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Frondi tenere e belle

del mio platano amato,

per voi risplenda il fato.

Tuoni, lampi e procelle

non v'oltraggino mai la cara pace

né giunga a profanarvi austro rapace.

Ombra mai fu

di vegetabile,

cara ed amabile

soave più.

(sta ammirando il platano)

(nel belvedere)

O voi. ~

~ O voi, che penate.

O voi, che penate

per cruda beltà,

un Serse ~

Qui si canta il mio nome.

Un Serse mirate,

che d'un ruvido tronco acceso sta,

e pur non corrisponde altro

al suo amor, che 'l mormorio di fronde.

Arsamene.

Udiste?

Conoscete chi sia?

Io sì.

Che dite?

Va godendo vezzoso e bello

quel ruscello la libertà.

E tra l'erbe con onde chiare

lieto al mare correndo va.

Quel canto a un bel amor l'anima sforza.

Per mia dama la scelgo.

Eh mi diceste

non conoscerla. Or come?

E al canto ancora.

Se dama non convien, sarà mia sposa.

L'approvate?

Per dama non convien, sposa non lice.

Nulla vi piace. È rigido il consiglio.

Mi fia compagna al soglio.

Le direte che l'amo, io così voglio.

Sì, voi!

Cercatelo.

Perché?

Intesi:

io gliel dirò, che a parlar meglio appresi.

Arsamene!

Perché parli così?

Chi? Serse?

E che da me richiede?

(Se può vincerle il cor, oh me felice!)

(a Romilda)

Vien acceso ogni cor dal tuo bel sguardo.

Io non temo.

(Ed io tutt'ardo.)

Dimmi, Arsamene, e credi

che la germana mia tradir ti possa?

Ma Romilda resiste.

(Ah! Fosse infida!)

Mai sarà l'alma mia da te disciolta.

(Che doglia!) Ascolta, ascolta!

(lo guarda con tenerezza, facendogli molti vezzi)

Sì sì, mio ben, sì sì,

io per te vivo sol,

io per te moro.

Amo chi mi ferì,

e pure al mio gran duol

non ho ristoro.

Romilda, notte e dì

va esclamando così,

io per te moro.

(parte)

Come, qui, principessa, al ciel sereno?

Forse agli inviti d'Arsamene usciste?

Egli non mi chiamò...

Parlovvi almeno.

Ma, sire. ~

Basta, udite,

Romilda, il fato al trono

oggi vi scorge, amor v'ingemma il serto.

Non aspiro tant'alto, io non ho merto.

Ne so ben la cagione.

Arsamene m'offende, ma...

Ei non sapea. ~

Tacete.

(a Arsamene)

E voi veloce

lunge da questa corte, qual torrente

volgete il piede.

Pure se promettete

lasciar Romilda. ~

Posso usarvi pietate.

Bellissima Romilda, eh non celate

l'adorato sembiante.

Uditemi Romilda, io sono amante.

E pur tacete ancora?

Dite un sì; dite un no; dite ch'io mora.

Di tacere e di schernirmi

ah crudel chi t'insegnò?

O lasciate d'esser belle

care luci amate stelle,

o, cessate di ferirmi,

che mai più vi seguirò.

(parte)

Aspide sono, a' detti tuoi d'amore,

né vuò macchiar d'infedeltà il mio cuore.

Né men coll'ombre d'infedeltà

voglio tradire l'anima mia.

E se il mio bene suo mal si fa,

incolpi amore, non gelosia.

(parte)

Ariodate, vi abbraccio. Il vostro ferro

sempre porta vittoria.

In premio de' disagi, ch'ora diamo

alla vostra città, che di nostr'armi

fatta è piazza, a sostener l'impresa

di Atene, or vi prometto,

Romilda, vostra figlia,

avrà sposo reale

della stirpe di Serse a Serse eguale.

Ite, così prometto.

Queste vittorie io credo,

predicono trionfi anco al mio amore

Impaziente io vivo

d'abbracciar quell'amato mio tesoro.

Ma pur, che dirà Amastre,

e l'offeso suo padre

del mio imeneo, del mio novello amore?

Benché di regio sangue

non sia l'idol mio

una vassalla illustrar poss'io

co' le mie nozze. Alfin, crede decenti

i voler d'un gran rege il mondo.

(voltandosi)

Chi parla olà? Chi siete?

Ma a chi mentita

tu desti?

Sciocchi mi rassembrate, ite lontani.

Non dée render ragione il mio decoro.

Sempre mi torna in mente il bel che adoro.

Più che penso alla fiamma del core,

più l'ardore crescendo se n' va.

E 'l mio petto è ricetto ben poco

di quel foco che pena mi dà.

(parte)

Al fin sarete sposa al vostro Serse.

Che? mio Serse non è.

Meno Arsamene.

Egli sì, perché l'amo.

Egli no, perché parte esule errante.

Perdete un re per un perduto amante.

Perduto amante? e come?

Ha il core acceso

d'altre fiamme.

Di chi?

Ben lo saprete.

Dunque odierò Arsamene; e al re gli affetti

tutti darò: che dite?

Allor prudente

certo vi chiamerò;

ed Arsamene in sposo io chiederò.

E che dunque l'amate?

No, ma poi l'amerò.

E sì tosto potrete

render d'amore i vostri voti accesi?

Mi sforzerò.

Ah! Che pur troppo intesi!

Se l'idol mio

rapir mi vuoi,

cangia desio, ch'è vanità.

Quei dolci lacci

snodar non puoi,

che mi legaro la libertà.

(parte)

Per rapir quel tesoro,

che te colma di gioia e me d'affanni,

se amor non basta, adoprerò gl'inganni.

Un cenno leggiadretto,

un riso vezzosetto,

un moto dì pupille

può far innamorar.

Lusinghe pianti e frodi

son anco certi modi,

che destano faville

e tutti io li so far.

(parte)

A piangere ogn'ora

amor mi destina. ~

Olà! vien qua. Degli aspri miei dolori

l'acute spine adornerò co' fiori.

Non so.

Tu quivi? o sventurato! guarda bene. ~

Che porti?

A me lo porgi.

Sì.

Sta nelle stanze sue, scrivendo al re.

Ch'in lui spera, in lui vive.

Punto non si sovviene.

Parti; il re s'avvicina.

(Con questo foglio mi farò contenta.)

È tormento troppo fiero,

l'adorar cruda beltà.

(ad Atalanta, che legge)

Di quel foglio, Atalanta,

lice saper gli arcani?

Saran forse amorosi?

È ver; ma strani.

Son più curioso.

Ma.

Ma che?

Io temo. ~

Mi perdonate?

Sì!

Dunque leggete.

(Deh, seconda l'inganno o ignudo arciero.)

Scrive Arsamene.

È vero.

«Allorché nell'Ibero ascoso è il sole

verrò notturno, ove talor mi suole

il raggio balenar di nostre stelle.

Ivi a dispetto di maligna sorte,

o sarò vostro o pur sarò di morte!»

A chi scrive Arsamene?

A me.

A voi?

Vi sdegnate?

Stupisco. Ma s'egli ama

Romilda. ~

No, signor, ella ben l'ama,

ma lui finge d'amarla, affinché quieta

non sturbi il nostro amore.

Strana avventura! Godi sì mio core!

Dunque vi prego o re, se l'approvate,

che pubblico imeneo lo faccia mio.

Bella, farò, che sia

o vostro sposo o preda all'ira mia.

Dirà che amor per me

piagato il cor non gli ha.

Ma non gli date fé,

ch'egli fingendo va.

Voi quel foglio lasciate a me per prova.

(Bella frode, se giova.)

Itene pure!

Ma vi ricordo.

E che?

Dirà che non m'amò,

che mai per me languì,

ma non credete, no,

che fingerà così.

(parte)

Ingannata Romilda! ecco leggete.

Dite poi se Arsamene amar dovete.

Leggo.

Né vi sdegnate?

A chi scrive?

Alla sua cara Atalanta.

Sapete già, s'io mento.

(Non mi uccider tormento!)

Che farete?

Piangendo ognor vivrò.

L'amerete?

L'amerò.

E pur sempre vi tradì.

L'empia sorte vuol così.

Se ben fiero v'ingannò?

L'amerete?

L'amerò.

Se bramate d'amar chi vi sdegna,

vuò sdegnarvi, ma come non so.

La vostr' ira crudel me l'insegna;

tento farlo e quest'alma non può.

(parte)

L'amerò? non fia vero.

Amante traditor! sorella infida!

Godete di mie pene.

Barbara, menzognero!

L'amerò? non fia vero.

Ma voi, che delirate, mi ascoltate,

forse saper bramate

la mia furia crudele ora chi sia?

È gelosia,

quella tiranna

che tanto affanna

l'anima mia.

Del suo veleno

m'aspersa il seno,

e mi condanna

a pena ria.

(parte)

Ariodate.

Del mare ad onta

e sin del vento infido

seppi giunger ancor Sesto ad Abido.

Tu vanne pronto ad ordinar le schiere.

Pria della terza aurora

di passar in Europa è il mio volere.

Arsamene, ove andate?

Cessi lo sdegno.

Voglio sposarvi al bel, che v'innamora.

So di qual fiamma ardete.

Lessi le vostre note, invan tacete.

Per consorte l'avrete.

Tanto l'amate?

Che no 'l diceste pria?

Lieti saremo ambo in un stesso dì.

Io sposo di Romilda...

D'Atalanta.

So che Atalanta amate.

Eh, non fingete più.

Lo so, non la volete.

V'inchino eccelso re.

Negò Arsamene

d'esser vostro amante

e per Romilda sol egli è costante.

Dunque davver non v'ama; e voi lasciate

di soffrir tante pene, e non l'amate.

Voi mi dite che non l'ami,

ma non dite se potrò.

Troppo belle

son le stelle

ch'al suo volto in ciel donò.

Troppo stretti quei legami

onde amor m'incatenò.

(parte)

Saria lieve ogni doglia,

se potesse un amante

amar e disamar sempre a sua voglia.

Il core spera e teme,

penando ogn'or così,

se goderà in amore

saper ancor non può.

Lo chieggio alla mia speme,

ella mi dice, sì.

Ma poi freddo timore

sento che dice «no».

(parte)

Gran pena è gelosia!

Per altri io son sprezzato.

E la mia fé schernita.

Aspra sorte!

O Romilda crudel!

Chi parla?

E chi sei tu?

Vuoi tornar a servirmi?

Perché?

Che? mi trovasti ingrato?

(Ma se n' viene il mio ben.) Scostati; appresso

noi parlerem. Tengo un affar ch'importa.

Ritorna a me in brev'ore.

Romilda, e sarà ver, che sempre invano

pianger mi lascerete?

Che dite? rispondete.

Val più contento core

che quanto il mondo aduna.

Più vale un ben d'amore

che cento di fortuna.

Vuò, ch'abbian fine i miei dolori immensi.

Lasciate, ch'io ci pensi.

No, datemi la destra!

Che ardimento è questo?

(ai soldati)

Olà condotto sia

in oscura prigion!

Temerità importuna!

Strano disturbo!

(parte sdegnato)

(O mia buona fortuna!)

Cessate olà!

E voi prode guerriero

riponete quel brando.

Ite ~ approverà Serse il mio comando.

Ite, non vi fermate.

Che se venisse il re ~ ditemi solo,

che v'indusse del re a sturbar le voglie?

Partite.

Chi cede al furore

di stelle rubelle

amante non è.

Trionfa in amore

del fato spietato

l'invitta mia fé.

(parte)

Scrivesti ad Atalanta.

Elviro parlerà.

Ecco, Atalanta viene!

(Ahi! scoperto è l'inganno, e che farò?)

Dissi, Romilda scrive, ed ama il re.

Dunque ingannate?

Piano; non v'adirate.

Dissi così, per far partire il servo,

che voleva parlarvi.

Seguite pur, son pronta ad ascoltarvi.

Serse mi sopraggiunse e prese il foglio.

Io per giovarvi dissi: è scritto a me;

mi finsi amante, ed ho ingannato il re.

Or che dite, Arsamene?

Che siete il caro bene!

Fate Atalanta pur, quanto sapete

Arsamene il mio ben non mi torrete!

No, se tu mi sprezzi,

morir non vuò.

Fo certi vezzi

col mio sembiante,

che un altro amante

trovar saprò.

(parte)

Ecco in segno di fé la destra amica.

Nascondetevi.

Che vi mosse, Romilda, a quel guerriero

donar la libertate?

Il suo valore.

Tutto potete, è vostro il regno e il core.

Già siete mia regina.

Signor, volo tanto alto è gran rovina.

Deh non negate più.

Negherò sempre.

Franger io ben saprò. ~

Intendete, Romilda?

(Ahi. Che farò?)

Non partirò, se pria ~ basta ~ che dite?

Che del mio genitor vi vuol l'assenso.

E poi che dubbio v'è?

Ubbidirò il mio re.

Vado a chiederlo, e intanto

mi stillo in gioia.

Ed io mi struggo in pianto.

Per rendermi beato

parto, vezzose stelle,

e poi pupille belle,

a voi ritornerò.

Farfalla al vostro lume

il core innamorato

ardendo le sue piume

fenice io scorgerò.

(parte)

Ahi ch'io mi moro.

(sviene sostenuta dalla sue damigelle)

(languente)

Vi fermate!

Andate, andate, Serse il re

sovvenirmi potrà,

quando m'ucciderà.

Tanto v'adoro, addio, vi lascio, addio!

E dove andate, idolo mio?

Alla morte.

Vi lascio, addio, non mi vedrete più.

Come già v'accennammo,

sposo del nostro sangue, a piacer vostro,

destiniamo a Romilda.

L'approvate? assentite?

Dunque udite.

Verrà tra poco nelle vostre stanze

persona eguale a noi, del nostro sangue:

fate, che vostra figlia

per suo sposo l'accetti.

Quanto Serse!

Il serto rifiuto:

e dite a Serse in riportargli il dono,

che fida amante, ad altri sposa io sono.

(vuol partire)

Fermatevi mia sposa e mia regina.

Che dite? ohimè, così non mi chiamate.

Perché?

Perché oscurate

il decoro real.

Come?

Ascoltate.

Arsamene m'amò. ~

Principio infausto.

Fu modesto e fedel.

Basta.

Servimmi

tacito adoratore.

Ah m'uccidete!

Ma ardito al fin.

Che?

Non ardisco, o sire,

m'arrossisco, signor; non lo dirò.

Parto, lo scriverò.

No, no, seguite!

Non so se ardire o se fortuna fu. ~

Ah, che non posso più!

Le sue labbra accostò. ~

Dove?

Alle mie,

e ~ e ~ e ~

E vi baciò, non è? Ditelo!

Appunto.

Per fuggir le mie nozze, ora mentite.

Ma siasi ver o no; delle sue colpe

abbia il castigo.

(alle guardie)

Olà, pronti volate;

(a Romilda)

vedova di quel bacio,

poi sposa mia sarete.

(parte sdegnato)

Mio re, mio sposo, sì: oh amare pene!

Fermate, e viva il caro mio Arsamene.

Prode guerrier. ~

A me venite.

Se nel petto nutrite

alma cortese e pia,

le mie preghiere udite.

Ingratissimo appunto. Egli comanda,

ch'Arsamene s'uccida.

In voi il mio cor si fida:

cercatelo, e per voi nota gli sia

questa sentenza ria.

Volo per ispedirlo. (Oh, mio cordoglio!)

Romilda, che v'adora,

di voi pensa ad ogn'ora.

Troppo oltraggi la mia fede...

(vuol partire)

Ah il genitore!

Che ascolto?

(Oh me beata! oh sorte!)

Sì mio padre e signore.

Se ne viene Ariodate, è tempo omai

di scoprir, che son io,

che Romilda desio.

Eccomi, Ariodate!

Or che vi sembra?

Lo sposo egual vi dissi?

Romilda vaga

ne sarà paga?

Ma perché mai non viene?

Dov'è?

Come?

Che sposo? Ahimè!

Che v'imposi? che?

E sono sposi?

Empio! Perfido! Indegno!

Tu m'hai tradito,

e pur «tuo re» tenti chiamarmi, ardito.

Romilda a me l'invia? Perfida donna!

Crede co' inchiostri rei

incantar follemente i sdegni miei?

(dà la lettera ad Ariodate, che legge)

Leggi, che fai?

Come? ingrato mi chiama; e tanto ell'osa?

E altrui si sposa?

Ah note scellerate!

Colpe di averti amato.

Che?

(prende con sdegno la lettera e guarda la firma)

Amastre! Vanne, e ti allontana, indegno.

Non mancava altro tedio in tanto sdegno.

Crude furie degli orridi abissi

aspergetemi d'atro veleno.

Crolli il mondo, il sole s'eclissi

a quest'ira, che spira il mio seno!

Perfidi, e ancora osate

venirmi innanzi?

Sol per schernirmi.

Tu m'hai Romilda tolta.

Confermo.

E quando?

Temerari pretesti!

(tira la spada)

Questo ferro a quell'empia in seno immergi.

E chi sei tu che ognor sempre mi sturbi?

Sì!

Sì!

Uccidetemi sì.

Fermate! Ora mi pento. ~

Sì, ma di tua pietade indegno sono.

Io mi consolo.

Ed io cercherò altrove un altro amante.

Amici, compatite i miei furori,

e godete felici i vostri amori.

Caro voi siete all'alma

dolce voi siete al cor.

Son dalla vostra palma

fatta trofeo d'amor.