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Su, da bravi, giovinotti:

quelle note ben marcate;

state attenti, non mi fate

tante volte replicar.

(va al cembalo)

Zitto!

(si alza dal cembalo)

Che diavolo mai fate!

Voi sempre qua sbagliate,

lasciate una battuta.

Torniamo a cominciar.

Adesso è andato bene.

Signore, ben venuto.

Provo un coro.

Ora non posso.

No, no: scusate.

Ebbene, che vi pare?

Ma quando si va in scena?

Perché?

Ma il libretto è finito?

Viene l'avvisatore.

Sentiam che v'è di nuovo.

Ho capito.

(ai coristi)

Signori, a mezzo giorno

si fa la prova dalla prima donna.

Si ricordino bene, che chi manca

pagherà la penale. A rivedergli.

Andiamo, signor poeta.

(prende la musica e il cappello)

Vado in copisteria.

Dunque là si vedremo.

Riverisco umilmente il padron mio.

Mia Corilla.

Ah, perché, diletta mia,

mi fai sempre sospirar?

No, mia cara, io sono amante.

Di voi, lo giuro.

Ah crudel, ah donna ingrata!

Sei la fiera più spietata,

che si possa mai trovar.

(Non resisto.)

(Qual momento!)

(come sopra)

Ho risoluto anch'io.

Non vi rispondo.

Fate ciò che volete.

Corilla mia.

(avvicinandosi alla sedia)

Non so dove mi sia.

(Che importuno!)

Io dico che è suonato il mezzo giorno,

che non si vede alcuno,

e che non voglio fare

il servitore agli altri.

Io non m'annoio;

ma la mia convenienza...

Oh manco male!

Mi perdoni, signora, s'ho tardato.

(bacia la mano a Corilla)

Manca il signor maestro.

Viene a momenti.

Dica, signor Fastidio:

il degnissimo nostro primo musico,

quando viene alla piazza?

Il giorno dieci.

Il giorno venti.

Che si prova?

S'intende scena sesta.

(come sopra)

Ma come s'ha da fare,

se mancano due parti principali:

il basso, e il primo musico?

Perché è a letto ammalato.

Femmina imbelle, e poi sprezzar cotanto

del vincitor la mano?

Pensa che sono...

Mori dunque, crudel.

Quale istante!

Io non c'entro...

Dice bene madamina,

e mi posso io pur lagnar.

Seguitiam.

(a Fastidio)

Io protesto la scrittura.

Impresario, vado via.

(trattenendoli)

Signora mia,

non andate.

(verso la scena)

Signor maestro, ehi dico, signorine,

fermatevi, aspettate. Eh maledette

tutte queste etichette!

Maledetto il momento,

che mi saltò nel capo

di fare l'impresario.

Signore, a quel che vedo

è finita la prova,

e possono i coristi andare a casa.

Sì, sì: vadino pure.

Oh poveretto me! son rovinato.

Consumo il mio denaro,

nessuno mi rispetta.

Oh sorte capricciosa, e maledetta!

(parte)

Siete sempre adirata?

Dunque vi lascio in pace.

(in atto di partire, ma lentamente)

Credetemi, Corilla, io son fedele.

Sì, cara.

Io la stimo, e non altro.

Cos'avete?

No, mio bene;

aspetto la scrittura da Torino

per me, e per voi.

È certo.

Così spero.

Sì, mio dolce amore.

Trasportar dal piacer mi sento il core.

Cara fiamma del cor mio,

qual momento di piacer!

Or non sento altro desio,

che star teco, o mio tesor.

La crudele gelosia

longi sia da' nostri petti,

ed in dolce laccio stretti

sia dell'alme un sol voler.

Cara fiamma del cor mio,

qual momento di piacer!

(parte)

Ma dove ritrovarlo?

L'ho veduto sortir da questa casa,

ed entrar nel caffè.

Va' dunque presto,

e fallo qua venire.

Voglia il ciel che riesca. Ecco il maestro.

Or vien la prima donna,

e si deve decidere d'accordo

l'affare del quintetto.

Perché?

Per carità restate;

se partite di qua mi rovinate.

Lo canterò ancor io.

(piano a Campanone)

Avete inteso?

Andiamo.

No: fermatevi.

Dobbiamo andare tutti

a pranzare in campagna.

Qua vicino.

Oggi v'è la gran festa,

e ci divertiremo.

Vado.

(in atto di partire)

No, no: lasciate; io farò tutto.

(trattenendolo parte)

Subito.

(va nella stanza, e ritorna subito col violino)

Ecco che la carrozza è già arrivata.

(riporterà il violino nella stanza, e ritornerà subito)

Signori, è tutto pronto.

Andiamo.

Questa sera vi avverto,

si fa prova in teatro

con tutti gli strumenti.

Andiamo adesso a pranzo.

Arrivan forestieri.

Minaccia una tempesta.

Venite avanti.

Son qua, appoggiatevi.

La gran tempesta

ora è cessata.

Sì, mio tesoro,

si troverà.

Presto Checchina,

presto sposina;

quella signora

vanne a inchinar.

(andando verso Checchina)

Siete la sposa?

Me ne consolo.

(prendendo Checchina per la mano)

Che bella mano!

Eh! non toccate.

Non dubitate.

Ho risoluto;

crudel ti lascio.

Fra i fulmini, la pioggia,

e quella maledetta gelosia,

non si stette un momento in allegria.

Non temete,

son già pacificati,

e a casa, ben d'accordo, sono andati.

La prova è all'otto in punto.

(a Fischietto)

Si è veduto nessuno?

Sì signore.

Il poeta, e il maestro,

sono in copisteria.

E Federico con la prima donna

sono andati in ridotto.

Sembravano due sposi.

(guardando verso la scena)

Chi son coloro?

Sono i coristi.

Fateli qua passare,

e un gelato o caffè fate lor dare.

Venite avanti, amici.

Il signor impresario ha ordinato,

che un gelato a ciascun vi sia donato.

Possiamo entrar frattanto

a vedere il teatro.

Poco manca alla prova;

andiamo dunque: se altro non faremo,

il lavoro finito osserveremo.

Ehi: bottega. Caffè.

Sediamo, o cara.

Come vi sentite?

Non v'adirate più.

Per dar fine ai sospetti

pronto sono a sposarvi.

(come sopra)

Lo farò, mio tesoro.

Son felice.

Mio tesoro!

(osservando il teatro)

Che dite del teatro?

Fra pochi giorni.

Riverisco.

L'ho veduto.

L'architettura è bella, e se non sbaglio,

deve riuscire armonico.

Bisogna accomodarsi qua in platea.

Come siamo vestiti?

Alla romana? O diavolo!

Questo non è il carattere.

Scusi, signor maestro, ma il copista

non l'ha portata ancora.

Vincemmo, amici, e Trebisonda ancora

trema delle nostr'armi.

E tu, superba donna,

mira i seguaci tuoi vinti, e avviliti.

Decisa è la tua sorte:

o la mia mano, o subirai la morte.

No, di voi perfidi,

non ho pietà.

Ora che segue?

Ecco un'altra questione.

Andiamo avanti.

Signori, dice il sarto,

che se il vestiario voi veder volete,

basta che vi degniate di salire

una piccola scala.

Lo vedrò volentieri.

(richiamandoli)

Ehi, signori, fermatevi.

Buona notte alla prova.

Oh che vestiario!

Che porcheria, che roba!

Ma, cara, perdonate; ai tempi di Ettore

la seta non si usava.

Si farà.

Ma signora, proviamo in carità.

In questo punto.

Ecco là il portalettere.

Quante di mie?

Eccovi sette soldi.

Chi v'ha scritto?

Da dove è a voi diretta?

Amico stimatissimo.

Fastidio mio carissimo.

Amico garbatissimo.

Lo spettacolo è decente,

ma però non ha incontrato:

l'impresario è disperato,

io non so come anderà.

La cantante Sassanudi

vuol di paga mille scudi.

Preparate tre spartiti

conosciuti, ed applauditi;

se del nolo son contento

ve lo pago sul momento.

A Trieste piace l'opera.

(piano a Corilla)

(dopo aver riletto la lettera)

È venuta la scrittura,

fra di noi si parlerà.

A Venezia piace l'opera.

Morte volesti, e fiera morte avrai.

Olà; popoli: a morte io la condanno.

Brava, brava, Corilla.

Mi consolo con voi.

Così spero.

Ecco la sinfonia.

Sì signore.

Un altro anche per me.

Subito vi servo.

(parte)

Quest'opera ha d'andar fino alle stelle.

Allegri, allegri. Il musico è arrivato.

In questo punto.

Benissimo.

Signori dell'orchestra

vadino pure a casa.

È fatto, ed è stampato.

Subito. Ehi maestro

mostrate alla signora

il nostro cartellone.

Vediamo.

(osservando il cartellone)

Va benissimo.

Amici, il giorno venti

si deve andare in scena.

(a Campanone)

Ci vuole un bel duetto.