L'ORAZIO
Commedia per musica.
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Libretto di Antonio PALOMBA.
Musica di Pietro AULETTA.
Prima esecuzione: Carnevale 1737, Napoli.
Persone:
LAMBERTO descrizione, maestro di cappella veneziano |
basso |
GIACOMINA descrizione, che poi si scopre Ginevra, amante di Orazio |
soprano |
LEANDRO descrizione, che poi si scopre Orazio, amante di Ginevra |
soprano |
ELISA descrizione, detta la Paduanina, sorella di Orazio |
soprano |
LAURETTA descrizione, fanciulla scaltra in casa di Lamberto |
soprano |
BETTINA descrizione, virtuosa principiante spiritosa |
soprano |
MARIUCCIO descrizione, musico |
sconosciuto |
COLAGIANNI descrizione, impresario del teatro Nuovo di Napoli |
contralto |
La scena è in Vinegia e proprio in una procuratia.
Eccel. sig.
Che non disse, che non fe', quai modi non tentò l'invidia maligna per opprimere la passata commedia, ma furo indarno gli attentati, e corse a suo dispetto l'arringo a vuoto; sciocca, non avvedendosi, che sotto l'adamantino scudo della valevole protezion dell'ecc. vostra, nulla offesa potea temere da' suoi nommeno folli, che ingiusti colpi, i quali per altro servirono d'accrescerle credito, anzi che no. M'immagino dunque, che, persuasa del passato esperimento, sé stessa maceri, lasciando altrui colla sua quiete: conforme io persuaso dall'essempio medesimo, mi ricovro di nuovo sotto l'ombra sicurissima dell'eccel. vostra, a piè della quale presento questa mia, qualunque siasi, piacevole rappresentazione, che in questi dilettevoli giorni sul mio teatro fo comparire, dove conforme al solito, qualora da' più seri, e nobili congressi vuol divertirsi, si degnarà onorarla co' la di lei eccellentissima presenza; siccome va superba (come che in sé stessa umilissima) portando in fronte l'eccellentissimo suo nome, mentre io mi confirmo per sempre
di v. e.
umiliss, e dev. serv. obl.
Gennaro Ferraro
Anticamera con cembalo.
Lamberto contrastando con Lauretta.
LAMBERTO
Oh che sproposito!
Che mellonagine!
A che proposito?
Questa è seccagine.
Non annoiarmi:
non irritarmi:
taci, non più.
LAMBERTO
Al studio, baroncella.
LAURETTA
Volea dicere...
LAMBERTO
E ancora
stai a intronarmi il capo
con coteste girandole,
Biandoluccia, che se'?
LAURETTA
Scompimmola; ca gia ve ncepollite.
LAMBERTO
Andiamo.
(Lamberto siede al cembalo, e suona, e Lauretta canta prendendo lezione)
LAURETTA
Maramene, e'ccomme site!
Tra gli scogli, e la procella
agitata navicella.
LAMBERTO
Dolce.
LAURETTA
Agitata navicella.
LAMBERTO
Più,
più dolce.
LAURETTA
Agitata navicella.
LAMBERTO
Staccato llà, llà, llar.
LAURETTA
Senza porto, e senza lido
il furor del vento infido.
LAMBERTO
Meglio quelle biscrome.
LAURETTA
Il furor del vento infido.
LAMBERTO
Ah non so, quel che sai, canta le note.
LAURETTA
Mi, sol, fà, mi, re, là.
LAMBERTO
Mi, sol, fà, mi, re, la.
LAURETTA
Mi, sol, fà, mi, re, la.
(con caricatura contraffacendo Lamberto)
LAMBERTO
Ah ah, avanti avanti.
LAURETTA
È costretta a seguitar.
LAMBERTO
Appresso, e dica bene,
ch'egli è un cantar da cieco.
LAURETTA
Tra gli scogli, e la procella
agitata navicella.
LAMBERTO
E viva; basta questo per adesso.
(alzandosi dal cembalo)
Va', chiama Giacomina.
LAURETTA
Gnorsì, chessa
ve mporta a buje. Tutto lo studio vuosto
sta ncuollo a
Giacomina, ed a Laurella
niente. Avite ragione, ch'è cchiù bella.
LAMBERTO
Tu ti becchi il cervello allo sproposito.
LAURETTA
E perché Giacomina
vuje mo volite fa ja rrecetare,
e à mme no?
LAMBERTO
Perché tu non ancora
sei atta a ciò.
LAURETTA
Volite pazzejare?
Oje tanta peo de mene
gnorante, senza voce, e sgraziate
cantano, e so piaciute a li teatre.
LAMBERTO
Ciò provien d'altro, che 'l tacere bello,
ivi le protezion vagliono molto...
Non voglio mormorar. Tu studia intanto,
pensa d'esser gradita sol col canto.
LAURETTA
Comme volite vuje.
LAMBERTO
Giacomina in quest'anno anderà in Napoli
a recitar, poiché si aspetta in brieve
un impresario da colà, chiamato
il signor Colagianni a tale effetto;
tu resterai soletta:
e tutta allor mia cura
sarà, di farti musica perfetta.
LAURETTA
E quanno sarà chesso?
LAMBERTO
Col tempo, e colla paglia
si maturan le nespola.
LAURETTA
S'io mo' ve spapurasse lo golio,
ch'aggio, de comparé incoppa na scena,
sio masto mio, lo ccredarrisse appena.
No gusto ha da stordire
chi canta a no triato,
da llà no Cicisbeo
sospira, e tene mente.
Da ccà se sente dire
da qualche ncappatiello:
bravo! Sso poco è bello
e sente ppo da tutte
le mmano schiaffeà.
Ma pe contrario pò,
uh! poverella chella,
quanno da vascio sente
da quacche Calimeo:
sta bestia mm'ha nfettato,
sentire non se po',
me fa piglià li butte,
vi quanno se nne và.
Lamberto.
Costei troppo è vezzosa, e, s'io non fossi
della scuola socratica,
forse m'impanierei
ne' vezzi suoi, e diverreine amante.
Or che diranno questi maestruzzi,
che si vogliono mettere a dozzina,
come le stringhe rotte
vedendo mie scolare così dotte?
E più si affibiaranno la giornea,
allor ch'io stamperò le mie cantate;
onde si vederà la vera norma
del contropunto, e come
io sia non men maestro di Cappella,
che buono matematico:
a differenza di color, che appena
apparar sul melone
do, re, mi, fa, sol, la,
che boriosi al cembalo
siedono con tremenda maestà.
Come scoglio in mezzo all'onde:
come l'onda in mezzo ai venti:
come vento in sulle sponde:
come sponda in sui torrenti:
come fiume in sulla via;
come, come, come, come
il malan, che il ciel gli dia.
Lauretta, e Lamberto, poi Giacomina; indi Leandro.
LAURETTA
Sio masto, into la sala
nc'è no milordo, e ddice ca se chiamma
lo si Leandro, e bo parlà co buje.
LAMBERTO
Ah sì, questo è colui,
che apparar vuole in musica; entri pure.
GIACOMINA
Signor Lamberto, un gentiluom vi chiede
all'altro piano, ed un abbate.
LAMBERTO
Adesso
sarò da lor... Oh mio padrone.
(qui viene Leandro, e mentre saluta Lamberto, s'incontra cogl'occhi di Giacomina, e restano l'uno guardandosi coll'altro, conoscendosi, e Lamberto anche lui resta guardando l'uno, e l'altro con meraviglia)
GIACOMINA
(Chi vedo?)
LAURETTA
(Oddio! Chi è quella?)
GIACOMINA
(Egli è Orazio!)
LEANDRO
(È Ginevra!)
GIACOMINA
(Come qui?)
LEANDRO
(Come qui?)
LAMBERTO
Oh questa è bella!
Quali sospensioni? Signor mio,
non favellate?
LEANDRO
(a Lamberto)
Attendo
i suoi favori.
GIACOMINA
(a Lamberto)
Ed io
vi ricordo, che siete
chiesto di là.
LAMBERTO
(a Giacomina)
Sì, sì.
(a Leandro)
Mi compatisca
quel signor, seda un poco, e qui m'attenda,
ch'or, or sarò da lei,
e parleremo con più agio.
LEANDRO
Vadi.
GIACOMINA
(È desso, non v'ha dubbio.) Orazio mio,
Orazio, e sia pur ver, che dopo sette
anni di amara lontananza, alfine
pur ti riveggo... Ma tu taci.
(Leandro non risponde)
LEANDRO
(Certo
ne son io già. Mi giovi
occultarmi a costei, finché non fia
di sua vita informato, e come in questa
casa dimori, e a che. Mille sospetti
mi si destan nell'alma. Il tempo, il luogo
i disagi, ed il fiero
malor, che guari pur non ha, mi afflisse
m'han transformato in qualche parte; ond'io
potrò liberamente
negar, d'essere Orazio.)
GIACOMINA
Tu mi guardi,
in guisa d'uom, che meraviglie vede.
Non è tanto diverso il mio sembiante
da quel primier, che non ravvisi in quello
chi tanto amasti un tempo,
e chi tanto ti amò; sì, Orazio mio,
Orazio, vita mia...
LEANDRO
Gentil donzella,
veda, che non s'inganni. Il nome mio,
è Leandro, non sono
quel, che voi già credete.
GIACOMINA
Come: oddio!
Non sei Orazio?
LEANDRO
No.
GIACOMINA
(Folle son io!
Ahi mi deluse Amor!) Signor, condona,
vostre fattezze simili al sembiante
d'un giovine a me caro,
benché diverse in poca parte, furo
cagion del preso errore:
l'inchino dunque. (Ah m'ingannasti Amore!)
(entra)
LEANDRO
Orazio, e quando mai creduto avresti,
dopo sì lungo tempo,
qui ritrovar la tua Ginevra, ancora.
Amorosa, e gentile,
come ti fu, quando per te 'n non cale
pose patria, e parenti, anzi sé stessa?
Ginevra mia, perdona,
se a te mi celo, n'è cagion quel lieve
sospetto, ch'esser suole
compagno indivisibile d'Amore;
non ch'io della tua fede
abbia alcun dubbio. Del tuo cor le tempre
note mi sono appien; dal tuo bel volto.
Dalle parole tue spirar mi sento
nuovo nell'alma insolito contento.
Cara, da te mi viene
aura di dolce speme,
che mi solleva il core,
ristora le mie pene,
e respirar mi fa.
E sebben l'alma teme
di sorte rea gli eventi,
effetto è sol d'Amore,
che mai li suoi contenti
senza timor non dà.
Lamberto, Colagianni, e Mariuccio.
LAMBERTO
Sedano pure; ebbene?
Quando qui siete giunti?
COLAGIANNI
Mò, e adesso.
LAMBERTO
(Mo, e adesso!
Che modo di parlare!)
COLAGIANNI
Pe sservirla.
LAMBERTO
Di grazia.
COLAGIANNI
Lo mpresario
dello treato nuovo io so dde Napole.
LAMBERTO
Già me l'avete detto.
COLAGIANNI
Da llà so asciuto apposta
pe ffa na bona scevota
di viziosi.
LAMBERTO
Che? Di virtuosi
volete dir?
COLAGIANNI
Gnorsì; pegliaje a Brescia
na Romana pe pparte de servetta.
LAMBERTO
Com'ella ha buona voce?
COLAGIANNI
Canta com'una luna in quintadecima.
LAMBERTO
(Oh, oh, che farfallon.)
COLAGIANNI
Aggio pigliato
a Padova na parte de soprana,
che canta di contralto, come il cancaro!
LAMBERTO
(Ohimè costui infastella più spropositi
che parole.)
COLAGIANNI
Cche dice?
LAMBERTO
Chi è costei?
COLAGIANNI
Chella, ch'a lo treato a lo Cocummaro
mo fa ll'anno a sciorenza
fece da primma donna.
LAMBERTO
Chi, la paduanina?
COLAGIANNI
Appunto.
LAMBERTO
E questa
fè' poca riuscita.
COLAGIANNI
Oscia mme scusa,
ch'è non spavento proprio:
decea nfra ll'auto no terziglio a dduje:
chiagnenno col prim'omo, che facette
crepà de riso tutta chell'audienza.
LAMBERTO
(Cotesta è da legnaja.)
COLAGIANNI
A Bologna pegliaje chisto fegliulo,
il qual recitarà d'omo secondo.
MARIUCCIO
Discepolo di lei.
LAMBERTO
(a Mariuccio)
Oh!
(a Colagianni)
Ma è troppo ragazzo.
COLAGIANNI
No mme mporta;
pocca a cchille treate so ntrodotte
le pparte de paggiotte, e chisso lloco
nc'ave na bona posposizione.
LAMBERTO
(Un diavolo!)
COLAGIANNI
Gnò?
LAMBERTO
Disposizione
voi dite?
COLAGIANNI
Signorsì.
LAMBERTO
Ora a che debbo
servirla?
COLAGIANNI
Anz'io so cca pe comannateve.
Vorria la sia Giacomina vosta
pe pprimma parte a lo triato mio,
conforme v'avisaje già da sciorenza.
LAMBERTO
Io ne sarei contento,
andando ella in città così cospicua,
qual è Napoli: ma
la difficoltà sta, ch'io non vorrei
avvilirla al principio
in un teatro piccolo.
COLAGIANNI
Oscia mm'abburla? Li treate llà
se songo mise tutte in nobirtà
d'abiti spaventosi,
di gran mutazioni, e scelta musica,
ed opire all'eroina.
LAMBERTO
All'eroica (in malora,
non ne dice pur una.)
COLAGIANNI
Tanto cchiù. Che 'l buon gusto
de li Napolitane s'è affinato.
LAMBERTO
Anzi volete dir, che in quel paese
trovano il pel nell'uovo.
COLAGIANNI
Pilo nell'uovo! Ajebò.
Senta: li virtuosi in quel paese
son tenuti in concerto, e compatisceno
chi è principiante.
LAMBERTO
Quando è bella.
Or via, dunque volete
per il teatro vostro Giacomina?
COLAGIANNI
Cierto.
LAMBERTO
La vuol sentir?
COLAGIANNI
Mi favorisce.
LAMBERTO
Entra qui, Giacomina, Giacomina.
Giacomina, e detti.
GIACOMINA
Signor maestro?
LAMBERTO
Eccola qui.
COLAGIANNI
Signora,
addio.
GIACOMINA
Li sono serva.
MARIUCCIO
Anch'io le inchino.
GIACOMINA
Serva sua.
COLAGIANNI
(a Mariuccio)
Bella vita,
bel personaggio! Che ti pare?
MARIUCCIO
È buona.
LAMBERTO
Siedi là, Giacomina.
(le accenna al cembalo)
GIACOMINA
(siede)
Vi ubbidisco.
(Che sarà!)
LAMBERTO
(a Giacomina)
Canta, e suona
un po'. Senta omai, ser Colagianni,
come sia virtuosa
non meno di cantare,
che di sonar costei.
COLAGIANNI
Orazio crescit:
gran fortuna farrà questa ragazza.
GIACOMINA
Tanto della sua Dorì
Tirsi afflitto seguia le schive piante
al prato, all'antro, al monte,
ch'al fin vicino al fonte
pur incontrolla il mal gradito amante;
e sebben gli occhi amati
vidde pietosi per temprar suo affanno,
pur riconobbe in lor non so che inganno;
onde colmo d'amore
così a lei disse il misero pastore:
Specchi dell'alma,
lumi fallaci,
io ben conosco, che m'ingannate;
ma di lascirvi mi toglie Amor.
Benché più chiare sian vostre faci;
non mi rendete però la calma,
né mi temprate
l'aspro dolor.
COLAGIANNI
È biva a meraviglia.
MARIUCCIO
Da maestra.
LAMBERTO
(a Giacomina)
Alzatevi dal cembalo;
coll'azion vogliate replicare
la prima parte almeno,
come se aveste in scena a recitare.
(Giacomina s'alza)
GIACOMINA
Specchi dell'alma,
lumi fallaci,
io ben conosco, che m'ingannate;
ma di lascirvi mi toglie Amor.
Benché più chiare sian vostre faci;
non mi rendete però la calma,
né mi temprate
l'aspro dolor.
Lamberto, Colagianni, Mariuccio, e poi Lauretta.
LAMBERTO
(a Colagianni)
Che vi pare?
COLAGIANNI
Bravissima.
Non ce vol'autro, hà da venire a Nnapole.
Che ccosa nne volite
per l'onerario sujo?
LAMBERTO
Di ciò più adagio
ne parlaremo: in tanto
può riposarsi. Olà Lauretta.
LAURETTA
Gnore?
COLAGIANNI
(Che quatro liscio!)
LAMBERTO
Adesso si prepari
di tutto quanto il quarto
di là.
LAURETTA
E'llesto.
(entra)
COLAGIANNI
(E pare paesana.)
Chi è cchessa sì Lammierto?
LAMBERTO
Nna napoletana da sei mesi
venuta in mio potere.
Io l'insegno di musica, e sebbene
principiante, mostra gran talento.
COLAGIANNI
Saria bona pe ffà na servetella
napolitana, e cierto,
ca volentieri me l'affittarei.
LAMBERTO
Ma d'infelice evento io temerei.
COLAGIANNI
Perché?
LAMBERTO
Perché nemmeno
sa solfeggiar.
COLAGIANNI
Ma è muto graziosa,
ha bona mutria, de queste
riescono a i treate d'oggidì.
LAMBERTO
Ne avete sperienza?
COLAGIANNI
Signorsì.
Na cantarina,
quann'è matina
allegrolella,
graziosella,
si be n'ha vvocem si be no ntona,
è ssempe bona pe li treate.
E l'impressari po fà arrecchì.
Ch'ammorra ammorra li nnammorate,
p'avé vigliette, p'avé barchette,
sulo pe cchella vide venì.
Lamberto, e Mariuccio.
LAMBERTO
È molto allegro questo
ser Colagianni.
MARIUCCIO
Ed ha tratti cortesi.
LAMBERTO
Un sol difetto io ci conosco.
MARIUCCIO
Ed è?
LAMBERTO
Par, che presuma troppo, e niente sappia.
MARIUCCIO
Questo è vizio commune
degl'impresari.
LAMBERTO
Basta; tu li sei
però molto obbligato.
MARIUCCIO
È ver, no 'l niego:
per lui la prima volta
vado in scena, ove spero,
farci molto profitto, a dirvi il vero.
Spero, con recitare,
di farmi ricco appieno,
e aver da questo, e quello
regali in quantità.
Che, se non so cantare,
son spiritoso almeno,
e mi vo lusingando,
ch'ogn'un m'applaudirà.
Lamberto, e Giacomina.
GIACOMINA
Signor Lamberto?
LAMBERTO
Giacomina.
GIACOMINA
Siete
disposto dunque, di mandarmi in Napoli?
LAMBERTO
Certo.
GIACOMINA
Ohimè.
LAMBERTO
Tu sospiri?
GIACOMINA
E vi dà l'animo?
Di mandarmi colà, d'allontanarmi
da voi, che qual mio padre per affetto
io vi tenea?
LAMBERTO
Anzi, perché t'ho amata,
procuro, che ti avanzi.
GIACOMINA
E quale avanzo
potrò sperar da sì 'nfelice stato,
in cui voi mi sponete?
LAMBERTO
Stato infelice chiami tu cantare?
GIACOMINA
Infelice non sol, ma periglioso,
nel quale il meno, che si acquista, è il biasmo
di libertà di vita, e 'l nome infame
di vagabonda, lascio
che diviene l'oggetto
dell'altrui lingue, e delle beffe altrui.
Vedete omai di grazia,
s'una fanciulla nobile, e ben nata
accomodar si puote a simil vita?
LAMBERTO
Sciocca, se tu gustassi
la millesima parte de' piaceri
c'hanno le virtuose,
non diresti così. Servite, amate,
caregiate, onorate, regalate,
lodate, desiate,
raccomandate...
GIACOMINA
Altra, di me più avvezza
a ciò l'abbia, io per me l'aborro, e schivo.
LAMBERTO
Ti ci avvezzi tu ancor, non dubitare,
e muterai favella,
quando, calcando i più famosi palchi
d'Italia, e fuori, leggerai il tuo nome
sui drammi scritto: Semira reina
di Babilonia, moglie
di Nino: la signora Giacomina,
virtuoso del mogol.
GIACOMINA
Ma io vi torno a dire...
LAMBERTO
Non più repliche, olà, così vogl'io.
GIACOMINA
(Ed ecco il colmo d'ogni danno mio!)
(entra)
Lamberto, e poi Lauretta.
LAMBERTO
Mi par mill'anni che se n' vadi via
costei, per star soletto
con Laura in casa, e allor... e allora che?
Non ci va il decoro mio;
no, no, no, no...
(vedendo venir Lauretta)
Oh mio decoro, addio.
LAURETTA
Sio masto, so benute
li forastiere all'auto quarto.
LAMBERTO
Vado.
(mentre vuol partire si volta a Lauretta con occhio appassionato)
LAURETTA
Che nc'è?
LAMBERTO
Sai?
LAURETTA
Che?
LAMBERTO
Che Giacomina
già va in Napoli.
LAURETTA
Saccio.
(va per partire, e si volta alla detta, come sopra)
LAMBERTO
Bene bene.
LAURETTA
Gnò?
LAMBERTO
E sai, che tu resti soletta in questa casa?
LAURETTA
Saccio.
LAMBERTO
Bene bene.
(come sopra, va per partire)
LAURETTA
Ah?
LAMBERTO
E sai,
che io...
LAURETTA
Vuje che?
LAMBERTO
Che io
ti...
LAURETTA
Che? Mi?
LAMBERTO
Che io ti, ti, ti, ti...
LAURETTA
Che cosa mi, mi, mi, mi?
LAMBERTO
Ti a a a...
LAURETTA
Che?
LAMBERTO
Niente. (Oh maladetta gravità.)
Qual foco mi scotta?
Qual neve mi agghiaccia?
Il petto, ed il core,
le gambe, e le braccia
mi sento brugiare!
Mi sento tremare!
Furbotta, furbotta.
Tu sai, che cos'è?
Qual miele? Qual tosco?
Mi è grato? M'infetta?
Mi uccide? Mi alletta?
(Il vedo, il conosco,
è amore, è amore,
ah misero me!)
LAURETTA
Sò cchiacchiare, nuje femmene facimmo
mmertecà le ccolonne: e no le serve
a nullo essere addotto, e faccentone.
Ecco lo masto mio, che de li maste
facea lo capatano,
mo se nne và venenno chiano, chiano.
Leandro, e Giacomina.
GIACOMINA
Intendesti, a qual danno
vicina io sono?
LEANDRO
Intesi, ma bisogna
obbedire al maestro.
GIACOMINA
Tu ancor mi persuadi
che io per Napoli parta? Adesso vedo,
che Orazio tu non sei, poiché se 'l fossi,
non diresti così.
LEANDRO
Né Orazio sono,
né so chi sia; pur d'uom così a te caro,
e a me simil, che mi ricordi tanto,
è lecito, ch'io sappia
l'intera storia?
GIACOMINA
Aiuto, e segretezza
se mi prometti, io la dirò.
LEANDRO
Prometto
segretezza, ed aiuto
col consiglio, e coll'opra.
GIACOMINA
In Genoa patria mia
mi accesi, or compie il settim'anno appunto,
di quell'Orazio, ch'io ti dico, il quale
arse per me di pari ardor; ma i crudi
nostri parenti, fra di lor nemici,
negaro ad ambo il desiato nodo;
tal che, nascostamente resi sposi,
ne fuggimmo di là. Ma fummo in mare
preda de' mori, e questi
nell'onde di Sicilia fur in parte
delle galee viniziane preda,
nella quale fui io;
e la migliore, dov'era Orazio mio
salva in Africa andò. Fra tai vicende
di schiavitù di libertade, io venni
in poter di Lamberto: con quai pene,
con quai sollecitudini, tu il sai,
se mai provasti amor. Sperai, pregai
il ciel, che mi facesse
dopo sì reo martire
rivedere il mio Orazio, e poi morire.
LEANDRO
(Orazio, e che più prova
della costanza di costei tu brami?)
GIACOMINA
Tu taci, e non rispondi?
Ti aggiri, e ti confondi?
Ah già ritorna il dubbio nel mio core,
Leandro, Orazio sei?
LEANDRO
No, che no 'l sono.
Ma secondo il racconto,
che mi hai fatto, il conobbi, e fu mio amico.
GIACOMINA
E dove il conoscesti? E come? Oddio!
LEANDRO
Preda de' Mori anch'io
un tempo fui con questo Orazio, il quale
solea sovente di Ginestra il nome
pietoso rammentar fra le catene.
GIACOMINA
Questo è il mio nome appunto.
LEANDRO
Da un gentiluom d'Ancona
poiriscattati fummo. Io qui ne venni.
GIACOMINA
E 'l mio Orazio?
LEANDRO
In Ancona restar volle.
GIACOMINA
E sai, se si ricorda
di me?
LEANDRO
Ben mille, e mille volte il giorno,
replicando il tuo nome, egli dicea,
o Ginevra: Ginevra, anima mia,
mio bene, idolo mio, mio spirto, e vita.
GIACOMINA
Olà Leandro, che favelli? E a chi?
LEANDRO
Tra lacci Orazio tuo dicea così.
GIACOMINA
Ah Orazio, ah caro Orazio,
tua fui, tua sono, e tua sarò per sempre.
LEANDRO
A chi, Ginevra, a chi
tante bele promesse in un confonde?
GIACOMINA
Ginevra a Orazio suo così risponde.
Come si lagna
mesto usignolo,
se i figli al nido più non rimira,
così sospira quest'alma ancor.
Lontana (oddio)
dall'idolo mio
tormento, e pena
sol prova il cor.
Leandro.
Ginevra, o se potessi
penetrare il mio cor, quanto contento
ben, che n'averesti; a me non parve
tempo opportun di palesarmi, prima
starò a veder, se si conchiude in tanto
la sua partenza, e poi,
a lei nel maggior uopo
mi scoprirò. Gioisci o cor; scorgesti
la di lei fedeltà. Vedrà pur quella
a suo tempo, ch'io fui,
e tale ancor sarò fra le vicende
di sorte iniqua, e rea, sempre costante,
fido, leale, e sviscerato amante.
Contro i venti mai non cede
salda rupe, e fermo scoglio;
idol mio, così mia fede
sempre stabile sarà.
Sia benigno, o m'usi orgoglio
l'implacabile mio fato,
questo core innamorato
tempre mai non cangerà.
Lamberto, Elisa, Bettina, Colagianni, e Mariuccio.
LAMBERTO
Queste ragazze hanno due brave voci,
e quel giovine ancora,
faran portenti ne' teatri.
ELISA
Spero,
che sarò compatita.
BETTINA
Ed io m'ingegnerò, far quanto posso.
MARIUCCIO
Io farò la mia parte.
COLAGIANNI
Co cchisse treje, e la sia Giacomina
spero de la ngarrà, si non la sgarto.
LAMBERTO
Vedo, signora Elisa,
nel suo soggetto ogni disposizione.
ELISA
Grazie, che mi dispenza
il mio signor maestro.
LAMBERTO
Fo giustizia
al merito; vo' dir, che aveano il torto,
di prendervi in Firenze a noja tanto:
venne sin qui l'avviso,
che non foste gradita in quel teatro.
ELISA
Perché non fui cortese
al mastro di cappella,
costui ni fe' una musica
nella mia parte assai spiacevolissima.
LAMBERTO
E per questo apprendete scempiarelle,
a non esser superbe
colle persone, che vi posson nuocere.
BETTINA
Io per me sarò sempre umile a tutti,
né vo' irritarmi alcuno.
COLAGIANNI
Adaggio adaggio
ai mali passi solea dire Biaggio.
MARIUCCIO
Per me non sono competenze, e impegni
perché non sono donna.
LAMBERTO
Voi potrete
bel preparato quarto
riposarviper ora. Il dopo pranzo
faremo un'accademia virtuosa,
indi andremo alla maschera, e stasera
ci vogliam divertir con un festino.
COLAGIANNI
Viva lo sio Lammierto.
ELISA
Io me l'inchino.
Signor maestro, priego, che mi ponga
in grazia all'impresario,
e a lui mi raccomandi.
LAMBERTO
Non credo, che con voi
questo bisognerà.
COLAGIANNI
La signora con me vo pazzeà?
ELISA
(Oh se potessi scaltra
l'impresario adescar nella mia rete,
buon per me.)
COLAGIANNI
(Ssa trottata
tira de mme ncappà, ma ll'ha sgarrata.)
ELISA
In paese straniero
povera forastiera sì soletta
spera da voi, signor, d'esser protetta.
Raminga in folta selva
timida pastorella
crede, ch'allor la belva
la venghi ad assalir.
Ma se poi trova quella
l'amato suo pastore,
richiama i spirti al core,
e sol penza a gioir.
Lamberto, Colagianni, Bettina, e Mariuccio.
BETTINA
Per me non ho timore; anzi ho uno spirto,
che mill'anni mi pare,
calcare il palco di notturna scena,
per voler mio talento dimostrare.
COLAGIANNI
Se vede a lo pparlà, ca nce rejesce.
LAMBERTO
Dalla mattina si conosce il giorno.
COLAGIANNI
Fatte note, e considera
le spese stravaganti, che ffacimmo
nuje povere mpresarie,
per fare riuscì le male dramme.
LAMBERTO
Melodrame.
COLAGIANNI
Gnorsine, e nc'appogiammo
ncoppa a buje.
BETTINA
Ho speranza,
benché sia ragazzina, esser gradita,
o almeno compatita.
Se non canto a meraviglia,
tale quale almeno io canto:
se non sono bella figlia,
non son anche brutta tanto:
son fanciulla, graziosa,
avvenente, spiritosa,
piacerò, credete a me.
La mia mente m'indovina,
che io farò del bene molto,
ella dice, io ben l'ascolto,
che fra poco canterina
diverrò perfetta affé.
Lamberto, Colagianni, Mariuccio.
LAMBERTO
Costei sa molto, e non anco ha calcata
la polve de' teatri.
COLAGIANNI
Si Lammierto,
che ddice oscia, volimmo
concrudere l'appardo
della sia Giacomina?
LAMBERTO
Io già vi ho detto.
COLAGIANNI
Quattrocento zecchini.
LAMBERTO
Appunto, ed anco
presa, e rimessa, gli abiti da scena,
nastri, spille, calzette, scarpe, e sopra
tutto la prima donna.
COLAGIANNI
Se nce ntenne.
LAMBERTO
E nella prima recita
il titolo del libro.
COLAGIANNI
Chesso spetta al poeta.
LAMBERTO
Ed al poeta
ci parlerete voi.
COLAGIANNI
Eh, ca vuje non sapite
che rrobba so chille poviete; quanno
anno compuosto, pe llevà na virgola
se mostrano cchiù dduri di Lucigni.
LAMBERTO
Ma l'ostinazione
figlia è dell'ignoranza.
COLAGIANNI
Io mperrò ve mprometto,
quanno farrò il mio libro, dare il titolo
o la sia Giacomina, e ve contento.
LAMBERTO
Voi fate il libro?
COLAGIANNI
Io:
non sapete, che io sono
mezzo poeta, e mezzo
maestro di cappella?
LAMBERTO
(È tutto bestia.
Povero bietolone!)
COLAGIANNI
Che ddecite?
LAMBERTO
Ser Colagianni mio, va riposatevi,
che dopo pranzo poi
finiremo il discorso,
or datemi licenza.
(Veh, se spacciar, si vuol dotto a credenza.)
(parte)
COLAGIANNI
Ah ah, lo si Lammierto
se credea de parlà co quacche racchio;
è restato.
MARIUCCIO
Per certo; ma qua viene
quell'altra giovinetta,
che del maestro in casa
dimora.
COLAGIANNI
Chi?
MARIUCCIO
Lauretta.
COLAGIANNI
Ah sì la paesanella,
retirate, ca voglio
parlarle.
MARIUCCIO
Io mi ritiro.
(parte)
COLAGIANNI
Oh potta! È bella.
Lauretta, e Colagianni.
COLAGIANNI
Servo, donna Lauretta.
LAURETTA
Serva del mio signor don Colajanne.
(parte)
COLAGIANNI
Oscia è napolitana?
LAURETTA
Sì segnore.
COLAGIANNI
E comme ve trovate a sti paise?
Si licet.
LAURETTA
Era patremo scrivano:
pe no cierto dellitto, da tre anne
se nne soie da Napole; e cod'isso
me nne portaje a Benezia, po' morette
salute a buje, ed io
venette mmano a cchist'ommo da bene
de Lammierto, che comm'a ffiglia soja
mm'ave nzi a mmò trattata,
e dde cchiù mm'ha de museca mparata.
COLAGIANNI
(Chesta mme ncappa.)
LAURETTA
Gnò. Che avite ditto?
COLAGIANNI
Dico se vuoje venire
a rrecetare a Napole?
LAURETTA
Io venarria, ma dice
lo masto, ca n'ancora
sò bona.
COLAGIANNI
Non si bona? Potta d'oje!
È lo vero ca si prencipiante,
ma pe ppassare nnante,
non ce vò niente, abbasta,
ch'aje no poco de grazia,
ca se si fusse n'asena vestuta,
tu si pportata nnanze, e sostenuta.
LAURETTA
E chi vo sostenere
a mme pover'affritta?
COLAGIANNI
Lo mpresario.
Lamberto, che osserva, e detti.
LAMBERTO
(Laura coll'impresario
a stretto cicaleccio, osserviam pure.)
COLAGIANNI
Che ddice? Vuò venì?
LAURETTA
Comme facimmo
ca lo masto non vole?
COLAGIANNI
E perché?
LAURETTA
Che nne saccio. Io vao penzanno,
che sia de me ncappato.
LAMBERTO
(Finta, birba, bugiarda,
ammazzar la vorrei.)
COLAGIANNI
Ma dimme a mmene:
tu a cchi vorrisse bene?
LAURETTA
Io vorria bene,
mo nce vò, me piglio
scuorno, de ve lo ddi.
LAMBERTO
(Non posso contenermi, adesso crepo.)
COLAGIANNI
Spapura, vance mo, simmo paesane:
può ave stà confedenzia, e po', po'.
(Mo faccio tutt'a monte.)
LAURETTA
Se io ve dico chi è, l'avite a gusto?
COLAGIANNI
Certo.
LAMBERTO
(O smanie! O rabbie!
O donna perfidissima.)
LAURETTA
Mmirate a chillo specchio e bbedarrite
llà ddinto chillo, ch'è lo core mio.
COLAGIANNI
(Chisto lloco song'io, o che forture.)
(addita uno specchio)
LAMBERTO
(Chi un capestro mi dà? Voglio appiccarmi!)
LAURETTA
Voglio accossì ncapparlo a lo ciammiello.
COLAGIANNI
Vago a mmirarme?
(Colagianni si rimira nello specchio e nell'istesso tempo Lamberto si rimira anche lui da dietro a Colagianni nell'istesso specchio il quale avvedendosene si volta, e restano così muti per un poco)
LAMBERTO
(Ed ancor io.)
LAURETTA
(Mannaggia!
Lo masto.)
COLAGIANNI
(Scazza!) Signor mio?
LAMBERTO
Padrone?
LAURETTA
(Scajenza!)
LAMBERTO
(Un granchio a secco egli ha pescato.)
COLAGIANNI
(Co na vranca de mosche so restato.)
(il seguente si dirà da ciascuno da parte)
Insieme
COLAGIANNI
(Comm'acchi joca a le ppalle,
ch'a lo mierco va becino:
lo contrario meno, e ddalle
nne lo trucca nietto nietto
e se mette isso là.)
LAMBERTO
(Qual chi uccella, e una beccaccia
preso ha dentro il trapolino,
il villan, che vien da caccia,
ne lo rubba zitto zitto,
guasta il tutto, e via se n' và.)
LAURETTA
(Comm'a cchella, ch'enchie ll'acqua
a na fresca fontanella,
no tentillo la langella
và, e le rompe; fredda fredda
a non pizzo affritta stà.)
Insieme
COLAGIANNI
(Accossì è ssocciesso a mme.)
LAURETTA E LAMBERTO
(Or così è successo a me.)
COLAGIANNI
(A lo mierco stea vecino.)
LAMBERTO
(Avea preso una beccaccia.)
LAURETTA
(Avea chiena la langella.)
COLAGIANNI
(Sto bonora mm'ha troccato,
sconcecato mm'ha daccà.)
(parte)
LAMBERTO
(Quel baron me l'ha rubata,
rovinato il tutto m'ha.)
(parte)
LAURETTA
(Chillo pesta mmertecata
tutta ll'acqua mm'ave già.)
(parte)
Leandro, e Giacomina.
GIACOMINA
Leandro, o chi tu sei, se non m'aiti
nell'iminenente irreparabil danno,
io son perduta.
LEANDRO
E che fu mai?
GIACOMINA
Lamberto
ha conchiuso l'appaldo
con quel napoletano.
LEANDRO
E 'l sai di certo?
GIACOMINA
La scritta io stessa ho letta
poc'anzi.
LEANDRO
(Ohimè!)
GIACOMINA
Ti prego,
se sei Orazio, per la dolce, e cara
memoria dell'antico nostro amore,
e se no 'l sei, per l'amistà di Orazio,
e per quelle leggiadre
amabili fattezze,
ch'hai con quello sembianti,
a non abbandonarmi in si grand'uopo.
LEANDRO
(M'intenerisce!)
GIACOMINA
Or che pensi?
LEANDRO
Ginevra,
sta' pur sicura: in Napoli
non anderai, a costo
della mia vita.
GIACOMINA
Dunque?
LEANDRO
Ti ritira.
Veggo il Napoletano
venirne qui da quelle logge. A questo
vo' prima favellar, e dar principio
a 'nviluppar questo contratto.
GIACOMINA
Tutta
in te riposo.
LEANDRO
Spera pure.
GIACOMINA
Addio,
Leandro. (Ahi fui per dire Orazio mio!)
(entra)
Colagianni, e Leandro.
COLAGIANNI
La mia contadinetta
nella sua trappoletta
ha preso un beccafico,
che ghiotto del panico
calossi al suon del fischio,
e 'mpaniato al vischio
il cattivello restò.
Quanto face a pproposeto pe mmene
sta canzoncella, che mparaje nfiorenza,
se tratta, ca Laurella
mm'ave ncappato de manera tale,
che non pozzo scappà. Ma ccà so gente.
LEANDRO
Addio, quel gentiluomo.
COLAGIANNI
Mio signore.
LEANDRO
Ell'è per avventura
il signor Colagianni?
COLAGIANNI
Pe sservirla. (Chi è sto si puzillo!)
LEANDRO
Sento, ch'ella ha firmata
la scritta con Lamberto.
COLAGIANNI
De Giacomina?
LEANDRO
Appunto.
COLAGIANNI
Si ssegnore.
LEANDRO
Ma ha ella la nuova?
COLAGIANNI
Segnornò.
LEANDRO
Da un potente signore
di qui (che dir non lice)
si vuole in ogni conto, che in quest'anno
si appaldi Giacomina
per il teatro di Lisbona, ch'egli
ne ha di colà incumbenza.
COLAGIANNI
Patron mio,
sio, segnore, Lesbonia, e Giacomina
io tengo supra capita;
ma...
LEANDRO
Si spieghi.
COLAGIANNI
È spiegato: agge pazienza,
ca lo negazio è ffatto, e lo papello
è scritto, e quel ch'è scretto, è scretto.
LEANDRO
Dica...
COLAGIANNI
Io ho detto, e quel che ho detto, ho detto.
LEANDRO
Adagio olà, che qui si sta in Vinegia.
Lei cessi dall'impegno
o voglia, o no; ed avvertisca a modo
con chi favella.
COLAGIANNI
Ma...
LEANDRO
Non occor'altro.
COLAGIANNI
Io pe mme so' na bestia:
non faccio che risoolvere, me dia
tiempo, che scriva a Napole,
all'amministratore, che llà ttengo,
lo quale resti punte è n'ommo bravo,
sento, che me responne, e ppoi risorvo.
LEANDRO
Non vi è tempo, e vi replico
ora assolutamente, che dovete
cedere o Giacomina, o il proprio sangue.
COLAGIANNI
Oscia mell'ave ditto
de na manera così obligantina,
che non pozzo di' no.
(Fuss'acciso Lammierto, e Giacomina.)
LEANDRO
Io vi ringrazio molto, e quel signore
la ringrazia, e la priega
ancor per me, ch'ella da se medesima
si sciolga dalla scritta con bel modo,
senza nominar me, né Portogallo.
COLAGIANNI
(Ora vide, a c'abballo
s'hanno da trovà ll'uommene d'onore
pe sse guaguine!)
LEANDRO
Viene
Lamberto qui, gli parli adesso; eh veda,
ch'io ci sarò presente,
e se forse mai sente
ch'io difenda il maestro, ella no 'l creda,
ch'io fingo, intende?
COLAGIANNI
Gnorsì, più d'un sordo.
LEANDRO
(Ai mali irreparabili, e imminenti
giovan spesso i rimedi violenti.)
Lamberto, Leandro, e Colagianni.
LAMBERTO
Addio, signori.
COLAGIANNI
Servidor, padrone.
LEANDRO
Signor maestro, me l'inchino.
LAMBERTO
Vedo
se non m'inganno, il signor Colagianni
torvo in volto: che fia?
COLAGIANNI
(mentre va)
Sacciate... dica leje...
(per parlare a Lamberto)
LEANDRO
Dice, ch'affatto
(gli fa cenno, onde confuso tace confirmando quel che ha detto Leandro)
vuol disciolto il contratto
di Giacomina; io l'ho ripreso, e detto,
ch'in Vinegia non si usa in questo modo
mancar'a gentiluomini:
ma lui in fiero aspetto
così ha risposto: quel c'ho detto, ho detto.
COLAGIANNI
(per parlare a Lamberto)
Cioè... Gnorsine...
LAMBERTO
Corpo del gran turco!
Avrà il suo luogo la scrittura, ai caj
io ne richiamerò, s'anche fia d'uopo.
LEANDRO
Ciò dissi ancor: ma replicò, ch'egli era
stato ingannato, e avrebbe
fattone verbo anco al senato or ora,
affinché sua ragione
defraudata non fosse.
COLAGIANNI
(per parlare a Lamberto)
Vedite... Segnorsine.
LAMBERTO
(a Leandro)
E doverà Lamberto
soffrir questo?
(a Colagianni)
E la causa
di ciò qual è?
COLAGIANNI
Mò dico:
(a Lamberto)
io steva ccà... nò... vinne, e nce trovaje
sto mi patrone: isso volea...
(a Lamberto e confuso)
nò io
è bero sì signore.
(E dir non potte ligi, e qui finio.)
(parte)
Leandro, e Lamberto.
LAMBERTO
Va, ser Squasimodeo,
ch'or ci vedremo al banco
della ragion.
LEANDRO
Dove, messer
Lamberto?
LAMBERTO
Agli Uffizi a quest'ora
comparirò, perché costui m'adempi
la scritta.
LEANDRO
Il lasci pur, rompa il contratto.
LAMBERTO
Oh perché?
LEANDRO
Giacomina
vien chiesta da Lisbona colla paga
d'ottocento zecchin, presa, e rimessa,
e dugento zecchini
per aiuto di costà, se li vuole
gli si daranno or ora.
LAMBERTO
Il partito è migliore, e per chiarire
quel cavolo torzuto,
io mi contento.
LEANDRO
Adunque
risolvete così?
LAMBERTO
Sta risoluto.
LEANDRO
Vogliam fare la scritta?
LAMBERTO
Lasci pria,
che mi disciolga dal Napoletano.
Vado.
LEANDRO
Non manchi.
LAMBERTO
Io son Lamberto, intende?
Quando sciolto avrò il contratto,
se mi viene a dir quel matto:
veda, intenda, questo, e quello,
gli rispondo: va', fratello,
v'a' t'impara a contrattar.
Poi che sia cassato il foglio,
s'egli vuole, io più non voglio;
così resta corbellato,
chi pensò di corbellar.
(parte)
LEANDRO
Mi è giovato l'inganno; unqua non lice
disperar. Curi il cielo
delle cose gli eventi. Nostra vita
ora infelice, e oscura,
goder può ancor stagion più lieta, e pura.
Mariuccio, e Bettina.
MARIUCCIO
Mia signora Bettina,
abbiam fatto pur bene,
lasciar soletta la Paduanina
ne' suoi pensieri.
BETTINA
È vero,
è troppo melanconica
colei; ma dove manca quella, il vostro
umor supplisce, il quale
molto è grato, avvenente, e gioviale.
MARIUCCIO
Anzi lei, ch'avvenevole, e cortese
allegra, e spiritosa,
a chiunque vi mira, e vi favella
siete tanto benigna, quanto bella.
BETTINA
Oh tu m'innalzi troppo,
ma qualunque io mi sia, sono tua serva.
MARIUCCIO
Anzi mia padronissima, e chi sà.
BETTINA
Che vuol dir quel chi sà?
MARIUCCIO
Che fra lo spazio
di queste nostre recite
non avessimo insieme a far l'amore.
BETTINA
Più facile saria forse, che il dirlo.
MARIUCCIO
Or comunque si sia, mi par mill'anni
di recitar assieme,
che dovendo talvolta tu da serva
recitare, io da paggio,
potrebbe darsi il caso, che vi fusse
qualche amorosa scena fra noi due;
e allor fissando ne' tuoi occhi i miei,
così sfogar mie pene io ti vorrei.
Care, e belle pupillette,
dolci, e vaghe scintillette,
io mi sento consumare
sol per voi nel seno il cor.
Se dal vostro amato sguardo
venne il foco ond'io tutt'ardo,
voi dovete mitigare
l'amoroso mio dolor.
Bettina.
Ha costui messo il piede
nella mia trappoletta, a quel che scorgo,
l'alma il vede, e ne gode, e pur non l'ama;
sono delle fanciulle usati vanti,
amar d'essere amate, odiar gl'amanti.
Non ha una donna maggior diletto,
qualor s'avvede, ch'un giovinetto
per lei sospira,
arde d'amor.
Qualor più creescon gl'innamorati,
li cascamorti, gli spasimati,
quella si mira
più lieta allor.
Lamberto, ed il Copista, poi Colagianni, e Lauretta.
LAMBERTO
Oh che pur finalmente
ci se' venuto, ser Gianfrisio mio,
già stea sul disperarmi; che? Ti ho dato
per cacciar quelle parti
stamane? È ver. Ma sono brevi; molto
hai che far? Che importa
a me? Tu non dovevi comprometterti.
Nò... sì... e pur là? Io dico...
ve' se non devo far questo concerto,
ve' se devo mancar di mia parola,
per un copista poi di feccia d'asino!
Oh oh chiama altri giovini,
che ti aiutino, ch'io
a tutto supplirò, addio, addio.
(parte il copista)
Mi preme fra un'altr'ora
fare il concerto della serenata,
affinché veda quel napoletano
chi sia Lamberto... ed eccolo
con Laura; vo temendo, che costui
non voglia Giacomina,
per amor di Lauretta: osserviam quindi.
LAURETTA
Nzomma vuje mò ve nne tornate a Napole
e no ve portarrite Giacomina?
COLAGIANNI
Ah, ah.
LAURETTA
E pperché?
COLAGIANNI
Non si può dir, sorella:
parlammo d'auto; pozzo
direte na parola nconfidenzia?
LAURETTA
Nuje simmo pajesane: llossoria
mm'è ppatrone, e ppo dì chello, che bole.
LAMBERTO
(Ve' che moine; ve' che cortesia!)
COLAGIANNI
Sacce, ca nce sta uno,
che spanteca pe ttè.
LAMBERTO
(Ch'è lui.)
COLAGIANNI
N'abbenta.
LAURETTA
Maramene, chi è chisso?
COLAGIANNI
N'ommo de qualetà; tu lo canusce,
ch'è gguappo addotto, vertoluso, e mmuseco,
te po fa bene assaje.
LAMBERTO
(Più di millanta,
che tutta notte canta.)
LAURETTA
Ma vuje mme coffeate.
COLAGIANNI
Eh, s'io potesse
di quanto tengo in seno,
non derrisse accossì; ma non è ttiempo
de sso trascurzo mò, da ccà a n'aut'ora
io vao mmascara, e boglio
venirete a trovà, ch'ammascarato
parlà te pozzo co cchiù llibertà.
LAMBERTO
(Cappi! Ma io ti preverrò, messere.)
COLAGIANNI
Anze pe cchiù ccautela parlarraggio
veneziano.
LAURETTA
E nne sapite?
COLAGIANNI
Cierto,
ll'avere prattecato a cchiù ppaise
mm'ave fatto mparà di ppiù linguaggi.
Va buono?
LAURETTA
Sì va buono.
LAMBERTO
(Farete come i zuffol di campagna,
ch'andaron per sonare, e fur sonati.
Io sarò questa maschera.)
(parte)
COLAGIANNI
A rrevederce sa.
LAURETTA
Mò, mmò.
COLAGIANNI
Ccà ddinto.
LAURETTA
Và, zingariello mio.
COLAGIANNI
Và, uocchio pinto.
LAURETTA
Cardolillo mio carillo,
uh, che ffa st'arma pe ttè!
COLAGIANNI
Cardolella mia carella,
uh, che ssento mpietto a mmè!
LAURETTA
Face comm'a ttartanella,
scioscia ammore, e a biento mpoppa
veleanno se nn và.
COLAGIANNI
Me nce sento n'artefizio,
co lo miccio vene ammore,
dace fuofuoco, e fa sparà.
Tà, tà, tà. Bù, bù, bù.
LAURETTA E COLAGIANNI
Gioia bella, chisso core
pe lo sfizio, e lo contiento
io mme sento consomà.
COLAGIANNI
Nenna mia, tu mme vuò bene?
LAURETTA
Ninno mio, moro pe ttene.
COLAGIANNI
Quanto, quanto?
LAURETTA
Tanto, tanto.
LAURETTA E COLAGIANNI
Io mm'allummo com'a stoppa,
uh, che sciamma nzanetà!
Elisa, Mariuccio, indi Leandro, che osserva.
ELISA
Se tu sapessi le disgrazie mie,
di mia ritiratezza
mi scusaresti.
MARIUCCIO
Forse qualche danno
v'è qui successo?
ELISA
Qui non già, ma altrove.
LEANDRO
(Qui son le virtuose
ospiti di Lamberto.)
ELISA
E da più anni
ebbe principio mia disgrazia.
MARIUCCIO
Il male
è antico dunque, e vi attristate adesso?
Io vi vidi poc'anzi allegra molto.
LEANDRO
(additando Elisa)
(Il volto di colei par che non sia
a me del tutto ignoto.)
ELISA
Bench'io faccia
la vista di star lieta, non è il core
lieto però.
MARIUCCIO
Ma qual sarà (felice
dirla altrui) la cagion di tal cordoglio?
LEANDRO
(Più che la miro, più nella mia mente
ne ravviso l'immagine!)
ELISA
Tu déi saper, che nata
non son io canterina, ma di onesti
non meno, che ricchissimi parenti:
Genova è mia patria.
LEANDRO
(Genova!)
ELISA
Mio padre
fu Ludovico Brignole mercante.
LEANDRO
(Ohimè, cotesta è mia sorella Elisa;
come qui si ritrova vagabonda!)
ELISA
Il qual morì ne' miei prim'anni, ond'io
venni con un fratello ancor fanciullo
in poter d'un mio zio.
LEANDRO
(Già ne son certo; è d'essa.
Qual disgrazia prevedo!)
MARIUCCIO
Ma come poi diveniste canterina?
ELISA
Dirò: crsciuti in età adulta, il mio
fratel divenne amante
d'una fanciulla chiamata Ginevra,
e non volendo acconsentirvi il zio,
che la sposasse, se n' fuggì con quella.
E poco dopo anch'io sollecitata
dalle richiese d'importuno amante
del quale era invaghita, e a cui mio zio
ricusò darmi, me n' fuggii con quello.
LEANDRO
(Ah donna scellerata!)
MARIUCCIO
E così la faceste la frittata.
ELISA
In Padova andati, ci sposammo, e vedova
fra un anno ne restai; povera, afflitta,
soletta, forastiera, e in disgrazia,
de' miei: che dovea far? Coll'assistenza
d'un buon signore, che mi accolse in casa,
la musica imparai, e canterina
divenni in breve.
LEANDRO
(Ohimè già son perduto!)
MARIUCCIO
Il caso è degno di pietà: ma puoi
pur consolarti, Elisa.
ELISA
Io non aspetto
altro consuolo a' mali miei, che morte.
LEANDRO
(Perfida, e morte avrai.)
MARIUCCIO
Io ti ricordo il motto di Sincero:
che non si acquista libertà per piangere
e tanto è miser l'uom, quant'ei si reputa.
Leandro, Elisa, indi Giacomina.
LEANDRO
(Ito se n'è pur quello; è tempo omai
di mostrarmi a costei) Fermati, Elisa.
ELISA
Chi sei tu, che mi chiami?
LEANDRO
Guardami bene, indegna, e mi ravvisa.
ELISA
(Ohimè, questo è il germano, io son perduta!)
LEANDRO
(Sopraggiunge Ginevra, io son confuso!)
GIACOMINA
(Mira Leandro Elisa, e si stupisce
al giunger mio, nel mio sospetto io torno.)
ELISA
Orazio, ah mi perdona.
GIACOMINA
(Ecco ogni dubbio mio già reso certo.)
LEANDRO
(Ecco a Ginevra il nome mio scoperto)
ELISA
Orazio, errai, pietoso
or tu perdona gli trascorsi miei.
Deh non guardare in me
l'orror del fallo mio;
sol vedi chi son io,
mira la tua pietà.
Tradii me stessa, e te;
fu perfido l'errore,
ma se fu causa amore,
degno di scusa il fa.
Giacomina, e Leandro.
GIACOMINA
Avea dunque ragione il fido Orazio,
di celarmi il suo nome,
perché vicino avea
il suo novello amor.
LEANDRO
Che parli? Come?
Non è come tu credi: tu t'inganni.
GIACOMINA
Perfido, Elisa teco
dubbia nel volto, nel parlar tremante,
d'amor, di falli, e di pietà favella,
e vuoi negar, che sia tua vaga?
LEANDRO
Il nego,
che non è, né puot'esserlo.
GIACOMINA
Vorrai negar' ancor d'esser Orazio?
LEANDRO
Anzi confirmo, ch'io son tale.
GIACOMINA
Ebbene,
del tuo celarti a me, qual fu la causa?
LEANDRO
Per far della tua fede
più certo esperimento.
GIACOMINA
E poi la tua, infedel, portossi il vento?
LEANDRO
Intendi.
GIACOMINA
Intesi.
Lamberto, Giacomina, e Leandro.
LAMBERTO
(a Giacomina)
Sappi tu, che non devi
per Napoli partir; per Portogallo
vuol Leandro appaldarti.
GIACOMINA
Perché?
LAMBERTO
Per recitare.
GIACOMINA
È ver, Leandro?
LEANDRO
È vero.
LAMBERTO
E 'nbreve parti
ti avanzerai se avrai giudizio: questo
sol io ti dico; ei ti racconti il resto.
(parte Lamberto)
GIACOMINA
Ah traditor, che più ascoltar io debbo!
Tante malignità, tai tradimenti
m'ordisci, o scellerato! E quando mai
meritò l'amor mio
cotanta ingratitudine?
Mi togli da mia patria,
mi vedi per tuo amor ridotta questo,
mi nascondi il tuo nome,
rompi la fé, ti scordi
l'amor promesso, il tuo dovere, il mio
onore; anco di più. Ti raccomando
il mio decoro, e tu, empio, bugiardo,
macchini contro quello, e vuoi mandarmi
sol per allontanarmi
dagli occhi tuoi raminga in stranio lido,
questo a me, questo a me, crudele? Infido!
Taci, non vo' ascoltarti:
vanne, non vo' mirarti:
il labbro tuo m'inganna,
il volto tuo m'affanna,
sei traditor, sei perfido,
fuggo, infedel, da te.
Io prego il cielo, il fato
che sia con te spietato,
come tu fosti, o barbaro,
empio, e crudel con me.
Leandro.
Misero, e che mi avvenne? Ecco perduto
in un momento solo
ciò che in molti anni a gran pena acquistai
io mi vedo in un punto
precipitato alle miserie estreme:
senza onor, senza quella,
ch'è la parte miglior della mia vita,
come star posso in vita?
Morirò dunque, e fia la morte mia,
via più dogliosa, e trista,
or che mi si contende,
bellissimo idol mio, tua cara vista.
Simile a quel, che geme
tra' lacci presso a morte,
che non ave altra speme,
fuorchè l'estrema sorte,
che d'ora in ora il misero
ivi aspettando sta.
Chiusa nel duro carcere
di mia pene spietata
dolente, e disperata
l'alma languendo.
Lauretta, con alcune Comparse, che portano sedie, e poi Lamberto con bautta, e maschera.
LAURETTA
dario 2014-01-30T00:00:00 STR INC Mettite cca ste sseggie. Già s'accosta Mettite cca ste sseggie. Già s'accosta
l'ora dell'Accademia, e non le vede
lo si Lammierto; ma chi è sta maschera?
LAMBERTO
(Alle prove Lamberto, ora saprai,
se veramente t'ama
Lauretta. Affinché creda,
ch'io sono Colagianni, e non Lamberto
mutiam voce, e favella.)
LAURETTA
(S'è fremmato, e non vene,
è Colagianni cierto, e sta dobbiuso,
c'avarrà filo de lo si Lammierto:
stammo ncampana, e bedimmo, che ffà.)
LAMBERTO
(Accostiamci, e parliam con libertà.)
Deliro notte, e zorno,
perché d'un bel visetto
l'immagine bellissema
in mente me vol star;
vorave pur schivarme,
per non innamorarme:
ma un bottolo, ridottolo
amor de mi vuol far.
LAURETTA
Se vedo in ziel le stelle,
che tutte luminose,
le tremola, le sbambola
con vago lampeggiar;
me par cussì perfetti,
che gabbia i cari occhietti
el cocolo, rignocolo,
che me fa sospirar.
LAMBERTO
E 'l ziel t'aiuta, e te dia el bondì,
polastrela.
LAURETTA
E ancora
a ella, siora maschera,
la xe comoda.
LAMBERTO
Comi
la comanda, la ze molto garbata.
LAURETTA
La xe la sua bontae,
sior.
LAMBERTO
La è ancor belisema.
LAURETTA
Me dà
ella la burla.
LAMBERTO
Me diga de grazia,
cara la mi ragaza,
è ella innamorada?
LAURETTA
Sì sior.
LAMBERTO
Se poderia saver
chi xe el so amoroso?
Xelo el sior Lamberto?
LAURETTA
Sior no.
LAMBERTO
(Uh diavolo! Ohimè son rovinato!)
LAURETTA
Cosa la barbuteo siora maschera?
LAMBERTO
Digo mi, che se cride
Lamberto, esser el vostro innamorao.
LAURETTA
L'è ver, che lù se'l cride,
ma mi lo burlo mi.
LAMBERTO
Perfida donna.
(qui si scopre)
LAURETTA
(Comme nce so ncappata.)
LAMBERTO
Ingrata, iniqua, indegna, scelerata.
Questo è quel ch'io t'ho fatto? Ah che mi viene
una rabbia, una stizza,
che mangiarmiti a denti ti vorrei.
LAURETTA
Sentite...
LAMBERTO
Taci, taci sfacciatuccia,
sguaiatuccia, bertuccia
non parlar più, o ch'io...
LAURETTA
Io voglio...
LAMBERTO
Taci
ti ho detto, trasorella, mensognera
bugiarda, falsa, più falsa, falsissima
protofalsa, arcifalsa, arcifalsissima.
LAURETTA
Io voglio dire.
LAMBERTO
Ed io non vo' sentirti
più non voglio vederti, né parlarti.
Non vo' soffrirti, non vo' comportarti,
no, no, signora no, padrona no.
Illustrissima no, eccellenza no.
LAURETTA
E pocca tanto sdigno
commico vuje mo' avite,
veccome ccà, scannateme, accedite.
(qui Laura s'inginocchia piangendo)
LAMBERTO
Oh oh a questo siamo
ci vogliono altri, che sospiri, e pianti,
per placare un maestro di cappella
non giova più il pentirti, bricconcella.
LAURETTA
Pietà compassione.
(piangendo)
LAMBERTO
(commovendosi)
Alzati.
LAURETTA
È bero,
ca so stata na sgrata,
ca io v'aggio gabbato.
Perrò consederate...
ca so na peccerella...
ca so na nzemprecella...
Ca so...
LAMBERTO
Alzati dico... (Io son commosso.)
LAURETTA
Si non volite avè compassione
de mene, e buje aggiatelo allomanco
de chisto chianto...
LAMBERTO
Alzati... (Ohimè.)
LAURETTA
Aggiatelo
de sti sospire mieje, de cheste llacreme,
che ncoppa a chesta mano mo ve jetto,
e ve vaso... sio masto. Caro mio...
LAMBERTO
Non più... non più, non più...
(s'inginocchia anche lui, e piange)
LAURETTA
Uh, uh, uh, uh, uh.
LAMBERTO
Uh, uh, uh, uh, uh.
LAURETTA
Ajemmè, vuje, che facite?
Auzateve.
LAMBERTO
Alzati tu.
LAURETTA
E buje m'avite perdonato?
LAMBERTO
Sì.
E tu vuoi più tradirmi?
LAURETTA
No.
LAMBERTO
Io chi son?
LAURETTA
Si lo masto
mio bello, caro, e ammato.
Ed io?
LAMBERTO
Tu sei il mio viso inzuccherato.
Deliro notte, e zorno
perché d'un bel visetto
l'immagine bellissema
in mente me vol star;
vorave pur schivarme,
per non innamorarme:
ma un bottolo, ridottolo
amor de mi vuol far.
(ed entra)
LAURETTA
Se vedo in ziel le stelle,
che tutte luminose,
le tremola, le sbambola
con vago lampeggiar;
me par cussì perfetti,
che gabbia i cari occhietti
el cocolo, rignocolo,
che me fa sospirar.
Lauretta.
Va mò, e non sapè lo fatto tujo,
ca chisto sio Lammierto
già m'avea fatta la varva de stoppa.
Nzomma pe nce defennere dall'uommene,
sò l'armature noste
chiante, boscie, carizze, e ffacce toste.
Nuje femmene simmo
mpastate de nganne,
chiagnimmo, redimmo
amammo; ma chè?
Lo chianto, e lo riso,
lo viso, e l'ammore
è tutt'apparenza,
ca mpietto lo core
mom face accossì.
E ppure li locche
li smocche nce credeno,
cecate, non vedeno,
ca so cosseate,
ca so delleggiate.
Ntenniteme a mmé,
o aggiate pacienza,
o pure a mmalanno
lasciatence j.
Lamberto, ed il Copista, che gli consegna le parti della serenata.
LAMBERTO
Evviva, ser Gianfrisio, sei pur stato
puntuale. E le parti dell'orchestra?
Gliel'hai tu date? Hai fatto ben. Vediamo
un poco... Oh oh, che caos!
Qui manca una commune, e qui è soverchia
accomoda. Qui è un altro farfallone
alle parole: io che cenere sono.
Io che Venere sono
vuol stare; accomodate. Una diesis
per bemolle, si accomodi.
L'asta in mortajo: no, no l'asta in pistello,
il sistolo ti mangi, asta immortale,
si accomodi; non vedi,
diavol, se le semicrome sono
minime, accomodate.
Queste note ligate. Insomma, insomma spesso
note, e parole sono
tutte al rovescio, e quindi avvien che
parte per noi, parte per quei, che cantano,
parte per voi copisti,
che scrivete le parti pien di vizio
sogliono andar le cose in precipizio.
Oh, oh, non più. Già entrano: padroni.
Giacomina, Elisa, Lauretta, Bettina, Mariuccio, e Colagianni riveriscono Lamberto, e ognuno siede al suo luogo prendendo la parte sua della serenata, che gli vien data da Lamberto.
LAMBERTO
A tutti riverisco; con silenzio
s'incominci il concerto. Ognuno
prenda la sua parte, e s'accomodi
pian, piano.
(qui principia la sinfonia)
LAMBERTO
Oh che disordine
violin batta il piè forte, affinché vada
l'orchestra unita. Oh quelle violette
io voglio che si sentano in malora.
Quel diavol di secondo controbasso
non ha pece nell'arco? Quelli corni
vadino uniti llara, llara, llà.
(s'incomincia la serenata)
COLAGIANNI
O della terra, di Tiano prole
LAMBERTO
O della terra, e di Titano prole
COLAGIANNI
Tian...
LAMBERTO
Titano.
COLAGIANNI
Comme n'è la terra
de Tiano, che sta vicino Sessa?
LAMBERTO
Anzi è Titano favoloso nume.
COLAGIANNI
O della terra, e di Titano prole
miei famosi germanici.
LAMBERTO
Germani.
COLAGIANNI
Miei famosi german, giganti invitti,
me, che Langella son.
LAMBERTO
Mé ch'Encelado sono.
COLAGIANNI
Mè, ch'Encelado son, seguite, ergete
sui monti, i monti, e Olimpo, e pelle, e ossa.
LAMBERTO
E Pelja, ed ossa.
COLAGIANNI
E pelle...
LAMBERTO
E Pelja, e Pelja,
e Pelja.
COLAGIANNI
Ma la pelle
no stà vicino all'uosso?
LAMBERTO
Sbagliate, sono monti Pelja, ed ossa.
Seguite.
COLAGIANNI
E Pelja, ed ossa,
si espugni il ciel, de numi
si superi l'orgoglio, e l'empia possa.
LAMBERTO
(gli ricorda le note)
Oh oh, fa, sol, la, la, mi.
COLAGIANNI
Si superi l'orgoglio.
COLAGIANNI E LAMBERTO
(cantando)
E l'empia possa.
BETTINA
Ohimè, quel non più udito
strepito d'armi viene
al primo cielo, onde la dèa son io!
Fuggir di qui conviene.
MARIUCCIO
Ah povero Cupido
dove ti celerai
dal furor de giganti? Impenna l'ali
alle tue piante, e fuggi tra mortali.
E lì. Tutti i dèi sbigottiti
fuggono avanti al minacciato agone
de perfidi giganti, e tu che fai?
Segui lo sposo tuo, fuggi Giunone.
LAURETTA
Io che Venere sono, e son miei vanti,
d'esser madre d'amor, dèa degli amanti,
aborro, ove si sente
strepito bellicoso: in Cipro torno
lieta a goder in placido soggiorno.
GIACOMINA
Ecco già vuoto il ciel, Giove, Saturno,
Marte, e tutto de' dèi la schiera eterna
teme l'aspetto del nemico irato;
ma Pallade non già: l'asta immortale
già stringo, e svelo il formidabil scudo.
Ecco a vista del cielo, e della terra,
la sapienza resiste
a vano ardire, e sola torna in guerra.
(s'incomincia il ritornello dell'aria seguente)
LAMBERTO
Signori, adagio, adagio,
vo' le trombe in quest'aria, andiam con spirito.
GIACOMINA
Geni potenti,
celesti dèi,
l'invitte fronti
volgete a' rei,
or che Minerva
scudo vi fa.
Benché sui monti
i monti inalzino,
da vostri ardenti
ritorti fulmini
cadrà percossa
lor empietà.
TUTTI
Evviva.
LAMBERTO
Che vi par, ser Colagianni,
di costei, che scartate?
COLAGIANNI
Oscia non sa lo quatenus,
e pperzò dice chesso. Ha da sapere,
ca s'io mò nnante disse,
ca non volea Giacomina... È vero
gnordì. (Cca no sto buono!)
(vedendo Leandro, che sopraggiunse s'alza, e parte, e nel tempo stesso s'alzano, e partono tutti)
Leandro, e detti.
ELISA
(Ohimè il fratello!
Fuggo di qui.)
(parte)
GIACOMINA
(L'odiata vista aborro
dell'infedel.)
(parte)
MARIUCCIO
(Seguito Colagianni,
per veder, che fa.)
(parte)
BETTINA
(Vo appresso Elisa,
per intender, che fia.)
(parte)
LAURETTA
(Sta novetate
mme derrà Giacomina.)
(parte)
LAMBERTO
Qual disordine è questo; eh dove andate?
(parte anche lui)
Leandro.
Tanto dunque odioso è il volto mio,
che mi fuggono tutti?
Sì sì ora comprendo
della mia stessa il reo tenor, non sono
Leandro più, son l'infelice Orazio;
anzi di questo son l'ombra infelice,
poiché Orazio è già morto, ed è sotterra!
E chi l'uccise?... Elisa...
Ginevra... Empia sorella... Idolo mio...
L'amor... l'onor... oddio... ti arresta... ascolta.
Ma misero a chi parlo? I miei lamenti
e le parole mie portano i venti.
Son nell'onde da venti agitato,
la tempesta più fiera s'avanza,
chi soccorso nel mare mi dà?
Più non splende mia stella fedele,
e tra i rischi dell'onda crudele
mia speranza perdendo si va.
Lauretta, e Mariuccio con maschera nelle mani.
MARIUCCIO
Tu non vieni alla maschera, Lauretta.
LAURETTA
Cierto, fra n'auto ppoco.
MARIUCCIO
Vuoi venir meco.
LAURETTA
Aspetto
n'auta maschera.
MARIUCCIO
Intendo,
il tuo amoroso, è vero!
LAURETTA
Uh niscia mene?
Chi vo essere chillo,
che bo perde tiempo appriess'a mmene.
MARIUCCIO
Sì fingi pure.
LAURETTA
Io te lo dico addavero:
non c'è ccane, chenc'osema.
MARIUCCIO
Io te dico
anco da vver; piuttosto crederei,
vedere il ciel spogliato d'ogni stella,
pria che senza amator fresca donzella.
Son delle donne i vanti,
gran copia aver amanti,
o siano o brutte, o belle,
che amate sono quelle,
queste si fanno amar.
Come non puote il prato
star senza fior d'aprile
senza l'amante allato
fanciulla, o grande, o vile
così nemmen può star.
Lauretta, poi Colagianni.
LAURETTA
Quanto sape sto museco; ma vene Colajanne.
COLAGIANNI
Mia stella errante, e fissa,
pien d'amorosi affanne
se ncrina al merto tuo don Colajanne.
LAURETTA
Benvenuto a ossoria ll'aje fatta bona?
COLAGIANNI
E, ccomme?
LAURETTA
Io t'aspettava,
conforme la promessa, ammascarato.
COLAGIANNI
Siente, mio limmuncello incannellato,
pe no disturbo avuto co no cierto
(sio ficacchietta, n'aggio avuto tiempo),
de venì.
LAURETTA
Che desturbo?
COLAGIANNI
Lo cunto de li cunte
de Giacomina.
LAURETTA
Ca no vene a Napole?
COLAGIANNI
Appunto.
LAURETTA
E cchesso lloco
ve face desturbà? Giacchè decite
ca bene mme volite,
pecchè no mme pigliate a lluoco sujo?
COLAGIANNI
Si vuò venì, io mone
vago a Lammierto, e stipolo il contratto.
LAURETTA
Vuje decite accossì, ma mme gabate;
io non so bertuosa comm'a cchella.
COLAGIANNI
Che bertuosa? Sacce, figlia mia:
vuje aute cantarine
nquanto a lo ssapé niente e ave gran, fummo
site tutt'a no muodo;
chiu bertuosa è cchella,
ch'è cchiù latra dell'autre ed è chiù bella,
e perzo vienetenne accosì boglio,
io songo appardatore pe no sborio.
E si perdo seicento, o settecento,
niente mme mporta; è comme
fatte avesse duje affé,
o pur parolo, e masse.
LAURETTA
E biva oscia mill'anne.
Ma io vorria li fatte, e non parole.
COLAGIANNI
E i fatte voglio fa, si vuo venire
io te nne porto.
LAURETTA
Io mme nne vengo, e ppò?
COLAGIANNI
Sarraje da me protetta,
recetarraje, e chi sa, fuorze, spera.
(Me nne va carrejanno sta fegliola.)
LAURETTA
(Ncappato propio mm'ha sto lazzarola.)
COLAGIANNI
Che mbrosolie, mio sole in saggettario?
LAURETTA
Dico, ca se io vengo
chiu che porraggie fare, la servetta,
e buje l'avite.
COLAGIANNI
Che mme mporta? Faccio
componere li libre co ddoie serve,
leie da napolitana,
e quella da tiscana.
LAURETTA
Ma a buje ve manca po la primma donna,
COLAGIANNI
La pigliaraggio a Napole.
LAURETTA
E la trovate?
COLAGIANNI
Si la trovo? Staje
poco informata: saie
ca il mio amministratore
fa recità le mmummie, isso è capace
da scire da lo fuoco, parla, mpeca,
comme vo isso e mbroglia
quaccheduna de chesse
che ppe ghire ncarrozza
ed esse posta tra le cantarine
receta senza niente,
e quacche bota nce saleja pozine.
LAURETTA
Sentite, si accommenzo a rrecetare,
ve voglio fa abbedé, si nce riesco;
non vene pentarrite,
d'avereme appardata,
quanno mme sentarrite
cantà mmiez'a na scena
co pposetura, e spanto.
Ve voglio fa vedé propio n'incanto.
COLAGIANNI
Stà ntiso, tu già viene;
ma t'avertesco sulo,
ch'agge jodezo, e te facce portare
co cchille milordielle
che bebeno a ssentire la commeddia,
ac nce so ccierte de la maglia fina;
tu mmentienne; sta attiento.
Ca te nce fanno sta a la passejone.
LAURETTA
De chesso me nne rido, vedarrimmo
si è cchiù tosta la preta, o la nocella,
sipò cchiù la sciammeria, o la gonnella.
Quanno vengo a rrecetare,
a ssi racchie ncappatielle,
poco rrobba, squarcioncielle,
io le boglio consolare;
mme salutano, io saluto,
mme regalano, io l'azzetto;
de lo riesto po è boscia,
le cossejo, me guard' a mme.
St'arma mia non sente affetto
pe no locco, pe no smocco,
che bo fare lo patuto;
ma vò ammà n'aggraziato,
n'ommo buono, n'aggarbato
veborazia, comm'a tte.
Colajanne, e Bettina.
BETTINA
Eh, signor Colagianni,
voi state qui a diporto, e la brigata
tutta è andata alla maschera.
COLAGIANNI
Nce vaje tu puro?
BETTINA
Messer sì.
COLAGIANNI
Stà attiento.
BETTINA
Di che?
COLAGIANNI
Che non te sconta
qua Ppantalone: ssi veneziane,
nch'abbistano na mutreja,
le bide jocà subeto de mane.
BETTINA
Non dubiti di questo, il fatto mio
sollo.
COLAGIANNI
Saccio; ca tiene bona scola,
ed io accossì te voglio,
friccicarella nncoppa a no triate
nce farraje gran profico.
BETTINA
Mi volete
burlare? Io son così; ma poi.
COLAGIANNI
Ma che?
BETTINA
Ho qualche dubbio.
COLAGIANNI
Ed è?
BETTINA
Ch'uscendo fuori
la scena, m'avvilischi.
COLAGIANNI
Ajebò. Ajebò?
Aute ochiù morte cesse, e addebolute,
che non si tu, nche nscena so sagliute,
de botta addeventate
ll'aje viste spiritose, e spiritate.
Hanno le nostre scene
na certa qualità,
che nche na fegliolella
nce faglie a rrecetà,
da poverella è rricca,
da bestia, è bertuosa,
da niente, è granne e nnobele;
co sfarze, tubba, e cricca
la vide cammenà.
Chi è cchessa? È prencepessa:
scosta: lassa passà.
Sta cosa da che bene
vorraje tu mo sentì?
Io te lo borria dì;
ma zitto, vasta ccà.
Bettina.
Belle notizie. Io voglio
ora andare alla maschera,
per trovarmi uno amante,
e seco divertirmi,
ed ei non so, che cosa stava a dirmi.
Io voglio vagheggiare,
e vo' pur anche amare,
che se così non fo,
amata, e vagheggiata
da alcun, mai non sarò.
Beltà, quand'è ritrosa,
si renderà odiosa,
amar non si farà;
ogni donzella il sa,
ed ancor io lo so.
Giacomina, ed Elisa.
GIACOMINA
Dunque tu sei d'Orazio
germana?
ELISA
Dal racconto,
ch'ora vi ho fatto, il tutto
avete inteso già.
GIACOMINA
Ti compatisco, amica,
ELISA
Or io vi prego (s'appo un gentil core
vagliono i mesti prieghi
d'una donna infelice)
d'esser col german mia protettrice.
GIACOMINA
Sta' pur sicura, e lascia,
ch'io favelli ad Orazio, appresso quello
non son lievi i miei prieghi: avrai, lo spera,
all'error tuo perdono.
ELISA
Ed a tanta pietà tenuta io sono.
Snella tra frasche, e fronde
la lepre si nasconde,
qualor vicino sente
il cauto cacciator.
A voi così ricorso
ha l'alma mia dolente;
da voi spera soccorso
dal suo giusto furor.
Giacomina, indi Leandro.
GIACOMINA
Ecco, che finalmente
ho scorto Orazio mio fido, e innocente
pentita, oddio, dell'onte,
che poco fa gli dissi, a lui perdono
chiederò, troppo facile trascorsi
all'impeto dell'ire.
Ma eccolo qui viene, Orazio mio,
se offesi te poc'anzi, disconforto
ne sentì poscia il core;
poiché all'ingiusto sdegno
cura mi spinse di geloso amore.
LEANDRO
Ginevra mia, ti è nota
la mia innocenza?
GIACOMINA
Sì, mio ben, mi è nota,
la tua dolente, e misera germana
tutto mi disse poco fa?
LEANDRO
Ah iniqua!
GIACOMINA
Se m'ami, contro lei tempra lo sdegno,
e se negar pietate
a me non vuoi, non sia che lei condanni,
che risolvi?
LEANDRO
Dipende
da te l'arbitrio mio, placato io sono,
e da te riconosca il mio perdono.
GIACOMINA
O generoso Orazio,
molto sarei tenuta al tuo bel core;
ma pur sente da lui
qualch'altra offesa il mio sincero amore.
LEANDRO
Qual offesa?
GIACOMINA
Permetti,
che in Portogallo io vadi? E come?
LEANDRO
Ah taci,
Ginevra mia, deh taci; a torto incolpi
quel che in me tu più commendar dovresti.
GIACOMINA
Come?
LEANDRO
Tutto ciò finsi,
per scioglier il contratto già conchiuso
tra quel napoletano, e 'l tuo maestro,
GIACOMINA
S'egli è dunque così, perché di sposo
or non stringemo il sospirato nodo,
onde si tolga affatto da Lamberto
sopra di me di recitar la speme?
LEANDRO
Contento io son; tu sei mia sposa, o cara.
(dandosi la destra)
GIACOMINA
Tuoi cenni adoro.
LEANDRO
O fortunati danni,
o dolci rischi.
GIACOMINA
O ben sofferti affanni,
dolce amor, deh scendi, e stringi
l'uno, e l'altro core amante
con più cara, e bella fé,
LEANDRO
Bella fé, deh vieni, e cingi,
l'una, e l'altra alma costante
con più caro, e dolce amor.
Insieme
GIACOMINA
Mi sarai fedel ben mio?
Sì: fedel sempre sarò.
Di sincero, e chiaro ardore
arderò sempre per te.
LEANDRO
Mi amerai ben mio fedele?
Sì: fedel sempre sarò.
Di sincero, e chiaro ardore
arderò sempre per te.
GIACOMINA E LEANDRO
Dopo tai vicende, e tante
di fortuna empia, e crudel,
non fur alme innamorate
fortunate più di me.
Colagianni mascherato ridicolmente, e Lamberto mascherato donna, portato per mano da Colagianni, l'uno non conoscendo l'altro.
COLAGIANNI
Mme so arremmediato co ssà bomma,
meglio, ch'aggio potuto,
e mme ll'aggio portata a lo festino,
pe mme nce devertì, venga, madama.
LAMBERTO
(contraffacendo la voce, fingendo esser donna)
Signor, sono a servirla.
(Costui mi crede donna: io vo' burlarlo.)
COLAGIANNI
Che cerra, potta d'oje!
(stringendo la mano)
LAMBERTO
Ah piano, piano,
mi fate male.
COLAGIANNI
(Ammasca, che baccone.)
Signora, il nome?
LAMBERTO
(contraffacendo la voce, fingendo esser donna)
Io
mi chiamo donna Fistola,
al suo comando. E voi?
COLAGIANNI
Io me chiammo don Cancaro
per servirla. Decite,
site zitell'accisa, o mmaritata?
LAMBERTO
Maritata, uh che sento!
Sono fanciulla ancora.
COLAGIANNI
Io creo ca n'haje mutate ancor ll'ogne?
LAMBERTO
Di che anni mi fate?
COLAGIANNI
Me penzo ca non haje quattuordec'anne...
LAMBERTO
Oh? Oh?
COLAGIANNI
Ch'autraje scompute sissant'anne.
LAMBERTO
Uh voi mi fate vecchia.
COLAGIANNI
Scommogliateve
no pò la faccia, azzò ve veda.
LAMBERTO
Questo
no 'l farò mai, son vergognosa.
COLAGIANNI
E bia,
no mme fa ascevoli, già mm'ha ncappato
chessa bella vocella.
LAMBERTO
Oh che mi dite?
Son fatta rossa, rossa.
COLAGIANNI
La manella
su, tornateme a ddare.
LAMBERTO
Tu sei malizioso, io più non voglio
di te fidarmi, via
toglimiti d'avanti.
COLAGIANNI
Un pizzicotto
io ti darò.
LAMBERTO
Uh uh, lascia, ch'io grido.
COLAGIANNI
Facciamo un po' l'ammor.
LAMBERTO
Io mi vergogno.
COLAGIANNI
Ora non ce vol'autro;
tu mm'aje da dà, n'ampresso.
LAMBERTO
Olà, olà, vedi, ch'io son fanciulla
onorata.
COLAGIANNI
Ed io fuorze,
so sbregognato? Anch'io
son fanciullo onorato, priesto.
LAMBERTO
Ahimè!
Gente accorrete, che costui mi sforza.
COLAGIANNI
Tu mm'aje da contentà.
LAMBERTO
Io no 'l permetterò, anco ch'avessi
a lassarci le braccia.
COLAGIANNI
Non mme fa cchiù sperire
mio dio Trifone, mio nume venereo.
LAMBERTO
Uh, uh,
che vergogna! Via via, ch'adesso moro
per il rossore.
COLAGIANNI
Ed io adesso moro
per il mmalora pigliate.
LAMBERTO
E pur la? Va' poltrone.
Vanne, o che io... grama me, tapina me?
Aiuto, che costui vuol tormi a forza
la mia pudica gemma.
COLAGIANNI
E priesto.
LAMBERTO
Oh, che importun.
COLAGIANNI
Vance.
LAMBERTO
Ti scosta.
COLAGIANNI
Mo lo bbedimmo.
LAMBERTO
Ohimè!
COLAGIANNI
Vi comm'è tosta
mia bellezza ncrassata, e chiantuta
la mia milza speruta è ppe tté.
LAMBERTO
Più creanza con una zitella,
scosta, scosta, sfacciato, da me.
COLAGIANNI
Famme no gnuoccolo.
LAMBERTO
Vanne barone.
COLAGIANNI
Famme no vruoccolo.
LAMBERTO
Che brutta cosa.
COLAGIANNI
N'abbracciolillo.
LAMBERTO
Son vergognosa.
COLAGIANNI
No carezziello.
LAMBERTO
Questa è tristizia.
COLAGIANNI
No rifariello.
LAMBERTO
La pudicizia.
COLAGIANNI
Mo si ch'è troppo?
LAMBERTO E COLAGIANNI
Ohimè, che intoppo!
Ah, ah, ah, ah!
(ridendo ognuno fra sé)
COLAGIANNI
(Puro sta smorfia se fa a ppreà.)
LAMBERTO
(Pur questo allocco burlar si fa.)
COLAGIANNI
Ora no nce vol'autro,
io aggio da conoscere chi si.
LAMBERTO
Qui non s'usa tal fallo.
Olà ferma: oh.
Colagianni procura di conoscere Lamberto, e quello fa forza di non farsi conoscere, nel quale strepito restano tutti due senza maschere, e si conoscono.
COLAGIANNI
Ah!
(Avimmo terziato no cavallo.)
LAMBERTO
Colagianni.
COLAGIANNI
Lammierto.
LAMBERTO
Ah? Ah? Vedi chi è la tua amorosa.
COLAGIANNI
La vedo, sì, ma oscia
co ttutto chesso le piacea la cosa.
Tutti mascherati cantando vengono fuori a mano.
GIACOMINA, LEANDRO, ELISA, LAURETTA, BETTINA E MARIUCCIO
Non v'è più piacere
che sempre cantar.
LAMBERTO E COLAGIANNI
Non v'è più godere
che sempre ballar.
GIACOMINA, LEANDRO, ELISA, LAURETTA, BETTINA E MARIUCCIO
Evviva l canto, e il ballo
e 'l primo che cantò.
LAMBERTO E COLAGIANNI
Evviva il ballo, e il canto
e 'l primo che cantò.
TUTTI
Evviva l'allegria
e quel che la trovò.
LAMBERTO
Orsù, vaga brigata, al bel principio
più bello ancora corrisponda il fine
di questa lieta notte, al ballo.
LEANDRO
Alquanto,
signor Lamberto, or m'ascoltate, e poi
forse più lietamente
seguiremo il festin.
LAMBERTO
Dica.
LAURETTA
Sappiate,
che costei, che chiamate Giacomina,
e in questa casa ha dimorato tanto,
ella è, Ginevra Flori
genovese, e mia sposa.
LAMBERTO
Che sento! La figliuola
del signor Gian vincenzo Flori?
LEANDRO
Appunto.
LAMBERTO
Il quale da più anni
mi scrisse della fuga
di una certa sua figlia di tal nome,
con tale Orazio Brignole,
perché novella aveva avuta, ch'ella
era giunta in Vinegia, e tu sei quella?
GIACOMINA
(Ginevra)
Io sono, e questi è Orazio, ed è il mio sposo.
LAMBERTO
Creder lo debbo, o no?
ELISA
Credetel pure,
io ve l'attesto.
LAMBERTO
E come il sai?
ELISA
Son io
d'Orazio conoscente.
LEANDRO
(Orazio)
Anzi germana;
di' il ver, non vergognarti.
COLAGIANNI
Chesta è n'auta!
LAURETTA
Chist'è gusto a sentì.
BETTINA
Che avvenimenti!
MARIUCCIO
In parte mi son noti.
LAMBERTO
E come in tal mestiere
si ritrova?
LEANDRO
(Orazio)
Si taccia,
prego signor Lamberto,
questa storia funesta, ed a più lieto
ragionamento si trapassi; queste
se pare a voi, che debbano
più cantar ne' teatri,
dite'l pur voi.
LAMBERTO
No, che non lice. Io godo
di tal ritrovamento, e a Gianvincenzo
manderò la lietissima novella.
COLAGIANNI
Ed io ve scioglio la signora Elisa,
giacché è vostra germanica.
LEANDRO
(Orazio)
Io vi ringrazio molto.
COLAGIANNI
E tu Laurella,
che ddice?
LAURETTA
Dico, ca nfra st'allegrezze
vorria trovarme io puro no marito.
COLAGIANNI
Si mme vuoje, mme te piglio.
LAURETTA
Io auto n'addesio.
COLAGIANNI
Mme si mmogliere.
LAURETTA
E tu marito mio.
LAMBERTO
Olà, che vuol dir questo.
Laura, tu mi tradisci?
LAURETTA
Agge pacienza.
LAMBERTO
Ed io fra tanto gaudio
debbo restar deluso?
Voglio una sposa anch'io, e poi si balli.
BETTINA
Se mi volete sarò vostra.
LAMBERTO
Certo,
ch'io ti voglio, la mano.
BETTINA
Eccola.
LAMBERTO
Sono
tuo sposo.
BETTINA
Ed io tua sposa.
COLAGIANNI
E giacche mo, è ssoccessa chesta cosa,
ed io songo restato
senza li virtuosi, voglio scrivere
all'amministratore mio de Napole,
ch'isso arremedia, comme pote, e ssaccia
na commertazione; pocca e abele
co quatto parte a fare no teatro.
LAMBERTO
Si dia principio al ballo destinato.
Qui vengono alcuni Ballerini, tutti siedono, e seguita il festino, e il ballo in fine.
LEANDRO
(Orazio)
Pria de' vari amorosi, e vaghi giri
di sì bella brigata, io voglio intanto
conchiudere il festin con il mio canto,
dica meco ogni lingua, ed ogni core.
Viva amor, goda amor, trionfi amore.
TUTTI
Viva amor, goda amor, trionfi amore.
LEANDRO
(Orazio)
Placido omai rimbomba
ne' nostri petti amore,
né s'oda irata tromba
di sdegno risonar.
Lieto gioisce intanto
il nostro amante core,
né più funesto pianto
ci viene a tormentar.
Tutti siedono e segue il ballo, e poi s'alzano, e cantano.
GIACOMINA, BETTINA, LEANDRO, LAURETTA, ELISA E MARIUCCIO
Goda ciascuno,
tra li contenti.
LAMBERTO E COLAGIANNI
Non penzi alcuno
più a li tormenti.
TUTTI
Mora lo sdegno,
evviva amor.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 30/06/2019
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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