ROBERTO DEVEREUX
Tragedia lirica in tre atti.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Salvadore CAMMARANO.
Musica di Gaetano DONIZETTI.
Prima esecuzione: 28 ottobre 1837, Napoli.
Personaggi:
ELISABETTA regina d'Inghilterra |
soprano |
Lord duca di NOTTINGHAM |
baritono |
SARA duchessa di Nottingham |
mezzosoprano |
ROBERTO Devereux, conte di Essex |
tenore |
Lord CECIL |
tenore |
Sir GUALTIERO Raleigh |
basso |
UN PAGGIO |
contralto |
UN FAMILIARE di Nottingham |
basso |
Coro di Dame della corte reale.
Coro di Lord del parlamento, Cavalieri e Armigeri.
Comparse, Paggi, Guardie reali, Scudieri di Nottingham.
L'avvenimento ha luogo nella città di Londra e nel cadere del secolo XVI.
Sala terrena nel palagio di Westminster, con grande apertura nel fondo, dalla quale si vede una serra di piante.
Le Dame della corte reale sono intente a diversi lavori donneschi: Sara, duchessa di Nottingham, siede in un canto sola, taciturna, cogli occhi immobili su di un libro, ed aspersi di lagrime.
[N. 1 - Preludio, coro e romanza]
DAME
(osservando la duchessa)
(Geme!... Pallor funereo
le sta dipinto in volto!
Un duolo, un duol terribile
ha certo in cor sepolto.)
(accostandosi ad essa)
Sara? Duchessa? Oh! scuotiti...
Ragione ascolta omai.
Onde la tua mestizia?
SARA
Mestizia in me!
DAME
Non hai
sul ciglio ancor la lagrima?
SARA
(Ah! mi tradisce il cor!)
Lessi dolente istoria...
Piangea... di Rosamonda.
DAME
Chiudi la trista pagina
che il tuo dolor seconda.
SARA
Il mio dolor!...
DAME
Sì; versalo
dell'amistade in seno.
SARA
Ladi, e credete?...
DAME
Ah! fidati...
SARA
Io?... No... Son lieta appieno.
(sciogliendo un forzato sorriso)
DAME
(È quel sorriso infausto
più del suo pianto ancor.)
SARA
(All'afflitto è dolce il pianto...
È la gioia che gli resta...
Una stella a me funesta
anche il pianto mi vietò.
Della tua più cruda, oh quanto,
Rosamonda, è la mia sorte!
Tu peristi d'una morte...
Io vivendo ognor morrò.)
Elisabetta preceduta da' suoi Paggi, e dette.
[N. 2 - Scena e cavatina]
UN PAGGIO
La regina.
Al comparire della Regina le Dame s'inchinano: ella risponde al saluto, quindi s'accosta alla Nottingham in atto benigno.
ELISABETTA
Duchessa...
(porgendo la destra a Sara: ella rispettosamente la bacia. Le dame restano in fondo alla scena)
Alle fervide preci
del tuo consorte alfin m'arrendo, alfine
il conte rivedrò... Ma dio conceda
che per l'ultima volta io no 'l riveda,
ch'io non gli scerna in core
macchia di tradimento.
SARA
Egli era sempre
fido alla sua regina.
ELISABETTA
Fido alla sua regina! E basta, o Sara?
Uopo è che fido il trovi
Elisabetta.
SARA
(Io gelo!...)
ELISABETTA
A te svelai
tutto il mio cor... lo sai,
or volge intero l'anno,
ch'ei sospiroso e mesto
fuggia gli amici, e il mio reale aspetto:
un orrendo sospetto
alcuno in me destò. D'Irlanda in riva
lo trasse un cenno mio, ché lunge il volli
da Londra... egli vi torna, ed accusato
di fellonia; ma d'altra colpa io temo
delinquente saperlo...
(con trasporto di collera)
Una rivale,
s'io discoprissi, oh quale,
oh quanta non sarebbe
la mia vendetta!
SARA
(Ove m'ascondo?...)
ELISABETTA
Il core
togliermi di Roberto!...
Pari colpa sarìa togliermi il serto.
(un momento di silenzio: ella si calma alquanto)
L'amor suo mi fe' beata,
mi sembrò del cielo un dono...
E a quest'alma innamorata
era un ben maggior del trono.
Ah! se fui, se fui tradita,
se quel cor più mio non è,
le delizie della vita
lutto e pianto son per me!
Cecil, Gualtiero, altri Lord del parlamento e detti.
[N. 3 - Gran scena e duetto]
CECIL
Nunzio son del parlamento.
(dopo essersi ossequiosamente inchinato alla regina)
SARA
(Tremo!...)
ELISABETTA
Esponi.
SARA
(Ha sculto in fronte
l'odio suo!...)
CECIL
Di tradimento
si macchiò d'Essex il conte:
eccessiva in te clemenza
il giudizio ne sospende;
profferir di lui sentenza,
e stornar sue trame orrende,
ben lo sai, de' pari è dritto.
Questo dritto si richiede.
ELISABETTA
D'altre prove il suo delitto,
lòrdi, ha d'uopo.
Un Paggio e detti.
UN PAGGIO
Al regio piede
di venirne Essex implora.
CECIL E GUALTIERO
Egli!...
ELISABETTA
Venga. Udirlo io vo'.
(lanciando a Cecil ed a Gualtiero uno sguardo rigoroso)
CECIL E GUALTIERO
(Ah! la rabbia mi divora!...)
SARA
(Come il cor mi palpitò.)
ELISABETTA
(Ah! ritorna qual ti spero,
qual ne' giorni più felici,
e cadranno i tuoi nemici
nella polve innanzi a te.
Il mio regno, il mondo intero
reo di morte invan ti grida...
Se al mio piede amor ti guida
innocente sei per me!)
SARA
(A lui fausto il ciel sorrida,
e funesto sia per me!)
CECIL, GUALTIERO E CORO
(De' suoi giorni un astro è guida,
che al tramonto ancor non è!)
Roberto e detti.
ROBERTO
Donna reale, a' piedi tuoi...
ELISABETTA
Roberto...
Conte, sorgi, lo impongo.
(gli sguardi di Roberto errano in traccia di Sara; ella, piena di smarrimento, cerca evitarli)
ELISABETTA
(a Cecil)
Il voler mio
noto in breve farò. Signori, addio.
Tutti si ritirano, tranne Roberto.
ELISABETTA
In sembianza di reo tornasti dunque
al mio cospetto! E me tradire osavi?
E insidiar degli avi
a questo crine il serto!
ROBERTO
Il petto mio
pieno di cicatrici,
che il brando vi lasciò de' tuoi nemici,
per me risponda.
ELISABETTA
Ma l'accusa?...
ROBERTO
E quale?...
Domata in campo la ribelle schiera,
col vinto usai clemenza; ecco la colpa,
onde al suo duce innalza un palco infame
d'Elisabetta il cenno!
ELISABETTA
Il cenno mio
differì, sconoscente,
la tua sentenza; il cenno mio ti lascia
in libertade ancor. Ma che favelli
di palco! A te giammai questa mia destra
schiuder non può la tomba.
Quando chiamò la tromba
i miei guerrieri ad espugnar le torri
della superba Cadice, temesti
che la rovina macchinar potesse
di te lontano, atroce, invida rabbia:
ti porsi questo anello
(accennando una gemma che Roberto ha in dito)
e ti parlai
la parola dei re, che ad ogni evento
offrirlo agli occhi miei, di tua salvezza
pegno sarebbe... Ah! col pensiero io torno
a stagion più ridente!
Allora i giorni miei
scorrean soavi al par d'una speranza...
Oh, giorni avventurati! oh, rimembranza!
Un tenero core mi rese felice:
provai quel contento che labbro non dice...
un sogno d'amore la vita mi parve...
ma il sogno disparve disparve quel cor!
ROBERTO
(Indarno la sorte un trono m'addita;
per me di speranze non ride la vita,
per me l'universo è muto, deserto,
le gemme del serto non hanno splendor.)
ELISABETTA
Non favelli? È dunque vero!
(in tuono di rimprovero, in cui traspira tutta la sua tenerezza)
Sei cangiato?
ROBERTO
No... che dici!...
Parla un detto, ed il guerriero
sorge, e fuga i tuoi nemici.
D'obbedienza, di valore
prove avrai.
ELISABETTA
(Ma non d'amore!)
Vuoi pugnar! Ma di': non pensi
(con simulata calma, e fissando in Roberto uno sguardo scrutatore)
che bagnar faresti un ciglio
qui di pianto?
ROBERTO
(Ahimè, quai sensi!)
ELISABETTA
Che l'idea del tuo periglio
palpitar farebbe un core?
ROBERTO
Palpitar?...
ELISABETTA
Di tal, che amore
teco strinse.
ROBERTO
Ah! dunque sai?...
(Ciel, che dico!...)
ELISABETTA
Ebben? Finisci:
(reprimendosi appena)
l'alma tua mi svela ormai.
Che paventi?... Ardisci, ardisci,
noma pur la tua diletta...
All'altare io vi trarrò.
ROBERTO
Mal ti apponi...
ELISABETTA
(O mia vendetta!...)
E non ami? Bada!
(atteggiandosi di terribile maestà)
ROBERTO
Io?... No.
ELISABETTA
(Un lampo, un lampo orribile
agli occhi miei splendea!...
No, dal mio sdegno vindice
fuggir non può la rea.
Morrà l'infido, il perfido,
morrà di morte acerba,
e la rival superba
punita in lui sarà.)
ROBERTO
(Nascondi, frena i palpiti
o misero mio core!
Ti pasci sol di lagrime
o sventurato amore!
Ch'io cada solo vittima
del suo fatal sospetto...
Con me l'arcano affetto
e morte, e tomba avrà.)
(Elisabetta rientra ne' suoi appartamenti)
Nottingham e detto.
(Roberto è rimasto in profondo silenzio; immobile, co' lo sguardo fiso al suolo)
[N. 4 - Scena e cavatina]
NOTTINGHAM
ROBERTO
Che!... fra le tue braccia!...
(balza indietro, come respinto da ignoto potere)
NOTTINGHAM
ROBERTO
Ancor la mia sentenza
non proferì colei; ma nel tremendo
sguardo le vidi folgorar la brama
del sangue mio...
NOTTINGHAM
ROBERTO
Ah! lascia
che il mio destin si compia; e nelle braccia
di cara sposa un infelice oblia.
NOTTINGHAM
ROBERTO
Oh! narra...
NOTTINGHAM
ROBERTO
(Oh ciel!... pentita
sarìa quella spergiura?...)
NOTTINGHAM
ROBERTO
(È rea, ma sventurata!...)
NOTTINGHAM
ROBERTO
(Ancor m'affida
un raggio di speranza!...)
NOTTINGHAM
Cecil, gli altri Lord del parlamento e detti.
CECIL
Duca, vieni: a conferenza
la regina i pari invita.
NOTTINGHAM
CECIL
(a voce bassa)
Una sentenza
troppo a lungo differita.
(volgendo a Roberto un'occhiata feroce)
NOTTINGHAM
(porge la destra a Roberto come in atto d'accommiatarsi: è commosso vivamente, e però lo bacia, ed abbraccia con tutta l'effusione dell'amicizia)
ROBERTO
Sul tuo ciglio
una lagrima spuntò!...
M'abbandona al mio periglio...
Tu lo déi!
NOTTINGHAM
CECIL E CORO
(Quel superbo il giusto fio
de' suoi falli pagherà.)
ROBERTO
(Lacerato al par del mio
sulla terra un cor non v'ha!)
(parte; Nottingham e Coro escono per altra via)
Appartamenti della duchessa, nel palazzo Nottingham. In prospetto verone, che risponde sul giardino: da un canto tavola, su cui un doppiere acceso ed una ricca cesta.
Sara.
[N. 5 - Scena e duetto]
Tutto è silenzio!... Nel cor soltanto
parla una voce, un grido
qual di severo accusator! Ma rea
non son: della pietade
io m'arrendo al consiglio
non dell'amor... L'orribile periglio
che Roberto minaccia
il mio scordar mi fe'... Chi giunge! È desso.
Roberto, chiuso in lungo mantello, e detta.
ROBERTO
Una volta, crudel, m'hai pur concesso
venirne a te!... Spergiura! Traditrice!
Perfida!... E qual v'ha nome
d'oltraggio e di rampogna
che tu non merti?
SARA
Ascolta. Eri già lunge,
quando si chiuse la funerea pietra
sul padre mio. Rimasta
orfana e sola: d'un appoggio hai d'uopo,
la regina mi disse, a liete nozze
ti serbo.
ROBERTO
E tu?
SARA
M'opposi. Or dimmi, aggiunse,
forse nel chiuso petto
nutri fiamma d'amor? L'ascoso affetto
svelar poteva, e segno
farti al tremendo suo furor? Le chiesi,
ma indarno il vel... fui tratta
al talamo... Che dico?
A supplizio di morte!
ROBERTO
Oh ciel!...
SARA
Felice,
quant'io no 'l son, fato miglior ti renda...
alla regina il core
volgi Roberto, e tremino gli audaci
che a te fan guerra...
ROBERTO
Oh! taci...
Spento all'amor son io.
SARA
Sciagura estrema!
Sebben da cruda gelosia trafitta,
sperai... La gemma che in tua man risplende
era memoria e pegno
dell'affetto real...
ROBERTO
Pegno d'affetto?
Non sai!... Pur si distrugga il tuo sospetto
(gettando l'anello sulla tavola)
mille volte per te darei la vita.
SARA
Roberto... ultimo accento
Sara ti parla, ed osa
una grazia pregar.
ROBERTO
Chiedimi il sangue...
Per te fia sparso, o mio perduto bene.
SARA
Viver devi, e fuggir da queste arene.
ROBERTO
Il vero intesi?... Ah! parmi,
parmi sognar!
SARA
Se m'ami,
per sempre déi lasciarmi.
ROBERTO
Per sempre! E tu lo brami!...
Può a questo segno ingrato
esser di Sara il cor?
Son l'odio tuo!...
SARA
Spietato!...
Ardo per te d'amor.
Da che tornasti, ahi, misera!
in questo debil core
del mal sopito incendio
si ridestò l'ardore...
Ah! parti, ah! vanne, ah! fuggimi...
Cedi alla sorte acerba...
A te la vita serba,
serba l'onore a me.
ROBERTO
Dove son io?... Quai smanie!...
Fra vita, e morte ondeggio!...
Tu m'ami, e deggio perderti!...
M'ami, e fuggir ti deggio!...
Poter dell'amicizia,
prestami tu vigore;
ché d'un mortale in core
tanta virtù non è.
(Sara è a piè di lui piangente e supplichevole)
Tergi le amare lagrime...
(sollevandola)
Sì, fuggirò.
SARA
Lo giura.
(Roberto protende la destra in atto di giuramento)
E quando?
ROBERTO
Allor che tacita
avrà la notte oscura
un'altra volta in cielo
disteso il tetro velo.
Or non potrei, che fulgido
il primo albor già sorge...
SARA
Ah! qual periglio!... Involati...
Se alcuno escir ti scorge!...
ROBERTO
Oh, fero istante!...
SARA
Un ultimo
pegno d'infausto amore
con te ne venga...
(levando dalla cesta una sciarpa azzurra, trapunta d'oro)
ROBERTO
Ah! porgilo...
Qui, sul trafitto core...
SARA
Vanne... di me rammentati
sol quando preghi il ciel:
addio...
ROBERTO
Per sempre...
SARA
Oh spasimo!...
SARA E ROBERTO
Oh, reo destin crudel!...
Questo addio fatale, estremo
è un abisso di tormenti...
Le mie lagrime cocenti
più del ciglio, sparge il cor.
Ah! mai più non ci vedremo...
Ah! mai più: morir mi sento...
Si racchiude in questo accento
una vita di dolor.
Roberto parte. Sara si ritira.
Testo originale della cabaletta nel finale della scena V, atto I.
ROBERTO
(D'orrendo precipizio
il piè sull'orlo è giunto!
Dal ferro del carnefice
or mi divide un punto!
Cadrò, ma sola vittima
del suo fatal sospetto...
Con me l'arcano affetto
e morte, e tomba avrà.)
Magnifica galleria nella reggia.
I Lord componenti la corte di Elisabetta sono radunati in crocchio: quindi sopraggiungono le Dame.
[N. 6 - Introduzione]
ALCUNI LORD
L'ore trascorrono, surse l'aurora,
né il parlamento si scioglie ancora!
GLI ALTRI
Senza l'aita della regina
pur troppo è certa la sua rovina!...
DAME
Lòrdi, tacetevi; Elisabetta,
qual chi matura una vendetta,
erra d'intorno fremente e sola,
né move inchiesta, né fa parola.
TUTTI
O conte misero! Il cielo irato
di fosche nubi si circondò...
Il tuo supplizio è già segnato:
in quel silenzio morte parlò!
Elisabetta da un lato, Cecil dall'altro e detti.
[N. 7 - Scena e duettino]
ELISABETTA
Ebben?
CECIL
Del reo le sorti
furo a lungo agitate:
più d'amistà, che di ragion possente
il duca vivamente
lo difese, ma invan. Recar ti deve
la sentenza egli stesso.
ELISABETTA
(a voce bassa)
Ed era?
CECIL
(a voce bassa)
Morte.
Gualtiero e detti.
GUALTIERO
Regina...
ELISABETTA
Può la corte
allontanarsi: richiamata
in breve qui fia.
Tutti partono tranne Gualtiero.
ELISABETTA
Tanto indugiasti!
GUALTIERO
Assente egli era,
ed al palagio suo non fe' ritorno
che sorto il nuovo giorno.
(marcato; Elisabetta si turba)
ELISABETTA
Segui.
GUALTIERO
Fu disarmato;
e nel cercar se criminosi fogli
nelle vesti chiudesse, i miei seguaci
vider che in sen celava
serica sciarpa. Comandai che tolta
gli fosse; d'ira temeraria e stolta
egli avvampando: pria, gridò, strapparmi
il cor dovete, iniqui...
Del conte la repulsa
fu vana...
ELISABETTA
E quella sciarpa?...
GUALTIERO
Eccola.
ELISABETTA
(Oh rabbia!
Cifre d'amor qui veggio!...)
(è tremante di sdegno; ma volgendo uno sguardo a Gualtiero riprende la sua maestà)
Al mio cospetto
colui si tragga.
(Gualtiero parte)
Ho mille furie in petto!
(gettando la sciarpa sur una tavola ch'è nel fondo della scena)
Nottingham e detta.
NOTTINGHAM
(Elisabetta gli volge una fiera occhiata)
NOTTINGHAM
ELISABETTA
In questo core è sculta
la sua condanna.
NOTTINGHAM
ELISABETTA
D'una rivale occulta
finor lo accolse il tetto...
Sì, questa notte istessa
ei mi tradia...
NOTTINGHAM
ELISABETTA
Oh! cessa...
NOTTINGHAM
ELISABETTA
No, dubitar non giova...
Al mancar suo fu colta
irrefragabil prova...
(a questa ricordanza si raddoppia la sua collera, quindi è per firmare la sentenza)
NOTTINGHAM
ELISABETTA
Taci: pietade o grazia
non merta il tracotante...
A fellonia di suddito
perfidia unì di amante...
Muoia; e non sorga un gemito
a domandar mercé.
Roberto fra Guardie, Gualtiero e detti.
[N. 8 - Terzetto]
ELISABETTA
(Ecco l'indegno!...)
Ad un segno di Elisabetta Gualtiero e le Guardie si ritirano.
ELISABETTA
Appressati...
ergi l'altera fronte.
Che dissi a te? Rammentalo.
Ami, ti dissi, o conte?
No: rispondesti... Un perfido,
un vile, un mentitore
tu sei... del tuo mendacio
il muto accusatore guarda,
e sul cor ti scenda
fero di morte un gel.
(gli mostra la sciarpa)
NOTTINGHAM
(Roberto osservando la sorpresa di Nottingham è preso da tremore)
ELISABETTA
Tremi alfine.
NOTTINGHAM
ROBERTO
(Oh ciel!...)
ELISABETTA
Alma infida, ingrato core,
ti raggiunse il mio furore.
Pria che ardesse fiamma rea
nel tuo petto a me nemico,
pria d'offender chi nascea
dal tremendo ottavo Enrico,
scender vivo nel sepolcro
tu dovevi, o traditor.
NOTTINGHAM
ROBERTO
(Mi sovrasta il fato estremo!
Pur di me, di me non tremo...
Della misera il periglio
tutto estinse il mio coraggio...
Di costui nel torvo ciglio
folgorò sanguigno raggio!
Ahi! quel pegno sciagurato
fu di morte, e non d'amor!)
NOTTINGHAM
ROBERTO
(Supplizio infernale!...)
NOTTINGHAM
ELISABETTA
O mio fido! E tu fremi, tu pure
dell'oltraggio che a me fu recato!
(a Roberto)
Io favello: m'ascolta. La scure
già minaccia il tuo capo esecrato:
qual si noma l'ardita rivale
di' soltanto, e lo giuro, vivrai.
Nottingham affigge in Roberto gli occhi pieni di orrenda ansietà.
Un istante di silenzio.
ELISABETTA
Parla, ah! parla.
NOTTINGHAM
ROBERTO
Pria la morte.
ELISABETTA
Ostinato! E l'avrai.
Ad un cenno della regina la sala si riempie di Cavalieri, di Dame e Paggi, con Guardie, ecc.
ELISABETTA
Tutti udite. II giudizio de' pari
di costui la condanna mi porse.
Io la segno. Ciascuno la impari.
Come il sole, che parte già corse
(a Cecil porgendogli la sentenza)
del suo giro, al meriggio sia giunto,
s'oda un tuono del bronzo guerrier:
lo percuota la scure in quel punto.
CORO
(Tristo giorno di morte forier!)
ELISABETTA
Va'; la morte sul capo ti pende,
sul tuo nome l'infamia discende...
Tal sepolcro t'appresta il mio sdegno,
che non fia chi di pianto lo scaldi:
con la polve di vili ribaldi
la tua polve confusa ne andrà.
ROBERTO
Del mio sangue la scure bagnata
più non fia d'ignominia macchiata.
Il tuo crudo, implacabile sdegno
non la fama, la vita mi toglie:
ove giaccian le morte mie spoglie
ivi un'ara di morte sarà.
NOTTINGHAM
CECIL E GUALTIERO
Sul tuo capo la scure già piomba...
Maledetto il tuo nome sarà.
CORO
(Al reietto nemmeno la tomba
un asilo di pace darà?)
Ad un cenno di Elisabetta, Roberto è circondato dalle Guardie.
Sala terrena nel palazzo Nottingham. Nel fondo grandi invetriate chiuse, a traverso le quali scorgesi una parte di Londra.
Sara.
[N. 9 - Scena e duetto]
Né riede il mio consorte!... Oh, ciel, che seppi!...
Il consesso notturno
si radunava onde portar sentenza
del minacciato conte... Oh! s'ei fra ceppi
avvinto, pria del suo fuggir...
Un Familiare, e detta: indi un Soldato.
UN FAMILIARE
Duchessa,
un di que' prodi, cui vegliar fu dato
la regia stanza, e già pugnaro a lato
del gran Roberto, qui giungea, recando
non so qual foglio, che in tua man deporre
e richiede, e scongiura.
SARA
Venga.
Il Soldato viene introdotto: egli porge alla Duchessa una lettera, indi si ritira col Domestico.
SARA
(riconoscendo i caratteri)
Roberto scrisse!...
(dopo letto)
O ria sciagura!...
segnata è la condanna!...
Pur... qui lo apprendo... questo anello è sacro
mallevador de' giorni suoi... Che tardo?...
Corrasi ai piè d'Elisabetta...
Nottingham e detta.
SARA
(Il duca!...)
(Nottingham resta immobile presso il limitare, con gli occhi terribilmente fissi in quelli di Sara)
SARA
(Qual torvo sguardo!...)
NOTTINGHAM
SARA
(Oh, cielo!)
NOTTINGHAM
SARA
Sposo!...
NOTTINGHAM
(in tuono che non ammette repliche. Sara gli porge con tremula mano lo scritto di Essex)
SARA
(Perduta son!)
(il duca legge)
NOTTINGHAM
SARA
Oh, folgore tremenda, inaspettata!...
Già tutto è noto a lui!...
NOTTINGHAM
SARA
M'uccidi.
NOTTINGHAM
SARA
Tanta il destin fremente
dunque ha su noi possanza!
Può dunque l'innocente
di reo vestir sembianza!
O tu, cui dato è leggere
in questo cor pudico,
tu, dio clemente, accertalo
ch'empio non è l'amico,
che d'un pensier, d'un palpito
tradito io mai non l'ho.
Odesi lugubre marcia.
SARA
Non rimbomba un suon ferale!...
Ah!
Scorgesi Essex passar di lontano, circondato dalle Guardie.
NOTTINGHAM
SARA
Fero brivido mortale
per le vene mi trascorre!...
Il supplizio a lui si appresta!
L'ora... ahi! l'ora è già vicina!...
Dio, m'aita!...
NOTTINGHAM
SARA
Alla regina.
NOTTINGHAM
SARA
Lascia...
(cercando liberarsi)
NOTTINGHAM
Compariscono le Guardie del palazzo ducale.
NOTTINGHAM
SARA
(con grido disperato)
Oh ciel!...
(cadendo alle ginocchia di lui)
Pietà...
SARA
All'ambascia ond'io mi struggo
dona, ah! dona un solo istante...
Io lo giuro, a te non fuggo,
riedo in breve alle tue piante...
Cento volte allor, se vuoi,
me trafiggi a' piedi tuoi,
benedir m'udrai morente
quella man che mi ferì.
NOTTINGHAM
Egli esce nel massimo furore. Sara cade svenuta.
Orrido carcere nella torre di Londra, destinata per ultima dimora ai colpevoli condannati alla morte.
Roberto.
[N. 10 - Scena e aria]
ROBERTO
Ed ancor la tremenda
porta non si dischiude... Un rio presagio
tutte m'ingombra di terror le vene.
Pur fido messo, e quella gemma è pegno
sicuro a me di scampo.
Uso a mirarla in campo,
io non temo la morte; io viver solo
tanto desio che la virtù di Sara
a discolpar mi basti...
O tu, che m'involasti
quell'adorata donna, i giorni miei
serbo al tuo brando, tu svenar mi déi.
Io ti dirò, fra gli ultimi
singhiozzi, in braccio a morte:
come uno spirto angelico
pura è la tua consorte...
Lo giuro, e il giuramento
col sangue mio suggello...
Credi all'estremo accento
che il labbro mio parlò.
Chi scende nell'avello
sai che mentir non può.
Odesi calpestio e sordo rumore di chiavistelli.
ROBERTO
Odo un suon per l'aria cieca...
Si dischiudono le porte...
Ah! la grazia mi si reca.
Un drappello di Guardie coverte di bruna armatura, e detto.
GUARDIE
Vieni, o conte.
ROBERTO
Dove?
GUARDIE
A morte.
Roberto resta come percosso dal fulmine. Momento di silenzio.
ROBERTO
Ora in terra, o sventurata,
più sperar non déi pietà...
Ma non resti abbandonata;
avvi un giusto, ed ei m'udrà.
Bagnato il sen di lagrime,
tinto del sangue mio
io corro, io volo a chiedere
per te soccorso a dio...
Impietositi gli angeli
eco al mio duol faranno...
si piangerà d'affanno
la prima volta in ciel!
GUARDIE
Vieni... a subir preparati
la morte più crudel.
Partono con Roberto.
Gabinetto della regina.
Elisabetta è abbandonata su d'un sofà col gomito appoggiato ad una tavola, ove risplende la sua corona: le Dame le stanno intorno meste e silenziose.
[N. 11 - Scena e aria finale]
ELISABETTA
(E Sara in questi orribili momenti
poté lasciarmi?... Al suo ducal palagio,
onde qui trarla s'affrettò Gualtiero,
(sorgendo agitatissima)
e ancor!... De' suoi conforti
l'amistà mi sovvenga, io n'ho ben d'uopo...
Son donna! Il foco è spento
del mio furor...)
DAME
(Ha nel turbato aspetto
d'alto martir le impronte!...
Più non le brilla in fronte
l'usata maestà!...)
ELISABETTA
(Vana la speme
non fia... presso a morir, l'augusta gemma
ei recar mi farà... Pentito il veggo
alla presenza mia... Pur... fugge il tempo!...
Vorrei fermar gl'istanti. E se la morte,
ond'esser fido alla rival, scegliesse?...
Oh truce idea funesta!...
E s'ei già move al palco?... Ah! no... t'arresta...
Vivi, ingrato, a lei d'accanto;
il mio core a te perdona...
Vivi, o crudo, e m'abbandona
in eterno a sospirar...
Ah! si celi questo pianto,
(gettando uno sguardo alle Dame, e rammentandosi d'esser osservata)
ah! non sia chi dica in terra:
la regina d'Inghilterra
ho veduto lagrimar.)
Cecil, Cavalieri e dette.
ELISABETTA
Che m'apporti?
CECIL
Quell'indegno
al supplizio s'incammina.
ELISABETTA
(Ciel!...) Né diede un qualche pegno
da recarsi alla regina?
CECIL
Nulla diede.
Odesi un procedere di passi affrettati.
ELISABETTA
Alcun s'appressa!...
Deh! si vegga.
CECIL E CORO
È la duchessa...
Sara, Gualtiero e detti. Sara, scinta le chiome, e pallida come un estinto, si precipita a' piè di Elisabetta: ella non può articolar parola, ma sporge verso la regina l'anello d'Essex.
ELISABETTA
Questa gemma donde avesti!...
(nella massima agitazione)
Quali smanie!... qual pallore!...
Oh sospetto!... E che! potesti
forse!... Ah! parla.
SARA
Il mio terrore...
Tutto... dice... Io son...
ELISABETTA
Finisci.
SARA
Tua rivale.
ELISABETTA
Ah!...
SARA
Me punisci...
Ma... del... conte serba... i giorni...
ELISABETTA
(ai Cavalieri)
Deh! correte... deh! volate...
Pur ch'ei vivo a me ritorni,
il mio serto domandate...
CAVALIERI
Ciel, ne arrida il tuo favore.
Fanno un rapido movimento per uscire. Rimbomba un colpo di cannone; grido universale di spavento.
Nottingham e detti.
NOTTINGHAM
GLI ALTRI
Qual terrore!...
Silenzio.
ELISABETTA
(convulsa di rabbia e di affanno, si avvicina a Sara)
Tu, perversa... tu soltanto
lo spingesti nell'avello...
Onde mai tardar cotanto
a recarmi questo anello?
NOTTINGHAM
ELISABETTA
(a Sara)
Alma rea!...
(a Nottingham)
Spietato cor!...
Nottingham e Sara partono fra Guardie. Intanto Elisabetta, profondamente assorta, covresi di estremo pallore; i suoi occhi sono di persona atterrita da spaventevole visione.
ELISABETTA
Mirate quel palco... di sangue rosseggia...
È tutto di sangue il serto bagnato...
Un orrido spettro percorre la reggia,
tenendo nel pugno il capo troncato...
Di gemiti, e grida il cielo rimbomba...
Pallente del giorno il raggio si fe'...
Dov'era il mio trono s'innalza una tomba...
In quella discendo... fu schiusa per me.
CORO
Ti calma... rammenta le cure del soglio:
chi regna, lo sai, non vive per sé.
ELISABETTA
Non regno... non vivo... Escite... Lo voglio...
Dell'anglica terra sia Giacomo il re.
Tutti si allontanano; ma giunti sul limitare si rivolgono ancora verso la Regina: ella è caduta sul sofà, accostandosi alla bocca l'anello di Essex. Intanto si abbassa la tela.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/05/2016
Pagina: ridotto, rid
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