L'OCCASIONE FA IL LADRO
Burletta per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.
Codice QR per arrivare a questa pagina:
Libretto di Luigi PRIVIDALI.
Musica di Gioachino ROSSINI.
Prima esecuzione: 24 novembre 1812, Venezia.
Personaggi:
Don EUSEBIO zio di |
tenore |
BERENICE sposa del |
soprano |
Conte ALBERTO |
tenore |
Don PARMENIONE |
basso |
ERNESTINA |
mezzosoprano |
MARTINO servo |
basso |
Camerieri di locanda, Servi di don Eusebio, che non parlano.
La scena si finge a Napoli, e suoi dintorni.
[N. 1 - Sinfonia e Introduzione]
Sala in un albergo di campagna, che introduce in diverse stanze numerate. Notte oscura e tempestosa.
Don Parmenione, che mangia e beve ad una tavola rusticamente imbandita e rischiarata da un lucerniere: Martino seduto in disparte, che approfitta dei di lui avanzi, malgrado lo spavento che soffre al fragore dei tuoni, ed al chiaror dei lampi.
PARMENIONE
Frema in cielo il nembo irato,
scoppi il tuono e fischi il vento;
che qui placido e contento
io mi voglio ristorar.
Quanto è dolce il mar turbato
dalle sponde il contemplar!
(tuoni)
MARTINO
(si spaventa)
Ah saette maledette,
deh lasciatemi mangiar!
PARMENIONE
Cos'è stato?
MARTINO
Eh niente, niente.
PARMENIONE
Ma tu tremi.
MARTINO
Ah! non signore.
PARMENIONE
Tien, e mangia allegramente.
MARTINO
Tante grazie...
(tuono)
Ohimè, che orrore!
(lascia cadere il piatto ricevuto dal padrone e vuol fuggire)
PARMENIONE
Senti, olà!
MARTINO
(si ferma)
Che comandate?
PARMENIONE
Dove vai?
MARTINO
Non m'arrestate.
PARMENIONE
Scaccia, bestia, il tuo timore.
MARTINO
Non vi posso contentar.
PARMENIONE
Cosa fai là sciocco in piè?
Siedi qui vicino a me.
Se anche vedi il ciel cascar,
mangia, bevi e non badar.
MARTINO
Voi morir mi fate affé,
o seduto, o stando in piè.
Par che debba il ciel cascar.
Come posso non tremar?
(Don Parmenione sforza il suo servo a sedere vicino a lui, facendolo tacere e mangiare, per quanto è possibile, tranquillamente)
Il conte Alberto, accompagnato da un Domestico, il quale, dopo aver gettato la valigia del padrone a canto a quella di don Parmenione, si addormenta sopra una panca, e detti.
ALBERTO
Il tuo rigore insano,
fiero destin, sospendi:
quel dio d'amore offendi,
che scorta mia si fa.
Tu gli elementi invano
a danno mio fomenti;
di te, degli elementi
amor trionferà.
(tuono e lampo)
MARTINO
Misericordia!... Aiuto!
(cade con la sedia)
ALBERTO
Chi è là?
PARMENIONE
Siam noi.
ALBERTO
Chi siete?
PARMENIONE
Dal tempo trattenuto
qui un forestier vedete.
ALBERTO
E la cagion medesima
me pur condotto ha qua.
MARTINO
E chi sa quando il diavolo
da qui ci porterà!
PARMENIONE
Dunque facciamo un brindisi
con questo vin perfetto.
ALBERTO
L'amico invito accetto
di vostra urbanità.
(stando in piedi empiono i bicchieri, mentre timoroso Martino sta in disparte osservandoli)
PARMENIONE E ALBERTO
Viva Bacco il dio del vino,
viva il sesso femminino!
che al piacer ogn'alma desta,
che fa i cori giubilar;
e anche in mezzo alla tempesta
sa i perigli disprezzar.
MARTINO
Che terribile destino
a tai pazzi star vicino!
Riscaldata han già la testa
non san più cos'han da far;
ma già un fulmine la festa
viene or ora a terminar.
(toccano i bicchieri, e li vuotano, poi si rimettono a sedere)
ALBERTO
Grato conforto è l'incontrar per viaggio
un passeggier cortese!
PARMENIONE
Il fortunato
in caso tal son io.
ALBERTO
Bene obbligato.
Se v'aggrada, possiamo
a Napoli recarci in compagnia.
PARMENIONE
Quella, signor, non è la strada mia.
MARTINO
Come!
PARMENIONE
A che c'entri tu?
ALBERTO
Me ne dispiace;
perché in paese ignoto
fra tanta oscurità può facilmente
l'un per l'altro cammin prendere in fallo,
chi solo, come me, viaggia a cavallo.
PARMENIONE
Esser deve l'affar di gran premura,
che a Napoli vi chiama.
ALBERTO
Un matrimonio.
PARMENIONE
Bravo!
ALBERTO
Certo.
PARMENIONE
La sposa
voi conoscete?
ALBERTO
Ohibò. Molto impaziente
sono anzi di vederla, e giacché parmi,
che la tempesta omai sia per finire,
con vostra permission voglio partire.
PARMENIONE
Come v'aggrada.
MARTINO
E noi?
PARMENIONE
Taci.
ALBERTO
Su presto
le valigie riprendi, andiam, che ho fretta.
Vi ringrazio di nuovo, e vi saluto.
PARMENIONE
Mille felicità.
ALBERTO
Molto tenuto.
(Alberto scuote il suo servo, che non ben desto ancora, prende senza avvedersi la valigia dell'altro forestiere per quella del suo padrone, e lentamente con lui s'allontana)
Parmenione, Martino.
MARTINO
E noi qui che facciam?
PARMENIONE
Noi partiremo.
MARTINO
Per Napoli?
PARMENIONE
Si sa.
MARTINO
Ma perché dire
di non volerci andar, perché con l'altro
uniti non ci siam?
PARMENIONE
Perché non voglio
far sapere ad ognuno i fatti miei,
perché soffrir non posso,
d'andar con chi può farmi i conti addosso.
MARTINO
Sarà bene così.
PARMENIONE
Paghiamo il conto,
e poi si vada.
(va per aprire la valigia, dove tiene il denaro)
MARTINO
A meraviglia.
PARMENIONE
Oh bella!
(si sforza inutilmente d'aprir la valigia)
MARTINO
Cos'è?
PARMENIONE
Per tua indolenza il forestiere
con la valigia sua cambiò la mia.
MARTINO
Credo, che un mal per voi questo non sia.
PARMENIONE
Che dici?
MARTINO
Eh c'intendiam.
PARMENIONE
Presto, va'...
MARTINO
Dove?
PARMENIONE
Le mie carte... il denaro... il passaporto...
Corri...
MARTINO
Ma dove mai?
PARMENIONE
Corri a cercarlo.
MARTINO
Nel suo galoppo, al buio ove trovarlo?
PARMENIONE
Ma intanto?...
MARTINO
Intanto approfittar bisogna
del favor della sorte.
PARMENIONE
E vuoi?...
MARTINO
Lasciate,
ch'ei sia l'indagator di tal scoperta.
PARMENIONE
Cosa fai?
MARTINO
Cosa faccio? Eccola aperta.
(spezza il lucchetto, strappa la catena ed apre la valigia)
PARMENIONE
Oh che ribaldo!
MARTINO
Zitto: ecco una borsa.
PARMENIONE
Lascia star...
MARTINO
Quante gioie! Oh! oh! un ritratto.
PARMENIONE
Mostralo.
MARTINO
Che vi par?
PARMENIONE
Che bella cosa!
MARTINO
Chi diavolo sarà?
PARMENIONE
Quest'è la sposa.
MARTINO
Buono! Qui c'è un grand'abito da gala.
PARMENIONE
Oh, che vaga, e gentil fisionomia!
MARTINO
Che fina biancheria!
PARMENIONE
M'incanta.
MARTINO
Un passaporto...
PARMENIONE
Un passaporto!
(lo prende)
MARTINO
Certo: e molte cambiali. Io ve l'ho detto,
che non vi pentirete.
PARMENIONE
Oh che bel colpo!
Più resister non posso.
MARTINO
Ebben?...
PARMENIONE
Si faccia.
MARTINO
Come!
PARMENIONE
Riponi presto entro ogni cosa.
MARTINO
E volete?...
PARMENIONE
Per me voglio la sposa.
[N. 2 - Aria]
PARMENIONE
Che sorte, che accidente,
che sbaglio fortunato!
Amor mi vuol beato,
ed io ringrazio amor.
Martino, allegramente!
andiamo a farci onor.
MARTINO
Ma come?...
PARMENIONE
Che scioccone!
Non sai capir?
MARTINO
Che cosa?
PARMENIONE
Osserva che boccone,
che pasta deliziosa
considera il mio cor.
MARTINO
Piuttosto d'un bastone
vi toccherà il favor.
PARMENIONE
Che bestia, che buffone,
che ignobile timor!
D'arrogarsi un nome finto
veramente il passo è ardito,
e può mettermi in procinto
di mangiare il pan pentito;
ma se l'oro all'altro io rendo,
se rinunzio a ogn'altro effetto,
l'interesse non offendo,
non pregiudico l'onor.
E poi questo bel visetto
fa scusabile ogni error.
MARTINO
Ebben don Parmenione?...
PARMENIONE
Io sono il conte Alberto.
MARTINO
Alberto voi?
PARMENIONE
Sì certo.
È questo il passaporto,
che mi conduce in porto;
è questo il gran ricapito,
che ha sottoscritto amor.
MARTINO
Ma per pietà...
PARMENIONE
Finiscila...
Non odo i tuoi consigli,
non curo più perigli:
amore bricconcello,
m'ha colto nel cervello;
e questa cara immagine
mi pizzica, mi stuzzica,
in petto mi fa crescere
dall'allegrezza il cor.
(Martino ripone tutti gli effetti nella valigia, e portandola seco, segue il padrone, che pieno d'entusiasmo lo ha preceduto)
Grand'atrio terreno in casa della marchesa elegantemente addobbato, con ampio verone di prospetto, che mette nel giardino, e con varie porte laterali, che introducono ai rispettivi loro appartamenti.
Don Eusebio, Ernestina, Servi.
EUSEBIO
Non lo permetto.
ERNESTINA
Il mio dover...
EUSEBIO
Scusate:
dell'urbano trattar so la maniera.
ERNESTINA
Ma in questa casa io son per cameriera.
EUSEBIO
Il caso vostro esige
rispetto, e compassione, e mia nipote
sua compagna vi chiama, e non sua serva.
ERNESTINA
So, che molta bontà per me conserva,
ma in circostanze tali...
EUSEBIO
È ver, si tratta
d'un sposalizio in grande;
e lo sposo da noi splendidamente
oggi si accoglierà.
ERNESTINA
Dunque...
EUSEBIO
Per questo
in uffizi servili il vostro grado
non dovete abbassar; ché se vi piace
manifestar per noi qualche premura,
agli altri il comandar sia vostra cura.
ERNESTINA
Ebben, permetterete?...
EUSEBIO
Anzi: a voi, presto
attenti i cenni suoi tutti ascoltate
e quanto essa dirà, fate e disfate.
(via)
ERNESTINA
Eppur del mio destino
non mi posso lagnar, se in mezzo a tante
mie sciagure infinite...
Basta, non ci pensiam: voi mi seguite.
(parte coi servi)
Berenice, indi Ernestina, e detta.
[N. 3 - Cavatina]
BERENICE
Vicino è il momento,
che sposa sarò.
Eppure contento
il core non ho.
Il solito ardire
non trovo più in me,
mi sento languire,
né intendo perché.
Mal dal timore oppressa
la mia ragion non resti:
arbitra di sé stessa
l'anima mia si desti;
e ceda solo ai palpiti
d'un corrisposto amor.
Sposarsi ad un, che non s'è mai veduto,
senza saper, se brutto, o bello ei sia,
mi sembra una pazzia;
ma un certo non so che se in lui non trovo,
che col mio modo di pensar combina...
Oh, te appunto io volea, cara Ernestina!
ERNESTINA
Comandate.
BERENICE
Io per te non ho comandi.
ERNESTINA
Ma almen...
BERENICE
Già sai che al figlio d'un suo amico
il mio buon genitor pria di morire
destinò la mia man.
ERNESTINA
Lo intesi a dire.
BERENICE
E sai, che dopo i viaggi suoi lontani
questo sposo a me ignoto
oggi qui giungerà?
ERNESTINA
Ciò pur m'è noto.
BERENICE
Nell'incertezza, ch'ei mi piaccia, e ch'io
a lui possa piacer, mia dolce amica,
ho bisogno di te.
ERNESTINA
Parlate.
BERENICE
Io voglio
cambiar teco di nome.
ERNESTINA
In qual maniera?
BERENICE
Diventando tu sposa, io cameriera.
ERNESTINA
Che dirà vostro zio?
BERENICE
Con noi d'accordo
seconderà il progetto.
ERNESTINA
E qual motivo
v'induce?
BERENICE
E che, non lo conosci ancora?
Di noi due vo' scoprir chi l'innamora.
ERNESTINA
Pensate...
BERENICE
Ho già pensato.
ERNESTINA
Un tal pretesto...
BERENICE
Tu pensa a compiacermi, io penso al resto.
Don Parmenione in abito da gala, e Martino.
PARMENIONE
Eccomi al gran cimento.
MARTINO
Aiuto!
PARMENIONE
Cosa fai?
MARTINO
Tremo all'aspetto
della tempesta, che per noi s'imbruna.
PARMENIONE
Eh, bisogna arrischiar, per far fortuna.
MARTINO
Ma se...
PARMENIONE
Taci, ubbidisci, e fa', che ognuno
sia dell'arrivo tuo tosto informato.
MARTINO
Già non guarisce mai, chi pazzo è nato.
(via)
PARMENIONE
L'unico dubbio mio sta nel sapere,
se sono il preceduto, o il precedente;
ma d'ogni inconveniente
mi trarran questi fogli: e giacché a tutto
son pronto a rinunziar, fuorché alla sposa,
non sarà il fallo mio, poi sì gran cosa.
Chi mai s'avanza? È dessa... oh che portento!
Fatti onor Parmenione, il primo omaggio
si vada a tributarle.
Ernestina, e Parmenione
ERNESTINA
(Alma coraggio!)
[N. 4 - Quintetto]
PARMENIONE
Quel gentil, quel vago oggetto,
che a voi sposo il ciel destina,
tutto foco s'avvicina
alla cara sua metà.
ERNESTINA
Io m'inchino con rispetto
alla vostra civiltà.
PARMENIONE
(Non s'accorda col ritratto.)
ERNESTINA
(È bizzarro, ma grazioso.)
PARMENIONE
(Eh non serve! il colpo è fatto.)
ERNESTINA
(S'egli fosse almen mio sposo.)
ERNESTINA E PARMENIONE
(Ma non parla?... Cosa fa?...)
PARMENIONE
Marchesina!
ERNESTINA
Mio contino!
PARMENIONE
Io son qui.
ERNESTINA
Qui sono anch'io.
PARMENIONE
Posso?...
ERNESTINA
Andiamo da mio zio,
che al vedervi esulterà.
PARMENIONE
Con voi sono, a voi m'arrendo
lucidissima mia stella!
qual s'arrende il pulcinella
a chi muovere lo fa.
ERNESTINA
(Più lo guardo, più m'accendo
a quel garbo, a tanto brio.)
Andiam presto da mio zio,
che al vedervi esulterà.
(via)
Alberto, e Berenice da parti opposte incontrandosi.
ALBERTO
Se non m'inganna il core
coi palpiti, ch'io provo,
quella beltà in voi trovo,
che sposa mia sarà.
BERENICE
Degna d'un tanto onore
no, mio signor, non sono;
altra l'illustre dono
di vostra man godrà.
ALBERTO
Come?
BERENICE
Vi ho detto il vero.
ALBERTO
Dunque?...
BERENICE
In error voi siete.
ALBERTO
Ma voi?...
BERENICE
Non conto un zero.
ALBERTO
La sposa mia?...
BERENICE
Vedrete.
ALBERTO
Mi sembra un impossibile.
BERENICE
Vero vi sembrerà.
ALBERTO
Oh sventurato errore,
oh perdita affannosa!
Perché non è mia sposa
questa gentil beltà?
BERENICE
Oh generoso amore,
oh mio destin beato!
Sposo di lui più grato
l'alma bramar non sa.
Don Eusebio, e detti, indi don Parmenione con Ernestina.
EUSEBIO
Dov'è questo sposo?
BERENICE
È qui per l'appunto.
EUSEBIO
Oh siete alfin giunto!
ALBERTO
Vi son servitor.
PARMENIONE
Dov'è questo zio?
ERNESTINA
È lì, no 'l vedete?
PARMENIONE
Oh alfin permettete...
EUSEBIO
Chi siete signor?
PARMENIONE
Io son don Alberto
or vostro parente.
BERENICE
Voi proprio?
PARMENIONE
Sì certo.
ALBERTO
Ed io?...
PARMENIONE
Non so niente.
BERENICE, ERNESTINA E EUSEBIO
Che strana sorpresa,
che caso inaudito!
Chi è il vero marito,
chi è mai l'impostor?
ALBERTO E PARMENIONE
Ravviso il rivale,
conosco l'imbroglio;
ma ardito esser voglio,
qui vano è il timor.
EUSEBIO
Orsù, spiegatevi.
ALBERTO, PARMENIONE
Cosa ho da dire?
BERENICE
Legittimatevi.
ERNESTINA
Fate sentire...
ALBERTO
Io son lo sposo.
PARMENIONE
Quello son io.
EUSEBIO
Le prove io voglio, perché son zio.
PARMENIONE
Le prove? Subito: eccole qua.
ALBERTO
Le prove? Oh perfida temerità!
EUSEBIO
Tutto va in regola.
PARMENIONE
Mi son spiegato.
BERENICE E ERNESTINA
Voi state mutolo.
ALBERTO
Sono ingannato.
PARMENIONE
Non gli credete, non gli badate;
queste son frottole male inventate.
Ch'io son lo sposo provato è già.
EUSEBIO
Dunque lasciateci in libertà.
ALBERTO
La mia valigia, gli effetti miei
prima tu rendere, vile, mi déi,
e poi del resto si parlerà.
EUSEBIO
Dunque lasciateci in libertà.
ALBERTO
Spoglia quell'abito.
PARMENIONE
Meglio parlate.
EUSEBIO
Questa è una cabala.
PARMENIONE
Non v'alterate.
EUSEBIO
Posso...
PARMENIONE
Tacete.
ALBERTO
Voglio...
PARMENIONE
Finite.
EUSEBIO
Sono...
PARMENIONE
Cedete.
ALBERTO
Sento...
PARMENIONE
Partite.
BERENICE E ERNESTINA
Ma via calmatevi per carità.
TUTTI
Di tanto equivoco, di tal disordine
nel cupo, orribile, confuso vortice
urta, precipita, s'avvolge, rotola,
perduto il cerebro per aria va.
Ma si dissimuli, che senza strepito
già tutto in seguito si scoprirà.
Martino, poi don Eusebio.
MARTINO
Non so più cosa far. Cauto m'impone
il timor del bastone
d'evitar chi si sia: vuol l'appetito,
che ad incontrar qualche pagnotta io vada;
onde trovando, o non trovando alcuno,
bastonato morir devo, o digiuno.
EUSEBIO
Voi chi siete?
MARTINO
(Ecco il caso.)
EUSEBIO
Ebben?
MARTINO
Signore!...
Io sono il servitore...
EUSEBIO
Del forestiero?
MARTINO
Appunto.
EUSEBIO
E qui che fate?
MARTINO
Io? Niente.
EUSEBIO
Dunque andate.
MARTINO
Vorrei...
EUSEBIO
Non serve il replicar.
MARTINO
Ma almeno...
EUSEBIO
Andate dico.
MARTINO
E dove?
EUSEBIO
Oh che insensato!
in cucina a mangiar.
MARTINO
(Ripiglio fiato.)
(via)
Ernestina, indi Alberto.
[N. 5 - Recitativo ed Aria]
ERNESTINA
Oh qual destino è il mio! Perdo un ingrato
che mi sedusse: a vagheggiarmi un nuovo
amante arriva, e questi...
ALBERTO
Oh alfin vi trovo!
ERNESTINA
Che cercate, signor?
ALBERTO
Ragione io cerco
dell'insulto sofferto.
ERNESTINA
E sostenete ancor?...
ALBERTO
D'essere Alberto.
ERNESTINA
Il vostro ardir...
ALBERTO
È quell'ardir, che nasce
dal vero onor. Da un impostor tradito,
dall'apparenza condannato io sono;
ma il dritto mio, lo sbaglio vostro in breve
risarcito sarà.
ERNESTINA
Qualunque dritto
meco, signor, voi richiamate invano,
che vostra esser non può mai questa mano.
ALBERTO
Voi dunque in mio danno
i torti vostri agli altrui torti unite?
Se un preventivo, e fortunato affetto
occupa il vostro cor, approvo, e lodo
sì bella ingenuità; ma se v'induce
un error tanto ingiusto ad insultarmi,
trovar la via saprò di vendicarmi.
D'ogni più sacro impegno
sciolta pur sia la fede,
amor da voi non chiede
chi amor per voi non ha.
Pèra, chi vuol costringere
d'un cor la libertà.
Ma se un sospetto indegno
di soverchiarmi intende,
quel generoso sdegno,
che il mio decoro accende,
dalla ragione armato,
un vano ardir confondere,
e impallidir farà.
(parte)
ERNESTINA
Quei fermi accenti, quel sicuro aspetto
nel mirar, nel sentire,
impossibile par ch'abbia a mentire.
Berenice, indi don Parmenione.
[N. 6 - Duetto]
BERENICE
Per conoscere l'inganno, un espediente
chi m'insegna a trovar? Ho un gran sospetto,
che questo sposo un temerario sia,
un basso avventuriere;
ma il vero come mai si può sapere?
PARMENIONE
(Fino adesso va ben.)
BERENICE
(Voglio provarmi.)
PARMENIONE
Oh! chi vedo?
BERENICE
(inchinandosi)
Signor!...
PARMENIONE
Brava, ragazza:
tu mi piaci.
BERENICE
Davver?
PARMENIONE
Certo: e se trovo
in te condotta, e abilità discreta,
della mia protezione
forse ti onorerò.
BERENICE
(Che mascalzone!)
PARMENIONE
Cosa?
BERENICE
Troppo favore.
PARMENIONE
Io già ho fissato,
dopo il mio sposalizio,
di tener varie donne al mio servizio;
onde...
BERENICE
Dopo?
PARMENIONE
Si sa.
BERENICE
Badate bene
a quel proverbio, che facendo il conto
senza l'oste, talvolta
si va a rischio di farlo un'altra volta.
PARMENIONE
Olà! Men confidenza: e se ti preme
di stare in questa casa,
bada di non mi far mai la dottora,
o ch'io...
BERENICE
Signor! Non siete sposo ancora.
PARMENIONE
Se no 'l son, lo sarò.
BERENICE
Ci son dei dubbi.
PARMENIONE
Quai dubbi?
BERENICE
Che appianar prima dovete,
e poi ci parlerem.
PARMENIONE
Come! in tal guisa
una vil serva in faccia mia favella,
e non trema?
BERENICE
Sbagliate: io non son quella.
PARMENIONE
E chi sei dunque?
BERENICE
Io sono un farfarello,
che girar fa 'l cervello
a chi non ha giudizio.
PARMENIONE
Orsù! T'accheta,
lasciami.
BERENICE
Io son...
PARMENIONE
Via dillo, in tua malora.
BERENICE
Io sono...
PARMENIONE
Una servaccia ardimentosa.
BERENICE
Oh! tutt'altro, signore: io son ~ la sposa.
PARMENIONE
Voi la sposa!
BERENICE
Appunto io stessa.
PARMENIONE
Ma quell'altra?
BERENICE
È mia sorella.
PARMENIONE
(Se ciò ver, l'ho fatta bella.)
BERENICE
(S'incomincia a imbarazzar.)
PARMENIONE
D'un parlar sì stravagante
non son molto persuaso;
pur se quella siete a caso,
il mio sbaglio è da scusar.
BERENICE
Per un vero, e gran birbante
presso ognun qui voi passate;
ma il contrario se provate,
anch'io so quel ch'ho da far.
PARMENIONE
Le mie lettere...
BERENICE
Ho vedute.
PARMENIONE
I ricapiti?...
BERENICE
Li ho letti.
PARMENIONE
Quai son dunque i miei difetti?
BERENICE
Or vi voglio esaminar.
Il padre vostro si porta bene?
PARMENIONE
Egli sanissimo è sempre stato.
BERENICE
Ma se ci ha scritto, ch'era ammalato?
PARMENIONE
Egli ha voluto così scherzar.
BERENICE
Come si chiama vostra sorella?
PARMENIONE
Ha un brutto nome, detta è Pandora.
BERENICE
Nelle sue lettere si scrive Aurora.
PARMENIONE
Io la più giovine volli indicar.
BERENICE
E del processo che nuove avete?
PARMENIONE
Il tribunale ci dà ragione.
BERENICE
Ma qual è il punto della questione?
PARMENIONE
Non so spiegarvelo, lungo è l'affar.
BERENICE
(Non c'è più equivoco, mi trovo a segno,
scoperto è il perfido vile impostore.
Un foco, un impeto mi sento in core,
non so la collera dissimular.)
PARMENIONE
(Sempre più critico divien l'impegno,
d'un passo simile quasi mi pento:
un certo brivido al cor mi sento,
ma forza e spirito convien mostrar.)
BERENICE
E così, contino mio?
PARMENIONE
Cosa far per voi poss'io?
BERENICE
Mi saluti il genitore.
PARMENIONE
Lo farò con tutto il core.
BERENICE
E la cara sua sorella?
PARMENIONE
Sempre è buona quanto bella.
BERENICE
Guadagnato è già il processo?
PARMENIONE
Così almen mi fu promesso.
BERENICE
Dunque tutto va a dovere?
PARMENIONE
Tutto va, come ha d'andar.
BERENICE
Ah uomo petulante,
incomodo, arrogante!
cessate di mentire,
scoperto è il vostro ardire;
voi siete un impostore,
un vile avventuriere,
e queste le maniere
non sono di trattar.
Per forza, o per amore
da qui dovrete andar.
PARMENIONE
Ragazza impertinente,
ridicola, imprudente!
A te non rendo conti,
da te non voglio affronti;
io sono un uom d'onore,
un cavalier son io,
so dire il fatto mio,
so il modo di trattar.
Per forza o per amore
mi voglio vendicar.
Don Eusebio, Ernestina, e Martino.
EUSEBIO
Qui non c'è scampo.
ERNESTINA
Qui parlar bisogna.
MARTINO
Cosa ho da far?
EUSEBIO
La verità ci spiega.
MARTINO
La verità! Ma come mai, signore,
pretenderla si può da un servitore?
ERNESTINA
Meno pretesti.
EUSEBIO
Il tuo padron vogliamo
conoscere da te.
MARTINO
Vorrei...
ERNESTINA
Palesa
il suo nome.
MARTINO
Mi spiace.
EUSEBIO
Il suo casato...
MARTINO
V'assicuro...
ERNESTINA
Il suo stato...
EUSEBIO
Quel che fa.
ERNESTINA
Quel che pensa.
MARTINO
E voi bramate?...
ERNESTINA
Tutto scoprir da te.
MARTINO
Dunque ascoltate...
[N. 7 - Aria]
Il mio padrone è un uomo,
ogun che il vede il sa:
rassembra un galantuomo,
e forse tal sarà.
Vecchio non è, né giovine,
né brutto, né avvenente,
non è un villan, né un principe,
né ricco, né indigente.
È in somma un di quegli esseri
comuni in società.
Portato è per le femmine,
gli piace il vino, e il gioco,
amante è di far debiti,
ma di pagarli poco;
tutto censura, e critica,
benché sia un ignorante,
con tutti fa il sensibile,
ma di sé solo è amante,
procura ognor di vivere
in pace, e in sanità;
è in somma di quegli esseri
comuni in società.
(fugge)
EUSEBIO
Senti, aspetta, ove vai?
(lo insegue)
ERNESTINA
Se fosse vero,
ciò che vero pur sembra, io spererei
di vedere appagati i voti miei.
(parte)
Don Parmenione, ed Alberto incontrandosi.
ALBERTO
Voi qui appunto io cercava.
PARMENIONE
Ed io correva
giusto in traccia di voi.
ALBERTO
Dopo l'eccesso
della vostra impostura
non arrossite ancor?
PARMENIONE
Dopo d'avermi
tolta la mia valigia
mostrate tanto ardir?
ALBERTO
Dei cenci vostri
io non ne so che far.
PARMENIONE
Io non mi curo
delle vostre ricchezze.
ALBERTO
Ebben, sul fatto
io le voglio.
PARMENIONE
Le avrete,
quando gli effetti miei mi renderete.
ALBERTO
E il finto nome, il compromesso onore,
gli ingiusti oltraggi, la mal tolta sposa
chiedon riparo.
PARMENIONE
Oh questa è un'altra cosa!
ALBERTO
Resistete?
PARMENIONE
Si sa.
ALBERTO
Così a un par mio?...
PARMENIONE
Un mio pari risponde.
ALBERTO
Soffrir non so...
PARMENIONE
Ceder non posso...
ALBERTO
Io giuro
che vi farò pentir.
PARMENIONE
Ed io protesto
che non mi pentirò.
Berenice, e detti
BERENICE
Qual chiasso è questo?
PARMENIONE
Tu qui che vuoi?
BERENICE
Più flemma.
ALBERTO
(Oh quanto è bella!)
PARMENIONE
Ebben, che cerchi?
BERENICE
Se per mia disgrazia
lo sposo foste voi, nulla io ricerco;
ma se poi...
ALBERTO
Se la prova,
che lo sposo son io fosse evidente?...
BERENICE
Allor parlerei diversamente.
PARMENIONE
Tanto meglio.
BERENICE
Eh, già so ch'altra v'accende
di me più vaga, e più gentil donzella.
PARMENIONE
La tua padrona, e la mia sposa è quella.
BERENICE
Bravo da ver.
ALBERTO
Dunque restiam d'accordo,
che se l'altra è la sposa, io ve la cedo,
e gli insulti sofferti a voi perdono.
PARMENIONE
Ottimamente.
ALBERTO
Ma del vero Alberto
se il premio è questo, l'usurpato nome,
i lesi dritti, l'onor mio tradito,
e questa man, che m'appartiene, io voglio.
PARMENIONE
E così finirà qualunque imbroglio.
[N. 8 - Recitativo ed Aria]
BERENICE
Ma se incerti voi siete,
quale la sposa sia, dubbia non meno
del mio destin, dell'esser vostro io sono;
né tai patti si fanno in mia presenza,
prima di conseguir la mia licenza.
Voi la sposa pretendete,
voi mi fate il cascamorto:
ma, signori miei, chi siete,
chi ha ragion di voi, chi ha torto?
Se l'intrigo mi sciogliete,
qualche cosa nascerà.
PARMENIONE
Se voi sposa esser bramate,
io non son più il conte Alberto.
ALBERTO
Se il mio cor non rifiutate,
io vi sposo, ancorché incerto.
BERENICE
Che parole inzuccherate.
Che obbligante ingenuità!
Deh non tradirmi, amore,
in sì fatal mistero!
Tu mi rischiara il vero,
in tanta oscurità
PARMENIONE, ALBERTO
Se siete un uom d'onore,
io sono un uom sincero:
si scopra prima il vero,
e poi si parlerà.
BERENICE
E così, nessun favella?
ALBERTO
Mia vi voglio ad ogni costo.
PARMENIONE
Per me scelta ho l'altra bella.
BERENICE
Vo' saper la verità.
ALBERTO
Io v'ho detto.
PARMENIONE
Io v'ho risposto.
ALBERTO, PARMENIONE
Stabilito il patto è già.
BERENICE
Io non soffro quest'oltraggio,
chi voi siete io vo' sapere:
d'ingannarmi chi ha coraggio,
chi ha deciso di tacere,
qui scoperto, smascherato,
vilipeso resterà;
e d'un misero attentato
tardi poi si pentirà.
(parte)
ALBERTO
Fermatevi.
PARMENIONE
Che c'è?
ALBERTO
L'impegno preso
dovete mantener.
PARMENIONE
Son pronto.
ALBERTO
Insieme
verificar dobbiam qual sia la sposa.
PARMENIONE
E poi, come si è detto...
ALBERTO
Il patto convenuto avrà l'effetto.
Don Eusebio, Ernestina, indi don Parmenione.
ERNESTINA
Il suo trascorso alfine
un capriccio sarà, non un delitto.
EUSEBIO
Ma se ancor non parlava il servitore,
io parente sarei d'un impostore.
ERNESTINA
Non mi pare.
EUSEBIO
Perché?
ERNESTINA
Perché diretto
egli aveva a me sola ogni desio.
PARMENIONE
Eccomi al vostro piè, bell'idol mio.
ERNESTINA
Lo sentite?
EUSEBIO
Oh! la burla
v'invito a terminar: già l'esser vostro
più un mistero non è.
PARMENIONE
Se anche lo fosse,
vengo io stesso a finire ogni questione,
e più Alberto non son, son Parmenione.
ERNESTINA
Voi Parmenion di Castelnuovo?
PARMENIONE
Appunto,
del conte Ernesto, or gravemente infermo,
l'amico io son, scelto a inseguir la sua
fuggitiva sorella.
ERNESTINA
Voi trovata l'avete: ecco io son quella.
PARMENIONE
Voi!
EUSEBIO
Che sento!
ERNESTINA
Ah! purtroppo io fui sedotta
da un'alma scellerata,
che vincer non potendo il mio rigore,
sola qui mi lasciò!
PARMENIONE
Che traditore!
EUSEBIO
Or comprendo...
PARMENIONE
Non più: giacché m'è tolto
di punir quell'indegno, all'onor vostro
un riparo sarà forse non vano,
l'offerta ch'io vi fo della mia mano.
[N. 9 - Finale]
Quello, ch'io fui, ritorno,
chiedo all'error perdono:
se sposo vostro io sono,
più che bramar non so.
ERNESTINA
D'un si prezioso dono
l'offerta accetterò.
EUSEBIO
Ma chi sarà frattanto
quell'altro forestiero?
PARMENIONE
Egli è lo sposo vero,
già tutto io vi dirò.
ERNESTINA
Che bel momento è questo!
PARMENIONE
Che fortunato giorno!
EUSEBIO
Io sbalordito resto.
Insieme
PARMENIONE
Io vostro ognor sarò.
ERNESTINA
Io vostra ognor sarò.
ERNESTINA, EUSEBIO E PARMENIONE
A propagar si vada
l'inaspettato evento.
Del giubilo, che sento,
ognuno a parte io vo'.
Alberto, e Berenice.
BERENICE E ALBERTO
Oh quanto son grate
le pene in amore,
se premio al dolore
è un tanto piacer!
BERENICE
Fidarmi poss'io?
ALBERTO
E ancor stai dubbiosa?
BERENICE
Tu sei dunque mio.
ALBERTO
Tu sei la mia sposa.
BERENICE E ALBERTO
Un tenero io provo
tumulto nel petto.
A tanto diletto
si perde il pensier.
Martino, e detti, indi don Eusebio con Ernestina e don Parmenione.
MARTINO
Miei signori, allegramente,
ogni imbroglio è accomodato.
BERENICE
Cosa dici?
ALBERTO
Cosa è stato?
MARTINO
Ciò ch'è stato, non val niente,
buono è ciò che seguirà.
ALBERTO
Dunque?...
BERENICE
Parla...
MARTINO
Appunto or viene,
chi più chiaro parlerà.
EUSEBIO
Ah nipote!
ERNESTINA
Amica mia!
PARMENIONE
Io son vostro servitore.
BERENICE
D'onde vien quest'allegria?
ALBERTO
D'onde mai tal buon umore?
EUSEBIO
Non vedete?
ERNESTINA
Non capite?
PARMENIONE
D'ascoltar se favorite,
tutto noto si farà.
Voi padron mi avete eletto
per un gioco della sorte
delle vostre proprietà:
io per esserlo in effetto,
volli ancor, che la consorte
diventasse mia metà;
e fu sol questo ritratto,
che colpevole mi ha fatto
di sì gran bestialità.
BERENICE
Come mai?...
ALBERTO
Di mia sorella
il ritratto è questo qua.
Alla sposa mia novella
era in dono destinato.
PARMENIONE
Vidi anch'io d'aver sbagliato,
ma allor tardi era di già.
EUSEBIO
Dunque?...
PARMENIONE
Invece ho ritrovato,
ciò che appunto io ricercava.
MARTINO
Così amore ha qui pigliato
due piccioni ad una fava.
PARMENIONE
Spero poi, che scuserete...
BERENICE
Già scusato appien voi siete.
ERNESTINA
Io per me contenta sono.
ALBERTO
Io v'abbraccio, e vi perdono.
EUSEBIO
Ed un doppio matrimonio
la burletta finirà.
TUTTI
D'un sì placido contento
sia partecipe ogni core,
e costante il dio d'amore
renda il nostro giubilar;
e se a caso l'occasione
l'uom fa ladro diventar,
c'è talvolta una ragione,
che lo può legittimar.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 26/06/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)