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L'olimpiade

L'OLIMPIADE

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Pietro METASTASIO.
Musica di Antonio CALDARA.

Prima esecuzione: 28 agosto 1733, Vienna.


Attori:

CLISTENE re di Sicione, padre d'Aristea

contralto

ARISTEA figlia di Clistene, amante di Megacle

soprano

ARGENE dama cretense, in abito di pastorella sotto nome di Licori, amante di Licida

soprano

LICIDA creduto figlio del re di Creta, amante d'Aristea ed amico di Megacle

contralto

MEGACLE amante d'Aristea ed amico di Licida

soprano

AMINTA aio di Licida

basso

ALCANDRO confidente di Clistene

tenore


Coro di Pastori e Ninfe, Atleti, Sacerdoti. Comparse: Guardie greche con Clistene, Paggi e Cavalieri con Aristea, Ninfe e Pastori con Argene, Sacerdoti con Licida, Atleti con Megacle.

La scena si finge nelle campagne d'Elide, vicino alla città d'Olimpia, alle sponde del fiume Alfeo.

Argomento

Dramma rappresentato con musica del Caldara, la prima volta nel giardino dell'imperial favorita, alla presenza degli augusti regnanti, il dì 28 agosto 1733, per festeggiare il giorno di nascita dell'imperatrice Elisabetta, d'ordine dell'imperatore Carlo VI:

Nacquero a Clistene, re di Sicione, due figliuoli gemelli, Filinto ed Aristea: ma, avvertito dall'oracolo di Delfo del pericolo ch'ei correrebbe d'esser ucciso dal proprio figlio, per consiglio del medesimo oracolo fece esporre il primo e conservò la seconda. Cresciuta questa in età ed in bellezza, fu amata da Megacle, nobile e valoroso giovane ateniese, più volte vincitore ne' giuochi olimpici. Questi, non potendo ottenerla dal padre, a cui era odioso il nome ateniese, va disperato in Creta. Quivi assalito, e quasi oppresso da masnadieri, è conservato in vita da Licida creduto figlio del re dell'isola; onde contrae tenera e indissolubile amistà col suo liberatore. Avea Licida lungamente amata Argene, nobil dama cretense, e promessale occultamente fede di sposo. Ma, scoperto il suo amore, il re, risoluto di non permettere queste nozze ineguali, perseguitò di tal sorte la sventurata Argene, che si vide costretta ad abbandonar la patria e fuggirsene sconosciuta nelle campagne d'Elide, dove sotto nome di Licori ed in abito di pastorella visse nascosta a' risentimenti de' suoi congiunti ed alle violenze del suo sovrano. Rimase Licida inconsolabile per la fuga della sua Argene; e dopo qualche tempo, per distrarsi dalla mestizia, risolse di portarsi in Elide e trovarsi presente alla solennità de' giuochi olimpici, ch'ivi, col concorso di tutta la Grecia, dopo ogni quarto anno si ripetevano. Andovvi lasciando Megacle in Creta, e trovò che il re Clistene, eletto a presiedere a' giuochi suddetti, e perciò condottosi da Sicione in Elide, proponeva la propria figlia Aristea in premio al vincitore. La vide Licida, l'ammirò, ed, obliate le sventure de' suoi primi amori, ardentemente se n'invaghì; ma disperando di poter conquistarla, per non esser egli punto addestrato agli atletici esercizi, di cui dovea farsi pruova ne' detti giuochi, immaginò come supplire con l'artificio al difetto dell'esperienza. Gli sovvenne che l'amico era stato più volte vincitore in somiglianti contese; e (nulla sapendo degli antichi amori di Megacle con Aristea) risolse di valersi di lui, facendolo combattere sotto il finto nome di Licida. Venne dunque anche Megacle in Elide alle violenti istanze dell'amico; ma fu così tardo il suo arrivo, che già l'impaziente Licida ne disperava. Da questo punto prende il suo principio la rappresentazione del presente drammatico componimento. Il termine o sia la principale azione di esso è il ritrovamento di quel Filinto, per le minacce degli oracoli fatto esporre bambino dal proprio padre Clistene; ed a questo termine insensibilmente conducono le amorose smanie di Aristea, l'eroica amicizia di Megacle, l'incostanza ed i furori di Licida e la generosa pietà della fedelissima Argene. HEROD. PAUS. NAT. COM. ec.

Licenza

Ah no, l'augusto sguardo

non rivolgere altrove, eccelsa Elisa.

Ubbidirò. Tu ascolterai, se m'odi,

(dura legge a compir!) voti e non lodi.

Veggano ancor ben cento volte e cento

i numerosi tuoi sudditi regni

tornar sempre più chiaro

questo giorno per te: per te, che sei

la lor felicità, che nel tuo seno

le più belle virtù, come in lor trono,

l'una all'altra congiunte... Ahimè! Perdono.

Voti in mente io formai; ma dal mio labbro

escon (per qual magia dir non saprei)

trasformati in tua lode i voti miei.

Errai: ma il mondo intero

ho complice nel fallo; e (non sdegnarti)

mi par bello l'error. L'anime grandi

a vantaggio di tutti il ciel produce.

Nasconderne la luce

perché, se agli altri il buon cammino insegna?

Le lodi di chi regna

sono scuola a chi serve. Il grande esempio

innamora, corregge,

persuade, ammaestra. Appresso al fonte

tutti non sono: è ben ragion che alcuno

disseti anche i lontani. Ah, non è reo

chi, celebrando i pregi

dell'anime reali,

ubbidisce agli dèi, giova a' mortali.

Nube così profonda

non può formarsi mai,

che le tue glorie asconda,

che ne trattenga il vol.

Saria difficil meno

torre alle stelle i rai,

a' fulmini il baleno,

la chiara luce al sol.

Atto primo
Scena prima

Fondo selvoso di cupa ed angusta valle, adombrata dall'alto da grandi alberi, che giungono ad intrecciare i rami dall'uno all'altro colle, fra' quali è chiusa.
Licida e Aminta.

LICIDA

Ho risoluto, Aminta;

più consiglio non vuò.

AMINTA

Licida, ascolta.

Deh modera una volta

questo tuo violento

spirito intollerante.

LICIDA

E in chi poss'io

fuor che in me più sperar? Megacle istesso,

Megacle m'abbandona

nel bisogno maggiore. Or va', riposa

su la fé d'un amico.

AMINTA

Ancor non déi

condannarlo però. Breve cammino

non è quel che divide

Elide, in cui noi siamo,

da Creta ov'ei restò. L'ali alle piante

non ha Megacle al fin. Forse il tuo servo

subito no 'l rinvenne. Il mar frapposto

forse ritarda il suo venir. T'accheta:

in tempo giungerà. Prescritta è l'ora

agli olimpici giuochi

oltre il meriggio, ed or non è l'aurora.

LICIDA

Sai pur che ognun, che aspiri

all'olimpica palma, or sul mattino

dée presentarsi al tempio; il grado, il nome,

la patria palesar; di Giove all'ara

giurar di non valersi

di frode nel cimento.

AMINTA

Il so.

LICIDA

T'è noto

ch'escluso è dalla pugna

chi quest'atto solenne

giunge tardi a compir? Vedi la schiera

de' concorrenti atleti? Odi il festivo

tumulto pastoral? Dunque che deggio

attender più, che più sperar?

AMINTA

Ma quale

sarebbe il tuo disegno?

LICIDA

All'ara innanzi

presentarmi con gli altri.

AMINTA

E poi?

LICIDA

Con gli altri

a suo tempo pugnar.

AMINTA

Tu!

LICIDA

Sì. Non credi

in me valor che basti?

AMINTA

Eh qui non giova,

prence, il saper come si tratti il brando.

Altra specie di guerra, altr'armi ed altri

studi son questi. Ignoti nomi a noi

cesto, disco, palestra, a' tuoi rivali

per lung'uso son tutti

familiari esercizi. Al primo incontro

del giovanile ardire

ti potresti pentir.

LICIDA

Se fosse a tempo

Megacle giunto a tai contese esperto,

pugnato avria per me: ma, s'ei non viene,

che far degg'io? Non si contrasta, Aminta,

oggi in Olimpia del selvaggio ulivo

la solita corona. Al vincitore

sarà premio Aristea, figlia reale

dell'invitto Clistene, onor primiero

delle greche sembianze; unica e bella

fiamma di questo cor, benché novella.

AMINTA

Ed Argene?

LICIDA

Ed Argene

più riveder non spero. Amor non vive,

quando muor la speranza.

AMINTA

E pur giurasti

tante volte...

LICIDA

T'intendo. In queste fole,

finché l'ora trascorra,

trattener mi vorresti. Addio.

AMINTA

Ma senti.

LICIDA

No no.

AMINTA

Vedi che giunge...

LICIDA

Chi?

AMINTA

Megacle.

LICIDA

Dov'è?

AMINTA

Fra quelle piante

parmi... No... non è desso.

LICIDA

Ah mi deridi,

e lo merito, Aminta. Io fui sì cieco,

che in Megacle sperai.

(volendo partire)

Scena seconda

Megacle e detti.

MEGACLE

Megacle è teco.

LICIDA

Giusti dèi!

MEGACLE

Prence.

LICIDA

Amico.

Vieni, vieni al mio seno. Ecco risorta

la mia speme cadente.

MEGACLE

E sarà vero

che il ciel m'offra una volta

la via d'esserti grato?

LICIDA

E pace e vita

tu puoi darmi, se vuoi.

MEGACLE

Come?

LICIDA

Pugnando

nell'olimpico agone

per me, col nome mio.

MEGACLE

Ma tu non sei

noto in Elide ancor?

LICIDA

No.

MEGACLE

Quale oggetto

ha questa trama?

LICIDA

Il mio riposo. Oh dio!

non perdiamo i momenti. Appunto è l'ora

che de' rivali atleti

si raccolgono i nomi. Ah vola al tempio;

di' che Licida sei. La tua venuta

inutile sarà, se più soggiorni.

Vanne. Tutto saprai quando ritorni.

MEGACLE

Superbo di me stesso

andrò portando in fronte

quel caro nome impresso,

come mi sta nel cor.

Dirà la Grecia poi

che fur comuni a noi

l'opre, i pensier, gli affetti,

e al fine i nomi ancor.

(parte)

Scena terza

Licida e Aminta.

LICIDA

Oh generoso amico!

Oh Megacle fedel!

AMINTA

Così di lui

non parlavi poc'anzi.

LICIDA

Eccomi al fine

possessor d'Aristea. Vanne, disponi

tutto, mio caro Aminta. Io con la sposa,

prima che il sol tramonti,

voglio quindi partir.

AMINTA

Più lento, o prence,

nel fingerti felice. Ancor vi resta

molto di che temer. Potria l'inganno

esser scoperto: al paragon potrebbe

Megacle soggiacer. So ch'altre volte

fu vincitor; ma un impensato evento

so che talor confonde il vile e 'l forte;

né sempre ha la virtù l'istessa sorte.

LICIDA

Oh sei pure importuno

con questo tuo noioso

perpetuo dubitar. Vicino al porto

vuoi ch'io tema il naufragio? A' dubbi tuoi

chi presta fede intera,

non sa mai quando è l'alba o quando è sera.

Quel destrier, che all'albergo è vicino,

più veloce s'affretta nel corso;

non l'arresta l'angustia del morso,

non la voce, che legge gli dà.

Tal quest'alma, che piena è di speme,

nulla teme, consiglio non sente;

e si forma una gioia presente

del pensiero che lieta sarà.

(partono)

Scena quarta

Vasta campagna alle falde d'un monte, sparsa di capanne pastorali. Ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d'alberi rozzamente commessi. Veduta della città d'Olimpia in lontano, interrotta da poche piante, che adornano la pianura, ma non l'ingombrano.
Argene in abito di pastorella tessendo ghirlande. Coro di Ninfe e Pastori tutti occupati in lavori pastorali. E poi Aristea con Séguito.

CORO

Oh care selve, oh cara

felice libertà!

ARGENE

Qui se un piacer si gode,

parte non v'ha la frode

ma lo condisce a gara

amore e fedeltà.

CORO

Oh care selve, oh cara

felice libertà!

ARGENE

Qui poco ognun possiede,

e ricco ognun si crede:

né, più bramando, impara

che cosa è povertà.

CORO

Oh care selve, oh cara

felice libertà!

ARGENE

Senza custodi o mura

la pace è qui sicura,

ché l'altrui voglia avara

onde allettar non ha.

CORO

Oh care selve, oh cara

felice libertà!

ARGENE

Qui gl'innocenti amori

di ninfe...

(s'alza da sedere)

Ecco Aristea.

ARISTEA

Siegui, o Licori.

ARGENE

Già il rozzo mio soggiorno

torni a render felice, o principessa?

ARISTEA

Ah fuggir da me stessa

potessi ancor, come dagli altri! Amica

tu non sai qual funesto

giorno per me sia questo.

ARGENE

È questo un giorno

glorioso per te. Di tua bellezza

qual può l'età futura

prova aver più sicura? A conquistarti

nell'olimpico agone

tutto il fior della Grecia oggi s'espone.

ARISTEA

Ma chi bramo non v'è. Deh si proponga

men funesta materia

al nostro ragionar. Siedi, Licori:

(siede Aristea)

gl'interrotti lavori

riprendi, e parla. Incominciasti un giorno

a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo

di proseguirli. Il mio dolor seduci;

raddolcisci, se puoi,

i miei tormenti in rammentando i tuoi.

ARGENE

Se avran tanta virtù, senza mercede

non va la mia costanza.

(siede)

A te già dissi

che Argene è il nome mio; che in Creta io nacqui

d'illustre sangue, e che gli affetti miei

fur più nobili ancor de' miei natali.

ARISTEA

So fin qui.

ARGENE

De' miei mali

ecco il principio. Del cretense soglio

Licida il regio erede

fu la mia fiamma, ed io la sua. Celammo

prudenti un tempo il nostro amor; ma poi

l'amor s'accrebbe, e, come in tutti avviene,

la prudenza scemò. Comprese alcuno

il favellar de' nostri sguardi: ad altri

i sensi ne spiegò. Di voce in voce

tanto in breve si stese

il maligno romor, che 'l re l'intese:

se ne sdegnò, sgridonne il figlio; a lui

vietò di più vedermi, e col divieto

glien'accrebbe il desio; che aggiunge il vento

fiamme alle fiamme, e più superbo un fiume

fanno gli argini opposti. Ebro d'amore

freme Licida, e pensa

di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno

spiega in un foglio: a me l'invia. Tradisce

la fede il messo, e al re lo reca. È chiuso

in custodito albergo

il mio povero amante. A me s'impone

che a straniero consorte

porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno

contro me si dichiara. Il re minaccia;

mi condannan gli amici: il padre mio

vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo

che la fuga o la morte

al mio caso non trovo. Il men funesto

credo il più saggio, e l'eseguisco. Ignota

in Elide pervenni. In queste selve

mi proposi abitar. Qui fra pastori

pastorella mi finsi, e or son Licori:

ma serbo al caro bene

fido in sen di Licori il cor d'Argene.

ARISTEA

In ver mi fai pietà. Ma la tua fuga

non approvo però. Donzella e sola

cercar contrade ignote,

abbandonar...

ARGENE

Dunque dovea la mano

a Megacle donar?

ARISTEA

Megacle? (Oh nome!)

Di qual Megacle parli?

ARGENE

Era lo sposo

questi, che il re mi destinò. Dovea

dunque obliar...

ARISTEA

Ne sai la patria?

ARGENE

Atene.

ARISTEA

Come in Creta pervenne?

ARGENE

Amor ve 'l trasse,

com'ei stesso dicea, ramingo, afflitto.

Nel giungervi fu colto

da stuol di masnadieri; e oppresso ormai

la vita vi perdea. Licida a sorte

vi si avvenne, e il salvò. Quindi fra loro

fidi amici fur sempre. Amico al figlio,

fu noto al padre; e dal reale impero

destinato mi fu, perché straniero.

ARISTEA

Ma ti ricordi ancora

le sue sembianze?

ARGENE

Io l'ho presente. Avea

bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labbri

vermigli sì, ma tumidetti, e forse

oltre il dover; gli sguardi

lenti e pietosi: un arrossir frequente,

un soave parlar... Ma... principessa,

tu cambi di color! Che avvenne?

ARISTEA

Oh dio!

Quel Megacle, che pingi, è l'idol mio.

ARGENE

Che dici!

ARISTEA

Il vero. A lui,

lunga stagion già mio segreto amante,

perché nato in Atene,

negommi il padre mio, né volle mai

conoscerlo, vederlo,

ascoltarlo una volta. Ei disperato

da me partì; più no 'l rividi: e in questo

punto da te so de' suoi casi il resto.

ARGENE

In ver sembrano i nostri

favolosi accidenti.

ARISTEA

Ah s'ei sapesse

ch'oggi per me qui si combatte!

ARGENE

In Creta

a lui voli un tuo servo; e tu procura

la pugna differir.

ARISTEA

Come?

ARGENE

Clistene

è pur tuo padre: ei qui presiede eletto

arbitro delle cose; ei può, se vuole...

ARISTEA

Ma non vorrà.

ARGENE

Che nuoce,

principessa, il tentarlo?

ARISTEA

E ben, Clistene

vadasi a ritrovar.

(s'alzano)

ARGENE

Fermati: ei viene.

Scena quinta

Clistene con Séguito e dette.

CLISTENE

Figlia, tutto è compìto. I nomi accolti,

le vittime svenate, al gran cimento

l'ora è prescritta; e più la pugna ormai,

senza offesa de' numi,

della pubblica fé, dell'onor mio,

differir non si può.

ARISTEA

(Speranze, addio.)

CLISTENE

Ragion d'esser superba

io ti darei, se ti dicessi tutti

quei, che a pugnar per te vengono a gara.

V'è Olinto di Megara,

v'è Clearco di Sparta, Ati di Tebe,

Erilo di Corinto, e fin di Creta

Licida venne.

ARISTEA

Chi?

CLISTENE

Licida, il figlio

del re cretense.

ARISTEA

Ei pur mi brama?

CLISTENE

Ei viene

con gli altri a prova.

ARISTEA

(Ah si scordò d'Argene!)

CLISTENE

Sieguimi, figlia.

ARISTEA

Ah questa pugna, o padre,

si differisca.

CLISTENE

Un impossibil chiedi:

dissi perché. Ma la cagion non trovo

di tal richiesta.

ARISTEA

A divenir soggette

sempre v'è tempo. È d'Imeneo per noi

pesante il giogo; e già senz'esso abbiamo

che soffrire abbastanza

nella nostra servil sorte infelice.

CLISTENE

Dice ognuna così, ma il ver non dice.

Del destin non vi lagnate

se vi rese a noi soggette;

siete serve, ma regnate

nella vostra servitù.

Forti noi, voi belle siete,

e vincete in ogn'impresa,

quando vengono a contesa

la bellezza e la virtù.

(parte)

Scena sesta

Aristea ed Argene.

ARGENE

Udisti, o principessa?

ARISTEA

Amica, addio:

convien ch'io siegua il padre. Ah tu, che puoi,

del mio Megacle amato,

se pietosa pur sei, come sei bella,

cerca, recami, oh dio, qualche novella.

Tu di saper procura

dove il mio ben s'aggira,

se più di me si cura,

se parla più di me.

Chiedi se mai sospira

quando il mio nome ascolta;

se 'l proferì tal volta

nel ragionar fra sé.

(parte)

Scena settima

Argene sola.

Dunque Licida ingrato

già di me si scordò! Povera Argene,

a che mai ti serbar le stelle irate!

Imparate, imparate,

inesperte donzelle. Ecco lo stile

de' lusinghieri amanti. Ognun vi chiama

suo ben, sua vita e suo tesoro: ognuno

giura che, a voi pensando,

vaneggia il dì, veglia le notti. Han l'arte

di lagrimar, d'impallidir. Tal volta

par che su gli occhi vostri

voglian morir fra gli amorosi affanni:

guardatevi da lor, son tutti inganni.

Più non si trovano

fra mille amanti

sol due bell'anime,

che sian costanti

e tutti parlano

di fedeltà.

E il reo costume

tanto s'avanza,

che la costanza

di chi ben ama

ormai si chiama

semplicità.

(parte)

Scena ottava

Licida e Megacle da diverse parti.

MEGACLE

Licida.

LICIDA

Amico.

MEGACLE

Eccomi a te.

LICIDA

Compisti...

MEGACLE

Tutto, o signor. Già col tuo nome al tempio

per te mi presentai. Per te fra poco

vado al cimento. Or, fin che il noto segno

della pugna si dia, spiegar mi puoi

la cagion della trama.

LICIDA

Oh, se tu vinci,

non ha di me più fortunato amante

tutto il regno d'Amor.

MEGACLE

Perché?

LICIDA

Promessa

in premio al vincitore

è una real beltà. La vidi appena,

che n'arsi e la bramai. Ma poco esperto

negli atletici studi...

MEGACLE

Intendo. Io deggio

conquistarla per te.

LICIDA

Sì. Chiedi poi

la mia vita, il mio sangue, il regno mio;

tutto, o Megacle amato, io t'offro, e tutto

scarso premio sarà.

MEGACLE

Di tanti, o prence,

stimoli non fa d'uopo

al grato servo, al fido amico. Io sono

memore assai de' doni tuoi: rammento

la vita che mi desti. Avrai la sposa;

speralo pur. Nella palestra elèa

non entro pellegrin. Bevve altre volte

i miei sudori: ed il silvestre ulivo

non è per la mia fronte

un insolito fregio. Io più sicuro

mai di vincer non fui. Desio d'onore,

stimoli d'amistà mi fan più forte.

Anelo, anzi mi sembra

d'esser già nell'agon. Gli emuli al fianco

mi sento già; già li precorro: e, asperso

dell'olimpica polve il crine, il volto,

del volgo spettator gli applausi ascolto.

LICIDA

Oh dolce amico! Oh cara

sospirata Aristea!

MEGACLE

Che!

LICIDA

Chiamo a nome

il mio tesoro.

MEGACLE

Ed Aristea si chiama?

LICIDA

Appunto.

MEGACLE

Altro ne sai?

LICIDA

Presso a Corinto

nacque in riva all'Asopo, al re Clistene

unica prole.

MEGACLE

(Ahimè! Questa è il mio bene.)

E per lei si combatte?

LICIDA

Per lei.

MEGACLE

Questa degg'io

conquistarti pugnando?

LICIDA

Questa.

MEGACLE

Ed è tua speranza e tuo conforto

sola Aristea?

LICIDA

Sola Aristea.

MEGACLE

(Son morto.)

LICIDA

Non ti stupir. Quando vedrai quel volto,

forse mi scuserai. D'esserne amanti

non avrebbon rossore i numi istessi.

MEGACLE

(Ah così no 'l sapessi!)

LICIDA

Oh, se tu vinci,

chi più lieto di me! Megacle istesso

quanto mai ne godrà! Di'; non avrai

piacer del piacer mio?

MEGACLE

Grande.

LICIDA

Il momento,

che ad Aristea m'annodi,

Megacle, di', non ti parrà felice?

MEGACLE

Felicissimo. (Oh dèi!)

LICIDA

Tu non vorrai

pronubo accompagnarmi

al talamo nuzial?

MEGACLE

(Che pena!)

LICIDA

Parla.

MEGACLE

Sì; come vuoi. (Qual nuova specie è questa

di martirio e d'inferno!)

LICIDA

Oh quanto il giorno

lungo è per me! Che l'aspettare uccida

nel caso, in cui mi vedo,

tu non credi, o non sai.

MEGACLE

Lo so, lo credo.

LICIDA

Senti, amico. Io mi fingo

già l'avvenir: già col desio possiedo

la dolce sposa.

MEGACLE

(Ah questo è troppo!)

LICIDA

E parmi...

MEGACLE

Ma taci: assai dicesti. Amico io sono;

il mio dover comprendo;

ma poi...

LICIDA

Perché ti sdegni? In che t'offendo?

MEGACLE

(Imprudente, che feci!) Il mio trasporto

è desio di servirti. Io stanco arrivo

da cammin lungo; ho da pugnar: mi resta

picciol tempo al riposo, e tu me 'l togli.

LICIDA

E chi mai ti ritenne

di spiegarti finora?

MEGACLE

Il mio rispetto.

LICIDA

Vuoi dunque riposar?

MEGACLE

Sì.

LICIDA

Brami altrove

meco venir?

MEGACLE

No.

LICIDA

Rimaner ti piace

qui fra quest'ombre?

MEGACLE

Sì.

LICIDA

Restar degg'io?

MEGACLE

No.

(e si getta a sedere)

LICIDA

(Strana voglia!) E ben, riposa: addio.

Mentre dormi, Amor fomenti

il piacer de' sonni tuoi

con l'idea del mio piacer.

Abbia il rio passi più lenti;

e sospenda i moti suoi

ogni zeffiro leggier.

(parte)

Scena nona

Megacle solo.

Che intesi, eterni dèi! Quale improvviso

fulmine mi colpì! L'anima mia

dunque fia d'altri! E ho da condurla io stesso

in braccio al mio rival! Ma quel rivale

è il caro amico. Ah quali nomi unisce

per mio strazio la sorte! Eh che non sono

rigide a questo segno

le leggi d'amistà. Perdoni il prence,

ancor io sono amante. Il domandarmi

ch'io gli ceda Aristea non è diverso

dal chiedermi la vita. E questa vita

di Licida non è? Non fu suo dono?

Non respiro per lui? Megacle ingrato,

e dubitar potresti? Ah! se ti vede

con questa in volto infame macchia e rea,

ha ragion d'aborrirti anche Aristea.

No, tal non mi vedrà. Voi soli ascolto

obblighi d'amistà, pegni di fede,

gratitudine, onore. Altro non temo

che 'l volto del mio ben. Questo s'evìti

formidabile incontro. In faccia a lei,

misero, che farei! Palpito e sudo

solo in pensarlo, e parmi

istupidir, gelarmi,

confondermi, tremar... No, non potrei...

Scena decima

Aristea e detto, poi Alcandro.

ARISTEA

(senza vederlo in viso)

Stranier.

MEGACLE

(rivoltandosi)

Chi mi sorprende?

(riconoscendosi)

ARISTEA

(Oh stelle!)

MEGACLE

(Oh dèi!)

ARISTEA

Megacle! mia speranza!

Ah sei pur tu? Pur ti riveggo? Oh dio!

di gioia io moro; ed il mio petto appena

può alternare i respiri. Oh caro! Oh tanto

e sospirato e pianto

e richiamato invano! Udisti al fine

la povera Aristea. Tornasti: e come

opportuno tornasti! Oh Amor pietoso!

Oh felici martìri!

Oh ben sparsi fin or pianti e sospiri!

MEGACLE

(Che fiero caso è il mio!)

ARISTEA

Megacle amato,

e tu nulla rispondi?

E taci ancor? Che mai vuol dir quel tanto

cambiarti di color? Quel non mirarmi

che timido e confuso? E quelle a forza

lagrime trattenute? Ah! più non sono

forse la fiamma tua? Forse...

MEGACLE

Che dici!

Sempre... Sappi... Son io...

Parlar non so. (Che fiero caso è il mio!)

ARISTEA

Ma tu mi fai gelar. Dimmi: non sai

che per me qui si pugna?

MEGACLE

Il so.

ARISTEA

Non vieni

ad esporti per me?

MEGACLE

Sì.

ARISTEA

Perché mai

dunque sei così mesto?

MEGACLE

Perché... (Barbari dèi, che inferno è questo!)

ARISTEA

Intendo: alcun ti fece

dubitar di mia fé. Se ciò t'affanna,

ingiusto sei. Da che partisti, o caro,

non son rea d'un pensier. Sempre m'intesi

la tua voce nell'alma: ho sempre avuto

il tuo nome fra' labbri,

il tuo volto nel cor. Mai d'altri accesa

non fui, non sono, e non sarò. Vorrei...

MEGACLE

Basta: lo so.

ARISTEA

Vorrei morir più tosto

che mancarti di fede un sol momento.

MEGACLE

(Oh tormento maggior d'ogni tormento!)

ARISTEA

Ma guardami, ma parla,

ma di'...

MEGACLE

Che posso dir?

ALCANDRO

(esce frettoloso)

Signor, t'affretta,

se a combatter venisti. Il segno è dato,

che al gran cimento i concorrenti invita.

(parte)

MEGACLE

Assistetemi, o numi. Addio, mia vita.

ARISTEA

E mi lasci così? Va'; ti perdono,

pur che torni mio sposo.

MEGACLE

(in atto di partire)

Ah sì gran sorte

non è per me!

ARISTEA

Senti. Tu m'ami ancora?

MEGACLE

Quanto l'anima mia.

ARISTEA

Fedel mi credi?

MEGACLE

Sì, come bella.

ARISTEA

A conquistar mi vai?

MEGACLE

Lo bramo almeno.

ARISTEA

Il tuo valor primiero

hai pur?

MEGACLE

Lo credo.

ARISTEA

E vincerai?

MEGACLE

Lo spero.

ARISTEA

Dunque allor non son io,

caro, la sposa tua?

MEGACLE

Mia vita... Addio.

MEGACLE

Ne' giorni tuoi felici

ricordati di me.

ARISTEA

Perché così mi dici,

anima mia, perché?

MEGACLE

Taci, bell'idol mio.

ARISTEA

Parla, mio dolce amor.

Insieme

MEGACLE

Ah che parlando, oh dio!

tu mi trafiggi il cor.

ARISTEA

Ah che tacendo, oh dio!

tu mi trafiggi il cor.

ARISTEA

(Veggio languir chi adoro,

né intendo il suo languir.)

MEGACLE

(Di gelosia mi moro,

e non lo posso dir.)

ARISTEA E MEGACLE

Chi mai provò di questo

affanno più funesto,

più barbaro dolor!

Segue il ballo di Ninfe insidiate da Satiri e difese da Pastori.

Atto secondo
Scena prima

Aristea ed Argene.

ARGENE

Ed ancor della pugna

l'esito non si sa?

ARISTEA

No, bella Argene.

È pur dura la legge, onde n'è tolto

d'esserne spettatrici!

ARGENE

Ah! che sarebbe

forse pena maggior veder chi s'ama

in cimento sì grande, e non potergli

porger soccorso: esser presente...

ARISTEA

Io sono

presente ancor lontana: anzi mi fingo

forse quel che non è. Se tu vedessi

come sta questo cor! Qui dentro, amica,

qui dentro si combatte; e più che altrove

qui la pugna è crudele. Ho innanzi agli occhi

Megacle, la palestra,

i giudici, i rivali. Io mi figuro

questi più forti e quei men giusti. Io provo

doppiamente nell'alma

ciò che or soffre il mio ben, gli urti, le scosse,

gl'insulti, le minacce. Ah! che presente

solo il ver temerei; ma il mio pensiero

fa ch'io tema lontana il falso e il vero.

ARGENE

(guardando per la scena)

Né ancor si vede alcun.

ARISTEA

(turbata)

Né alcuno... Oh dio!

ARGENE

Che avvenne?

ARISTEA

Oh come io tremo,

come palpito adesso!

ARGENE

E la cagione?

ARISTEA

È deciso il mio fato:

vedi Alcandro, che arriva.

ARGENE

Alcandro, ah corri:

consolane. Che rechi?

Scena seconda

Alcandro e dette.

ALCANDRO

Fortunate novelle. Il re m'invia

nunzio felice, o principessa. Ed io...

ARISTEA

La pugna terminò?

ALCANDRO

Sì; ascolta. Intorno

già impazienti...

ARGENE

(ad Alcandro)

Il vincitor si chiede.

ALCANDRO

Tutto dirò. Già impazienti intorno

le turbe spettatrici...

ARISTEA

(con impazienza)

Eh ch'io non cerco

questo da te.

ALCANDRO

Ma in ordine distinto...

ARISTEA

(con sdegno)

Chi vinse dimmi sol.

ALCANDRO

Licida ha vinto.

ARISTEA

Licida!

ALCANDRO

Appunto.

ARGENE

Il principe di Creta!

ALCANDRO

Sì, che giunse poc'anzi a queste arene.

ARISTEA

(Sventurata Aristea!)

ARGENE

(Povera Argene!)

ALCANDRO

(ad Aristea)

Oh te felice! Oh quale

sposo ti diè la sorte!

ARISTEA

Alcandro, parti.

ALCANDRO

T'attende il re.

ARISTEA

Parti, verrò.

ALCANDRO

T'attende

nel gran tempio adunata...

ARISTEA

(con sdegno)

Né parti ancor?

ALCANDRO

(Che ricompensa ingrata!)

(parte)

Scena terza

Aristea ed Argene.

ARGENE

Ah dimmi, o principessa,

v'è sotto il ciel chi possa dirsi, oh dio!

più misera di me?

ARISTEA

Sì, vi son io.

ARGENE

Ah non ti faccia amore

provar mai le mie pene! Ah tu non sai

qual perdita è la mia! Quanto mi costa

quel cor che tu m'involi!

ARISTEA

E tu non senti,

non comprendi abbastanza i miei tormenti.

Grandi, è ver, son le tue pene:

perdi, è ver, l'amato bene;

ma sei tua, ma piangi intanto,

ma domandi almen pietà.

Io dal fato, io sono oppressa:

perdo altrui, perdo me stessa;

né conservo almen del pianto

l'infelice libertà.

(parte)

Scena quarta

Argene, e poi Aminta.

ARGENE

E trovar non poss'io

né pietà né soccorso?

AMINTA

Eterni dèi!

parmi Argene colei.

(vuol partire)

ARGENE

Vendetta almeno,

vendetta si procuri.

AMINTA

Argene, e come

tu in Elide! Tu sola!

Tu in sì ruvide spoglie!

ARGENE

I neri inganni

a secondar del prence

dunque ancor tu venisti? A saggio in vero

regolator commise il re di Creta

di Licida la cura. Ecco i bei frutti

di tue dottrine. Hai gran ragione, Aminta,

d'andarne altier. Chi vuol sapere appieno

se fu attento il cultor, guardi il terreno.

AMINTA

(Tutto già sa.) Non da' consigli miei...

ARGENE

Basta... Chi sa: nel cielo

v'è giustizia per tutti; e si ritrova

talvolta anche nel mondo. Io chiederolla

agli uomini, agli dèi. S'ei non ha fede,

ritegni io non avrò. Vuo' che Clistene,

vuo' che la Grecia, il mondo

sappia ch'è un traditore, acciò per tutto

questa infamia lo siegua; acciò che ognuno

l'aborrisca, l'evìti,

e con orrore, a chi no 'l sa, l'additi.

AMINTA

Non son questi pensieri

degni d'Argene. Un consigliero infido,

anche giusto, è lo sdegno. Io nel tuo caso

più dolci mezzi adoprerei. Procura

ch'ei ti rivegga; a lui favella; a lui

le promesse rammenta. È sempre meglio

il racquistarlo amante

che opprimerlo nemico.

ARGENE

E credi, Aminta,

ch'ei tornerebbe a me?

AMINTA

Lo spero. Al fine

fosti l'idolo suo. Per te languiva,

delirava per te. Non ti sovviene

che cento volte e cento...

ARGENE

Tutto, per pena mia, tutto rammento.

Che non mi disse un dì!

Quai numi non giurò!

E come, oh dio, si può,

come si può così

mancar di fede!

Tutto per lui perdei;

oggi lui perdo ancor.

Poveri affetti miei!

Questa mi rendi, amor,

questa mercede?

(parte)

Scena quinta

Aminta solo.

Insana gioventù! Qualora esposta

ti veggo tanto agl'impeti d'amore,

di mia vecchiezza io mi consolo e rido.

Dolce è il mirar dal lido

chi sta per naufragar; non che ne alletti

il danno altrui, ma sol perché l'aspetto

d'un mal, che non si soffre, è dolce oggetto.

Ma che! l'età canuta

non ha le sue tempeste? Ah che pur troppo

ha le sue proprie; e dal timor dell'altre

sciolta non è. Son le follie diverse,

ma folle è ognuno: e a suo piacer ne aggira

l'odio o l'amor, la cupidigia o l'ira.

Siam navi all'onde algenti

lasciate in abbandono:

impetuosi venti

i nostri affetti sono:

ogni diletto è scoglio:

tutta la vita è mar.

Ben, qual nocchiero, in noi

veglia ragion; ma poi

pur dall'ondoso orgoglio

si lascia trasportar.

(parte)

Scena sesta

Clistene preceduto da Licida, Alcandro, Megacle coronato d'ulivo, Coro d'Atleti, Guardie e Popolo.

CORO

Del forte Licida

nome maggiore

d'Alfeo sul margine

mai non sonò.

PARTE DEL CORO

Sudor più nobile

del suo sudore

l'arena olimpica

mai non bagnò.

ALTRA PARTE

L'arti ha di Pallade,

l'ali ha d'Amore:

d'Apollo e d'Ercole

l'ardir mostrò.

CORO

No, tanto merito,

tanto valore

l'ombra de' secoli

coprir non può.

CLISTENE

Giovane valoroso,

che in mezzo a tanta gloria umìl ti stai,

quell'onorata fronte

lascia ch'io baci e che ti stringa al seno.

Felice il re di Creta,

che un tal figlio sortì!

(ad Alcandro)

Se avessi anch'io

serbato il mio Filinto,

chi sa, sarebbe tal. Rammenti, Alcandro,

con qual dolor te 'l consegnai? Ma pure...

ALCANDRO

(a Clistene)

Tempo or non è di rammentar sventure.

CLISTENE

(È ver.)

(ad Alcandro)

Premio Aristea

sarà del tuo valor. S'altro donarti

Clistene può, chiedilo pur, che mai

quanto dar ti vorrei non chiederai.

MEGACLE

(Coraggio, o mia virtù.) Signor, son figlio,

e di tenero padre. Ogni contento,

che con lui non divido,

è insipido per me. Di mie venture

pria d'ogni altro io vorrei

giungergli apportator: chieder l'assenso

per queste nozze; e, lui presente, in Creta

legarmi ad Aristea.

CLISTENE

Giusta è la brama.

MEGACLE

Partirò, se il concedi,

senz'altro indugio.

(presentando Licida)

In vece mia rimanga

questi, della mia sposa

servo, compagno e condottier.

CLISTENE

(Che volto

è questo mai! Nel rimirarlo il sangue

mi si riscuote in ogni vena.) E questi

chi è? Come s'appella?

MEGACLE

Egisto ha nome,

Creta è sua patria. Egli deriva ancora

dalla stirpe real: ma più che 'l sangue,

l'amicizia ne stringe; e son fra noi

sì concordi i voleri,

comuni a segno e l'allegrezza e 'l duolo,

che Licida ed Egisto è un nome solo.

LICIDA

(Ingegnosa amicizia!)

CLISTENE

E ben, la cura

di condurti la sposa

Egisto avrà. Ma Licida non debbe

partir senza vederla.

MEGACLE

Ah no, sarebbe

pena maggior. Mi sentirei morire

nell'atto di lasciarla. Ancor da lunge

tanta pena io ne provo...

CLISTENE

Ecco che giunge.

MEGACLE

(Oh me infelice!)

Scena settima

Aristea e detti.

ARISTEA

(All'odiose nozze

come vittima io vengo all'ara avanti.)

LICIDA

(Sarà mio quel bel volto in pochi istanti.)

CLISTENE

(ha per mano Megacle)

Avvicinati, o figlia; ecco il tuo sposo.

MEGACLE

(Ah! non è ver.)

ARISTEA

(stupisce vedendo Megacle)

Lo sposo mio!

CLISTENE

Sì. Vedi

se giammai più bel nodo in ciel si strinse.

ARISTEA

(Ma se Licida vinse,

come il mio bene?... il genitor m'inganna?)

LICIDA

(Crede Megacle sposo e se ne affanna.)

ARISTEA

(additando Megacle)

E questi, o padre, è il vincitor?

CLISTENE

Me 'l chiedi?

Non lo ravvisi al volto

di polve asperso? All'onorate stille,

che gli rigan la fronte? A quelle foglie,

che son di chi trionfa

l'ornamento primiero?

ARISTEA

Ma che dicesti, Alcandro?

ALCANDRO

Io dissi il vero.

CLISTENE

Non più dubbiezze. Ecco il consorte, a cui

il ciel t'accoppia: e no 'l potea più degno

ottener dagli dèi l'amor paterno.

ARISTEA

(Che gioia!)

MEGACLE

(Che martìr!)

LICIDA

(Che giorno eterno!)

CLISTENE

(a Megacle ed Aristea)

E voi tacete? Onde il silenzio?

MEGACLE

(Oh dio!

come comincierò?)

ARISTEA

Parlar vorrei,

ma...

CLISTENE

Intendo. Intempestiva

è la presenza mia. Severo ciglio,

rigida maestà, paterno impero

incomodi compagni

sono agli amanti. Io mi sovvengo ancora

quanto increbbero a me. Restate. Io lodo

quel modesto rossor, che vi trattiene.

MEGACLE

(Sempre lo stato mio peggior diviene.)

CLISTENE

So ch'è fanciullo Amore,

né conversar gli piace

con la canuta età.

Di scherzi ei si compiace;

si stanca del rigore:

e stan di rado in pace

rispetto e libertà.

(parte)

Scena ottava

Aristea, Megacle e Licida.

MEGACLE

(Fra l'amico e l'amante,

che farò sventurato!)

LICIDA

(piano a Megacle)

All'idol mio

è tempo ch'io mi scopra.

MEGACLE

(Aspetta.) Oh dio!

ARISTEA

Sposo, alla tua consorte

non celar che t'affligge.

MEGACLE

(Oh pena! Oh morte!)

LICIDA

(a Megacle, come sopra)

L'amor mio, caro amico,

non soffre indugio.

ARISTEA

Il tuo silenzio, o caro,

mi cruccia, mi dispera.

MEGACLE

(Ardir mio core:

finiamo di morir.)

(a parte a Licida)

Per pochi istanti

allontanati, o prence.

ARISTEA

E qual ragione?...

MEGACLE

(come sopra)

Va': fidati di me. Tutto conviene

ch'io spieghi ad Aristea.

LICIDA

Ma non poss'io

esser presente?

MEGACLE

(come sopra)

No: più che non credi

delicato è l'impegno.

LICIDA

E ben, tu 'l vuoi,

io lo farò. Poco mi scosto: un cenno

basterà perch'io torni. Ah! pensa, amico,

di che parli, e per chi. Se nulla mai

feci per te, se mi sei grato e m'ami,

mostralo adesso. Alla tua fida aita

la mia pace io commetto e la mia vita.

(parte)

Scena nona

Megacle ed Aristea.

MEGACLE

(Oh ricordi crudeli!)

ARISTEA

Al fin siam soli:

potrò senza ritegni

il mio contento esagerar; chiamarti

mia speme, mio diletto,

luce degli occhi miei...

MEGACLE

No, principessa,

questi soavi nomi

non son per me. Serbali pure ad altro

più fortunato amante.

ARISTEA

E il tempo è questo

di parlarmi così? Giunto è quel giorno...

Ma semplice ch'io son: tu scherzi, o caro,

ed io stolta m'affanno.

MEGACLE

Ah! non t'affanni

senza ragion.

ARISTEA

Spiegati dunque.

MEGACLE

Ascolta:

ma coraggio, Aristea. L'alma prepara

a dar di tua virtù la prova estrema.

ARISTEA

Parla. Ahimè! che vuoi dirmi? Il cor mi trema.

MEGACLE

Odi. In me non dicesti

mille volte d'amar, più che 'l sembiante,

il grato cor, l'alma sincera, e quella,

che m'ardea nel pensier, fiamma d'onore?

ARISTEA

Lo dissi, è ver. Tal mi sembrasti, e tale

ti conosco, t'adoro.

MEGACLE

E se diverso

fosse Megacle un dì da quel che dici;

se infedele agli amici,

se spergiuro agli dèi, se, fatto ingrato

al suo benefattor, morte rendesse

per la vita che n'ebbe; avresti ancora

amor per lui? Lo soffriresti amante?

L'accetteresti sposo?

ARISTEA

E come vuoi

ch'io figurar mi possa

Megacle mio sì scellerato?

MEGACLE

Or sappi

che per legge fatale,

se tuo sposo divien, Megacle è tale.

ARISTEA

Come!

MEGACLE

Tutto l'arcano

ecco ti svelo. Il principe di Creta

langue per te d'amor. Pietà mi chiede,

e la vita mi diede. Ah principessa,

se negarla poss'io, dillo tu stessa.

ARISTEA

E pugnasti...

MEGACLE

Per lui.

ARISTEA

Perder mi vuoi...

MEGACLE

Sì, per serbarmi sempre

degno di te.

ARISTEA

Dunque io dovrò...

MEGACLE

Tu dei

coronar l'opra mia. Sì, generosa,

adorata Aristea, seconda i moti

d'un grato cor. Sia, qual io fui finora,

Licida in avvenire. Amalo. È degno

di sì gran sorte il caro amico. Anch'io

vivo di lui nel seno;

e s'ei t'acquista, io non ti perdo appieno.

ARISTEA

Ah qual passaggio è questo! Io dalle stelle

precipito agli abissi. Eh no: si cerchi

miglior compenso. Ah! senza te la vita

per me vita non è.

MEGACLE

Bella Aristea,

non congiurar tu ancora

contro la mia virtù. Mi costa assai

il prepararmi a sì gran passo. Un solo

di quei teneri sensi

quant'opera distrugge!

ARISTEA

E di lasciarmi...

MEGACLE

Ho risoluto.

ARISTEA

Hai risoluto? E quando?

MEGACLE

Questo (morir mi sento)

questo è l'ultimo addio.

ARISTEA

L'ultimo! Ingrato...

(s'appoggia ad un tronco)

Soccorretemi, o numi! Il piè vacilla:

freddo sudor mi bagna il volto; e parmi

ch'una gelida man m'opprima il core!

MEGACLE

Sento che il mio valore

mancando va. Più che a partir dimoro,

meno ne son capace.

Ardir. Vado, Aristea: rimanti in pace.

ARISTEA

Come! Già m'abbandoni?

MEGACLE

È forza, o cara,

separarsi una volta.

ARISTEA

E parti...

MEGACLE

(in atto di partire)

E parto

per non tornar più mai.

ARISTEA

Senti. Ah no... Dove vai?

MEGACLE

A spirar, mio tesoro,

(Megacle parte risoluto)

lungi dagli occhi tuoi.

(in atto di partire, ma si ferma alla scena)

ARISTEA

Soccorso... io... moro.

(sviene sopra un sasso)

MEGACLE

(rivolgendosi indietro)

Misero me, che veggo!

(tornando)

Ah l'oppresse il dolor! Cara mia speme,

bella Aristea, non avvilirti; ascolta:

Megacle è qui. Non partirò. Sarai...

Che parlo? Ella non m'ode. Avete, o stelle,

più sventure per me? No, questa sola

mi restava a provar. Chi mi consiglia?

Che risolvo? Che fo? Partir? Sarebbe

crudeltà, tirannia. Restar? che giova?

forse ad esserle sposo? E 'l re ingannato,

e l'amico tradito, e la mia fede,

e l'onor mio lo soffrirebbe? Almeno

partiam più tardi. Ah che sarem di nuovo

a quest'orrido passo! Ora è pietade

l'esser crudele. Addio, mia vita: addio,

mia perduta speranza.

(le prende la mano e la bacia)

Il ciel ti renda

più felice di me. Deh, conservate

questa bell'opra vostra, eterni dèi;

e i dì, ch'io perderò, donate a lei.

Licida... Dov'è mai? Licida.

(verso la scena)

Scena decima

Licida e detti.

LICIDA

Intese

tutto Aristea?

MEGACLE

(in atto di partire)

Tutto. T'affretta, o prence;

soccorri la tua sposa.

LICIDA

Ahimè, che miro!

Che fu?

MEGACLE

Doglia improvvisa

le oppresse i sensi.

LICIDA

E tu mi lasci?

MEGACLE

(partendo come sopra)

Io vado...

(tornando indietro)

Deh pensa ad Aristea.

(partendo)

(Che dirà mai

quando in sé tornerà? Tutte ho presenti

tutte le smanie sue.)

(si ferma)

Licida, ah senti.

Se cerca, se dice:

«L'amico dov'è?».

«L'amico infelice»

rispondi, «morì».

Ah no! sì gran duolo

non darle per me:

rispondi ma solo:

«Piangendo partì».

Che abisso di pene

lasciare il suo bene,

lasciarlo per sempre,

lasciarlo così!

(parte)

Scena undicesima

Licida ed Aristea.

LICIDA

Che laberinto è questo! Io non l'intendo.

Semiviva Aristea... Megacle afflitto...

ARISTEA

Oh dio!

LICIDA

Ma già quell'alma

torna agli usati uffizi. Apri i bei lumi,

principessa, ben mio.

ARISTEA

(senza vederlo)

Sposo infedele!

LICIDA

Ah! non dirmi così. Di mia costanza

ecco in pegno la destra.

(la prende per mano)

ARISTEA

Almeno...

(s'avvede non esser Megacle e ritira la mano)

Oh stelle!

Megacle ov'è?

LICIDA

Partì.

ARISTEA

Partì l'ingrato?

Ebbe cor di lasciarmi in questo stato?

LICIDA

Il tuo sposo restò.

ARISTEA

(s'alza con impeto)

Dunque è perduta

l'umanità, la fede,

l'amore, la pietà! Se questi iniqui

incenerir non sanno,

numi, i fulmini vostri in ciel che fanno?

LICIDA

Son fuor di me. Di', che t'offese, o cara?

Parla; brami vendetta? Ecco il tuo sposo,

ecco Licida...

ARISTEA

Oh dèi!

Tu quel Licida sei! Fuggi, t'invola,

nasconditi da me. Per tua cagione,

perfido, mi ritrovo a questo passo.

LICIDA

E qual colpa ho commessa? Io son di sasso.

ARISTEA

Tu me da me dividi;

barbaro, tu m'uccidi:

tutto il dolor, ch'io sento,

tutto mi vien da te.

No, non sperar mai pace.

Odio quel cor fallace:

oggetto di spavento

sempre sarai per me.

(parte)

Scena dodicesima

Licida e poi Argene.

LICIDA

A me «barbaro»! Oh numi!

«Perfido» a me! Voglio seguirla; e voglio

sapere almen che strano enigma è questo.

ARGENE

Fermati, traditor.

LICIDA

(riconosce Argene)

Sogno o son desto!

ARGENE

Non sogni no: son io

l'abbandonata Argene. Anima ingrata,

riconosci quel volto,

che fu gran tempo il tuo piacer; se pure

in sorte sì funesta

delle antiche sembianze orma vi resta.

LICIDA

(Donde viene; in qual punto

mi sorprende costei! Se più mi fermo,

Aristea non raggiungo.) Io non intendo

bella ninfa, i tuoi detti. Un'altra volta

potrai meglio spiegarti.

(vuol partire)

ARGENE

(trattenendolo)

Indegno, ascolta.

LICIDA

(Misero me!)

ARGENE

Tu non m'intendi? Intendo

ben io la tua perfidia. I nuovi amori,

le frodi tue tutte riseppi; e tutto

saprà da me Clistene

per tua vergogna.

(vuol partire)

LICIDA

Ah no!

(trattenendola)

Sentimi, Argene.

Non sdegnarti: perdona,

se tardi ti ravviso. Io mi rammento

gli antichi affetti; e, se tacer saprai,

forse... chi sa?

ARGENE

Si può soffrir di questa

ingiuria più crudel! «Chi sa», mi dici?

In vero io son la rea. Picciole prove

di tua bontà non sono

le vie che m'offri a meritar perdono.

LICIDA

(vuol prenderla per mano)

Ascolta. Io volli dir...

ARGENE

(lo rigetta)

Lasciami, ingrato:

non ti voglio ascoltar.

LICIDA

(Son disperato.)

ARGENE

No, la speranza

più non m'alletta:

voglio vendetta,

non chiedo amor.

Pur che non goda

quel cor spergiuro,

nulla mi curo

del mio dolor.

(parte)

Scena tredicesima

Licida e poi Aminta.

LICIDA

In angustia più fiera

io non mi vidi mai. Tutto è in ruina,

se parla Argene. È forza

raggiungerla, placarla... E chi trattiene

la principessa intanto? Il solo amico

potria... Ma dove andò? Si cerchi. Almeno

e consiglio e conforto

Megacle mi darà.

(vuol partire)

AMINTA

Megacle è morto!

LICIDA

Che dici, Aminta!

AMINTA

Io dico

pur troppo il ver.

LICIDA

Come! Perché? Qual empio

sì bei giorni troncò? Trovisi: io voglio

ch'esempio di vendetta altrui ne resti.

AMINTA

Principe, no 'l cercar: tu l'uccidesti.

LICIDA

Io! Deliri?

AMINTA

Volesse

il ciel ch'io delirassi. Odimi. In traccia

mentre or di te venìa, fra quelle piante

un gemito improvviso

sento; mi fermo: al suon mi volgo; e miro

uom, che sul nudo acciaro

prono già s'abbandona. Accorro. Al petto

fo d'una man sostegno;

con l'altra il ferro svio. Ma, quando al volto

Megacle ravvisai,

pensa com'ei restò, com'io restai!

Dopo un breve stupore: «Ah qual follia

bramar ti fa la morte!»,

io volea dirgli. Ei mi prevenne: «Aminta,

ho vissuto abbastanza»,

sospirando mi disse

dal profondo del cor. «Senz'Aristea

non so viver, né voglio. Ah! son due lustri

che non vivo che in lei. Licida, oh dio!

m'uccide, e non lo sa; ma non m'offende:

suo dono è questa vita; ei la riprende».

LICIDA

Oh amico! E poi?

AMINTA

Fugge da me, ciò detto,

come partico stral. Vedi quel sasso,

signor, colà, che il sottoposto Alfeo

signoreggia ed adombra? Egli v'ascende

in men che non balena. In mezzo al fiume

si scaglia: io grido in van. L'onda percossa

balzò, s'aperse; in frettolosi giri

si riunì; l'ascose. Il colpo, i gridi

replicaron le sponde; e più no 'l vidi.

LICIDA

Ah qual orrida scena

or si scopre al mio sguardo!

(rimane stupido)

AMINTA

Almen la spoglia,

che albergò sì bell'alma,

vadasi a ricercar. Da' mesti amici

questi a lui son dovuti ultimi uffici.

(parte)

Scena quattordicesima

Licida e poi Alcandro.

LICIDA

Dove son! Che m'avvenne! Ah dunque il cielo

tutte sopra il mio capo

rovesciò l'ire sue! Megacle, oh dio!

Megacle, dove sei? Che fo nel mondo

senza di te! Rendetemi l'amico,

ingiustissimi dèi! Voi me 'l toglieste,

lo rivoglio da voi. Se lo negate,

barbari, a' voti miei, dovunque ei sia

a viva forza il rapirò. Non temo

tutti i fulmini vostri: ho cor che basta

a ricalcar su l'orme

d'Ercole e di Tesèo le vie di morte.

ALCANDRO

Olà!

(Licida non l'ode)

LICIDA

Del guado estremo...

ALCANDRO

Olà!

LICIDA

Chi sei

tu, che audace interrompi

le smanie mie?

ALCANDRO

Regio ministro io sono.

LICIDA

Che vuole il re?

ALCANDRO

Che in vergognoso esiglio

quindi lungi tu vada. Il sol cadente

se in Elide ti lascia,

sei reo di morte.

LICIDA

A me tal cenno?

ALCANDRO

Impara

a mentir nome, a violar la fede,

a deludere i re.

LICIDA

Come! Ed ardisci,

temerario...

ALCANDRO

Non più. Principe, è questo

mio dover; l'ho adempito: adempi il resto.

(parte)

Scena quindicesima

Licida solo.

(snuda la spada)

Con questo ferro, indegno,

il sen ti passerò... Folle, che dico?

che fo? Con chi mi sdegno? Il reo son io,

io son lo scellerato. In queste vene

con più ragion l'immergerò. Sì, mori,

Licida sventurato... Ah perché tremi,

timida man? Chi ti ritiene? Ah questa

è ben miseria estrema! Odio la vita:

m'atterrisce la morte; e sento intanto

stracciarmi a brano a brano

in mille parti il cor. Rabbia, vendetta,

tenerezza, amicizia,

pentimento, pietà, vergogna, amore

mi trafiggono a gara. Ah chi mai vide

anima lacerata

da tanti affetti e sì contrari! Io stesso

non so come si possa

minacciando tremare, arder gelando,

piangere in mezzo all'ire,

bramar la morte, e non saper morire.

Gemo in un punto e fremo;

fosco mi sembra il giorno:

ho cento larve intorno;

ho mille furie in sen.

Con la sanguigna face

m'arde Megera il petto;

m'empie ogni vena Aletto

del freddo suo velen.

(parte)

Segue il ballo di Cacciatori e Cacciatrici.

Atto terzo
Scena prima

Bipartita, che si forma dalle rovine di un antico ippodromo, già ricoperte in gran parte d'edera, di spini e d'altre piante selvagge.
Megacle, trattenuto da Aminta per una parte, e dopo Aristea, trattenuta da Argene per l'altra: ma quelli non veggon queste.

MEGACLE

Lasciami. In van t'opponi.

AMINTA

Ah torna, amico,

una volta in te stesso. In tuo soccorso

pronta sempre la mano

del pescator, ch'or ti salvò dall'onde,

credimi, non avrai. Si stanca il cielo

d'assister chi l'insulta.

MEGACLE

Empio soccorso,

inumana pietà! negar la morte

a chi vive morendo. Aminta, oh dio!

lasciami.

AMINTA

Non fia ver.

ARISTEA

Lasciami, Argene.

ARGENE

Non lo sperar.

MEGACLE

Senz'Aristea non posso,

non deggio viver più.

ARISTEA

Morir vogl'io

dove Megacle è morto.

AMINTA

(a Megacle)

Attendi.

ARGENE

(ad Aristea)

Ascolta.

MEGACLE

Che attender?

ARISTEA

Che ascoltar?

MEGACLE

Non si ritrova

più conforto per me.

ARISTEA

Per me nel mondo

non v'è più che sperar.

MEGACLE

Serbarmi in vita... -

ARISTEA

Impedirmi la morte... -

MEGACLE

- ...indarno tu pretendi.

ARISTEA

- ...in van presumi.

AMINTA

(volendo trattener Megacle che gli fugge)

Ferma.

ARGENE

(volendo trattener Aristea come sopra)

Senti, infelice.

(incontrandosi a mezzo il teatro)

ARISTEA

Oh stelle!

MEGACLE

Oh numi!

ARISTEA

Megacle!

MEGACLE

Principessa!

ARISTEA

Ingrato! E tanto

m'odii dunque e mi fuggi,

che, per esserti unita

s'io m'affretto a morir, tu torni in vita?

MEGACLE

Vedi a qual segno è giunta,

adorata Aristea, la mia sventura;

io non posso morir: trovo impedite

tutte le vie, per cui si passa a Dite.

ARISTEA

Ma qual pietosa mano...

Scena seconda

Alcandro e detti.

ALCANDRO

Oh sacrilego! Oh insano!

Oh scellerato ardir!

ARISTEA

Vi sono ancora

nuovi disastri, Alcandro?

ALCANDRO

In questo istante

rinasce il padre tuo.

ARISTEA

Come!

ALCANDRO

Che orrore,

che ruina, che lutto,

se 'l ciel non difendea, n'avrebbe involti!

ARISTEA

Perché?

ALCANDRO

Già sai che per costume antico

questo festivo dì con un solenne

sacrifizio si chiude. Or mentre al tempio

venìa fra' suoi custodi

la sacra pompa a celebrar Clistene,

perché non so, né da qual parte uscito,

Licida impetuoso

ci attraversa il cammin. Non vidi mai

più terribile aspetto. Armato il braccio,

nuda la fronte avea, lacero il manto,

scomposto il crin. Dalle pupille accese

uscia torbido il guardo; e per le gote,

d'inaridite lagrime segnate,

traspirava il furore. Urta, rovescia

i sorpresi custodi; al re s'avventa:

«Mori», grida fremendo, e gli alza in fronte

il sacrilego ferro.

ARISTEA

Oh dio!

ALCANDRO

Non cangia

il re sito o color. Severo il guardo

gli ferma in faccia; e in grave suon gli dice:

«Temerario, che fai?». (Vedi se il cielo

veglia in cura de' re!) Gela a que' detti

il giovane feroce. Il braccio in alto

sospende a mezzo il colpo. Il regio aspetto

attonito rimira: impallidisce;

incomincia a tremar: gli cade il ferro;

e dal ciglio, che tanto

minaccioso parea, prorompe il pianto.

ARISTEA

Respiro.

ALCANDRO

Oh folle!

AMINTA

Oh sconsigliato!

ARISTEA

Ed ora

il genitor che fa?

ALCANDRO

Di lacci avvolto

ha il colpevole innanzi.

AMINTA

(Ah! si procuri

di salvar l'infelice.)

(parte)

MEGACLE

E Licida che dice?

ALCANDRO

Alle richieste

nulla risponde. È reo di morte, e pare

che no 'l sappia, o no 'l curi. Ognor piangendo

il suo Megacle chiama: a tutti il chiede,

lo vuol da tutti; e fra' suoi labbri, come

altro non sappia dir, sempre ha quel nome.

MEGACLE

Più resister non posso. Al caro amico

per pietà chi mi guida?

ARISTEA

Incauto! E quale

sarebbe il tuo disegno? Il genitore

sa che tu l'ingannasti;

sa che Megacle sei. Perdi te stesso

presentandoti al re; non salvi altrui.

MEGACLE

Col mio principe insieme

almen mi perderò.

(vuol partire)

ARISTEA

Senti. E non stimi

consiglio assai miglior, che il padre offeso

vada a placare io stessa?

MEGACLE

Ah! che di tanto

lusingarmi non so.

ARISTEA

Sì, questo ancora

per te si faccia.

MEGACLE

Oh generosa, oh grande,

oh pietosa Aristea! Facciano i numi

quell'alma bella in questa bella spoglia

lungamente albergar. Ben lo diss'io,

quando pria ti mirai, che tu non eri

cosa mortal. Va, mio conforto...

ARISTEA

Ah basta;

non fa d'uopo di tanto.

Un sol de' guardi tuoi

mi costringe a voler ciò che tu vuoi.

Caro, son tua così,

che per virtù d'amor

i moti del tuo cor

risento anch'io.

Mi dolgo al tuo dolor;

gioisco al tuo gioir;

ed ogni tuo desir

diventa il mio.

(parte)

Scena terza

Megacle ed Argene.

MEGACLE

Deh secondate, o numi,

la pietà d'Aristea. Chi sa se il padre

però si placherà. Troppa ragione

ha di punirlo, è ver; ma della figlia

lo vincerà l'amore. E se no 'l vince?

Oh dio! Potessi almeno

veder come l'ascolta. Argene, io voglio

seguitarla da lungi.

ARGENE

Ah tanta cura

non prender di costui. Vedi che 'l cielo

è stanco di soffrirlo. Al suo destino

lascialo in abbandono.

MEGACLE

Lasciar l'amico! Ah così vil non sono.

Lo seguitai felice

quand'era il ciel sereno,

alle tempeste in seno

voglio seguirlo ancor.

Come dell'oro il fuoco

scopre le masse impure,

scoprono le sventure

de' falsi amici il cor.

(parte)

Scena quarta

Argene, e poi Aminta.

ARGENE

E pure a mio dispetto

sento pietade anch'io. Tento sdegnarmi,

ne ho ragion, lo vorrei; ma in mezzo all'ira,

mentre il labbro minaccia, il cor sospira.

Sarai debole, Argene,

dunque a tal segno? Ah no. Spergiuro! Ingrato!

non sarà ver. Detesto

la mia pietà. Mai più mirar non voglio

quel volto ingannator. L'odio: mi piace

di vederlo punir. Trafitto a morte

se mi cadesse accanto,

non verserei per lui stilla di pianto.

AMINTA

Misero dove fuggo? Oh dì funesto!

Oh Licida infelice!

ARGENE

È forse estinto

quel traditor?

AMINTA

No, ma il sarà fra poco.

ARGENE

Non lo credere, Aminta. Hanno i malvagi

molti compagni; onde giammai non sono

poveri di soccorso.

AMINTA

Or ti lusinghi:

non v'è più che sperar. Contro di lui

gridan le leggi, il popolo congiura,

fremono i sacerdoti. Un sangue chiede

l'offesa maestà. De' sacrifici,

che una colpa interrompe, è il delinquente

vittima necessaria. Ha già deciso

il pubblico consenso. Egli svenato

fia su l'ara di Giove. Esser vi deve

l'offeso re presente; e al sacerdote

porgere il sacro acciaro.

ARGENE

E non potrebbe

rivocarsi il decreto?

AMINTA

E come? Il reo

già in bianche spoglie è avvolto. Il crin di fiori

io coronar gli vidi; e 'l vidi, oh dio!

incamminarsi al tempio. Ah! fors'è giunto:

ah! forse adesso, Argene,

la bipenne fatal gli apre le vene.

ARGENE

Ah no, povero prence!

(piange)

AMINTA

Che giova il pianto?

ARGENE

Ed Aristea non giunse?

AMINTA

Giunse; ma nulla ottenne. Il re non vuole,

o non può compiacerla.

ARGENE

E Megacle?

AMINTA

Il meschino

ne' custodi s'avvenne,

che ne andavano in traccia. Or l'ascoltai

chieder fra le catene

di morir per l'amico: e, se non fosse

ancor ei delinquente,

ottenuto l'avria. Ma un reo per l'altro

morir non può.

ARGENE

L'ha procurato almeno.

Oh forte! Oh generoso! Ed io l'ascolto

senza arrossir? Dunque ha più saldi nodi

l'amistà che l'amore? Ah quali io sento

d'un'emula virtù stimoli al fianco!

Sì, rendiamoci illustri. In fin che dura,

parli il mondo di noi. Faccia il mio caso

meraviglia e pietà: né si ritrovi

nell'universo tutto

chi ripeta il mio nome a ciglio asciutto.

Fiamma ignota nell'alma mi scende:

sento il nume; m'inspira, m'accende,

di me stessa mi rende maggior.

Ferri, bende, bipenni, ritorte,

pallid'ombre, compagne di morte,

già vi guardo, ma senza terror.

(parte)

Scena quinta

Aminta solo.

Fuggi, salvati, Aminta. In queste sponde

tutto è orror, tutto è morte. E dove, oh dio!

senza Licida io vado? Io l'educai

con sì lungo sudore: a regie fasce

io l'innalzai da sconosciuta cuna;

ed or potrei senz'esso

partir così? No. Si ritorni al tempio:

si vada incontro all'ira

dell'oltraggiato re. Licida involva

me ancor ne falli sui:

si mora di dolor, ma accanto a lui.

Son qual per mare ignoto

naufrago passeggiero,

già con la morte a nuoto

ridotto a contrastar.

Ora un sostegno ed ora

perde una stella; al fine

perde la speme ancora

e s'abbandona al mar.

(parte)

Scena sesta

Aspetto esteriore del gran tempio di Giove Olimpico, dal quale si scende per lunga e magnifica scala divisa in vari piani. Piazza innanzi al medesimo con ara ardente nel mezzo. Bosco all'intorno de' sacri ulivi silvestri, donde formavansi le corone per gli atleti vincitori.
Clistene che scende dal tempio, preceduto da un numeroso Popolo, da' suoi Custodi, da Licida in bianca veste coronato da fiori, da Alcandro e dal Coro de' Sacerdoti, de' quali alcuni portano sopra bacili d'oro gli stromenti del sacrificio.

CORO

I tuoi strali terror de' mortali

ah! sospendi, gran padre de' numi,

ah! deponi, gran nume de' re.

PARTE DEL CORO

Fumi il tempio del sangue d'un empio,

che oltraggiò con insano furore,

sommo Giove, un'immago di te.

CORO

I tuoi strali terror de' mortali

ah! sospendi, gran padre de' numi,

ah! deponi, gran nume de' re.

PARTE DEL CORO

L'onde chete del pallido Lete

l'empio varchi; ma il nostro timore

ma il suo fallo portando con sé.

CORO

I tuoi strali terror de' mortali

ah! sospendi, gran padre de' numi,

ah! deponi, gran nume de' re.

CLISTENE

Giovane sventurato, ecco vicino

de' tuoi miseri dì l'ultimo istante.

Tanta pietade (e mi punisca Giove

se adombro il ver) tanta pietà mi fai,

che non oso mirarti. Il ciel volesse

che potess'io dissimular l'errore:

ma non lo posso, o figlio. Io son custode

della ragion del trono. Al braccio mio

illesa altri la diede;

e renderla degg'io

illesa o vendicata a chi succede.

Obbligo di chi regna

necessario è così, come penoso,

il dover con misura esser pietoso.

Pur se nulla ti resta

a desiar, fuor che la vita, esponi

libero il tuo desire. Esserne io giuro

fedele esecutor. Quanto ti piace,

figlio, prescrivi; e chiudi i lumi in pace.

LICIDA

Padre, che ben di padre,

non di giudice e re, que' detti sono,

non merito perdono,

non lo spero, no 'l chiedo, e no 'l vorrei.

Afflisse i giorni miei

di tal modo la sorte,

ch'io la vita pavento, e non la morte.

L'unico de' miei voti

è il riveder l'amico

pria di spirar. Già ch'ei rimase in vita,

l'ultima grazia imploro

d'abbracciarlo una volta, e lieto io moro.

CLISTENE

T'appagherò.

(alle guardie)

Custodi,

Megacle a me.

ALCANDRO

Signor, tu piangi! E quale

eccessiva pietà l'alma t'ingombra?

CLISTENE

Alcandro, lo confesso,

stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,

la voce di costui nel cor mi desta

un palpito improvviso,

che lo risente in ogni fibra il sangue.

Fra tutti i miei pensieri

la cagion ne ricerco, e non la trovo.

Che sarà, giusti dèi, questo ch'io provo?

Non so donde viene

quel tenero affetto

quel moto, che ignoto

mi nasce nel petto;

quel gel, che le vene

scorrendo mi va.

Nel seno a destarmi

sì fieri contrasti

non parmi che basti

la sola pietà.

Scena settima

Megacle fra le Guardie e detti.

LICIDA

Ah! vieni, illustre esempio

di verace amistà: Megacle amato,

caro Megacle, vieni.

MEGACLE

Ah qual ti trovo,

povero prence!

LICIDA

Il rivederti in vita

mi fa dolce la morte.

MEGACLE

E che mi giova

una vita, che invano

voglio offrir per la tua? Ma molto innanzi,

Licida, non andrai. Noi passeremo

ombre amiche indivise il guado estremo.

LICIDA

O delle gioie mie, de' miei martiri,

finché piacque al destin, dolce compagno,

separarci convien. Poiché siam giunti

agli ultimi momenti,

quella destra fedel porgimi, e senti.

Sia preghiera, o comando

vivi; io bramo così. Pietoso amico

chiudimi tu di propria mano i lumi;

ricordati di me. Ritorna in Creta

al padre mio... (Povero padre! A questo

preparato non sei colpo crudele.)

Deh tu l'istoria amara

raddolcisci narrando. Il vecchio afflitto

reggi, assisti, consola;

lo raccomando a te. Se piange, il pianto

tu gli asciuga sul ciglio;

e in te, se un figlio vuol, rendigli un figlio.

MEGACLE

Taci: mi fai morir.

CLISTENE

Non posso, Alcandro,

resister più. Guarda que' volti: osserva

que' replicati amplessi,

que' teneri sospiri e que' confusi

fra le lagrime alterne ultimi baci.

Povera umanità!

ALCANDRO

Signor, trascorre

l'ora permessa al sacrifizio.

CLISTENE

È vero.

Olà, sacri ministri,

la vittima prendete. E voi, custodi,

dall'amico infelice

dividete colui.

(son divisi da' sacerdoti e da' custodi)

MEGACLE

Barbari! Ah voi

avete dal mio sen svelto il cor mio!

LICIDA

Ah dolce amico!

MEGACLE

Ah caro prence!

(guardandosi da lontano)

LICIDA E MEGACLE

Addio!

CORO

I tuoi strali terror de' mortali

ah! sospendi, gran padre de' numi,

ah! deponi, gran nume de' re.

Nel tempo che si canta il coro, Licida va ad inginocchiarsi a' piè dell'ara appresso al Sacerdote. Il Re prende la sacra scure, che gli vien presentata sopra un bacile da un de' Ministri del tempio; e, nel porgerla al Sacerdote canta i seguenti versi, accompagnati da grave sinfonia.

CLISTENE

O degli uomini padre e degli dèi,

onnipotente Giove,

al cui cenno si move

il mar, la terra, il ciel; di cui ripieno

è l'universo, e dalla man di cui

pende d'ogni cagione e d'ogni evento

la connessa catena;

questa, che a te si svena,

sacra vittima accogli. Essa i funesti,

che ti splendono in man, folgori arresti.

(nel porgere la scure al sacerdote viene interrotto da Argene)

Scena ottava

Argene e detti.

ARGENE

Fermati, o re. Fermate,

sacri ministri.

CLISTENE

Oh insano ardir! Non sai,

ninfa, qual opra turbi?

ARGENE

Anzi più grata

vengo a renderla a Giove. Una io vi reco

vittima volontaria ed innocente,

che ha valor, che ha desio

di morir per quel reo.

CLISTENE

Qual è?

ARGENE

Son io.

MEGACLE

(Oh bella fede!)

LICIDA

(Oh mio rossor!)

CLISTENE

Dovresti

saper che al debil sesso

pe 'l più forte morir non è permesso.

ARGENE

Ma il morir non si vieta

per lo sposo a una sposa. In questa guisa

so che al tessalo Admeto

serbò la vita Alceste; e so che poi

l'esempio suo divenne legge a noi.

CLISTENE

Che perciò? Sei tu forse

di Licida consorte?

ARGENE

Ei me ne diede

in pegno la sua destra e la sua fede.

CLISTENE

Licori, io, che t'ascolto,

son più folle di te. D'un regio erede

una vil pastorella

dunque...

ARGENE

Né vil son io,

né son Licori. Argene ho nome: in Creta

chiara è del sangue mio la gloria antica:

e, se giurommi fé, Licida il dica.

CLISTENE

Licida, parla.

LICIDA

(È l'esser menzognero

questa volta pietà.) No, non è vero.

ARGENE

Come! E negar lo puoi? Volgiti, ingrato;

riconosci i tuoi doni,

se me non vuoi. L'aureo monile è questo,

che nel punto funesto

di giurarmi tua sposa

ebbi da te. Ti risovvenga almeno

che di tua man me ne adornasti il seno.

LICIDA

(Pur troppo è ver.)

ARGENE

Guardalo, o re.

CLISTENE

(alle guardie che vogliono allontanarla a forza)

Dinanzi

mi si tolga costei.

ARGENE

Popoli, amici,

sacri ministri, eterni dèi, se pure

n'è alcun presente al sacrifizio ingiusto,

protesto innanzi a voi; giuro ch'io sono

sposa a Licida, e voglio

morir per lui: né... Principessa, ah! vieni;

soccorrimi: non vuole

udirmi il padre tuo.

Scena nona

Aristea e detti.

ARISTEA

Credimi, o padre,

è degna di pietà.

CLISTENE

Dunque volete

ch'io mi riduca a delirar con voi?

Parla; ma siano brevi i detti tuoi.

ARGENE

Parlino queste gemme,

(porge il monile a Clistene)

io tacerò. Van di tai fregi adorne

in Elide le ninfe?

CLISTENE

(lo guarda e si turba)

Ahimè, che miro!

Alcandro riconosci

questo monil?

ALCANDRO

Se il riconosco? È quello

che al collo avea, quando l'esposi all'onde,

il tuo figlio bambin.

CLISTENE

Licida (oh dio!

tremo da capo a piè). Licida, sorgi,

guarda: è ver che costei

l'ebbe in dono da te?

LICIDA

Però non debbe

morir per me. Fu la promessa occulta,

non ebbe effetto; e col solenne rito

l'imeneo non si strinse.

CLISTENE

Io chiedo solo

se il dono è tuo.

LICIDA

Sì.

CLISTENE

Da qual man ti venne?

LICIDA

A me donollo Aminta.

CLISTENE

E questo Aminta

chi è?

LICIDA

Quello a cui diede

il genitor degli anni miei la cura.

CLISTENE

Dove sta?

LICIDA

Meco venne;

meco in Elide è giunto.

CLISTENE

Questo Aminta si cerchi.

ARGENE

Eccolo appunto.

Scena decima

Aminta e detti.

AMINTA

(vuol abbracciarlo)

Ah, Licida...

CLISTENE

T'accheta.

Rispondi, e non mentir. Questo monile

donde avesti?

AMINTA

Signor, da mano ignota,

già scorse il quinto lustro

ch'io l'ebbi in don.

CLISTENE

Dov'eri allor?

AMINTA

Là, dove

in mar presso a Corinto

sbocca il torbido Asopo.

ALCANDRO

(guardando attentamente Aminta)

(Ah! ch'io rinvengo

delle note sembianze

qualche traccia in quel volto. Io non m'inganno:

certo egli è desso.)

(inginocchiandosi)

Ah! d'un antico errore

mio re, son reo. Deh me 'l perdona: io tutto

fedelmente dirò.

CLISTENE

Sorgi, favella.

ALCANDRO

Al mar, come imponesti,

non esposi il bambin: pietà mi vinse.

Costui straniero, ignoto

mi venne innanzi, e gliel donai, sperando

che in rimote contrade

tratto l'avrebbe.

CLISTENE

E quel fanciullo, Aminta,

dov'è? Che ne facesti?

AMINTA

Io... (Quale arcano

ho da scoprir!)

CLISTENE

Tu impallidisci! Parla,

empio; di', che ne fu? Tacendo aggiungi

all'antico delitto error novello.

AMINTA

L'hai presente, o signor: Licida è quello.

CLISTENE

Come! non è di Creta

Licida il prence?

AMINTA

Il vero prence in fasce

finì la vita. Io, ritornato appunto

con lui bambino in Creta, al re dolente

l'offersi in dono: ei dell'estinto in vece

al trono l'educò per mio consiglio.

CLISTENE

(abbracciandolo)

Oh numi! ecco Filinto, ecco il mio figlio.

ARISTEA

Stelle!

LICIDA

Io tuo figlio?

CLISTENE

Sì. Tu mi nascesti

gemello ad Aristea. Delfo m'impose

d'esporti al mar bambino, un parricida

minacciandomi in te.

LICIDA

Comprendo adesso

l'orror che mi gelò, quando la mano

sollevai per ferirti.

CLISTENE

Adesso intendo

l'eccessiva pietà, che nel mirarti

mi sentivo nel cor.

AMINTA

Felice padre!

ALCANDRO

Oggi molti in un punto

puoi render lieti.

CLISTENE

E lo desio. D'Argene

Filinto il figlio mio,

Megacle d'Aristea vorrei consorte;

ma Filinto, il mio figlio, è reo di morte.

MEGACLE

Non è più reo, quando è tuo figlio.

CLISTENE

È forse

la libertà de' falli

permessa al sangue mio? Qui viene ogni altro

valore a dimostrar, l'unico esempio

esser degg'io di debolezza? Ah questo

di me non oda il mondo. Olà, ministri,

risvegliate su l'ara il sacro fuoco.

Va, figlio, e mori. Anch'io morrò fra poco.

AMINTA

Che giustizia inumana!

ALCANDRO

Che barbara virtù!

MEGACLE

Signor, t'arresta.

Tu non puoi condannarlo. In Sicione

sei re, non in Olimpia. È scorso il giorno,

a cui tu presiedesti. Il reo dipende

dal pubblico giudizio.

CLISTENE

E ben s'ascolti

dunque il pubblico voto. A pro del reo

non prego, non comando, e non consiglio.

CORO DI SACERDOTI E POPOLO

Viva il figlio delinquente,

perché in lui non sia punito

l'innocente genitor.

Né funesti il dì presente,

né disturbi il sacro rito

un'idea di tanto orror.

Segue il ballo di Dame greche del Séguito d'Aristea e di Atleti olimpici.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/05/2016
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima