LA PIETRA DEL PARAGONE
Melodramma giocoso.
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Libretto di Luigi ROMANELLI.
Musica di Gioachino ROSSINI.
Prima esecuzione: 26 settembre 1812, Milano.
Attori:
La marchesa CLARICE vedova brillante, accorta e di buon cuore, che aspira alla destra del Conte Asdrubale |
contralto |
La BARONESSA Aspasia, rivale di Clarice non per amore, ma per solo interesse |
soprano |
Donna FULVIA rivale di Clarice non per amore, ma per solo interesse |
mezzosoprano |
Il CONTE Asdrubale, ricco signore, alieno dell'ammogliarsi, non per assoluta avversione al matrimonio, ma per supposta difficoltà di trovare una buona moglie |
basso |
Il cavalier GIOCONDO poeta, amico del Conte e modesto amante, non corrisposto, della marchesa Clarice |
tenore |
MACROBIO giornalista imperito, presuntuoso e venale |
basso |
PACUVIO poeta ignorante |
basso |
FABRIZIO maestro di casa e confidente del Conte |
basso |
Coro di Giardinieri, Ospiti, Cacciatori e Soldati del Conte.
Molte Comparse di diverso carattere.
L'azione si finge in un popolato e ricco borgo, poco lontano da una delle principali città d'Italia, nelle vicinanze del borgo medesimo, e particolarmente in un'amena villeggiatura del Conte Asdrubale ivi situata.
Il sonetto che cade nella scena X dell'atto II non si reciterà che nelle prime tre sere, dopo le quali si tralascerà eziandio tutta la medesima scena.
[Sinfonia]
Giardino.
Coro misto d'Ospiti e di Giardinieri del Conte Asdrubale; indi Pacuvio; poi Fabrizio da una parte, la Baronessa Aspasia dall'altra; e finalmente donna Fulvia.
[Introduzione I]
CORO
Non v'è del Conte Asdrubale
più saggio cavaliere:
ha sensi e cor magnanimo,
è dolce di maniere;
e in casa sua risplendono
ricchezza e nobiltà.
Le femmine rispetta;
qui con piacer le accoglie;
ma par che poca fretta
si dia di prender moglie;
sia forte nello scegliere
la sua difficoltà.
PACUVIO
(con alcuni fogli di carta spiegati in mano, e in atto di leggere)
Attenti; ascoltate:
che rime sono queste!
CORO
(voltandogli le spalle)
Di grazia lasciate...
PACUVIO
(inseguendoli)
Io fingo che Alceste
facendo all'amore,
coll'ombra d'Arbace
ragioni così.
CORO
(come sopra)
Lasciateci in pace.
(Più gran seccatore
giammai non s'udì.)
PACUVIO
(come sopra)
«Ombretta sdegnosa
del Missipipì»...
CORO
(ironicamente)
Bellissima cosa!
(con somma impazienza)
Ma basta fin qui.
PACUVIO
(veggendo a comparir Fabrizio abbandona gli altri, e va ad incontrarlo con trasporto)
Le orecchie, o Fabrizio,
ti vo' imbalsamare.
FABRIZIO
(mostrando molta fretta per liberarsene)
Per certo servizio
lasciatemi andare.
BARONESSA
(da un'altra parte chiamandolo)
Fabrizio...
PACUVIO
(rivolgendosi verso di lei)
Signora,
qui badi per ora:
è Alceste, che parla...
(in atto di leggere).
BARONESSA
Non voglio ascoltarla.
PACUVIO
(ora verso gli uni, ora verso gli altri)
Quest'aria allusiva
eroico-bernesca
cantar sulla piva
dovrà una fantesca
per far delle risa
gli astanti crepar.
BARONESSA, FABRIZIO E CORO
È bella e decisa,
non voglio ascoltar.
Insieme
PACUVIO
(leggendo)
«Ombretta»...
FULVIA
(contemporaneamente chiamandolo)
Pacuvio...
CORO
(volendosi dispensare)
Di grazia...
Insieme
PACUVIO
(come sopra verso la Baronessa senz'avvedersi di Fulvia, che lo chiama)
«Ombretta»...
FULVIA
Pacuvio...
BARONESSA
Son sazia...
Insieme
PACUVIO
(come sopra verso Fabrizio)
«Ombretta»...
FULVIA
Pacuvio...
FABRIZIO
(con impazienza)
Non posso.
BARONESSA
Ha il diavolo addosso.
FULVIA
Ma, caro Pacuvio,
badatemi un po'.
PACUVIO
Ho in petto un Vesuvio;
frenarmi non so.
BARONESSA, FABRIZIO E CORO
Da questo diluvio
si salvi chi può.
Recitativo
PACUVIO
(a Fabrizio)
«Ombretta»...
FABRIZIO
(ritirandosi)
Per pietà...
PACUVIO
(alla Baronessa)
«Sdegnosa»...
BARONESSA
Io parto,
se non tacete.
PACUVIO
(avvedendosi solamente in questo punto di donna Fulvia)
Oh! Donna Fulvia... Appunto
qui giungete a proposito: è uno squarcio
degno d'illustri orecchie.
FULVIA
Io volentieri
l'ascolterò.
PACUVIO
(alla Baronessa con enfasi accennando donna Fulvia)
Queste son donne!
BARONESSA
(con sarcasmo)
È vero:
si chiama donna Fulvia.
FULVIA
(egualmente)
È molto meno,
che Baronessa.
PACUVIO
In somma,
chi non ama il musaico, o parta o taccia.
FABRIZIO
(a donna Fulvia)
(partendo)
Mi consolo con lei.
BARONESSA
(egualmente)
Buon pro vi faccia.
Pacuvio e donna Fulvia.
PACUVIO
Che ignoranza maiuscola!
FULVIA
Io suppongo
che sia malignità.
PACUVIO
Peggio per loro!
(nell'atto di tornare a spiegare il foglio)
Odi, mio bel tesoro...
FULVIA
Non dir così: sai che alla destra aspiro
del Conte.
PACUVIO
Già; ma non per genio.
FULVIA
È ricco.
PACUVIO
(sospirando)
Purtroppo! ed io...
FULVIA
Ci vuol pazienza. Avrai
a buon conto stipendio, alloggio e tavola,
quando sposa io sarò.
PACUVIO
Fa sempre onore
alle famiglie un letterato in casa.
FULVIA
Ne son persuasa.
PACUVIO
(tornando a spiegare il foglio)
Ascolta dunque...
FULVIA
Osserva
Giocondo con Macrobio.
PACUVIO
Ah! quel Giocondo
non lo posso soffrir.
FULVIA
Dunque bisogna
evitarlo.
PACUVIO
Sibbene: andiam di sopra;
anzi, per far più presto
entriamo in quella camera terrena,
dove ti recitai la prima scena.
(partono)
Macrobio e il cavalier Giocondo, che si avanzano altercando insieme.
[Duetto]
MACROBIO
Mille vati al suolo io stendo
con un colpo di giornale:
s'ella in zucca ha un po' di sale,
non ricusi il mio favor.
GIOCONDO
Vil timore ai versi miei
mai non fece alcun giornale:
ma una bestia come lei,
se mi loda, io ne ho rossor.
MACROBIO
Stamperò, signor Giocondo.
GIOCONDO
D'ordinario io non rispondo.
MACROBIO
Senza entrar nella materia
potrei metterla in ridicolo.
GIOCONDO
Forse allora in aria seria
rintuzzar potrei l'articolo.
MACROBIO
Rintuzzar?... cioè rispondere?
GIOCONDO
Senza dubbio, et toto pondere.
MACROBIO
Vale a dir?
GIOCONDO
Con tutto il peso.
MACROBIO
Somma grazia mi farà.
GIOCONDO
Ma in qual modo ella non sa.
MACROBIO
Che me 'l dica.
GIOCONDO
Venga qua.
Per sua regola io conosco
una semplice tisana,
che può dirsi il tocca e sana
d'ogni sesso e d'ogni età.
MACROBIO
Io credea tutt'altra cosa
da trattarsi in versi o in prosa;
né la vera in lei conosco
letteraria nobiltà.
GIOCONDO
(senza scaldarsi)
Io vo' far quel che mi piace.
MACROBIO
(con fuoco)
Patti chiari: o guerra, o pace.
GIOCONDO
(deridendolo)
Più bel pazzo non si dà.
MACROBIO
(come sopra)
Guerra vuole, e guerra avrà.
GIOCONDO
(con disprezzo)
Voi siete un uom da niente.
MACROBIO
Ma guai se aguzzo il dente.
GIOCONDO
(cominciando a scaldarsi)
Aborto di natura.
MACROBIO
(in aria derisoria)
Ma stampo e fo paura.
GIOCONDO
(con fuoco)
Hai spalle da bastone.
MACROBIO
Ho un becco da falcone.
GIOCONDO
(con molto sdegno)
È un vile omai chi tollera
la tua temerità.
MACROBIO
(deridendolo)
Non vada tanto in collera,
che insuperbir mi fa.
Recitativo
Signor Giocondo, io vedo
ch'ella vuol guerra, e guerra avrà.
GIOCONDO
Né guerra
voglio con voi, né pace.
MACROBIO
Il mio giornale...
GIOCONDO
Ha molta fame.
MACROBIO
I letterari articoli...
GIOCONDO
Io non compro all'incanto.
MACROBIO
Orsù, parliamo.
Di cose allegre. Il Conte
è vostro amico.
GIOCONDO
Ebben?
MACROBIO
Dunque saprete
a qual di queste vedove la destra
ei porgerà.
GIOCONDO
Che importa a voi?
MACROBIO
Saperlo
mi giova.
GIOCONDO
Ed io non cerco mai, né svelo
i fatti altrui.
MACROBIO
La marchesina, io credo,
trionferà.
GIOCONDO
(sospirando di soppiatto)
(Pur troppo
lo temo anch'io!)
MACROBIO
(osservandolo)
(Par che sospiri.) Un colpo
sarebbe questo al vostro cor.
GIOCONDO
Che dici?
al mio cor? tu deliri.
MACROBIO
Eh, via, che serve
farne un mistero? Ella vi piace...
GIOCONDO
(interrompendolo con sommo impeto)
In somma,
vuoi tu finirla, o no?
MACROBIO
(con affettata commiserazione)
Sa il ciel, se i vostri
non corrisposti affetti io compatisco!
GIOCONDO
Quando teco questiono, io m'avvilisco.
(partono per bande opposte)
La marchesa Clarice, cui di dentro risponde il Conte Asdrubale ad imitazione dell'eco.
CLARICE
Quel dirmi, oh dio! non t'amo...
CONTE
T'amo.
(Clarice manifesta la sua sorpresa)
CLARICE
Pietà di te non sento...
CONTE
Sento.
CLARICE
(È il Conte... ah! sì... proviamo
se mi risponde ancor.)
È pena tal, ch'io bramo...
CONTE
Bramo...
CLARICE
Che alfin m'uccida amor.
CONTE
Amor.
CLARICE
Al fiero mio tormento...
CONTE
Mento...
CLARICE
Deh! ceda il tuo rigor.
CONTE
Rigor.
[Cavatina]
CLARICE
Eco pietosa...
(tendendo l'orecchio)
Su queste sponde...
(come sopra)
(più non risponde)
tu sei la sola,
che mi consola
nel mio dolor.
Recitativo
Quella che l'eco mi facea, del Conte
era certo la voce: ei con quest'arte
si scoperse abbastanza.
«Amo, sento», egli disse, e «bramo amore»;
e quel che assai più val, «mento rigore».
La Baronessa e donna Fulvia invano
gareggiano con me,
seppur non c'infinocchia tutte e tre.
Questo non crederei. Là fra quei rami,
per meglio assicurarmi
degli andamenti suoi, vado a celarmi.
(parte)
Il Conte Asdrubale solo, osservando se la marchesa Clarice è partita.
[Cavatina]
Se di certo io non sapessi
che la donna è ingannatrice,
i lamenti di Clarice
mi farebbero pietà.
Pietà? pietà?... spropositi;
dove mi va la testa?
guai, se a pietà mi desta!
son fritto, come va.
Ah! non sedurmi, amore;
è giusto il mio rigore:
ah! non fia ver che in femmina
io sogni fedeltà.
Recitativo
Di me stupisce ognun, perché, malgrado
i sei lustri d'età quasi compiti,
non entro nella classe de' mariti;
tanto più che son ricco.
Tanto meno io direi: son le ricchezze
della stima e del genio
tiranne antiche. Allo splendor dell'oro
bello si crede, o d'allettar capace,
quel ch'è brutto in essenza o che non piace.
Molte mi dan la caccia, e sopra ogni altra
quelle tre vedovelle: io mi diverto
della lor gelosia; ma qual poi d'esse
me solo apprezzi, e non la mia fortuna,
chi lo può indovinar? forse nessuna.
(in atto di partire)
La marchesa Clarice e detto.
CLARICE
(con brio ed aria di semplicità)
Conte, udite.
CONTE
In che posso,
marchesina, ubbidirvi?
CLARICE
Io saper bramo
se l'eco è maschio o femmina. Ridete?
CONTE
(O finge, o è molto semplice.) Non altro,
che nuda voce ripercossa è l'eco.
CLARICE
Cammina o no?
CONTE
No certo.
CLARICE
Eppur poc'anzi
era là.
CONTE
La vedeste?
CLARICE
Non lo vidi;
ma l'ascoltai, ma mi rispose... Oh caro!
caro... se fosse femmina,
ne avrei dispetto.
CONTE
(Il mio maggior periglio
è costei, quando parla.)
CLARICE
(Ei va le cose
ruminando fra sé.)
CONTE
Dunque rispose?
CLARICE
E come bene!
CONTE
Ed ora?
CLARICE
Ed ora... ed ora.
O dorme, o di parlar non ha più voglia,
come accade anche a noi.
CONTE
Questo alle donne
non accade giammai.
CLARICE
No? tanto meglio!
CONTE
Perché?
CLARICE
(quasi vergognandosi, ma sempre col medesimo brio e semplicità)
Perché vorrei... che l'eco fosse...
che fosse...
CONTE
Ebben?
CLARICE
(manifestando rossore come prima)
Che fosse maschio... e poi!...
E poi...
CONTE
(facendole coraggio)
Via su.
CLARICE
Che somigliasse a voi.
[Duetto]
Conte mio, se l'eco avesse
tutto quel che avete voi,
io godrei fra le contesse
la maggior felicità.
CONTE
Io dell'eco avrei paura,
s'ella fosse come voi;
ché la fede è mal sicura
dove regna la beltà.
CLARICE
Ah! se un altro rispondesse,
come l'eco a me rispose!...
CONTE
Per esempio?
CLARICE
Certe cose...
Conte mio, non posso più.
CONTE
Via, sentiam, via dite su.
CLARICE
Mi disse che m'ama.
CONTE
Ma forse per giuoco.
CLARICE
Mi disse che brama...
CONTE
Spiegatevi.
CLARICE
Amor
mi disse che sente,
che mente rigor.
CONTE
Son prove da niente,
che ingannano un cor.
CLARICE
(Che mi creda la fenice
del mio sesso, io non dispero.)
CONTE
(Che sia questa la fenice
del suo sesso, io non lo spero.)
CLARICE E CONTE
(Quel che avvolga nel pensiero,
presto o più tardi io scoprirò.)
CONTE
Vi saluto.
CLARICE
Addio, contino.
CONTE
(Non mi fido.)
CLARICE
(Ha l'occhio fino.)
CONTE
Ricordatevi che l'eco
ha l'usanza di scherzar.
CLARICE
Se l'avessi sempre meco,
mi farebbe giubilar.
(partono)
Macrobio e la Baronessa.
Recitativo
MACROBIO
Siete pur bella! ed io sarei felice,
se foste anche pietosa.
BARONESSA
In primo luogo
non so se a me, che sono
vedova d'un Baron, la man convenga
d'un giornalista.
MACROBIO
In quanto a questo io credo
di star bene in bilancia: il mio talento...
BARONESSA
Eppoi...
MACROBIO
Capisco; il Conte...
BARONESSA
Il Conte è ricco
e sarebbe al mio caso.
MACROBIO
Ebben, se mai...
BARONESSA
Se mai col Conte non facessi niente...
MACROBIO
In ogni modo vi farò il servente.
BARONESSA
O servente, o marito: anzi, sin d'ora
mio servente sarai.
MACROBIO
L'offerta accetto.
BARONESSA
Se far potessi al Conte
con questo mezzo un po' di gelosia...
MACROBIO
Ma...
BARONESSA
Ricca io diverrò; sarai contento.
MACROBIO
Ricca, quest'è il miglior d'ogni argomento.
(partono)
Donna Fulvia, indi Pacuvio.
FULVIA
Dove mai si cacciò? la rosa al Conte
io vorrei presentar: ma se Pacuvio...
Eccolo; ebben?
PACUVIO
Già la sestina è fatta;
e che sestina! il Conte
le ciglia inarcherà.
FULVIA
Questa è la rosa.
PACUVIO
Bella!
FULVIA
Sentiam.
PACUVIO
No; prima
voglio farvi sentir come ho cambiata
l'aria che poco fa vi ho recitata.
FULVIA
Forse non vi piacea?
PACUVIO
Quand'è ch'io faccia
cosa che non mi piaccia?
FULVIA
Perché dunque?...
PACUVIO
Ascoltate
come una lingua patetica e burlesca
parli all'ombra del mago una fantesca.
[Aria]
«Ombretta sdegnosa
del Missipipì,
non far la ritrosa,
ma resta un po' qui.»
«Non posso, non voglio,»
l'ombretta risponde:
«son triglia di scoglio,
ti basti così.»
E l'altro ripiglia:
«Sei luccio, non triglia.»
Qui nasce un insieme:
chi piange, chi freme.
Fantesca - «Sei luccio.»
Ombretta - «Son triglia.»
Fantesca - «Ma resta.»
Ombretta - «Ti basti,
ti basti, t'arresta,
non dirmi così.»
(in atto di partire)
Recitativo
FULVIA
(seguendolo)
Bravo, bravo, bravissimo!
PACUVIO
(retrocedendo)
Eh... che dici?
di quel «Missipipì»?... pipì... pipì...
quel mi basta così?... quel contrapposto
fra luccio e triglia non t'incanta?
FULVIA
È vero.
PACUVIO
Bizzarria di pensiero,
sorpresa, novità...
FULVIA
(a Pacuvio)
Il Conte appunto è qua.
Il Conte, pensoso, avanzandosi lentamente, e detti.
CONTE
(In favor di Clarice
mi parla il cor; ma consiglier non saggio
egli è sovente. Or si vedrà.)
(in atto di attraversare il giardino)
PACUVIO
(a Fulvia)
Coraggio.
FULVIA
(al Conte)
Serva sua.
CONTE
Mia padrona.
PACUVIO
(al medesimo)
A voi s'inchina
il pindarico.
CONTE
(a Pacuvio)
Addio.
PACUVIO
(a Fulvia)
Fuori la rosa.
(prima al Conte, ch'è in atto di partire, poi a Fulvia con impazienza)
Un momentin... Fuori la rosa.
FULVIA
Aspetta.
PACUVIO
(come sopra)
Fuori la rosa, o recito.
FULVIA
Che fretta!
CONTE
(Sarà qualcuna delle sue.)
FULVIA
(vuol presentar la rosa al Conte)
Scusate...
PACUVIO
Zitto per or: voi state
ferma così, di presentarla in atto.
CONTE
(È un vero ciarlatan, ma sciocco e matto.)
PACUVIO
Parlo in terza persona.
(mettendosi fra il Conte e donna Fulvia, che sta in atto di presentar la rosa)
«Io v'offro in questa rosa spampanata
la mia lacera, stanca e pelagrosa
alma, che sul finir di sua giornata
dir non saprei se sia gramigna o rosa.»
Genere petrarchesco.
CONTE
In quanto a me lo chiamerei grottesco.
PACUVIO
(prima al Conte, poi a donna Fulvia)
Anche. Or date la rosa.
FULVIA
Eccola.
CONTE
Grazie.
PACUVIO
Agli ultimi due versi.
«L'ho raccolta per voi di proprio pugno:
e quando? nel maggior caldo di giugno.»
CONTE
Ora siamo in aprile.
PACUVIO
Non importa.
In grazia della rima un cronichismo
di due mesi è permesso:
Virgilio somaron facea lo stesso.
CONTE
Ah, ah, ah... cronichismo... ah, ah... Virgilio...
Virgilio somaron... (Quanti spropositi!)
Ah, ah, ah...
PACUVIO
(a Fulvia, ch'è restata attonita)
Lo vedete? a' versi miei
mai non manca un effetto.
CONTE
(appoggiandosi ad una pianta)
Oh dio! non posso più.
PACUVIO
(a Fulvia che si stringe nelle spalle, conducendola via)
Non ve l'ho detto?
Fabrizio e il Conte.
FABRIZIO
Eccomi a' vostri cenni.
CONTE
Orsù, Fabrizio:
per la seconda volta oggi la pietra
del paragone si adoperi; ad effetto
pongasi quel progetto
che immaginai.
FABRIZIO
Sibbene.
CONTE
All'africana
mi vestirò.
FABRIZIO
Da lungo tempo è pronto
l'abito nell'armadio.
CONTE
Ecco il biglietto
da rimettersi a me per dar principio
alla burletta.
FABRIZIO
Ho inteso.
CONTE
A te poi tocca
il secondar da scaltro...
FABRIZIO
Già so quel che ho da far; non occorr'altro.
(il Conte parte)
Fabrizio solo.
Uomo più singolar del mio padrone
non conobbi finor. Son dodici anni
che ho l'onor di servirlo e sempre ho visto
vaghezza in lui di matrimonio. Intanto
a forza di riflettere
che la scelta è difficile; che il genio
è sempre incerto; e che il femmineo sesso
osserva men, quando promette assai,
invecchierà senz'ammogliarsi mai.
(parte)
Stanze terrene contigue al giardino.
Giocondo e Clarice, poi Macrobio, indi il Conte.
Recitativo
GIOCONDO
Perché sì mesta?
CLARICE
Il mio gemello, il caro
Lucindo, ad or ad or mi torna in mente.
(Giocondo la sta intanto osservando con meraviglia e passione)
CLARICE
(Questo gemel sovente
mi giova nominar: forse partito
io ne trarrò, se ogni altro mezzo è vano.)
GIOCONDO
Strana, scusate, in voi questa mi sembra
tenerezza fraterna: da fanciulli
vi divideste, e fu per sempre: estinto
da sett'anni il credete... eh marchesina...
altra...
CLARICE
(con qualche risentimento)
Che dir vorreste?
GIOCONDO
Altra, io suppongo,
più vicina sorgente ha il vostr'affanno.
Il Conte a voi sì caro...
mio rivale ed amico... il sempre incerto
Conte... Ah! Clarice... ah! se potessi anch'io
le vostre cure meritar!...
(Clarice si mette in serietà)
GIOCONDO
Ma troppo
e voi rispetto e l'amistà.
(al comparir di Macrobio, Clarice prende un aspetto ilare)
MACROBIO
Se avessi
cinquanta teste e cento mani appena
potrei de' concorrenti al mio giornale
appagar le richieste.
GIOCONDO
In quanto a me sareste
sempre ozioso.
CLARICE
(con brio)
Come?
Al cavalier la critica non piace?
GIOCONDO
Anzi la bramo, e i giornalisti apprezzo,
sensati, imparziali,
e non usi a lordar venali fogli
d'insulsi motti e di maniere basse:
ma non entra Macrobio in questa classe.
CONTE
(in aria gioiosa)
Che si fa? che si dice?
MACROBIO
Si discorre
di critica.
CONTE
Io vorrei che i giornalisti
quando sull'opre altrui sentenza danno
dicessero il perché.
GIOCONDO
Pochi lo sanno:
per esempio Macrobio...
CLARICE
(al cavalier Giocondo ed al Conte)
Eppur, signori,
sotto diverso aspetto
quello che fa Macrobio sul giornale
fate voi tutti e due.
MACROBIO
(a Clarice manifestando piacere della opinione di lei)
Brava! ci ho gusto!
CLARICE
L'usanza di operar senza un perché
non ha Macrobio sol, ma tutti e tre.
CONTE
Come?
GIOCONDO
Che dite mai?
CLARICE
Lo dico, e sono
prontissima a provarlo:
zitto... fate silenzio infin ch'io parlo.
[Quartetto]
(al Conte)
Voi volete, e non volete;
(al cavalier Giocondo)
voi tacete o sospirate:
(a Macrobio)
voi lodate o biasimate:
e ciascun senza un perché.
CONTE
Con le donne, o signorina,
star bisogna molto all'erta
se quest'alma è sempre incerta,
ho pur troppo il mio perché.
GIOCONDO
Con la sorte, o signorina,
giorno e notte invan m'adiro:
e se taccio e se sospiro,
ho pur troppo il mio perché.
MACROBIO
Con la fame, o signorina,
io non posso andar d'accordo:
quando lecco e quando mordo,
ho pur troppo il mio perché.
CLARICE
Se ho da dirl'a senso mio,
siete pazzi tutti e tre.
GIOCONDO, MACROBIO E CONTE
Fra i perché senz'altro il mio
è il miglior d'ogni perché.
CLARICE, GIOCONDO, MACROBIO E CONTE
Ogni cosa, o male o bene,
a sua voglia il mondo aggira:
chi lo prende come viene,
l'indovina per mia fé.
(comparisce Fabrizio, che consegna il biglietto al Conte; questi l'apre, e leggendolo finge di turbarsi)
Insieme
CONTE
(Per compire il gran disegno
mesto in fronte io leggo il foglio:
poi con arte il mio cordoglio
fingerò di mascherar.)
CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
(ciascun da sé osservando il Conte)
Si scolora, è questo un segno
che funesto è a lui quel foglio:
ci sogguarda, e il suo cordoglio
tenta invan di mascherar.)
GIOCONDO
(al Conte)
Perché mai così tremante?
CONTE
(fingendo una forzata disinvoltura per darla meglio ad intendere)
Io già m'altero per niente.
CLARICE
(al medesimo)
Che vuol dir quel tuo sembiante?
MACROBIO
(al medesimo)
Qualche articolo insolente?
CONTE
(con forza, e poi ricomponendosi)
Stelle inique!
CLARICE
Ah! Conte amato...
CONTE
(come sopra)
Qual disastro!
GIOCONDO
Ah! caro amico...
CONTE
(come sopra)
Giusti dèi!
MACROBIO
Che cosa è stato?
CONTE
Non badate a quel che dico
io di voi mi prendo gioco.
CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Non intendo questo gioco.
CONTE
Il più bello non si dà.
CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Il più strambo non si dà.
CLARICE
(Io ravviso in quell'aspetto
del destin la crudeltà.)
GIOCONDO
(Di paura e di sospetto
il mio cor tremando va.)
MACROBIO
(Lacerar mi sento il petto
dalla mia curiosità.)
CONTE
(La comparsa del viglietto
al disegno gioverà.)
(Dal timor del mio periglio
imbrogliata han già la testa:
or più dubbio non mi resta
di poterli trappolar.)
CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Ha il terror fra ciglio e ciglio:
incomincia e poi s'arresta:
calma finge e la tempesta
lo costringe a palpitar.
(partono)
Pacuvio e donna Fulvia; indi la Baronessa.
Recitativo
PACUVIO
Ma che sestina! che sestina! io penso
d'esibirla a Macrobio: il suo giornale
concetto acquisterà.
FULVIA
(in aria dubitativa)
Sarà bellissima,
ma...
PACUVIO
(con impazienza e dispetto)
Ma che?
FULVIA
Non capisco
perché il Conte ridea.
PACUVIO
Quando si ride
è segno che si gode. Io faccio ridere
quando voglio; e in quest'arte non la cedo
neppure all'inventor della Riseide,
ch'è stimato il miglior dopo l'Eneide.
BARONESSA
(guardando all'intorno senza badare a Pacuvio e a donna Fulvia)
Invan lo cerco...
PACUVIO
(andandole incontro)
Ah! Baronessa, udite...
BARONESSA
No; piuttosto mi dite ove Macrobio
trovar potrei.
PACUVIO
Ne vado in traccia io stesso
per far la sua fortuna. Appunto... adesso...
(mettendo fuori l'orologio)
son dieci ore passate:
qui lo conduco subito, aspettate.
(parte in fretta)
La Baronessa e donna Fulvia; indi Pacuvio di ritorno con Macrobio.
BARONESSA
Come va, donna Fulvia? mi sembrate
alquanto malinconica.
FULVIA
Io? no certo:
anzi sono allegrissima. (Vorrebbe
scoprir terreno.) E voi mia cara, siete
di buon umore?
BARONESSA
Altro che buono! eppoi
mi si conosce in fronte.
FULVIA
(Che rabbia!)
BARONESSA
(Freme.)
FULVIA
Avete visto il Conte?
BARONESSA
(Oh! qui mi cascò l'asino.)
L'ho visto poco fa.
FULVIA
Sì? che vi disse?
BARONESSA
Se l'aveste ascoltato! era galante
oltre il costume.
FULVIA
(Ah maledetto!) Io sempre
l'ho trovato così: gentile, ameno...
MACROBIO
(a Pacuvio)
Non ho tempo, non posso; e il foglio è pieno:
la volete capir? M'inchino a queste
leggiadrissime dame.
BARONESSA
Io vi cercava
per andare al passeggio.
PACUVIO
(con enfasi)
È una sestina,
da stamparsi, o Macrobio, in carta pegola.
BARONESSA
(ridendo di Pacuvio)
Ah, ah, ah...
FULVIA
(Che pettegola!
di tutto ride.)
MACROBIO
(a Pacuvio che insiste)
È inutile: ho due cento
articoli pro e contra preparati,
che in sei mesi saran già consumati.
(Ora ad esso, ora alle altre.)
Son tanti i virtuosi
e di ballo, e di musica, clienti
del mio giornal, che diverrà frappoco
l'unico al mondo. Infatti figuratevi
d'essere in casa mia. Questo è il mio studio:
qui ricevo; e frattanto
nel cortil, per le scale, in anticamera,
un non so qual, come di mosche o pecchie,
strano ronzio si ascolta:
piano, piano, signori; un po' per volta.
[Aria]
Chi è colei che s'avvicina?
È una prima ballerina.
(finge che la ballerina parli ella stessa)
«Sul Teatro di Lugano
gran furor nel Solimano!»
(finge di prendere del denaro)
Mille grazie; siamo intesi;
il giornal ne parlerà.
Vien la mamma sola, sola.
(come sopra)
«Nel Traiano alla Fenice
gran furor la mia figliola!»
(come sopra)
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
La Fiammetta col fratello,
altra prima sul cartello.
(come sopra)
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
Ma la folla già s'accresce;
tutti udir non mi riesce.
Virtuosi d'ogni razza,
che ritornano alla piazza,
bassi, musici e tenori,
pappagalli e protettori:
osservate che scompiglio!
che bisbiglio qui si fa!
Largo, largo... ecco il maestro,
il maestro don Pelagio:
baci, amplessi... adagio, adagio...
ma chi è mai quest'altro qua?
È il poeta Faccia Fresca,
che non sa quel che si pesca.
Quante ciarle! Sì, signore,
voi farete un gran furore:
questa musica è divina:
più bel dramma non si dà.
Il poeta con le carte...
Il maestro con la parte...
Giusti dèi! che assedio è questo:
chi mi salva per pietà?
(parte con la Baronessa)
Recitativo
PACUVIO
Trovar saprò ben io
qualch'altro giornalista, che abbia a cuore
il suo guadagno sì, ma più l'onore.
(parte con Fulvia)
Giardino, come sopra.
Coro di Giardinieri, che parte immediatamente. Poi la marchesa Clarice, che si allontana con modestia dal cavalier Giocondo; indi Macrobio; finalmente la Baronessa e donna Fulvia.
[Coro]
CORO
Il Conte Asdrubale
dolente e squallido
nella sua camera
si ritirò.
Forse il più barbaro
fra tutti gli astri
disastri insoliti
gli minacciò.
(parte)
Recitativo
GIOCONDO
Perché fuggir? di che temete?
CLARICE
Io temo
d'insuperbir, quando vi ascolto.
GIOCONDO
Ed io
da così giuste lodi
astenermi non so.
CLARICE
Se giuste sono,
ve 'l dica il mio rossor.
MACROBIO
(avanzandosi)
(Bravi! si finga
di non vederli.)
GIOCONDO
(a Clarice)
Il labbro
uso a mentir non ebbi mai.
MACROBIO
(ad alta voce e fingendo di non aver veduti gli altri due)
Fra queste
ombrose amiche piante alla memoria
io mi reco la storia,
vale a dire il famoso
contrabbando amoroso
di Medoro e d'Angelica.
GIOCONDO
(a Clarice)
Costui
metaforicamente ci canzona.
CLARICE
(a Giocondo)
Senz'altro: io partirò.
GIOCONDO
(a Clarice)
Siete pur buona!
anzi restar dovete.
MACROBIO
(rinforzando la voce e guardando verso il di dentro della scena)
Il conte...
CLARICE E GIOCONDO
(intimoriti, credendo che comparisse il Conte Asdrubale)
Il Conte?
MACROBIO
(Oh che paura!) Il conte Orlando...
CLARICE
(Respiro!)
GIOCONDO
(Lode al ciel!)
MACROBIO
...va intorno errando:
e Angelica e Medoro
in barba sua parlan così fra loro.
[Finale I - I]
CLARICE E GIOCONDO
Su queste piante incisi
i nostri nomi stanno:
anch'esse apprenderanno
d'amore a palpitar.
(Macrobio finge di vederli allora per la prima volta)
GIOCONDO
(a Macrobio scoprendosi)
Io so, signor mio caro,
di chi parlar s'intende.
CLARICE
Il suo discorso è chiaro,
ma sciocco, e non mi offende.
MACROBIO
(agli altri due sempre con allusione e sarcasmo)
Angelica e Medoro,
che vanno amoreggiando...
Povero conte Orlando!
impazza per mia fé.
CLARICE E GIOCONDO
(a Macrobio)
Angelica e Medoro...
amor di contrabbando...
son cose che sognando
tu vai così fra te.
(Macrobio parte; Clarice e Giocondo in atto di partire)
[Finale I - II]
(con affanno; gli altri due retrocedono)
BARONESSA E FULVIA
Oh caso orribile!
Caso incredibile!
Il Conte Asdrubale
tutto perdé.
CLARICE E GIOCONDO
(con sorpresa)
Come? cioè?
BARONESSA
Guai, se consorte
mi fosse stato!
FULVIA
Per buona sorte
non mi ha sposato.
BARONESSA E FULVIA
Oh che disordine!
Son fuor di me!
CLARICE E GIOCONDO
Via su, con ordine
meglio spiegatevi.
BARONESSA E FULVIA
(in atto di partire)
Qui torno subito...
CLARICE E GIOCONDO
(trattenendole)
Ma in grazia diteci,
che nuova c'è.
BARONESSA E FULVIA
Vado ad intendere
meglio il perché.
(partono)
Macrobio di ritorno, indi Pacuvio dal lato opposto a detti, che nell'atto di partire s'incontrano in Macrobio.
MACROBIO
Altro che ridere
su i nostri fatti!
È qui Lisimaco
castigamatti;
e mostra un vaglia
di sei milioni,
che in Sinigaglia
da un tal Piloni
fu sottoscritto
cent'anni fa.
CLARICE E GIOCONDO
Di questa favola
capisco poco.
PACUVIO
(agitatissimo)
Non v'è più tavola,
non v'è più cuoco.
MACROBIO
Il creditore
per farsi onore
alla sua mensa
c'inviterà.
CLARICE
(interrogando gli altri due)
Ma la sua patria?...
GIOCONDO
La condizione?
CLARICE E GIOCONDO
Ma donde viene?
PACUVIO
Vien dal Giappone.
MACROBIO
(a Pacuvio)
Voi fate sbaglio,
dal Canadà.
PACUVIO
Egli è un turchesco
della Brettagna.
MACROBIO
Anzi un tedesco,
nato in Bevagna.
CLARICE E GIOCONDO
Che pezzi d'asini!
Regga chi vuole;
son più i spropositi,
che le parole:
mi fate stomaco
per verità.
(partono in fretta)
Detti; poi la Baronessa e donna Fulvia; indi il Conte Asdrubale travestito con alcuni Servi e Marinari vestiti nel medesimo costume. Notaio con altri che si fingono gente della Corte di giustizia, e Fabrizio che simula un'estrema afflizione.
PACUVIO
(verso i due che son partiti)
A me? cospetto!
MACROBIO
A me? per Bacco!
MACROBIO E PACUVIO
(rimproverandosi l'un l'altro)
Per vostra colpa
soffro uno smacco.
PACUVIO
So quel che dico.
MACROBIO
Non sono un cavolo.
BARONESSA E FULVIA
(in fretta)
Ecco l'amico;
(agli altri due)
non fate strepito,
o tutti al diavolo
ci manderà.
MACROBIO E PACUVIO
(l'uno all'altro)
Chi prenda equivoco,
or si vedrà.
CONTE
(a Fabrizio)
Lui star conta, io star mercanta,
ti star furba, e lui birbanta.
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Dice bene.
CONTE
(al medesimo)
Oh che canaglia!
(mostrando un foglio logoro dal tempo)
Qui star vaglia.
PACUVIO
(dopo averlo guardato)
Sei milioni!
BARONESSA, FULVIA E MACROBIO
Bagattella!
CONTE
(a Fabrizio)
Che bricconi!
(al medesimo)
Se trovara controvaglia,
mi far vela per Morea.
FABRIZIO
(tutto mesto)
Non trovara.
CONTE
Scamonéa
tua poltrona resterà.
MACROBIO
Parla proprio in lingua etrusca.
CONTE
Mi mangiara molta crusca.
MACROBIO
Si conosce.
CONTE
Baccalà.
Tambelloni Kaimacacchi.
MACROBIO
(Che mai dice?)
BARONESSA, FULVIA E PACUVIO
(Non intendo.)
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Mille grazie.
CONTE
Baccalà.
FABRIZIO
(Li canzona come va.)
CONTE
(a Fabrizio)
Non aprira più portona,
o tua testa andar pedona.
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
(Che vuol dir questa canzona?)
CONTE
Sequestrara...
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Adagio un po'.
CONTE
Sigillara...
BARONESSA E FULVIA
E le mie cose?
CONTE
Sigillara.
MACROBIO
E i manoscritti?
PACUVIO
I miei drammi?
MACROBIO
Le mie prose?
CONTE
Sigillara.
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
In quanto a noi...
CONTE
Sigillara.
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Oh questo no!
FABRIZIO
(al Conte sempre con simulata insistenza)
Ubbidirò.
MACROBIO
(al Conte)
Mi far critica giornala
che aver fama in ogni loco;
né il potera ritardar.
CONTE
Manco mala! manco mala!
Ti lasciara almen per poco
il buon senso respirar.
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Sigillate pure al Conte
bocca, naso, e che so io;
ma, cospetto! quel ch'è mio
lo dovete rispettar.
CONTE
Quanti stara, a modo mio
mi volera sigillar.
FABRIZIO
(Che hanno il cor perverso e rio,
più non v'è da dubitar.)
Cortile interno in casa del Conte.
Clarice sola; indi il Conte e Giocondo non veduti da lei, come essa non veduta da loro; poi Macrobio e Pacuvio, la Baronessa e donna Fulvia.
[Finale I - III]
CLARICE
Non serve a vil politica
chi vanta un cor fedele:
quando la sorte è critica,
l'onor non volta vele:
eppoi nessun mi dice,
ch'ella non può cangiar.
(intanto comparisce il Conte nei suoi propri abiti fingendo mestizia, e il cavalier Giocondo, che di buona fede lo conforta)
(fra loro)
CONTE
(Lasciate un infelice,
vicino a naufragar.)
GIOCONDO
(Alla virtù non lice
gli oppressi abbandonar.)
CLARICE, CONTE E GIOCONDO
(il Conte e Giocondo fra loro alquanto indietro e Clarice da sé)
(Del paragon la pietra
sono i contrari eventi:
nei giorni più ridenti
più dubbia è l'amistà.)
[Finale I - IV]
MACROBIO E PACUVIO
(in aria di scherno)
Marchesina...
BARONESSA E FULVIA
Contessina...
(il Conte e Giocondo osservano in disparte)
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Mi consolo, e a voi mi prostro:
ora il Conte è tutto vostro.
CLARICE
(con disinvoltura e brio)
Tanto meglio!
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
(come sopra)
Già si sa.
GIOCONDO
(al Conte)
Li vedete? gli ascoltate?
CONTE
(a Giocondo)
Ci vuol flemma.
CLARICE
(come sopra)
Canzonate.
MACROBIO E PACUVIO
(come sopra)
Che fortuna!
CLARICE
(come sopra)
Io sono in ballo;
bene o mal si ballerà.
(avanzandosi con Giocondo e scoprendosi)
CONTE
Cari amici, or che il destino
mi privò d'ogni sostanza,
qual voi date a me speranza
di soccorso e di favor?
(ciascuno gli fa la sua offerta)
MACROBIO
Un articolo sul foglio.
PACUVIO
Una flebile elegia.
BARONESSA E FULVIA
(stringendosi nelle spalle)
Non saprei...
GIOCONDO
(con franchezza e cordialità)
La casa mia.
CLARICE
(con vivacità e dolcezza)
La mia man, l'entrata e il cor.
MACROBIO E PACUVIO
(fra loro guardando il Conte, ed allontanandosi da lui)
(Scappa, scappa...)
BARONESSA E FULVIA
(egualmente)
(Oh com'è brutto!)
GIOCONDO
(al Conte)
Osservate.
MACROBIO E PACUVIO
(come sopra)
(È cosa seria.)
CLARICE, CONTE E GIOCONDO
(fra loro)
(Dove regna la miseria
tutto è noia e tutto è orror.)
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
(Meglio assai nella miseria
si distingue un seccator.)
Fabrizio con un antico foglio in mano, saltando per l'allegrezza; coro d'Ospiti e Giardinieri del Conte egualmente lieti, e detti.
[Finale I - V]
FABRIZIO E CORO
Viva, viva!
FABRIZIO
In un cantone
d'un armadio abbandonato,
fra la polve...
CONTE
(interrompendolo con impazienza)
L'hai trovato?
FABRIZIO
L'ho trovato...
(sorpresa comune)
CONTE
(come sopra)
Il controvaglia?
FABRIZIO E CORO
Legga, legga.
CONTE
(abbracciando Fabrizio)
Uh! benedetto!
CLARICE E GIOCONDO
(con vera cordialità)
Oh che gioia!
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
(attorniando il Conte con affettata compiacenza)
Oh che diletto!
CLARICE E GIOCONDO
(fra loro accennandosi gli altri quattro)
Come cambiano d'aspetto!
BARONESSA E FULVIA
Il mio cor l'avea predetto.
CONTE
In momenti sì felici...
(fingendo di svenire)
ah! ch'io manco... ah! dove sono?...
MACROBIO E PACUVIO
(volendo sostenerlo)
Fra le braccia degli amici.
BARONESSA E FULVIA
(avvicinandosi anch'esse)
Poverino!
CLARICE E GIOCONDO
(respingendoli e sostenendo il Conte)
Eh, andate là.
TUTTI
Qual chi dorme e in sogno crede
di veder quel che non vede,
se uno strepito improvviso
tronca il sonno, egli è indeciso
nel contrasto delle vere
colle immagini primiere...
Fra la calma e la tempesta
corre, vola e poi s'arresta...
tal son io col mio cervello
fra l'incudine e il martello
sbalordito, sbigottito,
agitato, spaventato,
condannato a palpitar.
Dal passato e dal presente,
non so come, alternamente...
Insieme
CLARICE, CONTE, GIOCONDO, FABRIZIO E CORO
Dalla gioia e dal timore
io mi sento a trasportar.
BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Dalla rabbia e dal rossore
io mi sento a lacerar.
Cortile interno, come nell'atto primo.
La Baronessa, donna Fulvia e coro d'Ospiti del Conte; quindi Macrobio e il Conte da una parte; il cavalier Giocondo e Pacuvio dall'altra.
[Introduzione II]
CORO
Lo stranier con le pive nel sacco
per vergogna è partito in gran fretta.
BARONESSA E FULVIA
Per sua colpa ho sofferto uno smacco,
ma farò la mia giusta vendetta:
forse al Conte, a Clarice, a Giocondo
questo fatto avrà molto a costar.
CORO
Via, che serve? son cose del mondo:
non sarebbe che un farsi burlar.
MACROBIO
(al Conte in atto di scusa)
Io del credito in sostanza
già vedea l'incompetenza:
né parlai per insolenza,
ma per voglia di scherzar.
CONTE
(a Macrobio sorridendo, e in aria di disprezzo)
Io già so per vecchia usanza
coltivar l'indifferenza:
ogni scusa in conseguenza
voi potete risparmiar.
PACUVIO
(a Giocondo, scusandosi)
Fu poetica licenza,
non lo feci per baldanza:
la drammatica sembianza
mi parea di recitar.
GIOCONDO
(con sommo disprezzo)
Fu solenne impertinenza;
ma non merita importanza:
già vi scusa l'ignoranza
senza starne più a parlar.
BARONESSA E FULVIA
(ciascuna da sé, la Baronessa osservando Macrobio e donna Fulvia Pacuvio)
(Domandargli perdonanza
è una vera sconvenienza:
questa vil testimonianza
io non posso tollerar.)
CORO
(Sotto l'umile apparenza
pieni son di petulanza:
l'uno e l'altro all'occorrenza
tornerebbe a motteggiar.)
(il coro si ritira)
Recitativo
GIOCONDO
Eppur ciascun di loro alla sua dama
avea promesso di sfidarci.
(fra loro sorridendo)
CONTE
E in vece
si son scusati.
GIOCONDO
Oh che vigliacchi!
BARONESSA
(a Macrobio)
Oh bella!
vuoi cimentarlo, e gli domandi scusa?
MACROBIO
(alla Baronessa)
Certo.
BARONESSA
Fra noi non s'usa...
(frattanto il cavalier Giocondo e il Conte discorrono fra loro)
MACROBIO
È una moda novissima,
venuta dal Catai, che quanto prima
pubblicherò sul mio giornale.
PACUVIO
(a donna Fulvia)
In somma,
lo volete saper? la scusa è finta:
il duello seguì: la vita in dono
mi domandò con le ginocchia a terra.
FULVIA
(a Pacuvio con sorpresa)
Chi?
PACUVIO
Giocondo; ma zitto.
FULVIA
(a voce alta in atto di volerlo palesare)
Anzi...
PACUVIO
(a donna Fulvia opponendosi)
No; zitto: giacché per suo decoro
di non farne parola ei m'ha pregato:
ed io gliel'ho promesso, anzi giurato.
GIOCONDO
(al Conte)
(osservando gli uni e gli altri)
Gran contrasto han fra loro.
CONTE
(a Giocondo)
Io co' buffoni
mi diverto.
GIOCONDO
Io m'annoio.
BARONESSA
(a Macrobio)
Ebben?...
MACROBIO
(alla Baronessa)
Senz'altro
la disfida io farò.
PACUVIO
(a donna Fulvia)
L'avrei potuto
come un tordo infilzar; ma troppo io sono
tenero per natura e sensuale.
FULVIA
(a Pacuvio)
S'è così, son contenta.
PACUVIO
È tal e quale.
CONTE
Nel vicin bosco, amici,
a divertirci andiamo.
MACROBIO
Il moto giova
all'appetito.
GIOCONDO
I cacciatori, io credo,
partiranno a momenti.
CONTE
Ehi, vanne tosto
la marchesina ad avvertir. Se poi
volesse alcun di voi
dar prova di bravura,
prenda il fucil.
(ad un domestico che parte subito)
Se poi
volesse alcun di voi
dar prova di bravura,
prenda il fucil.
PACUVIO
Voglio provarmi.
(parte in fretta)
FULVIA
In casa
per alcune faccende
io resterò.
CONTE
Come vi aggrada. Andiamo.
(parte col cavalier Giocondo)
Macrobio e la Baronessa in atto di partire, e donna Fulvia che la trattiene.
FULVIA
(parlandole all'orecchio)
Baronessa, ascoltate.
BARONESSA
Possibile?
FULVIA
(partendo con brio)
Senz'altro. Addio.
BARONESSA
(a Macrobio)
Che intesi
per vostro e mio rossor! Già donna Fulvia
è vendicata, ed io...
MACROBIO
Che dite?
BARONESSA
Or sappi,
che vinto il cavalier la vita in dono
da Pacuvio impetrò.
MACROBIO
Bu, bu... che bomba!
BARONESSA
Pacuvio il disse.
MACROBIO
E non potea Pacuvio
tradir la verità?
BARONESSA
Pretesti a parte.
MACROBIO
Io pretesti? stupisco.
BARONESSA
O sfida il Conte,
o non sperar ch'io più ti guardi in faccia.
L'esige l'onor mio.
MACROBIO
Dopo la caccia.
(partono)
Bosco.
Pacuvio col fucile, e coro di Cacciatori.
[Coro di Cacciatori]
CORO
(a Pacuvio)
A caccia, o mio signore,
poeta eccellentissimo:
se siete cacciatore,
tirate, e si vedrà.
(Pacuvio appoggia sgarbatamente il fucile ora alla spalla sinistra, ora alla destra)
(ironicamente)
Ma bravo!... anzi bravissimo!
Gran preda si farà.
Gli uccelli andranno al diavolo
in piena sanità.
(il coro parte)
[Temporale]
PACUVIO
(verso i cacciatori)
Sì, sì, ci parleremo:
con un figlio di Pindo e d'Elicona,
quando tira davver, non si canzona.
(si ascolta qualche strepito di vento, foriero del temporale)
Ahi!... chi si muove?... io non vorrei... ma questo
par che un bosco non sia da bestie indomite.
Mentre il vento va crescendo appoco appoco, ed oscurandosi lentamente il bosco, risuonano da lontano alcuni colpi di fucile, e successivamente compariscono diversi uccellacci coll'ale aperte.
Pacuvio mira or all'uno, or all'altro senza mai sparare: si accorge poi che non ha montato il fucile; nell'atto che lo monta, gli uccelli spariscono, a riserva d'uno, contro cui egli si dirige senza mai effettuare il colpo. Finalmente, correndogli dietro e tirandogli il cappello, si perde di vista.
Scoppia il temporale; si oscura totalmente il bosco, agitato dal vento e illuminato dai frequenti lampi.
Comparisce di bel nuovo Pacuvio spaventato, stringendosi al petto e coprendo per quanto può alcuni fogli.
Fugge Pacuvio incerto e sbalordito, e al temporale succede intanto
gradatamente la calma.
PACUVIO
Ahi!... scappa... il vento in aria
mi ha portato il fucile... aiuto!... ah! dove
salvar me stesso e i scritti miei... soccorso!...
Deh! fulmine canoro,
rispetta, se non altro, il sacro alloro.
(fuggendo)
Giocondo solo.
[Scena e aria]
Oh come il fosco impetuoso nembo
ci separò!... Clarice, il Conte invano
chiamai sovente, e più l'altrui mi calse,
che il mio periglio... Or tutto è calmo, e solo
regna nel petto mio tempesta eterna.
La mia tiranna io mi figuro in braccio,
all'amico rival... sparsa le chiome...
pallida... ansante... e lui veder mi sembra,
che al sen la stringe... la conforta... e pasce
l'avido ciglio in quella,
fatta dal pianto e dal timor più bella.
Quell'alme pupille
io serbo nel seno:
ma un guardo sereno
non hanno per me.
Deh! amor, se merita
da te mercede
la sempre candida
mia lunga fede,
fa' ch'io dimentichi
sì gran beltà.
Tu fosti origine
del mio dolor:
tu l'opra barbara
correggi, amor.
(in atto di partire)
La marchesa Clarice e detto; indi Macrobio, il Conte e la Baronessa.
Recitativo
CLARICE
(chiamandolo)
Ehi... Giocondo... Giocondo...
GIOCONDO
(con sorpresa)
Oh!... sola? e dove
lasciaste il Conte?
CLARICE
Non sì tosto il cielo
tornò seren, ch'ei s'inoltrò nel bosco
con alcuni de' suoi, di due villani
lasciando a me la scorta: io nel vedervi
li congedai.
(alludendo al temporale)
Ma che paura!
GIOCONDO
(con qualche caricatura)
Il Conte
l'avrà temprata. Io sì, Clarice, io privo
d'ogni conforto, l'austro frema, o spiri
il zefiro soave...
CLARICE
E torni sempre
te stesso a tormentar, né puoi scordarti?...
GIOCONDO
(interrompendola con trasporto)
Io scordarmi di te?
CLARICE
Se pace brami...
GIOCONDO
(egualmente)
Io pace? e come? a farmi guerra eterna
tre nemici ho nel sen: la tua fortuna,
l'amor mio, l'amistà; quella involarti;
questa tradir non lice; e Amor frattanto
pretende invan della vittoria il vanto.
CLARICE
Alla fortuna rinunziar non fora
per generoso cor difficil opra:
ma rinunziar, Giocondo,
tu all'amistà non devi,
io non posso all'amor.
GIOCONDO
(con molta passione)
Né un raggio almeno
di remota speranza...
CLARICE
Invan.
GIOCONDO
Del Conte
il non mai stanco dubitar...
CLARICE
Deh! lascia
ch'io mi lusinghi.
GIOCONDO
Il tempo
cangia talor gli umani affetti.
CLARICE
È vero;
non so negarlo.
GIOCONDO
E tu potresti un giorno
riacquistar la libertà primiera.
CLARICE
(Mi fa pietà.) Dunque ti calma, e spera.
[Quintetto]
Spera, se vuoi, ma taci:
io ti prometto amore;
seppur da' lacci il core
un giorno io scioglierò.
(intanto comparisce Macrobio e chiama il Conte ch'egli vede da lontano. Da un'altra parte sovraggiunge la Baronessa)
GIOCONDO
Ai dolci accenti tuoi
dove mi sia, non so.
BARONESSA
(ad alta voce accennando Clarice e Giocondo)
Macro...
MACROBIO
Ma zitto (Bestia!)
(al Conte per canzonarlo)
Dite? colei che fa?
(ironicamente e con enfasi)
La prima fra le vedove,
che vanti fedeltà.
CONTE
(alla Baronessa ed a Macrobio senza manifestarsi agli altri due)
Bravissimi! bravissimi!
Femmina è sempre femmina:
amoreggiar lasciamoli
con tutta libertà.
BARONESSA
(a Macrobio)
L'affar diventa serio:
ci ho gusto in verità.
GIOCONDO
(a Clarice)
Mi promettete amore?
MACROBIO
(al Conte sempre nella medesima aria)
Amore!
CONTE
Poverino!
CLARICE
(a Giocondo)
Consulterò il mio core.
MACROBIO
(come sopra)
Il core!
CONTE
(mostrando disinvoltura)
Va benino.
(Che faccia quel che vuole:
le donne io so pesar.)
Comparisce il coro de' Cacciatori.
MACROBIO
(Il capo assai gli duole,
e no 'l vorria mostrar.)
GIOCONDO
(a Clarice)
Per me comincia il sole
quest'oggi a scintillar.
CLARICE
(a Giocondo)
Son semplici parole
per farti almen sperar.
BARONESSA
(Ma queste non son fole,
son fatti da mutar.)
CONTE
(a Clarice con forza, avanzandosi e scoprendosi)
Donna di sensi equivoci,
piena d'astuzie e cabale,
ch'io sono a torto incredulo,
potrai lagnarti ancor?
CLARICE, BARONESSA, CONTE, GIOCONDO E MACROBIO
(la Baronessa, Macrobio e il Conte alludendo agli altri due, e questi a sé stessi)
Qual d'improvviso fulmine
insolito fragor!
Coro di Cacciatori che si avanzano, e detti.
CORO
In mezzo al temporale
la caccia è andata male:
(accennando Clarice e Giocondo mortificati)
ma il Conte a due merlotti
qui poi la caccia diè.
MACROBIO
Il fatto sul giornale
io stampo per mia fé.
CLARICE
(ai cacciatori)
Come? qual mia favella?
che insulto a me voi fate?
CORO
(a Clarice)
Prima eravate in sella,
or vi trovate appiè.
CLARICE, BARONESSA, CONTE, GIOCONDO E MACROBIO
Men tremendo che tempesta
questo colpo a me non par.
Sin le chiome sulla testa
io mi sento a sollevar.
CLARICE, BARONESSA, CONTE, GIOCONDO, MACROBIO E CORO
Così allor che all'onde in faccia
freme il vento e il fulmin romba,
strana tema i sensi agghiaccia
dell'intrepido nocchier.
(tutti partono in confusione)
Stanze terrene, come nell'atto primo.
Donna Fulvia e Fabrizio, indi Pacuvio affannato.
Recitativo
FULVIA
Io posso dir d'averla indovinata
restando in casa.
FABRIZIO
È stato veramente
un fiero temporal.
PACUVIO
(a Fabrizio)
Corri, t'affretta.
FABRIZIO
Dove? che fu?
PACUVIO
Per asciugar gli scritti
sono entrato in cucina; ivi alla recita
d'una mia scena dolcebrusca il cuoco
è caduto in declivio.
FABRIZIO
La vuol dire in deliquio.
PACUVIO
Certo, è là delinquente in un cantone.
FABRIZIO
Sarà stata la puzza del carbone.
(partendo in fretta)
PACUVIO
Ah! donna Fulvia, se non era il tempo,
avrei fatta una strage
di selvaggiume:
(mettendo fuori di tasca un picciolissimo uccello morto)
altro perciò non posso
esibirvi che questo
picciolo segno della mia bravura.
FULVIA
(voltandogli le spalle e partendo)
Non so che farne.
PACUVIO
È morto di paura.
(partendo anch'esso)
Il Conte Asdrubale e il cavalier Giocondo.
CONTE
Di quanto poco fa Clarice e voi
a me diceste, io sono
persuaso abbastanza.
GIOCONDO
Ella è innocente:
né reo son io che di leggiera colpa,
se può colpa chiamarsi...
CONTE
Il vostro affetto
per lei m'era già noto,
e la vostra virtù.
GIOCONDO
Ma quando mai
risolverete?
CONTE
Il matrimonio è un passo,
un passo grande!
GIOCONDO
E non vi basta ancora...
CONTE
Risolverò: per ora
pensiamo a divertirci con Macrobio,
che sfidarmi dovea.
GIOCONDO
Come vi piace.
CONTE
Andiam.
GIOCONDO
(Che strana idea!)
(entrambi in atto di partire)
La marchesa Clarice tutt'allegra con una lettera dissigillata in mano, e detti.
CLARICE
(ansante per la gioia)
Amici, oh! qual d'una sorella al cuore
soave annunzio inaspettato! Udite:
il Capitan Lucindo,
il mio caro Lucindo, il mio gemello...
CONTE
(in aria di scherzo)
Dagli Elisi tornò?
CLARICE
Quegli ch'estinto
da ciascun si credea, vive; e son questi
dopo sett'anni di silenzio i suoi
preziosi caratteri.
(sorpresa degli altri due)
(Perdona,
ombra del mio german, se all'uopo io chiamo
de' miei disegni il nome tuo.)
CONTE
Ma dove
si trattenne finor?
GIOCONDO
Perché non scrisse?
CONTE
Fu prigionier?
CLARICE
No 'l so: di tutto a voce
m'informerà. L'ottavo sole appena
sorgea di nostra età, quando il destino
ci separò; pur le sembianze ancora
io n'ho presenti.
CONTE
Eppoi
specchiandovi...
GIOCONDO
Sibben, le avete in voi.
CONTE
S'egli, è ver, ch'eravate...
CLARICE
Certamente:
eravam somiglianti,
come due gocce d'acqua. Oh quante volte
la nostra buona madre
con le cangiate fanciullesche spoglie
le paterne pupille
tradì per giuoco! e un dolce error di nomi,
non già d'affetti, risuonò su i labbri
del comun padre!
CONTE
Io mi consolo.
GIOCONDO
A parte
son de' vostri contenti.
CLARICE
(al Conte)
Se il permettete alla cittade io volo,
dove m'attende il mio german.
CONTE
Che venga
ei stesso qui.
CLARICE
«Breve in Italia», ei scrive,
«sarà la mia dimora;
né voglio abbandonar la compagnia».
CONTE
Qui la conduca, e quanto vuol ci stia.
CLARICE
Quest'è troppo.
CONTE
Che troppo? i militari
io sempre amai.
CLARICE
Le vostre grazie in voce
dunque ad offrirgli andrò.
CONTE
Se ricusasse,
mi farebbe un affronto.
CLARICE
(Già previsto io l'avea; tutto è già pronto.)
(tutti e tre in atto di partire s'incontrano in Pacuvio)
Pacuvio affannato, e detti.
PACUVIO
(mostrando una lettera)
Nuova grande! è arrivato
sin qui da ieri alla piazza
il maestro Petecchia, il celeberrimo...
CONTE
Credete voi che molti siano in oggi
i maestri di vaglia?
PACUVIO
Più di cento
saran senz'altro, e tutti bravi, e tutti
conosciuti da me.
CLARICE
(in aria di derisione)
Compreso ancora
il maestro Petecchia.
GIOCONDO
Certo, ossia febbre putrida.
CONTE
(al cavalier Giocondo)
In acconcio
qui cadrebbe, a me sembra,
quel tal vostro sonetto, in cui fingete,
se non m'inganno, d'aver fatto un sogno,
recitatelo in grazia.
GIOCONDO
In grazia dispensatemi.
CLARICE
Via, cavalier.
GIOCONDO
Non mi sovvien... scusatemi.
CLARICE
Finiamola. Un mio furto
confesserò, cui tenne man Fabrizio.
GIOCONDO
(turbandosi)
Come? il sonetto?...
CLARICE
Io l'ebbi, e il so a memoria.
CONTE
Dunque...
CLARICE
Sarà mia gloria
far cosa grata al Conte.
GIOCONDO
(a Clarice)
Ah! no, vi prego...
CONTE
(a Giocondo)
Anzi a vostro dispetto.
PACUVIO
(Quante caricature!)
CLARICE
Ecco il sonetto.
[Sonetto]
Sognai di Cimarosa, ahi vista amara!
la fredda salma sull'adriaco suolo:
i gran maestri, onde l'Ausonia è chiara,
cerchio a quella facean d'omaggio e duolo;
quando piombò sulla funerea bara
non so qual di pigmei musico stuolo:
squarciarne i membri, e depredarli a gara
fu per essi un sol voto, un punto solo.
Non rimanea che il capo: insidiosa
vidi una man, che d'afferrarlo ardia;
ma il capo si levò, mirabil cosa!
e l'aurea bocca, ove del canto in pria
sedean le grazie, mormorò sdegnosa:
«Canaglia, indietro; che la testa è mia».
Recitativo
CLARICE
Che ne dite Pacuvio?
PACUVIO
(con aria d'importanza)
Non c'è male.
GIOCONDO
(a Pacuvio con caricatura)
Grazie alla sua bontà.
CONTE
(al medesimo)
Questo sonetto
proprio di fronte attacca
quei vostri cento e più.
PACUVIO
(Non vale un'acca.)
(partono Clarice, il Conte e Giocondo per una banda; Pacuvio per un'altra, e s'incontra in Fulvia)
Donna Fulvia e Pacuvio.
PACUVIO
(retrocedendo con lei)
Oh! madama, a proposito: io credea,
che un segreto affidatovi non foste
mai di tradir capace;
ora con vostra pace
vi dirò che ho sospetto ben fondato
che l'abbia per gloria pubblicato.
FULVIA
Pubblicato? alla sola
baronessa io l'ho detto in confidenza
e s'ella in confidenza
lo dicesse a Macrobio; e in confidenza...
PACUVIO
Macrobio lo stampasse sul giornale,
sarebbe confidenza generale.
FULVIA
Certo.
PACUVIO
(smaniandosi)
Povero me! la mia parola...
(vale a dir la mia pelle)
l'amicizia, il decoro...
FULVIA
Eh, bagatelle.
[Aria]
Pubblico fu l'oltraggio
sia pubblica la pena,
chi m'insultò, più saggio
in avvenir sarà.
Ch'io castigai l'altero,
sia noto al mondo intero:
è la vendetta un sogno
quando nessun lo sa.
(parte)
PACUVIO
Ti vanta pur: la tua vendetta è vera,
come il trionfo mio. Ma se Giocondo
saprà la cosa, ove mi salvo? eh, niente;
se vedrò che altro scampo non mi resta,
con un'altra bugia rimedio a questa.
(parte)
Macrobio, indi il cavalier Giocondo, poi il Conte e due Domestici, ciascuno de' quali porta una spada sopra un bacile.
Recitativo
MACROBIO
Io far duelli? io, che a' miei giorni mai
né pistola adoprai, né spada o stocco
per onor di nessuno? io, che una sola
volta, né mi sovvien se bene o male,
mi son battuto a pugni
per onor del giornale?
Io?...
GIOCONDO
(in aria fiera)
Macrobio.
MACROBIO
Signor.
GIOCONDO
(gli dà una pistola)
Prendi.
MACROBIO
(incomincia a sgomentarsi)
Obbligato.
Che n'ho da far?
GIOCONDO
Sopra di me spararla.
Quando ti toccherà, come io quest'altra
(mostrandogli un'altra pistola)
sopra te sparerò.
MACROBIO
(Lupus in fabula.)
Ma non veggo il perché...
GIOCONDO
Perch'hai tu sparso
che a Pacuvio io cercai la vita in dono.
MACROBIO
L'ho detto senza crederlo.
GIOCONDO
Peggio! Su via...
MACROBIO
Se vi calmate, io sempre
dirò bene di voi sul mio giornale.
GIOCONDO
Potentissimi dèi! sarebbe questa
una ragion più forte
per ammazzarti subito. Alle corte.
MACROBIO
Vengo... aspettate... (Il Conte è fuor di casa...
altro scampo non v'è... tempo si prenda...
(Macrobio va pensando, e frattanto Giocondo fa dei cenni a qualcuno che si suppone dentro la scena)
GIOCONDO
(a Macrobio)
Terminiamo sì o no, questa faccenda?
MACROBIO
Lo volete saper?... da uom d'onore
qual mi dichiaro e sono...
GIOCONDO
Salvo errore.
MACROBIO
Io non posso accettar, perché un impegno
egual mi sono assunto
col Conte, e l'ho sfidato.
GIOCONDO
(osservandolo)
Eccolo appunto.
MACROBIO
Maledetta fortuna!
CONTE
Olà, Macrobio.
Giacché tu di sfidarmi
non hai coraggio, io te disfido.
GIOCONDO
(a Macrobio fingendo meraviglia)
Come?
Dunque...
MACROBIO
(sommamente imbarazzato)
Dirò...
GIOCONDO
Conte, scusate; il primo
son io.
CONTE
Non cedo: ad ogni costo ei deve
battersi meco.
GIOCONDO
A' miei diritti invano,
ch'io rinunzi, sperate.
MACROBIO
(Oh bella! a gara
fanno per ammazzarmi.)
(al Conte)
Una parola...
CONTE
(voltandogli le spalle)
Io non desisto.
MACROBIO
(a Giocondo)
Udite...
GIOCONDO
(egualmente)
Non serve.
MACROBIO
Io comporrò la vostra lite.
[Terzetto]
Prima fra voi coll'armi
il punto sia deciso:
(volendo mandare la cosa in celia)
con quel che resta ucciso,
io poi mi batterò.
Insieme
GIOCONDO
(al Conte accennando Macrobio)
Quando quel cor malnato
dal sen gli avrò diviso,
fra noi vedrem se ucciso
a torto io l'abbia o no.
CONTE
(a Giocondo accennando Macrobio)
Quando l'avrò mandato
a passeggiar l'Eliso,
fra noi vedrem se ucciso
a torto io l'abbia o no.
CONTE
(risoluto a Macrobio)
Andiam.
MACROBIO
(a Giocondo per ischernirsi dell'altro)
Voi che ne dite?
GIOCONDO
(risoluto a Macrobio)
Su via.
MACROBIO
(al Conte come sopra)
Voi lo soffrite?
CONTE
(prendendolo per un braccio)
Orsù...
MACROBIO
(al Conte accennando Giocondo)
Quest'altro freme.
GIOCONDO
(prendendolo egualmente per un braccio)
Non più...
MACROBIO
(a Giocondo accennando il Conte)
Quest'altro grida.
CONTE E GIOCONDO
(l'uno all'altro dopo avere alquanto pensato)
Ebben; l'acciar decida
chi primo ha da pugnar.
MACROBIO
(tirandosi da parte)
(Comincio a respirar.)
(ad un cenno del Conte si avanzano i due domestici, uno verso il Conte medesimo, l'altro verso Giocondo, presentando loro le rispettive spade)
CONTE E GIOCONDO
(con le spade medesime)
Ecco i soliti saluti.
(facendosi dei segnali d'intelligenza fra loro)
(Del duello inaspettato
si consola il maledetto;
e non sa che per diletto
lo faremo ancor tremar.)
MACROBIO
(Son quei ferri molto acuti;
far potriano un bell'effetto:
sol due colpi in mezzo al petto,
e finisco di tremar.)
CONTE
Con permesso...
(dopo essersi messi in positura, ed incrocicchiate le spade il Conte volge la punta a terra)
GIOCONDO
(egualmente)
Io fo lo stesso...
MACROBIO
(titubante)
Che vuol dir? che nuova c'è?
CONTE
Il padrone della casa
ceder deve al forestiero:
(a Giocondo accennando Macrobio)
e con lui pugnar primiero
tocca a voi, non tocca a me.
MACROBIO
Non è vero, non è vero;
io protesto, per mia fé.
GIOCONDO
Quest'è vero, quest'è vero;
senza dubbio tocca me.
MACROBIO
(al Conte in aria supplichevole)
Ma che un mezzo non vi sia
d'aggiustar questa faccenda?
CONTE
(fingendo di pensare)
Per esempio... si potria...
GIOCONDO
(invitando Macrobio)
Presto, a noi; che più pensar?
MACROBIO
(a Giocondo)
Via, lasciatelo pensar.
CONTE
(al medesimo)
Quando il forte a noi si arrenda,
si potria capitolar.
GIOCONDO
(fingendo di rifletterci)
Capitolar?
MACROBIO
(applaudendo al Conte con sommo trasporto)
Bravissimo!
GIOCONDO
Per me son contentissimo!
d'usar facilità.
CONTE
In termine brevissimo
l'affar si aggiusterà.
MACROBIO
Ripiego arcibellissimo!
di meglio non si dà.
CONTE
(a Giocondo accennando Macrobio)
Per prima condizione
fissiam ch'egli è un poltrone.
MACROBIO
Si accorda.
GIOCONDO
Un uom venale.
MACROBIO
Si accorda; non c'è male.
CONTE
Un cicisbeo ridicolo.
MACROBIO
Si accorda il terzo articolo.
GIOCONDO
Il fior degli ignoranti.
MACROBIO
Adagio.
CONTE
(con forza)
Avanti.
GIOCONDO
Avanti.
MACROBIO
Distinguo: in versi, o in prosa?
CONTE E GIOCONDO
(come sopra)
S'intende in ogni cosa.
MACROBIO
Eppur...
CONTE E GIOCONDO
(minacciando)
Che dir vorresti?
MACROBIO
Che articoli sì onesti
non posso ricusar.
CONTE E GIOCONDO
Gli articoli son questi;
non v'è da replicar.
(il Conte e Giocondo rendono le spade ai rispettivi domestici)
CONTE, GIOCONDO E MACROBIO
Fra tante disfide
la piazza è già resa.
Giammai non si vide
più nobile impresa;
d'accordo noi siamo;
cantiamo, balliamo:
la gioia sul viso
ritorni a brillar.
(partono)
Interno del villaggio; abitazioni diverse, e fra le altre quelle del Conte con porta praticabile. Veduta della campagna. Da un lato picciola eminenza.
Pacuvio dalla casa del Conte; poi donna Fulvia; indi la Baronessa e Macrobio.
Recitativo
PACUVIO
Chi non nega si annega:
eh, non v'era, per Bacco! altro riparo.
«Piaga d'acuto acciaro
sana l'acciaro istesso.» Metastasio
mi rubò quest'idea giusta, giustissima.
Infatti una bugia,
che donna Fulvia pubblicò, m'avea
ridotto a brutto stato:
con un'altra bugia mi son salvato.
FULVIA
Menzognero, impostor! darmi ad intendere?
(Pacuvio intanto si va guardando intorno, come se cercasse qualcuno)
FULVIA
Che cerchi?
PACUVIO
Con chi parla?
FULVIA
Con te.
PACUVIO
Con me? sa chi son io?
FULVIA
Pacuvio.
PACUVIO
Pacuvio menzogner? Giove mi scortichi
se una sola bugia
ho detto in vita mia.
MACROBIO
(aggirandosi perla scena, ed asciugandosi il sudore, come se ritornasse da una grand'impresa)
No, Baronessa,
non son ferito. Oh se veduto aveste!
BARONESSA
Dite, su.
MACROBIO
(come sopra)
Cose grosse!
BARONESSA
(con impazienza)
Ebben?
MACROBIO
(sempre passeggiando)
Siam vivi,
perché siam vivi.
BARONESSA
(come sopra)
In somma...
MACROBIO
(avvedendosi di Pacuvio)
Ecco il bugiardo,
cagion del mio periglio.
FULVIA
(a Pacuvio)
Prendi, che ben ti sta.
PACUVIO
(a Macrobio)
Mi meraviglio!
MACROBIO
(come sopra senza badare a Pacuvio)
Qual cimento ineffabile!
BARONESSA
(con estrema impazienza)
Ma come
lo terminaste?
MACROBIO
Come? da par mio.
BARONESSA
Cioè?
MACROBIO
Cioè... che interrogar molesto!
Dicendo da par mio, s'intende il resto.
Fabrizio, che discende da un'eminenza, e detti.
Diversi Abitanti del villaggio s'incamminano verso la campagna in aria di curiosità.
FABRIZIO
Eccolo.
(Macrobio continua a passeggiare in grande, come sopra)
FULVIA
Chi?
FABRIZIO
Lucindo.
BARONESSA
Il capitano?
PACUVIO
Il gemello germano?...
FABRIZIO
Sì, della marchesina.
MACROBIO
Io volentieri,
qualunque militar, l'avrei veduto
nel caso mio.
(intanto Pacuvio con un foglio spiegato va facendo dei gesti)
FULVIA
Le somiglianze rare
fra la sorella e lui
di veder son curiosa.
(Macrobio continua la sua pantomima)
BARONESSA
Se a lei somiglia non avrà gran cosa.
FABRIZIO
(Che pettegole!) Io vado
per ordine del Conte ad incontrarlo.
(parte)
FULVIA
Che fai, Pacuvio?
PACUVIO
Io parlo
con Demetrio Evergete.
BARONESSA
(a Pacuvio)
Zitto: s'avanza il capitan.
FULVIA
(al medesimo)
Tacete.
BARONESSA
Tiriamoci in disparte.
MACROBIO
Oggi d'esser mi sembra un altro Marte.
(si ritirano senza partir dalla scena)
Detti in disparte; la marchesa Clarice in abito militare, un Tenente, un Sergente, due Caporali e Soldati; Fabrizio di ritorno, Abitanti del villaggio e Servi del Conte, che restano indietro.
Marcia militare.
[Marcia, scena e aria]
(dopo che la truppa si sarà posta in ordine)
CLARICE
Se l'itale contrade,
che in fanciullesca etade
abbandonai, preme il mio piè; se vidi
il ciel natio; se dell'amata suora
sulle stanche pupille io tersi il pianto,
valorosi compagni, è vostro il vanto.
(ai soldati)
Se per voi le care io torno
patrie sponde a vagheggiar,
grato a voi di sì bel giorno
il mio cor saprò serbar.
CORO DI SOLDATI
L'esempio, il tuo periglio
a noi servi di sprone;
né bomba, né cannone
potevaci arrestar.
CLARICE
Viva il desio di gloria,
che all'alme amar non vieta:
ciascuno con me ripeta:
«Marte trionfi, e Amor».
(Sotto l'intrepida
viril sembianza
sento a risorgere
la mia speranza:
tra i dolci palpiti
s'infiamma il cor.)
CORO
Qual volto amabile!
vivace e nobile!
Che ardir magnanimo
gl'infiamma il cor!
(Clarice entra col séguito in casa del Conte, accompagnata da Fabrizio e dai domestici del Conte medesimo; gli abitanti del villaggio si disperdono)
La Baronessa e Macrobio, Pacuvio e donna Fulvia, che si avanzano.
Recitativo
BARONESSA
Che ne dite, Macrobio? io non ci trovo
questa gran somiglianza.
MACROBIO
Io son d'avviso,
che non v'è differenza in quanto al viso.
BARONESSA
Diamine! siete cieco? il capitano
è assai di lei più bello.
FULVIA
(a Pacuvio)
Sembra che non le sia neppur fratello.
PACUVIO
Eppur...
FULVIA
Non v'è confronto. Baronessa,
è ver, che non somigliano?
BARONESSA
Lo stesso
dico anch'io.
FULVIA
(a Pacuvio)
Lo sentite?
BARONESSA
(a Macrobio)
Vedete, se ho ragion?
MACROBIO
Signora, sì.
FULVIA
(a Pacuvio)
Siete convinto ancor?
PACUVIO
Sarà così.
BARONESSA
(Voglio a lui presentarmi
prima che torni il Conte.)
(a Macrobio)
Con permesso.
MACROBIO
Si accomodi.
(la Baronessa entra in casa del Conte)
FULVIA
(osservando la Baronessa)
(Ho capito.) Addio, Pacuvio.
PACUVIO
Si serva.
FULVIA
(Anche a me piace il militare;
né mi lascio da un'altra soverchiare.)
(entra anch'essa in casa del Conte)
Macrobio e Pacuvio.
PACUVIO
Le nostre dame, amico,
ci hanno qui piantato.
MACROBIO
Il marziale aspetto
val più assai che un articolo e un sonetto.
PACUVIO
Basta... non crederei...
MACROBIO
Se il capitano
sapesse il fatto d'armi...
PACUVIO
Oh! appunto, dimmi,
or che siam soli, come andò?
MACROBIO
Son cose
da non parlarne più. Ti dico solo,
che il Conte e il cavaliere in quell'incontro
ebber del mio carattere
un saggio tal da non tornarsi a battere.
(entra in casa del Conte)
PACUVIO
Se a tal fandonia io credo, il dir bugie
senza rossor divenga
per me fatica; e mi sia tolto insieme
il privilegio antico
di prestar fede io stesso a quel che dico.
(entra anch'esso in casa del Conte)
Galleria.
Clarice in abito militare, il Conte Asdrubale e il cavalier Giocondo.
Recitativo
CONTE
(in atto di pregare)
Scusate, capitan...
CLARICE
(in aspetto fiero)
Tutto m'è noto.
CONTE
Ch'io sappia almen da lei...
CLARICE
No, mia sorella
più non vedrete.
(a Giocondo)
Cavaliere, a voi
la destra io n'offro.
GIOCONDO
Io la ricuso: amico
prima che amante, io fui.
CLARICE
La vostra ammiro
non volgare amistà. Lungi da questi
lidi per lei funesti
Clarice io condurrò.
CONTE
(con sorpresa ed affanno)
Voi?
CLARICE
(con forza)
Sì.
CONTE
(smanioso a Giocondo)
Me stesso
in me non trovo.
CLARICE
(In quelle smanie io veggo
il mio trionfo.)
CONTE
(a Clarice quasi piangendo)
E partirà Clarice
per non tornar mai più?
CLARICE
D'avervi amato
arrossirà, quando ragione e tempo
resa le avran la sospirata calma.
CONTE
(appoggiandosi a Giocondo)
Oh dio!... qual su quest'alma
piomba improvviso gel!... d'amarla tanto
io non credea.
CLARICE
Né pianto
a lei giovò, né tolleranza e fede
anche in mezzo ai disastri.
CONTE
Ah! sì, conosco
per mia pena maggior tutte in un punto
le sue virtù.
(A Clarice in aria supplichevole)
Deh...
CLARICE
(con enfasi)
No.
CONTE
Crudel!... se fosse
Clarice qui... se me vedesse... Oh quanto!...
CLARICE
(Resisto appena.)
CONTE
Oh quanto mai Natura
sotto eguali sembianze
vi distinse nel cor!
GIOCONDO
Deh! alfin vi basti
il pentimento, il suo rossor...
CLARICE
(con enfasi, come sopra)
No.
CONTE
(a Giocondo)
Cessa...
Lasciami, amico, a quel destino in preda,
che a me stesso io formai. Da te Clarice
sappia almen ch'io l'adoro,
che le follie, che il mio rigor condanno,
e che forse per lei morrò d'affanno.
[Aria]
(a Clarice)
Ah! se destarti in seno
per me pietà non senti,
lascia ch'io speri almeno
dall'idol mio pietà.
(a Giocondo)
Caro amico, ah! tu lo vedi...
ah! di me che mai sarà?
(a Clarice)
Al mio duol se tu non cedi,
mostro sei di crudeltà.
(all'uno e all'altra)
Non vedrò mai più Clarice:
e fia vero?... oh me infelice!
(a Clarice fissando in lei lo sguardo)
Le sembianze in te ravviso:
il tuo volto in due diviso
m'innamora, e orror mi fa.
Più bramar non so che morte;
altra spema a me non resta:
l'ora estrema, oh dio! fu questa
della mia felicità.
(parte furiosamente e Giocondo lo segue)
Recitativo
CLARICE
Quanto costa una colpa!
Quanto soffersi a simular non usa,
né ad infierir! povero Conte! amarlo,
saper che m'ama e maltrattarlo! è vero:
ma de' comuni affetti
stato ei sarebbe ad onta sua tiranno,
s'io non compìa questo felice inganno.
La Baronessa, poi donna Fulvia e detta; finalmente tutti, ciascuno a suo tempo.
BARONESSA
Siete alfin solo: impaziente io stava
aspettando il momento...
FULVIA
(correndo spaventata)
Se non era
il cavalier Giocondo,
il Conte si uccidea.
CLARICE
(con somma agitazione)
(Che sento!) Ed ora?
FULVIA
Scrive.
CLARICE
(Respiro.)
BARONESSA
(a donna Fulvia)
E perché mai?
FULVIA
Si crede,
che il signor capitan gli abbia intimato...
FABRIZIO
(correndo)
Ah! signor capitan...
CLARICE
Che cosa è stato?
FABRIZIO
Leggete, e poi firmatevi:
«Lucindo per Clarice sua sorella»,
o il padron si dà fuoco alle cervella.
BARONESSA
Caspita! il caso è serio.
CLARICE
(Oh me felice!
Scrivo il mio nome: ei stupirà. «Clarice».)
FABRIZIO
Grazie.
BARONESSA
(a Fulvia)
Che nuova c'è?
FULVIA
(alla Baronessa)
Credo che sia
carta di matrimonio.
CLARICE
A queste dame
domando mille scuse.
BARONESSA
(in aria di galanteria)
Io più di mille
ne domando anzi a voi, se forse troppo
importuna vi son.
FULVIA
(egualmente)
Volano l'ore
in vostra compagnia.
BARONESSA
(come sopra)
Sembrano istanti.
CLARICE
Siete troppo gentili. (Anzi sguaiate.)
FULVIA
(come sopra)
Oh grazie.
BARONESSA
(come sopra)
È sua bontà.
CLARICE
(Quando sapranno
quel che so io.)
FABRIZIO
(al Conte nell'uscire)
La marchesina? Oh bella!
Non l'ho neppur veduta.
CONTE
(mostrando il foglio che ha in mano)
Ed io ti dico
che questo è suo carattere.
PACUVIO
(osservando il foglio)
Senz'altro.
CONTE
Io lo conosco.
GIOCONDO
(facendo lo stesso)
Non v'è dubbio.
MACROBIO
(a Fabrizio osservando anch'esso)
Hai torto.
FABRIZIO
Or lo vedremo. Il capitan Lucindo
per me risponda.
CLARICE
Io parlerò. Fabrizio
non ne ha né torto, né ragion; mi spiego:
Conte, io spero ché siate
disposto a perdonarmi.
CONTE
Io si.
CLARICE
Ne chieggo
la destra in pegno.
CONTE
Eccola, o caro; io tutto,
or che ottenni Clarice, a voi perdono.
CLARICE
Lucindo non tornò: Clarice io sono.
(stupore universale)
[Finale II]
CONTE E GIOCONDO
Voi Clarice?
BARONESSA E FULVIA
Qual inganno!
MACROBIO E PACUVIO
Qual sorpresa!
FABRIZIO E CORO
Qual portento!
TUTTI
Questo nobile ardimento
chi poteva immaginar?
CLARICE
Trasformando al fin me stessa
aguzzai d'amor lo strale:
la sorpresa universale
mi fa l'alma in sen brillar.
BARONESSA E FULVIA
Che improvviso temporale!
Ci avrei fatta una scommessa:
ah! purtroppo è dessa, è dessa,
e ci seppe corbellar.
PACUVIO
Donna Fulvia...
MACROBIO
Baronessa...
MACROBIO E PACUVIO
È venuto il temporale,
si è smorzato il mio fanale,
cesso alfin di smoccolar.
CONTE E GIOCONDO
Da stupor, da gioia eguale
non fu mai quest'alma oppressa:
ma la gioia omai prevale;
già non so che giubilar.
FABRIZIO E CORO
(verso il Conte)
Da stupor, da gioia eguale
non fu mai quell'alma oppressa:
ma la gioia omai prevale,
e non sa che giubilar.
CONTE
(a Clarice)
Cara, perdon ti chiedo.
CLARICE
(al Conte)
Perdon ti chiedo anch'io.
GIOCONDO
(con brio a Clarice e al Conte)
Ragion per me non vedo
di starsi a supplicar.
CONTE
(a Giocondo)
Quanto vi deggio, amico!
GIOCONDO
(come sopra)
Lo stesso ancor vi dico:
lasciamo i complimenti.
MACROBIO E PACUVIO
Piuttosto andiamo a pranzo:
pria che la lingua, i denti
bisogna esercitar.
MACROBIO, PACUVIO E GIOCONDO
E sopra l'altre cose
con pompa ed allegria
le nozze portentose
si pensi a festeggiar.
BARONESSA E FULVIA
(la Baronessa a Macrobio, donna Fulvia a Pacuvio)
Veder chi si marita,
e starli a contemplar...
MACROBIO E PACUVIO
(interrompendole)
Madama, l'ho capita:
son grato al vostro affetto;
ma per parlarvi schietto,
ci voglio un po' pensar.
MACROBIO
(veggendo che la Baronessa se ne rammarica, le porge la destra)
Via su, sia per non detto,
vi voglio contentar.
CONTE
Finor di stima io fui
verso le donne avaro:
da questo giorno imparo
le donne a rispettar.
CLARICE, MACROBIO, GIOCONDO E CONTE, TUTTI
Il cor di giubilo
brillar mi sento:
non so reprimere
quel sentimento,
che in petto l'anima
mi fa balzar.
Del paragon la pietra
a tempo usar conviene:
chi prova e non risolve,
un seccator diviene;
si rende altrui ridicolo
per farsi singolar.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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