la patria
dobbiamo farci onor.
CALANDRINO
(Che diavolo dice!
che razza di parlar!)
(donna Rosa sopraggiunge con Ippolito, che porta una chitarra, Lauretta e detti)
ROSA
Piazza... piazza...
IPPOLITO
Date loco...
LAURETTA
Fate largo un altro poco.
ROSA
Scendi giù...
(fa calare di sopra la tina Don Tammaro e vi mostra essa)
TAMMARO
Tu che vuoi far?
ROSA
Di chitarrica armonia
un trattato voglio dar.
TAMMARO
Porcheria... porcheria...
ROSA
(ad Ippolito)
Ed a te, anima mia,
voglio il canto dedicar.
TAMMARO
Eresia... eresia...
IPPOLITO
Io già tocco l'istrumento
per l'orecchio dilettar.
TAMMARO
Non lo sento... non lo sento...
IPPOLITO
E tu canta e al bel concerto
fa quest'anime bear.
TAMMARO
Tradimento... tradimento...
ROSA
Taci, olà: né più parlar.
LAURETTA, IPPOLITO E CALANDRINO
Via tacete in carità.
CILLA E ANTONIO
Zitto mo; che nc'aje da fa'?
TAMMARO
Questa è cosa da crepar!
(Ippolito suona la chitarra e donna Rosa canta, intanto don Tammaro smania, si contorce e si ottura le orecchie)
ROSA
Volle il destino mio, volle il mio fato
ch'io dessi ad un crudel questo mio core:
pascere lo facea quel dispietato
di lagrime, sospiri e di dolore.
Compassionando il suo dolente stato,
me lo ripresi alfin dal traditore:
ora lo dono a te, mio bene amato,
trattalo con dolcezza e con amore.
TUTTI
Viva, viva...
TAMMARO
Viva un corno.
ROSA
Taci, olà: né più parlar.
Miei alunni pecorini,
sulle cetre e violini
fate voi la tarantella:
che ginnastica più bella
insegnar vi voglio qua.
I Discepoli di don Tammaro prendono le loro cetre e violini e suonano la tarantella; donna Rosa balla, chiamando in piazza tutti ad uno ad uno.
TAMMARO
Oh miei sudori buttati in aria!
ANTONIO
Oh disonore dell'accademia!
ROSA, LAURETTA E IPPOLITO
Questa è ginnastica, cotesta è musica.
TAMMARO
È questo il filosofo che vi sgorgozzoli.
Andate al diavolo, scolari perfidi.
(con un legno caccia via i suoi discepoli, e gli dà séguito, e quelli fuggono, e tutti gli vanno appresso, eccetto Ippolito, che vien sorpreso da Emilia)
ROSA, LAURETTA, CILLA, CALANDRINO, ANTONIO E IPPOLITO
La Magnagrecia mi sentirà.
ROSA
È pazzo, è pazzo!
IPPOLITO E LAURETTA
Che bella scena! Ah, ah, ah!
CALANDRINO
Egli ammattisce per verità!
ANTONIO
Oh mondo ignaro! Mi fai pietà!
CILLA
E lo marito manco mme dà.
(Emilia vien dalla porta prossima al piano, e sorprende Ippolito, ch'è restato solo)
EMILIA
Ferma, imprudente, e dimmi:
qual legge mai consiglia,
che a maritar la figlia
si oltraggi il genitor?
IPPOLITO
Emilia mia, perdona:
è vero: io l'oltraggiai;
ma pensa pur, che assai
sono oltraggiato ancor.
EMILIA E IPPOLITO
Ah dove mai si vide
più tormentato cor?
(don Tammaro che ritorna nella scena con mastro Antonio ed indi tutti)
TAMMARO
Io non mi fido più di resistere:
Platone, ammazzami per carità.
ANTONIO
Te servarria con tutta l'anima,
ma il boja, amico, mme fa tremmà.
ROSA
È pazzo, è pazzo.
LAURETTA
Che bella scena, ah, ah, ah, ah!
CALANDRINO
Egli ammattisce per verità.
CILLA
E lo marito vi' si mme dà.
EMILIA E IPPOLITO
(Per me più fulmini il ciel non ha.)
Camera.
Lauretta, Cilla e Calandrino.
Recitativo
CALANDRINO
Lauretta: conduci pur costei
da donna Rosa e dille
che la tenga in ostaggio
della mia fedeltà,
che io ravveduto mi fo
del suo partito, né aderente più son
di suo marito.
LAURETTA
Che mutazione è questa?
CALANDRINO
Non voglio, Laura mia, perder la testa.
Tra poco, mia Cilletta,
ci rivedrem: frattanto in compagnia
tu starai di Lauretta.
Subito sarò teco. Intanto, cara,
se Socrate venisse a parlarti un'altra volta
di marito non gli parlare.
CILLA
Avite da fa poco co nnuje femmene;
sa comme simmo maleziose? Caspita!
CALANDRINO
Oh si vede da te, che la malizia
ti arriva alle pianelle.
CILLA
Tu non saie come simmo bricconcelle.
[Terzetto]
Si na femmena ve dice:
si' ber giovene bonnì
co lo core la schefice
fuss'acciso ve vo dì'.
CALANDRINO
Laura, Laura, va così?
LAURETTA
Con voi parla, mio signore;
ma così so che non è.
Son le donne tutto core,
e lo veggio ben da me.
CILLA
Maramé, vi' che buscia!
LAURETTA
Tu t'inganni, Cilla mia,
siamo pure colombine...
CILLA
Simmo tante marranchine.
LAURETTA
Siamo candide e sincere...
CILLA
Simmo fauze e 'ntapechàre.
LAURETTA
È per gli uomini la donna
tutt'amore e fedeltà...
CILLA
Vi', la scigna comm'attonna,
vi' si n'ommo vo' parlà.
(partono Lauretta e Cilla)
CALANDRINO
Seguitate, ch'è la gara
troppo cara in verità.
Calandrino solo, indi donna Rosa e Ippolito.
Recitativo
ROSA
Signor bibliotecario
senza la biblioteca, dunque lei
conobbe alfin, che mio marito è un matto?
CALANDRINO
E chi non lo conosce?
IPPOLITO
Troviamo insieme il modo
che alla fine di Emilia io sia il marito.
CALANDRINO
Non altro signore.
Eccomi qui. Serbatemi Cilletta
e di me disponete poi come volete.
Eccolo, arriva.
Donna Rosa, don Tammaro e Calandrino.
ROSA
Tammaro...
TAMMARO
Tammaro!
Che Tammaro? Chi è Tammaro?
Dov'è più questo Tammaro?
Socrate solo in questa stanza io veggio.
CALANDRINO
(a donna Rosa)
Se lo fate adirar farete peggio.
ROSA
In somma noi staremo
sempre in discordia? Sempre?
TAMMARO
E chi ci colpà? Tu.
ROSA
Tu, tu ci colpi...
TAMMARO
E ti par poco avermi
profanata la scuola?
ROSA
E ti par poco avermi
rovinata la casa?
TAMMARO
Non ti par nulla avermi
rovinati i discepoli,
derisa la ginnastica?
ROSA
Non ti par nulla, avermi
proposto mastro Antonio
per marito di Emilia?
TAMMARO
Ti par cosa di niente, alla mia corda,
anteponete il suono
di chitarra proterva?
ROSA
Ti par cosa di niente, con tua moglie
dichiararti per Cilla?
TAMMARO
Cilla! Chi è Cilla?
Aspasia, Aspasia.
CALANDRINO
(Oh dio!)
ROSA
Lascialo delirare,
pensiamo per Ippolito.
CALANDRINO
(a Tammaro)
E ben, resti appagato il vostro genio;
vuol però la giustizia,
che compensata pure in qualche parte
la compiacenza sia di costra moglie.
TAMMARO
E che ho da fare?
CALANDRINO
Date a vostra figlia Ippolito.
Che dite?
TAMMARO
Va' piano:
ho già pensato come
salvar la capra e i cavoli, Platone
non averà di che lagnarsi, e Ippolito
sposerà la mia figlia.
ROSA
Ah caro mio marito!
(l'abbraccia)
CALANDRINO
(baciandogli la mano)
Oh Socrate immortale!
ROSA
E si faran le nozze questa sera?
TAMMARO
Questa sera? Or, adesso, in questo istante,
chiamate don Ippolito, chiamate
la mia diletta figlia: nozze, nozze.
Io voglio al mio Laerzio
oggi somministrar novello inchiostro.
ROSA
Oh contento!
CALANDRINO
Oh piacere! (Il porco è nostro!)
[Aria]
Per quest'azione, così magnifica
come un pallone, la fama garrula
per tutte l'orbite, vi balzerà.
Socrate, Socrate, diran gli antartici;
e fino il Diavolo, con voce chioccia,
Socrate, Socrate, risponderà.
(Ma verrà Cillide, nel mio cubicolo;
ma Cilla amabile, la mia sarà.)
(parte e s'incontra con Emilia e Lauretta)
Donna Rosa, don Tammaro, indi Emilia, Lauretta e Calandrino che ritorna, Ippolito da una parte e mastro Antonio dall'altra.
Recitativo
ROSA
Vieni, Ippolito, vieni, Emilia è tua.
IPPOLITO
Signora. Ah l'alma mi manca!
TAMMARO
Vieni, Platone.
ANTONIO
Jammo mazza franca?
CALANDRINO
Ecco qua vostra figlia.
EMILIA
Eccomi pronta al paterno volere.
LAURETTA
(Gran folla all'osteria! Stiamo a vedere.)
TAMMARO
Mia figlia, il mondo dice
che son io il tuo padre,
per la forte ragione
ch'io giammai non poteva esserti madre.
Ora, dando per vero
che mi sei figlia, voglio che distingui
qual differenza ci è tra padre e padre.
Molti fanno morire disperate le figlie
per non darle un marito: io per l'opposto,
con saggio avvedimento,
due mariti in un punto ti presento.
Sposali dunque entrambi, e il mondo impari
come i savi risolvono gli affari.
[Aria]
(a Ippolito e mastro Antonio)
Figli, ma non di padre,
ecco la vostra moglie:
fatevi, o figli onor,
figlia, diventa madre,
anticipa le doglie,
consola il genitor,
ch'io dalle stelle gravide
già veggo in te discendere
filosofi, mitologi,
istorici, antiquari;
e tra medaglie e niccoli,
sarete voi, miei generi,
le due corniole celebri
della futura età.
Tanto prevede, e annunzia
la mia bestialità.
(parte)
Donna Rosa, Emilia, Lauretta, Ippolito, mastro Antonio e Calandrino.
Recitativo
ANTONIO
Ora su, cammarata,
giacché avimmo d'aprì ragion cantante,
vedimmoncella a cinco primerelle,
chi de nuje primmo l'ha da da' la mano.
(caccia dalla saccoccia un mazzo di carte)
IPPOLITO
(Io perdo pazienza.)
Se più parli di nozze:
se più ardisci di guardar l'Emilia in faccia,
io l'anima ti passo.
ANTONIO
Phje, perucchella,
non te credere asciare mastro Socrate,
ch'è no sacco de mazze ca la mia
è n'auta specia de felosochia.
Io zompo arreto e piglio vrecce.
IPPOLITO
Indegno...
(gli si avventa sopra, ma è trattenuto)
ROSA E EMILIA
Ippolito...
LAURETTA E CALANDRINO
Che fate...
IPPOLITO
Oh dio! Lasciatemi!...
ANTONIO
No lo lassate, ca ne faccio agniento.
[Aria]
IPPOLITO
Voglio di quell'audace
punir l'infame orgoglio.
Fu d'insultar capace!
No, che soffrir non voglio;
né lo permette Amor.
Nell'alma mia lo sdegno
non può calmarsi, indegno!
Né può frenarsi il cor.
(terminata l'aria prende a calci mastro Antonio e lo seguita così dentro la scena, andandogli appresso Calandrino e Lauretta)
Donna Rosa, Emilia e poi Ippolito che ritorna con Lauretta e Calandrino.
Recitativo
IPPOLITO
Ebbene Emilia mia, vorresti ancora
dipender da tuo padre?
Risolviti una volta ad esser mia.
EMILIA
E ben: si trova modo
che ad Ippolito solo
oggi dal padre destinata io sia.
Ed Ippolito avrà la destra mia.
IPPOLITO
Ah Calandrino amato...
CALANDRINO
Non più, tacete. Il mondo è già trovato.
ROSA
E che pensi di fare?
CALANDRINO
Udite... Oh càttera!
Viene vostro marito.
Nascondetevi,
e date orecchio a tutto ciò ch'io dico:
ch'io, parlando con lui, farò comprendervi,
quel che dovete fare, Tu Lauretta,
qui meco resta. Andate.
Lauretta, Calandrino e subito don Tammaro e mastro Antonio.
TAMMARO
(a mastro Antonio)
Ma veramente fosti bastonato?
ANTONIO
Comm'a na bestia...
TAMMARO
La pazienza è strada
della virtù: le bastonate sono
strada della pazienza.
Il cielo dunque ti vuol perfezionare,
se già principia a farti bastonare.
CALANDRINO
Socrate,
dimmi un poco: di questo matrimonio
ti consigliasti mai col tuo demonio?
TAMMARO
No, Simia caro.
CALANDRINO
Ascolta, fa' na cosa:
andiamo nel grottone, ed ivi prega
supplice e penitente il tuo demonio,
che visibil si renda e guidi seco
l'ombra ancor di Cicilia,
la prima moglie tua, madre di Emilia.
Così almen stai sicuro
tra Ippolito e Platone
di non prendere qualche farfallone.
(parla sottovoce verso la scena, dove stanno celati Ippolito, donna Rosa ed Emilia)
Lauretta e mastro Antonio.
ANTONIO
Addo' vaje, mastro Socrate...
(si avvia per andare appresso a Socrate)
LAURETTA
Fermate:
egli ha da conferir col suo demonio,
e deve andarci solo.
ANTONIO
Buon viaggio.
Ed io mme ne jarraggio da mia figliema.
(si avvia come sopra)
LAURETTA
Ma piano, non fuggite.
ANTONIO
Io non fuggo da te,
fuggo da chillo.
LAURETTA
Eh, sì. Dite più presto
che per me non avete
più quell'amor di prima, crudelaccio!
ANTONIO
E chesto mo che nc'entra?
LAURETTA
Nella notte passata non vi ho detto
che Amor per voi mi allaccia
e voi mi avete sospirato in faccia?
ANTONIO
A mme?
LAURETTA
Sì voi: ché dico la bugia?
Poi ve m'andaste via,
e nel vostro partir mi posi a piangere:
la mano vi baciai:
e piangendo piangendo mi svegliai.
ANTONIO
E fuss'accisa: di', ch'è stato suonno!
LAURETTA
Oh sogno, signor sì: ma è stato tale,
che parea naturale naturale.
ANTONIO
Ora vide Cupido
comme diavolo tenta li felòsoche!
Statte bona...
LAURETTA
Sentite: ma vi piace il mio sogno?
ANTONIO
Po' parlammo...
LAURETTA
Ma dite almen...
ANTONIO
Potta de craje matina!
Si' no 'nghiasto de pece e tremmentina,
t'aggio ditto, state bona?
[Aria]
T'aggio ditto, po' parlammo?
E tu torna, canta e sona,
'ncoccia, zuca, dàlle, 'nfetta...
Cara figlia benedetta!
Non ha il regno zucatorio
zucatrice cchiù de te!
E tu saie ch'a ora a ora
po' veni' chillo mmalora,
c'ha l'artéteca co mme.
E finisci, col malanno
che ce vatta a tutte tre.
(fugge e lo segue Lauretta)
Orrida grotta, nella quale si introducono poche liste di luce da qualche apertura fatta dal tempo nella volta di essa. Metà del suo prospetto contiene un rustico muro con gran porta di vecchie tavole, fermate da un chiavistello. L'altra metà del prospetto viene formata da archi tagliati dallo scalpello nel sasso.
Don Tammaro con arpa, Calandrino e coro di Furie.
[Aria]
TAMMARO
Calimera,
calispera,
agatonion,
demonion,
pederation,
Socraticon.
[Coro]
CORO
Chi tra quest'orride
caverne orribili
con greca musica,
che strappa l'anima,
ci empie di spasimo
dal capo al piè?
Le Furie ballano intorno a don Tammaro, scuotendo le loro faci in modo disdegnoso.
Nel cupo baratro
l'empio precipiti:
ed il suo cranio
serva a Proserpina
come di chiccera
per l'ebatè.
TAMMARO
(suona e canta tremando)
Simia... Simia... aiuto... ohimè!
Me ne torno, Furie care...
CORO
No.
TAMMARO
(come sopra)
Qui dunque ho da restare?
CORO
Sì.
TAMMARO
(come sopra)
Ma siate men rubelle,
furie belle, almen con me.
CORO
Misero bufalo,
almeno spiegati:
tra queste fetide
nere caligini
tremante e pallido
che vieni a far?
Qui solo albergano
sospiri flebili,
dolori colici,
affetti isterici,
e tu qui libero
ardisci entrar?
TAMMARO
(suonando e cantando come s'è detto)
Io son Socrate, e vorrei
il mio demone inchinar;
e coll'ombra mi dovrei
di Cicilia consigliar.
CORO
Oh degno Socrate,
entraci, entraci:
casa del diavolo
è al tuo servizio;
le porte ferree
s'apran per te.
Scoppia un tuono preceduto da un lampo di bianchissima luce e si riempie la scena d'infinite stelle volanti: si spalanca la porta del prospetto e sopra piccola macchinetta, formata a guisa di un carro, si ritrovano seduti donna Rosa da ombra di Cicilia, adornata di fiori, e Ippolito bizzarramente vestito da demonio. Don Tammaro, all'improvviso spettacolo, colpito da forte timore, cade sulle ginocchia e trema.
Donna Rosa, Ippolito e detto.
[Duetto]
Insieme
ROSA
Il mio bene, il mio consorte
oggi torno a riveder
troppo devo alla mia sorte
troppo devo al mio poter.
IPPOLITO
Il tuo bene, il tuo consorte
oggi torni a riveder
troppo devi alla tua sorte
troppo devi al tuo poter.
(calano dal carro)
Recitativo
IPPOLITO
Socrate, è qui Cicilia;
il tuo Demone è qui. Parla, se vuoi.
TAMMARO
(vedendole un mascherino nero, che donna Rosa tiene sul volto per non farsi riconoscere)
Ma che cosa ella tiene
di nero in faccia?
IPPOLITO
Nel passar che fece
il fiume Acheronte,
una piccola goccia di quell'acqua
le andò sul volto e la scottò.
TAMMARO
Corbezzoli!
Ed or come ti senti, anima mia?
ROSA
Crudel, non dirmi tua!
Se tale io fossi ancora, con Emilia
tu non saresti un dispietato padre:
chi trafigge la figlia, odia la madre.
TAMMARO
Io trafigger la figlia!
ROSA
Sì, pazzo. Dimmi un poco:
egli è da savio proporre a donna Rosa
di volerti pigliare un'altra moglie?
Di offerire a tua figlia due mariti?
TAMMARO
Ma la popolazione...
ROSA
Sei un pazzo briccone.
IPPOLITO
Socrate, si concluda.
Sposi Ippolito Emilia; Calandrino
sia marito di Cilla; e un'altra volta
torni a fare il barbiere mastro Antonio.
TAMMARO
Veda, signor demonio...
ROSA
Di più, fa donazione a donna Rosa
di tutta la tua roba,
e applàttala che porti
le brache in casa e gitti la gonnella.
Ah tu non sai, che brava donna è quella.
Birbante, e difficulti ancora?
Perfido, ti abbandono;
fuggo; ti lascio; e al mio fatal soggiorno
disdegnosa ritorno.
Ma tornerò, vestita poi di lutto,
spirto peloso e brutto,
e ti tormenterò la notte e il giorno.
Socrate, trema. A lungo andar ti scorno.
[Aria]
Se mai vedi quegli occhi sul volto
diventar due grossi palloni,
di': son questi gli estremi schiaffoni,
di Cicilia, che freme con me.
Ma la cosa finita non è!
Ce n'è per mastro Antonio,
per Cilla pur ce n'è.
Con calci, schiaffi e pizzichi
mi vendico per Bacco:
ne voglio far tabacco!
Li scortico, li sgozzo,
li strozzo, per mia fé.
Già so che l'ombra mia dentro la vicaria
ha da finir per te.
(parte)
Donna Rosa, Emilia, indi Lauretta e detto.
IPPOLITO
Emilia, sei contenta?
ROSA
Allegramente superato è l'impegno
EMILIA
E pure il cor sento tremarmi ancora.
LAURETTA
(affannata)
Guai co' la pala: poveretto noi!
ROSA
Cos'è.
LAURETTA
Quella sciocchissima di Cilla
vi ha veduti dal buco della chiave
vestiti in questa foggia ed a suo padre
il tutto ha riferito.
Calandrino e detti.
CALANDRINO
Salute a lor signori, è morto l'asino.
ROSA
Maledetto destin!
EMILIA
Sorte spietata!
LAURETTA
Bisogna rimediar.
CALANDRINO
Bisogna dare or qui
un potente sonnifero al padrone,
più facilmente allora
io potrò Cilla avere;
e dormendo il padrone,
voi potrete di Emilia
meglio disporre e consolar Ippolito.
IPPOLITO
Tutto va bene; ma con quale industria
farai al tuo padrone
tracannar la bevanda?
CALANDRINO
Ho già pensato.
Socrate dal senato
fu condannato a bere
la cicuta spremuta in un bicchiere.
Noi lo stesso diremo al nostro Socrate,
anzi di più farò, che mastro Antonio
vada da certi miei fidati amici,
che travestir farò da Senatori,
come venuti dalla Grecia, e questi
gli daran la bevanda,
acciò Socrate nostro la riceva
per mano di Platone, e se la beva.
ROSA
Purché riesca, la pensata è buona.
LAURETTA
Signorina, cos'è? Non vi movete?
Andiamo da papà.
EMILIA
E con qual volto
posso a lui presentarmi? egli la trama
tutta scovrì.
LAURETTA
Ma nulla sa di voi.
EMILIA
Se no 'l sa, lo saprebbe:
l'istesso mio rossor mi accuserebbe.
[Aria]
Dal mio rimorso atroce
con barbaro tormento
tutta nel sen mi sento
l'anima lacerar.
Tu l'innocenza mia,
crudel tiranno Amore
volesti nel mio core,
perfido, avvelenar.
(parte con Lauretta)
Donna Rosa, Lauretta, Emilia che resta indietro, Ippolito e poi Calandrino, detti.
Recitativo
ROSA
Ah, ferma... dove vai, marito mio?
TAMMARO
(a donna Rosa e Ippolito)
Longe, longe da me. Profanatori
d'ombre vaganti e di demoni illustri.
ROSA
Ah cuor mio, non ti sdegni
un picciol scherzo che da noi si fece.
Un colpo più funesto
ti prepara a soffrir.
IPPOLITO
Che giorno è questo!
TAMMARO
Ma che cos'è? Parlate.
ROSA
Ecco Simina che vien: parla con esso.
CALANDRINO
Prendi, maestro mio, l'ultimo amplesso.
TAMMARO
Ultimo amplesso! Come?
CALANDRINO
Oh dio! Si tratta della tua salute,
per decreto degli undici di Atene.
TAMMARO
E questo è il male?
CALANDRINO
Sì, per certe accuse
che dalli sacerdoti e dalli musici
in Atena tu avesti:
e come commerciante col demonio,
e com'empio omicida del buon gusto
e della dolce musica,
ti condannò l'Aeropago a morte.
Socrate, impallidisci?
TAMMARO
Oh! Che sproposito!
Noi socrati la morte
ce la mangiamo appunto
come pizze e ricotta.
CALANDRINO
Oh filosofo eccelso!
TAMMARO
Che cosa è questa vita?
È quel che non ci è più, quando è finita.
IPPOLITO
D'animo grande!
TAMMARO
E tu, Xantippe, giacché non volesti
bagnarmi mai in vita,
in quest'ora funesta
versami almen quell'orinale in testa.
CALANDRINO
Non è più tempo. Mira
quei giudici di Atene con Platone,
che già portan la tazza col veleno.
ROSA, IPPOLITO, LAURETTA E EMILIA
Ahi, vista atroce! Più soffrir non posso!
(alzando la voce, fingendo dare in un pianto dirotto)
CILLA
Ch'è stato? Maramene! e che bolite farme
afferrà la vermenara?
TAMMARO
Oh dèi!
CALANDRINO
Coraggio. Il vecchio Socrate
sai che morì ridendo e la sua gloria
maggior divenne allora.
TAMMARO
E bene: rideremo noi ancora.
Mastro Antonio, che con passo grave porta la coppa col veleno, accompagnato da due vestiti da Giudici di Atene e detti, che restano in diverse situazioni tragiche.
[Finale II]
ANTONIO
Maestro, a te la Grecia
manna sta paparotta:
che pozza fa' na botta
chi l'ha mannata ccà.
CALANDRINO
Ridete...
TAMMARO
(ridendo sforzatamente)
Ah ah ah...
La Grecia assai mi onora,
son grazie che mi fa.
CALANDRINO
Via: non ti muovi ancora?
Non ti mostrar codardo.
ANTONIO
Via zuca mio ch'è tardo:
già, figlio, haje da schiattà.
TAMMARO
Son pronto... eccomi qua.
CALANDRINO
Ridete...
TAMMARO
Ah ah ah...
prendo la tazza, Atene,
si serva il tuo desìo...
Femine... amici... addio...
Asino nacque Socrate,
asino morirà.
(beve con vari torcimenti di bocca)
ROSA, EMILIA, LAURETTA, IPPOLITO, CALANDRINO E ANTONIO
Ah! Fiera vista orribile!
Il caso è fatto già!
CILLA
E zitti: ca li sùrece
farissevo schiantà.
TAMMARO
Asino nacque Socrate,
asino morrà.
(rimette la tazza sulla sottocoppa e si abbandona sopra una sedia, coprendosi il volto con un panno; tutti restano afflitti e immobili nelle diverse loro situazioni tragiche)
ROSA, EMILIA, LAURETTA, IPPOLITO, CALANDRINO E ANTONIO
Che nero giorno è questo!
Che caso disperato!
Che rio destin funesto!
Che doloroso fato!
Tutto è spavento e tutto
lutto, mestizia e orror!
TAMMARO
Uh! Che caldo io sento in petto...
CALANDRINO
Via, portatelo sul letto...
(vengono due servitori)
TAMMARO
Già la testa... mi si aggrava...
ANTONIO
Ca la zosa è stata brava.
TAMMARO
Simia mio, ti lascio un bacio,
per conferma... del mio amor.
CALANDRINO
(fingendo di piangere)
Ah che un pane senza cacio
oggi resto... mio signor.
TAMMARO
Questo amplesso... e questo addio...
mio Platon... ricevi tu.
ANTONIO
Muore priesto, mastro mio...
Non nce affriggere de chiù.
(si addormenta ed è condotto via dai servi, accompagnato anche da due finti giudici)
TAMMARO
Donne... amici... a rivederci.
Mio Xantippe, al tuo comando...
L'orinal ti raccomando
che sia pieno... fino su...
(tutto questo restante di finale con voce dimessa, ma spinta e menata fuori da tutta la rabbia)
ANTONIO
Via mo: quetatevi: salute a buje.
Si è muorto Socrate, nce stammo nuje,
che ghiammo a barra co la virtù.
ROSA
(piangendo)
Birbante succido, vanne in malora!
IPPOLITO
Adesso sfratta...
EMILIA
Cammina fuora...
ROSA
Zitto...
IPPOLITO
Ammutisci...
EMILIA
Va' via di qua...
LAURETTA E CALANDRINO
Ballate topi, che dorme il gatto.
CILLA
'Gnu pa', ch'è stato?
ANTONIO
Che v'aggio fatto?
EMILIA
Delle mie pene tu sei cagione:
né più il mio core soffrir ti sa.
IPPOLITO
Tu il mio tormento fosti, briccone:
t'odia quest'anima e ti odierà.
ANTONIO
'Gnor sine: avite vuje mo ragione!
È muorto Socrate: che nc'haje da fa'?
CILLA
'Gnu patre, e sònale no scoppolone.
Sto si' don Cuorno che bo' da ccà?
ROSA
Olà, Lauretta, dammi un bastone:
vo' terminarla, non ci è pietà.
LAURETTA E CALANDRINO
(a donna Rosa)
Non fate strepito per il padrone.
(a mastro Antonio e a Cilla, che altri non sentano)
Non dubitate: per voi son qua.
Anticamera con lumi.
Emilia e Ippolito.
[Duetto]
EMILIA
Spera, bell'idol mio:
placida un dì la sorte
forse può divenir.
IPPOLITO
Come sperar poss'io.
Riparo alla mia sorte,
se tu mi fai morir?
EMILIA
Dunque crudel mi credi?
IPPOLITO
Dunque il mio duol non vedi?
EMILIA
Lo vedo sì, mio bene,
e mi si spezza il cor.
IPPOLITO
Ma intanto alle mie pene
non cede il tuo rigor.
EMILIA E IPPOLITO
Ah che mancar mi sento.
Che barbaro tormento!
Che barbaro dolor!
(partono)
Camera nobile.
Don Tammaro che dorme sopra un sofà con padiglioncino alla turca, donna Rosa, Lauretta e Calandrino.
Recitativo
ROSA
Che fa?
CALANDRINO
Dorme, ma spesso dimenando si va.
ROSA
Quando si desta,
tu fa suonare in quella stanza. Io sento
che la musica sia
un antidoto ancor per la follia.
CALANDRINO
Vedremo.
TAMMARO
(sbadigliando)
Uhoa...
LAURETTA
Si sveglia.
ROSA
Sentiamo...
TAMMARO
Emilia... Rosa...
CALANDRINO
Come va questa cosa?
Non chiama più Sofrosine e Xantippe.
ROSA
Presto su: fa' suonare;
e stiamo noi da parte ad osservare.
[Notturno]
Si suona un flebile notturno e don Tammaro va cacciando a poco a poco la testa dalle cortine.
Recitativo
TAMMARO
Che musica superba! Che dolcezza!
CALANDRINO
Che cos'è? Più non parla
della sua bella corda strappa-fegato.
LAURETTA
Ci è della mutazione!
TAMMARO
Chi è fuora...
ROSA
Eccomi, o caro,
con Simia, e Saffo.
TAMMARO
Scimia e Saffo? Oh bella!
Per dar de' soprannomi, moglie mia,
sei fatta a posta. Ti ricordi, quando
facevamo all'amore, che mi chiamavi
don Sanguinaccio? Ed io ridevo tanto.
ROSA
Me ne ricordo, sì.
TAMMARO
Rosina, dimmi un poco:
che musica era quella?
ROSA
Furono certi musici, venuti
per suonar questa sera
nella festa di ballo,
che dànno certi nostri pigionanti.
TAMMARO
Festa di ballo! Matti da catene!
Io quando sento ballo, sento il diavolo!
ROSA
E della sua ginnastica non si ricorda più?
TAMMARO
Una volta
per provarmi a ballare il cotiglione,
m'ebbi a rompere il collo:
d'allora in poi non ballo più.
CALANDRINO
Benissimo.
Un filosofo come siete voi,
così dovrebbe fare.
TAMMARO
Io filosofo? Oh senti!
Io che in quattordici anni
non passai alla scuola i deponenti.
ROSA
È guarito, è guarito!
LAURETTA
Ma come così presto?
CALANDRINO
Col dormire
spesso i matti si sogliono guarire.
TAMMARO
Sai, Rosa mia, la bella scorpacciata
di sonno, che mi ho fatta?
Una confusa idea
mi è restata di cose... Che so io...
V'è stato un sogno d'una confusione...
CALANDRINO
Viene Cilla e mastro Antonio...
ROSA
Son tornati! Maledetti!
CALANDRINO
Questi possono un'altra volta
risvegliarli nel capo la pazzia.
Cilla, mastro Antonio e detti.
ANTONIO
Socrete mio, si bivo, gioia mia,
come te siente?
TAMMARO
Io Socrate... Ah ah ah che caro
mastro Antonio!
ANTONIO
Comme mo mastro Antonio?
Sto schiaffone
non dovea dà Socrete a Pratone.
TAMMARO
A Pratone ah ah per Bacco,
sei un vero pulcinella.
ROSA
Mio caro, ti presento
questo gentiluomo onorato,
un cavalier di Bari. Ei di tua figlia
vorrebbe esser marito.
TAMMARO
Lei la sposi e in segno del mio affetto
io verrò di persona a fargli il letto.
ANTONIO
M'malora chisto ha perso lo cervello...
ROSA
Lascia marito mio questa canaglia
e vieni meco. Io tutto ti conterò.
Lauretta, Cilla, mastro Antonio e Calandrino.
ANTONIO
Eh dico, è pur ver, madama
che Socrate era pazzo?
LAURETTA
Certamente e con quella bevanda
che gli portasse voi si è poi guarito.
CALANDRINO
Un sonnifero in vece di cicuta
ei tracannò, e volle il cielo poi,
ch'ei si svegliasse sano di cervello.
LAURETTA
Il fatto sta, che per la sua pazzia
perse la testa ancor vossignoria.
ANTONIO
La capa mia? Cioè...
LAURETTA
Dandoti a credere
che Socrate egli fosse, e tu Platone.
ANTONIO
E mme lo dice 'mo? Potta de nnico
mo' ch m'aggio vennuto le rasola?
LAURETTA
Non importa! Noi siamo quattro,
due belli matrimoni si potrebbero
fare così tra noi:
Calandrino con Cilla ed io con voi.
ANTONIO
Si' pazza.
LAURETTA
E giacché disprezzate l'amor mio, crudel,
qui almeno soffrite di vedermi
morire e poi partire.
[Quartetto]
Dunque morir degg'io
senza trovar pietà?
CILLA
Eh bia, gnu patre mio
falle sta' carità.
ANTONIO
Mo mmo, quanto lo spio
a mamma, che sta cca'...
CALANDRINO
Ma che fierezza oh dio,
che nera crudeltà.
ANTONIO
Non serve che s'appretta
il mio signor don quello:
ca vidolo zetiello
volimmo nuje restà.
LAURETTA
Ah! Che mi manca il fiato...
ohimè gelar mi sento,
crudel sarai contento,
io cado io moro già.
CALANDRINO
Ah! Soccorretela la poveretta.
ANTONIO
Cattera! Un panico per me le venne...
CILLA
'Gnu pa', si è morta, fuimmoncenne.
ANTONIO
Figlia resòrzeta.
LAURETTA
Ahi.
CALANDRINO
Su coraggio che mastro Antonio ti sposerà.
ANTONIO
Gnorsì... te sposo... eccome ccà.
LAURETTA
Giacché sei mio son già sanata,
non ho più male vicino a te.
ANTONIO
Mmalora e pesta! Mme ll'haje sonata
bellezza, dance como gué gué.
CILLA
'Gnu pa' Na morta te sì sonata
non t'accostare chiù rente a mme.
CALANDRINO
A furbacchiona te l'ha ficcata
ah ah che ridere ci ho gusto affé.
Tammaro e Rosa.
Recitativo
TAMMARO
Dunque fui pazzo?
ROSA
Che pazzo!... un poco immaginario...
via non pensarci più, marito mio,
lascia qualunque prevenzione per l'antica
filosofia, e siegui la moderna
ch'oggi il gran mondo così ben governa.
TAMMARO
Il cielo me ne liberi! Più presto
farci mozzarmi il naso,
che più parlare di filosofia.
ROSA
Di quella antica sì, non della mia.
Ma la filosofia delli moderni
può apprenderla ogni testa;
perché, ben mio, consiste solamente
in mangiar, divertirsi e non far niente.
[Duetto]
Marituccio mio grazioso
mangia mangia e lascia fare
pensa solo ad ingrassare
né la sbagli in verità.
TAMMARO
Non temer, ben mio vezzoso,
non temer, o moglie cara,
questa tua filosofia
tutta in testa mia starà.
Insieme
ROSA
Vieni o caro in queste braccia
ah! qual miele in sen mi stilla
come il cor mi balla e brilla.
E quest'alma come pazza
balla e brilla guizza e guazza
che piacer che contentezza
che allegrezza è questa qua.
TAMMARO
Vieni o cara in queste braccia
ah! qual miele in sen mi stilla
come il cor mi balla e brilla.
E quest'alma come pazza
balla e brilla guizza e guazza
che piacer che contentezza
che allegrezza è questa qua.
Tutti.
Recitativo
IPPOLITO
Signor, benigno il cielo
rese tutti felici in questo giorno
la casa è tutta nozze: Emilia è mia,
Calandrino sposo è di Cilla,
e Laura del barbiere.
TAMMARO
Davvero? Ci ho piacere.
Allegri dunque tutti ci daremo
ad un istesso studio.
ANTONIO
A felosochia?
ROSA
Eh via: non più
Tammaro mio, la vera
filosofia è quella di badare
alla propria famiglia; e se i doveri
di buon marito e di onorato uomo
adempiere saprai,
il filosofo vero, allor sarai.
[Finale III]
TUTTI
Quando si visse in pene
tanto si gode adesso
sempre alle nubi appresso
va la serenità!
Sì, sì, va tutto bene
ma andiamo a riposar!
Fine del libretto.
Generazione pagina: 06/05/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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