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Niobe, regina di Tebe

NIOBE, REGINA DI TEBE

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Luigi ORLANDI.
Musica di Agostino STEFFANI.

Prima esecuzione: 5 gennaio 1688, Monaco di Baviera.


Rappresentati:

NIOBE regina di tebe

soprano

ANFIONE re

basso

MANTO donzella tebana figlia di

soprano

TIRESIA indovino, e sacerdote di Latona

basso

CLEARTE principe tebano

mezzosoprano

CREONTE figlio del re di Tessaglia

tenore

POLIFERNO principe d'Attica, mago

basso

TIBERINO figlio del re d'Alba

tenore

NEREA nutrice di Niobe

contralto


Di sei Figli, e sei Figlie di Niobe. Di Dame, Paggi, e Deità apparenti con Niobe. Di Cavalieri, Paggi, e Popolo con Anfione. Di Pastorelle con Manto. Di Servi con Tiresia. Di Nobili tebani con Clearte. Di Guerrieri con Creonte, e Poliferno. Di Cacciatori con Tiberino.



Serenissime altezze elettorali

Se l'oppressione del vizio è lo spettacolo più gradito dagli occhi eterni de' numi, non poteva la mia ubbidiente devozione offrire divertimento più proprio a benignissimi sguardi dell'altezze seren.me elett.li quanto la prosternazione d'un vizio, e d'un vizio direttamente opposto alla virtù più pregiata dalle vostre grand'anime. Ecco per ciò dalla famosa reggia di Tebe risorto su la scena il gran mostro della superbia a provocare i fulmini nelle tremende destre de' numi, perché servano di faci luminose nel sacro tempio de' vostri regi lari, dove il nume d'una eccelsa umiltà magnanimamente si adora. All'immutabile gloria di così potente domatrice del vano fasto, che nel serenissimo cielo del vostro soglio bella più del sole risplende, innalza colossi di sé stesso l'orgoglio nella memorabile peripezia di quella infelice regnante, di cui va pubblicando con tromba maestra la fama:

Et felicissima matrum

dicta foret Niobe, si non sibi visa fuisset.

Quinci felicissime voi seren.me elett.li altezze appunto del vostro glorioso dominio quasi augelli di paradiso avete cent'occhi aperti sempre alla fortuna de' vostri sudditi, ma coperti ad ogn'ora sotto l'ali d'un sapere ammirando, per non mirare gl'immensi pregi della propria sublime grandezza. Quando un mondo intero, benché abbagliato, si affissa a gli adorati raggi di vostre glorie, solo da voi rimangono sconosciuti i vostri splendori; e parmi, che per degno applauso di virtù così rara, e rara dote de' vostri generosissimi cuori, vada oggi di voi decantando il mondo ciò, che del sole fu detto:

Quae omnes in ipso mirantur, ipse solus non videt.

Ed ecco il maggior luminare oggi come simbolo de' vostri supremi attributi abbattere con fulminante destra la tebana alterezza, rappresentando non meno all'ombre atterrite dell'asiana superbia i lampi vittoriosi della vostra acclamata possanza. Ma dove a fronte di voi, che siete i due vivi soli del gran cielo della Baviera, ardisco con ali d'Icaro seguire il volo, che spiega trionfante la vostra fama? Intraprendano l'aquile sì eccelsa meta, ed alla tarpata mia penna solo sia meta fortunata il pubblicarmi con profonda venerazione.

Dell'altezze vostre seren.me elett.li

Monaco primo gennaio 1688

Umilissimo, devotissimo, ubbidientissimo servo.

Luigi Orlandi.

Argomento

Niobe, e Anfione due grandi regnanti di Tebe celebrati per massimi da gli applausi di tutta Grecia; l'uno per esser nato di Giove potentissimo re di Creta; l'altra per esser figlia di Tantalo famosissimo re di Frigia. Questa per esser dotata d'animo così grande, e virile, che superando l'ordinaria condizione del sesso, s'acquistò nome più che di donna, di dèa. Quello per avere con larga vena d'ingegno, e prerogative di senno così legate l'intelligenze delle sfere nella sua musica, siccome negli affari politici resa umana, e civile l'incivile barbarie de' popoli, che meritò gl'attributi non che di uomo, di nume. Ma avvenendo, che gran fortuna conduce sovente a gran fato, resa Niobe per tante glorie superba, diviene de gli dèi sprezzatrice, e togliendo il culto a Latona dèa da' Tebani adorata, vilipende Manto figlia di Tiresia indovino, e sacerdote della medesima dèa, mentre da Manto si procurano a Latona gl'olocausti dovuti. Vendicano gli dèi con la morte i disprezzi, e colti da improvvisa parca tutti i figli di Niobe, Anfione disperato s'uccide, e Niobe da gran dolore oppressa perde la vita. Manto poscia condotta dalla sorte in Italia fu da Tiberino re d'Alba ricevuta in consorte.

Gran campo ebbe la favolosa Grecia di finger menzogne nel poetico racconto di tali successi, onde attribuendo altri al canto, altri al suono di Anfione l'erezione delle mura di Tebe, fece vedere con l'armi in mano Latona, ed i suoi figli Apolline, e Diana a saettare dal cielo la Tebana superbia, e convertir Niobe in sasso.

Interpr. Histor. Metamor.

Ovid. De Niobe.

Si aggiungono li seguenti verisimili.

Anfione impossessatosi del regno di Tebe con la debellazione di Lico re suo antecessore, si finge, che dal re di Tessaglia congiunto con Lico, dopo molti anni, per vendicare lo scempio del medesimo, sia all'impensata mandato Creonte suo figlio all'assedio di Tebe, e che Creonte sii allettato a tal guerra dalla speranza fattagli concepire da Poliferno principe mago d'Attica, di godere il possesso delle bellezze di Niobe, interessato Poliferno a tale vendetta per la consanguineità di Dirce, seconda consorte di Lico, fatta ancora morire da Anfione.

Che bramando Anfione viver al riposo, libero dal peso del regno, dichiari Niobe assoluta regolatrice del soglio, e le dia Clearte per esecutore de' suoi decreti, richiamandolo alla regia dalle selve, ov'egli da molto tempo vivea, lontano da quella, per non morir vicino a Niobe, di cui fortemente s'era già invaghito, ma senza concepire speranza alcuna di corrispondenza.

Che Tiberino non avendo ancora ereditato il regno d'Alba dal padre, portatosi in Grecia per desiderio di propagare le glorie del suo valore in giostre, in cacce, in lotte, ed in altri esercizi militari usati in quei tempi da' Greci, finalmente in Tebe s'innamori di Manto, e la conduca sua sposa nel Lazio.

Macchine

Gran mostro, che si risolve in molti guerrieri.

Fantasma, che sorgendo di sotterra, forma grande voragine in aria.

Mura di Tebe, che s'innalzano a poco a poco.

Due draghi infernali, che di sotterra conducono sulla scena Creonte ed Poliferno.

Nube, che sorge in aria, e nasconde li suddetti.

Gran nuvolosa, che dall'alto scende con Creonte in apparenza di Marte.

Carro trionfale fulminato da Latona, Apolline, e Diana, che compariscono in aria con deità compagne.

Caduta di molti edifici ad un terremoto.

Atto primo
Scena prima

Regale con trono in cui Niobe, ed Anfione circondati da numerosa loro Prole in mostra guerriera, corteggio di Cavalieri, e Dame, e Nerea.

ANFIONE

Venga Clearte.

NIOBE

E che farà?

ANFIONE

Già udisti

Niobe mio cor, mia speme,

che de giorni tranquilli

resa avara la mente,

di più compor mal soffre

con lo scettro la mano a miei riposi

mal più s'adatta il trono, ed abbastanza

sotto il pesante incarco

del diadema regal sudò la fronte.

Alle glorie ben conte

di me, di te, de' figli,

stanche son già le Ismenie incudi; e il fato

più non può dar, per far un re beato.

Tu, cui gli dèi formaro

di nume il senno, e la beltà di dèa,

or ben con tua virtute

puoi, dando legge al soglio,

serbarmi alla quiete, e se tu sei

risplendente mio cielo, il ciel ben suole

con instancabil moto

dar riposo alla terra. Omai da' boschi

tuo compagno al gran peso

Clearte io richiamai.

NEREA

Ohimè.

ANFIONE

Fedele

questi, qual sempre saggio,

eseguirà tuoi cenni, ed il tuo impero

già decantare in lieta pace io spero.

NEREA

Oh bell'imbroglio invero.

NIOBE

Dove son io, da qual soave incanto

dolcemente ferita,

sento l'alma rapita?

Ahi ben m'aveggio o caro,

che dal tuo divin labbro

escon si vaghe tempre,

perché io provi mai sempre

con mia felice sorte

dilettoso il languir, dolce la morte.

Sì sì nel regio petto

sovrabbondi la gioia, e la grand'alma

scarca d'esterne cure

di consorte, di figli, e di vassalli,

s'a numi ora s'appressa,

poiché visse ad altrui, viva a sé stessa.

NEREA

Per indurci a regnare,

fatica non si dura,

ch'allo scettro è proclive ogni natura.

ANFIONE

Sollievo del mio seno,

conforto del mio ardor.

In te ritrovo a pieno

la pace del mio cor.

NIOBE

Mia gioia, mio diletto,

diletto di mia fé.

Quest'alma nel mio petto

ha vita sol per te.

Scena seconda

Clearte, e i suddetti.

CLEARTE

Ecco a' piè di chi impera

il suddito inchinato. Al regio cenno

ecco omai del vassal l'arbitrio umile,

e da boschi Clearte

ecco si toglie ad ubbidire accinto

il voler del sovrano...

(Ahi ch'un guardo di Niobe il cor m'ha estinto.)

NEREA

(Ei ritorna d'Amor nel labirinto.)

ANFIONE

Già sul trono celeste il re degl'astri

librò l'anno due volte,

da che l'umil soggiorno

fra le selve eleggesti,

ed in ozio traesti,

nelle romite piagge

in sembianza di fera orme selvagge.

Tempo è omai, che tu rieda

a compensar con le vigilie illustri

sì lungo oblio: nel regno

a sostener mie veci

della mia Niobe al fianco

ti destinai.

CLEARTE

Che ascolto?

ANFIONE

L'arco talor gran pezza

rallentato si serba,

perché poscia a grand'uopo

con più rousta tempra

s'incurvi ai colpi a ben colpir lo scopo.

CLEARTE

(Dall'empio amor deluso

che risolvi mio core?)

NEREA

(Egli è confuso.)

ANFIONE

(discende dal trono e copre Clearte d'una veste regia)

Su di regali spoglie

cinta la nobil salma,

mostri, che di regnar degna è quell'alma.

Tu con sì fido atleta

non temer mia reina

forza d'invide stelle:

più m'ardete io v'adoro o luci belle.

Miratemi begl'occhi,

e fatemi morir.

I vostri dolci sguardi

avventan mille dardi,

ma è caro ogni martir.

Scena terza

Niobe, Clearte, Nerea, Corteggio.

NIOBE

Splendetemi d'intorno

raggi d'eterna luce, e impresso resti

sulla fronte del sol così gran giorno.

Clearte.

CLEARTE

(Ahi fiera guerra

fra l'amor, e il rispetto

io racchiudo nel petto.)

NIOBE

Non rispondi? Fra boschi

forse la mutolezza

dalle fere apprendesti?

CLEARTE

(In gran periglio

io ti veggio mio cor, alma consiglio.

NIOBE

Oppur sordo agli accenti

i tronchi imiti al sussurrar de' venti?

CLEARTE

Né da tronco, o da fera

appresi io ciò giammai.

Ma a venerar con il silenzio i numi

dal mio core imparai.

NEREA

Si scuote affé.

NIOBE

Tuo peso dunque sia

fra popoli soggetti

il culto propagar de' miei gran pregi,

di reina fra dèi, di dea fra regi.

CLEARTE

Ubbidirò fedele, e i primi voti

ecco porge il mio labbro,

or che prostrato imploro

(quasi dissi pietade)

benigni influssi da quel sol che adoro.

NEREA

Accorta invenzion.

NIOBE

La fé ci è grata;

se muto fosti già, Niobe è placata.

NEREA

Buon premio inver.

CLEARTE

Dimostra, ahi che non erro,

da quei lumi di foco alma di ferro.

NIOBE

È felice il tuo cor, né sai perché.

Un certo tuo sprezzo,

non so qual tuo vezzo

m'invoglia di te.

Scena quarta

Clearte, Nerea.

NEREA

Che sento?

CLEARTE

E che mai disse?

NEREA

Signor, umil Nerea

or teco si rallegra.

CLEARTE

Il rivederti

mi è caro o fida, a cui

sola son noti i miei infelici ardori.

NEREA

Ma felici al presente,

se pur Niobe non mente.

CLEARTE

E possibil ti sembra,

ch'ella senta pietà del foco mio?

NEREA

Il cor di bella donna è sempre pio.

CLEARTE

Ma se a lei sempre occulto

fu l'incendio del core?

NEREA

Troppo ci vede, ed è pur cieco amore.

CLEARTE

Per te vive mia speme.

NEREA

Il cor consola.

Io penetrar prometto

gli arcani di quel sen, per cui sospiri.

CLEARTE

Il ristoro tu sei de' miei martiri.

NEREA

Quasi tutte

son le brutte

quelle donne, che non amano.

Ma chi vanta in sen beltà,

nutre sempre al cor pietà

per gli amanti, che la bramano.

Scena quinta

Clearte.

Rio destin che pretendi

or che accanto al mio foco

tu a forza mi traesti; e fummi vano,

per saldar la mia piaga; irne lontano.

Son amante, e sempre peno,

perché peno per chi no 'l sa.

Alla lingua o sciogli il freno,

o amor dammi la libertà.

Scena sesta

Boscaglia.
Tiberino con suoi Seguaci.

TIBERINO

Della famosa Tebe

ecco amici le selve; il piè già calca

le desiate arene,

ch'esser dovran del valor nostro il campo.

Già degl'Albani il nome

mercé di nostre imprese,

nella Grecia superba or va fastoso:

uom non v'è glorioso

in cacce, in lotte, alla palestra, al corso,

che a noi sinor non ceda; Argo e Micene,

e Corinto, e Tessaglia

eroe non ha, che a Tiberin prevaglia.

Alba esulti, e il Lazio goda.

Il sudor di questa fronte

nutre i lauri al dio bifronte,

che al suo crine i fati annoda.

Scena settima

Udendosi rimbombare di lontano per la selva trombe di cacciatori, Manto in atto fuggitivo inseguita da una belva, e suddetti.

TIBERINO

Suon di lontana caccia

fa rimbombar la selva.

MANTO

(di dentro)

Aita o numi.

TIBERINO

Qual mesta voce?

MANTO

Ahi non v'è scampo. O sorte.

TIBERINO

Che veggo o ciel? Non paventar donzella:

in tua difesa è la mia destra o bella.

(si pone a guerreggiar con la fiera, e l'atterra)

MANTO

Oh valor, oh virtute.

TIBERINO

Il proprio sangue

bevon l'ingorde fauci; e già cadendo,

a trofei di mia destra

erge nuovo trofeo con le sue spoglie;

tuo scherzo, e gioco, or ch'il timor ti toglie.

MANTO

Se la vita a me donasti,

nume sei di questa vita.

La memoria de' tuoi fasti,

nel mio cor terrò scolpita.

TIBERINO

Di vezzo, e leggiadria

Venere, non cred'io, fu più compita.

Scena ottava

Tiresia cieco appoggiato ad un Servo, e suddetti.

TIRESIA

Figlia ove sei, tesor dell'alma mia!

TIBERINO

Qual uomo appare?

MANTO

Padre.

TIRESIA

Pur ti ritrovo.

MANTO

Onora o genitore

l'uccisor della belva,

che ver nostre capanne

ratta fuggendo a' cacciatori occulta,

assalì me poc'anzi, e mi disgiunse,

dal fianco tuo, dand'io alla fuga il piede.

TIRESIA

Tutto vide la mente: eroe sì prode

è dell'alban regnante

l'unico erede, e Tiberin s'appella.

MANTO

Figlio di re?

TIBERINO

Come del ver favella?

TIRESIA

Tiresia io son, cui Giove

diede mente presaga,

se Giunone sdegnata,

privò d'eterni lumi, ed è mia prole

la donzella difesa.

TIBERINO

Ella m'infiamma.

MANTO

Io son d'amore accesa.

TIRESIA

Piacciati a' nostri alberghi

volger le piante, ed ivi

nelle cose future

la serie ascolterai di tue venture.

Amor t'attese al varco,

per saettarti l cor.

Gli diè la sorte l'arco,

e il dardo feritor.

Scena nona

Tiberino, Manto.

TIBERINO

Svelò fatal la piaga.

MANTO

Ahi quanto io più miro, ei più m'impiaga.

TIBERINO

Dimmi o bella: sei sposa?

MANTO

Ho intatto il fiore

del virginal candore.

TIBERINO

Tua patria?

MANTO

Tebe.

TIBERINO

Il nome?

MANTO

M'appello Manto.

TIBERINO

E a quali uffici eletta?

MANTO

A Latona io ministro

col genitor suo sacerdote.

TIBERINO

E al nume,

che prevale agli dèi,

tu quali incensi offrisci?

MANTO

Che mai dirò? Tuoi detti

io non intendo.

TIBERINO

Al dio fanciul bendato?

MANTO

Nemmeno.

TIBERINO

Al dio Cupido?

MANTO

M'è ignoto.

TIBERINO

Oh stolto core,

tu non conosci amore?

Tu non sai che sia diletto,

non sai dir che sia conforto.

Senza amor un cor è morto,

senza cor non vive un petto.

Scena decima

Manto.

Oh d'amor troppo ignaro, e così tosto

vuoi, che pudico seno

a favellar d'amore

scioglia la lingua? E non ti disser gl'occhi,

ahi questi occhi dolenti,

l'autor de' miei tormenti?

Poco in amor sagace:

lingua d'amante core

meglio parla d'amore allor che tace.

Vuoi ch'io parli, parlerò.

Ma se chiedo poi mercé,

mio tesor che fia di me,

se mercé poi non avrò?

Scena undicesima

Di lontano all'improvviso apparisce smisurato mostro, che portandosi al proscenio, ad un tratto si risolve in molti Guerrieri, lasciando in una nuvoletta a terra Creonte in atto di dormire, e desto Poliferno.

POLIFERNO

Dormi Creonte, e intanto

sogna o prole guerriera

del tessalo monarca

l'alta beltà, di cui con forza ignota,

io l'imago t'impressi in mezzo al core.

Fia de' tuoi sogni autore

di Megera il flagello, acciò che spinto

da infuriati sensi,

rechi al regno tebano incendi immensi.

CREONTE

Che vago sen.

POLIFERNO

Con i fantasmi omai,

opre di magic'arte,

a vaneggiar comincia.

CREONTE

È donna. O dèa?

Ahi, ch'un guardo mi bea.

POLIFERNO

Scosso da interna face

ecco si desta.

CREONTE

Ferma

ferma o nume adorato,

mia delizia, mio ben, anima mia,

dove fuggi? Ma dove,

dove mi trovo? Ed a qual aure spiego

gl'immoderati affetti?

POLIFERNO

Son forier d'empie stragi i suoi diletti.

CREONTE

Dove sciolti a volo i vanni

diva mia da me fuggisti?

Se dal sonno infra gl'inganni

a bearmi tu venisti.

POLIFERNO

Creonte e che ti pare

di Niobe, che sognando,

già conoscer ti fei?

CREONTE

Ahi ch'in beltà non cede

agl'astri, a Delia, al Sole,

s'ha del sol le pupille,

della luna i candori,

degl'astri le faville.

POLIFERNO

Su, per goder ben tosto

di cotanta beltà, senza dimore

Tebe si assalga, e cada

Anfione svenato;

sia Lico vendicato,

il tuo gran zio, cui tolse

con esecrando scempio

e la vita, ed il regno,

Anfione l'indegno.

Nuovo soglio, e nuova bella

a goder ti guida il fato,

a tuo pro la sua facella

scuote amor con Marte armato.

Scena dodicesima

Creonte.

A voi di Tracia, e Cnido

onnipotenti numi,

se non sarete a' miei desiri avari,

ergerò nuovi altari

accesi ognor di nabatei profumi.

Sia di Nemesi il ferro

debellator dell'usurpato soglio,

e sia di Citerea,

come a Paride in Sparta, a me concesso

dell'Elena tebana oggi il possesso.

Troppo caro è quel bel volto,

che dal seno il cor m'ha tolto,

né saprei che più bramar.

Goderò del ciel le faci,

se quei lumi sì vivaci

potrò giunger a baciar.

Così vago è quel sembiante,

che quest'alma ha resa amante,

che a lui cede ogni beltà.

Il mio cor sarà beato,

se al mio sen quel sen bramato

sorte amica stringerà.

Scena tredicesima

Regio museo, che ostenta la reggia dell'Armonia.
Anfione.

Dell'alma stanca a raddolcir le tempre,

cari asili di pace a voi ritorno:

fuggite omai fuggite

da questo seno o de' regali fasti

cure troppo moleste, egri pensieri:

che val più degli imperi

in solitaria soglia, ed umil manto

scioglier dal cor non agitato il canto.

Sfere amiche or date al labbro

l'armonia de' vostri giri.

E posando il fianco lasso,

abbia moto il tronco, il sasso

da miei placidi respiri.

Scena quattordicesima

Niobe, ed Anfione.

NIOBE

Anfion mio desio,

mio tesoro, cor mio.

ANFIONE

Mia luce, mia pupilla.

NIOBE

Ecco a te vola

tronco, e sasso animato

il cor innamorato.

Vorrei sempre vagheggiarti,

vorrei star sempre con te.

Non ha pace, non ha bene,

vive ogni ora fra le pene

da te lungi la mia fé.

Scena quindicesima

Clearte, Nerea, Anfione.

NEREA

Eccola.

CLEARTE

Ahi cor resisti.

NIOBE

A che vieni?

CLEARTE

Di tessali oricalchi

rimbomba il suol tebano audace stuolo

d'armate schiere inonda,

qual torrente improvviso,

le beozie campagne: a me non resta

che con pronte falangi

espor la vita alla difesa; e i cenni

ad inchinare, ad ubbidire io venni.

ANFIONE

Che sento?

NIOBE

E non rammenta

il tessalo superbo

quali sian le nostr'armi? Insano venga,

e al cenere gelato

di Lico debellato,

giunga ceneri nuove.

ANFIONE

E pur ritorna

l'alma ai tumulti: ahi ch'è in un regio seno

brieve luce di lampo ogni sereno.

NIOBE

Non ti turbar idolo mio.

ANFIONE

Discioglie

ogni nube di duolo

de' tuoi celesti sguardi un raggio solo.

A premunire intanto

gl'animi de' vassalli

di costanza, e di fede,

mi parto, o cara.

NIOBE

E in breve

io seguirò il tuo piede.

ANFIONE

È di sasso chi non t'ama,

è di gel chi non t'adora.

Provo io ben ch'un cor è poco

a capir l'immenso foco,

che per te mi strugge ogn'ora.

Scena sedicesima

Niobe, Clearte, Nerea.

NEREA

E tu qual gelo, o sasso,

muto ancor te ne stai?

CLEARTE

Son morto ahi lasso.

NIOBE

Clearte oggi fra l'armi

qual divisa destini?

NEREA

Animo.

CLEARTE

Scopri a parte

mio cuor la chiusa fiamma:

scolpito avrà la scudo

d'Encelado il gran monte,

che ognor da nevi oppresso,

d'interno incendio avvampa.

NIOBE

E il motto?

CLEARTE

Sia.

Perché al ciel aspirai.

NEREA

Di ben capirlo affé

ella s'intenderà meglio di me.

NIOBE

Non comprendo il concetto; or via lo spiega.

CLEARTE

Or m'assisti o Cupido.

NEREA

Ardir ci vuole.

CLEARTE

D'un cor la sorte esprimo,

che ad un ciel di beltade

sollevando il desio,

da duo bei lumi alteri

fulminato se n' giace

sotto monte di duolo; e non osando

scoprir l'incendio interno,

gela al di fuori, e chiude in sen l'inferno.

NIOBE

E di qual core intendi.

CLEARTE

Nerea perduto io sono.

NEREA

Su viene adesso il buono.

CLEARTE

Del mio cor sventurato.

NIOBE

E qual sen l'ha piagato?

CLEARTE

Gelar mi sento.

NEREA

Presto

bisogna dire il resto.

NIOBE

Segui: non parla.

CLEARTE

Oh numi.

NIOBE

Io pur son certa

a gran tempo, ch'ei vive

di me tacito amante.

CLEARTE

Svenami pure o cielo.

NEREA

È delirante.

CLEARTE

Perdona o mia...

NIOBE

No ferma:

del tuo cor martire

io più non voglio udire.

Segui ad amar così

né mai parlar di più.

Per chi t'alletta, e piace,

allor che più si tace,

bella è la servitù.

Scena diciassettesima

Clearte, Nerea.

CLEARTE

E voi, che mi struggete,

voracissime fiamme,

dal sen che rispondete?

NEREA

Oh sciocca frenesia; tu non intendi

di Cupido i precetti:

con le donne ei non vuol tanti rispetti.

CLEARTE

C'ho da morir tacendo

il cor l'indovinò.

C'ho da tacer morendo

lo stral, che m'impiagò.

Scena diciottesima

Nerea.

Forsennato vaneggia, e non conosce

l'arti sagace usate

dalle donne, che accorte

sono d'esser amate.

Io giurerei, che Niobe

del suo amor avveduta,

se ne fia compiaciuta;

e mostrandosi sorda,

voglia per qualche dì dargli la corda.

In amor siam tanto facili,

ch'a un sospir ci lasciam vincere.

Basta sol, ch'un finga piangere

per sentirci il seno a frangere

e lasciarci il core avvincere.

Scena diciannovesima

Campagna spaziosa con vista di Tebe sfornita di muraglie.
Creonte, Poliferno.

POLIFERNO

Ecco Tebe.

CREONTE

O adorata

sfera del mio bel nume; il piè divoto,

come il cor riverente, a te già volgo,

deh pietosa m'accogli,

e fa' ch'io nel tuo seno

spinto da impaziente, alto desio

possa celato almeno

porger taciti voti all'idol mio.

Qui smisurato fantasma apparirà di sotterra.

POLIFERNO

Per condurci ove brami

occulti, e inosservati,

ecco dell'opre mie ministro eletto.

CREONTE

Oh portento.

POLIFERNO

In brev'ora

potrai a luci aperte

vagheggiar non veduto,

l'adorato sembiante

della bella regnante.

Qui dalla bocca del fantasma si forma gran voragine in aria.

CREONTE

Che veggio?

POLIFERNO

A noi s'appresta

fra quelle fauci incognita la via:

movi sicuro il passo, e là t'invia.

CREONTE

Anderei sin nell'inferno,

per mirar volto sì vago.

Se più grande il foco interno

desta in me la bella imago.

(entra nella voragine)

Scena ventesima

Poliferno.

Oh di Lico infelice

infelice consorte, a me germana,

Dirce, Dirce deh sorgi;

e in ombra almeno scorgi,

che se vittima altera

col tuo sposo regnante al piè cadesti

del superbo Anfione,

a vendicar d'entrambi

l'ingiurioso fato,

provoca Poliferno

Tessaglia all'armi, ed a battaglia Averno.

Fiera Aletto

del mio petto

non cessar di mover guerra.

Olocausti più devoti

t'offrirò, s'oggi a' miei voti,

re tiran da te s'atterra.

(entra nella voragine, la quale si chiude profondandosi)

Scena ventunesima

Anfione seguìto da numeroso Popolo.

ANFIONE

Popoli o voi, ch'un tempo

da inospite foreste

i passi rivolgeste

tratti al suon de' miei carmi,

ai cittadini marmi...

Voi, che a me dati in cura

da Giove il mio gran padre,

sudditi sol di nome,

ma più cari de' figli,

mi vedeste ad ogn'ora

in dolce impero a vostro bene eletto,

di scettro in vece, esercitar l'affetto.

Voi chiamo, e da voi spero

di Tebe la difesa, i vostri cori,

che in paragon di fede

seppero di diamante esser più volte,

ben sapranno all'assalto,

che di Tessaglia or ci muove, esser di smalto.

Su su destisi in voi

desio di nuove glorie; un re che v'ama,

si segua fra perigli;

e a temerari insulti.

VOCI DI POPOLO

Il corso si prescriva.

Viva Anfione viva.

ANFIONE

Voci d'alta costanza: alme fedeli

degni premi attendete;

che mal vive un regnante,

se in regnar non ha destra abbondante.

Come padre, e come dio,

sommo Giove or mi proteggi;

e l'ardir d'un empio, e rio,

col tuo fulmine correggi.

Qui si vedono a poco a poco andar sorgendo intorno di Tebe le mura.

ANFIONE

Ma che miro? Che scorgo? I marmi, i sassi

animati al mio canto,

forman di Tebe i muri: oh del gran nume

onnipotente forza,

se un moto sol del tuo voler prefisso

anima i sassi, e volve in ciel l'abisso.

Scena ventiduesima

Nerea fuggendo atterrita, poi Niobe con numeroso Corteggio, e Anfione rapito da meraviglia.

NEREA

Assistetemi,

soccorretemi,

numi del cielo.

Fra quei sassi

che s'agitano intorno ai passi,

io divengo di pietra, io son di gelo.

Qui termina l'erezione delle mura suddette.

NIOBE

Niobe ove giungi, e che mirate o luci?

ANFIONE

Sospirata reina

ecco per virtù ignota,

di Tebe le muraglie

innalzate a momenti

del mio labbro ai concenti.

NEREA

Oh meraviglie.

NIOBE

E qual profano ardire

or può negarti, o caro

degno vanto di nume?

S'or di portenti è fabbro

il tuo canoro labbro.

Su su di sacri altari

s'ingombri il suolo, e al nuovo dio tebano

ardan le mirre elette; il ciel discopre

i numi in terra alle mirabil opre.

Con il tuo strale amore

trafiggi questo core

più rigido, e più fier.

Che l'alma innamorata

all'idol mio svenata

vuo' vittima cader.

Scena ventitreesima

Tiresia, e i suddetti.

TIRESIA

O d'insano ardimento

sensi troppo superbi: io parlo a noi

o mortali regnanti,

che con voglie arroganti

usurpar pretendete ai numi eterni

gli onor dovuti in terra; alla vendetta.

L'irato cielo alti castighi affretta.

ANFIONE

A quai detti proruppe?

NEREA

Come ardito parlò?

NIOBE

Tanto presumi

vil rifiuto del tempo, uom senza senno,

come privo di lumi?

TIRESIA

Senza tema di pena

così parla chi vive,

per servir agli dèi.

NIOBE

(gettandolo a terra)

Ti difendan dal cielo,

s'io nel suol ti calpesto,

e da ciò apprendi o temerario il resto.

TIRESIA

Ah sacrilega, ah empia.

NEREA

Oh poco saggio.

ANFIONE

Serena o mio bel sole

de' vaghi lumi il raggio.

NIOBE

Ritornandoti in braccio,

torno a godere, e ogni rancor discaccio.

ANFIONE

Mia fiamma...

NIOBE

Mio ardore...

NIOBE E ANFIONE

Andianne a gioir.

ANFIONE

Per te dolce pena,

NIOBE

Mia cara catena,

m'è grato il morir.

ANFIONE

Mia fiamma...

NIOBE

Mio ardore...

NIOBE E ANFIONE

Andianne a gioir.

ANFIONE

Per te dolce pena.

NIOBE

Mia cara catena,

NIOBE E ANFIONE

M'è grato il morir.

Mia cara catena,

m'è grato il morir.

NEREA

Tu con lingua sì sciolta

resta, e impara a parlare un'altra volta.

Scena ventiquattresima

Tiresia, e poi Manto, e Tiberino.

TIRESIA

Numi datemi aita, alla mia fede

spero da voi mercede.

MANTO

(non vedendo ancora Tiresia per terra)

Signor vedi, e stupisci

ciò che testé la fama

a noi recò: di Tebe alzò le mura

Anfione col canto.

TIBERINO

Oh gran virtude, oh incanto.

TIRESIA

Chi mi sovviene, ahi lasso?

MANTO

Che fia? Padre?

TIBERINO

Tiresia?

TIRESIA

Calpestato,

lacerato,

qui dolente,

e languente,

arresto il passo.

Chi mi sovviene, ahi lasso?

MANTO

E chi fu sì crudel?

TIBERINO

Chi fu sì rio?

TIRESIA

Un mostro di perfidia,

una furia regnante,

degli dèi sprezzatrice: ahi doglia acerba,

fu Niobe, la superba.

MANTO

Oh tiranna.

TIBERINO

Oh spietata.

MANTO

E qual cagion t'indusse

a sì nefando eccesso?

TIRESIA

Il vano fasto

di far nume lo sposo; onde il prodigio

delle mura, che vedi in giro affisse,

tolse al vanto de' numi, e a lui l'ascrisse.

Quinci, mentre mia lingua

di zelo armata il grande ardir detesta,

l'altera infuriata

m'atterra, e mi calpesta.

MANTO

Oh indegna.

TIBERINO

Oh cor di fera.

MANTO

Il fianco oppresso

mio genitor solleva;

l'oltraggio puniran gli dèi dal cielo:

non torpe mai di lor giustizia il telo.

TIBERINO

(a' suoi seguaci)

S'appoggi, olà, l'uom saggio...

TIRESIA

Il piè cadente

deh guidate pietosi

di Latona nel tempio.

TIBERINO

Avrai scorte fedeli.

TIRESIA

Orrende stragi or apprestate o cieli...

Di strali, e fulmini

o stelle armatevi;

e dell'ingiurie

con giuste furie

su vendicatemi.

Scena venticinquesima

Tiberino, e Manto in atto di piangere.

TIBERINO

Discaccia il duolo di ben degno padre

pietosa figlia, i numi

avran di lui cura:

ma se pure col pianto

vuoi mostrar gentil core,

piangi; ma per amore.

MANTO

Cagion de' miei martiri

se a me scoprir non lice

amorosi desiri.

TIBERINO

Ancor taci o vezzosa?

MANTO

O modestia penosa.

TIBERINO

D'amor che mi rispondi?

MANTO

Ti dissi, ch'io l'ignoro:

ma perché più non sia

d'ignoranza ripresa,

tu meglio or me 'l palesa.

TIBERINO

Semplicità più non udita in donna.

MANTO

Folle se 'l crede.

TIBERINO

Dimmi:

uomo mirasti mai?

MANTO

Che richiesta?

TIBERINO

Favella.

MANTO

Sì.

TIBERINO

Fosti ancora, io credo,

tu da lui rimirata.

MANTO

Sì.

TIBERINO

E gli sguardi allora

s'incontraron fra lor?

MANTO

Sì.

TIBERINO

In quell'istante

(non me 'l negar) sentisti

nulla nel core?

MANTO

Sì.

TIBERINO

Ti parve un certo

quasi piacer?

MANTO

È vero.

TIBERINO

Un raggio di diletto,

come suole fra l'ombre,

scintillar brieve lampo?

MANTO

Giusto così (che facilità).

TIBERINO

Crescea,

riguardando guardata,

la fiamma al cor più grata?

MANTO

Appunto.

TIBERINO

Or, se no 'l sai,

amore è questi o bella semplicetta,

ch'entra per gl'occhi, e dentro il cor ricetta.

MANTO

Gran maestro ne sei; ed è Cupido

questi ancora?

TIBERINO

Sì questi.

MANTO

Oh nume infido.

TIBERINO

Perché?

MANTO

(Tempo è ch'in parte

scopra miei sensi amanti.)

TIBERINO

Svela quanto t'avvenne.

MANTO

Offre il gioir, poi sforza l'alma ai pianti.

Nel mio seno a poco a poco

questo amor con il suo gioco

mi rubò la libertà.

Onde il cor fra lacci involto

spera invan, ch'un dì sia sciolto,

ch'egli è un dio senza pietà.

Scena ventiseiesima

Tiberino.

Oh stravaganza: in petto

nutre la fiamma, e della face è ignara;

così la talpa al sole,

per innato costume,

sente l'ardor; ma non conosce il lume.

Quanto sospirerai

alma per quei bei rai

sì semplici in amor.

Con pianti, e con lamenti

far noti i tuoi tormenti

ti converrà mio cor.

Atto secondo
Scena prima

Anfiteatro con grande globo nel mezzo, e picciol seggio regale da parte.
Creonte, e Poliferno, che di sotterra sono portati a cavallo a due mostri.

POLIFERNO

Ritornate agli abissi

spirti fedeli, il nostro piè già forma

l'orme prescritte: a queste soglie in grembo

non guari andrà che giunto

vedrai Tessalo prence il tuo bel sole; profondano i draghi

e questa sia de' fasti suoi la mole.

CREONTE

Oh come qui l'ingegno

con arte pellegrina

costrusse il cielo a sua beltà divina.

POLIFERNO

Perché ci chiuda, e celi,

ecco manda Cocito

invisibile nume agl'occhi altrui.

(si vede sorgere una nube da un lato della scena)

CREONTE

M'apprestano, oh stupori,

il sereno del cor gli stigi orrori.

Del mio ben occhi adorati

deh venite a consolarmi.

Vaghi lumi di quest'alma

vostri sguardi avran la palma

di ferirmi, e di sanarmi.

Scena seconda

Clearte con molti Nobili tebani, Popolo, e i suddetti dentro la nube.

CLEARTE

Il gran portento amici

vedeste già dell'innalzare mura;

scorgeste aspri macigni

correr per l'aria a volo; e in brievi instanti

all'armoniche note

del nostro re gir pronti

in lungo giro a collocarsi i monti.

CREONTE

Udisti?

POLIFERNO

O ciel ingiusto,

se l'empietà proteggi.

CLEARTE

Oh noi beati,

se di mirare, ed adorar c'è dato

oggi i numi sul soglio; ed in loro nome

potrà ciascun sicuro

stringer contro de' tessali Tifei

l'acciaro avvezzo a vendicar gli dèi.

CREONTE

Che sento?

CLEARTE

In campo armati

già su destrier volanti i regi figli,

precorrendo le stragi,

calpestano i perigli.

CREONTE

E ancor la sofferenza

qui mi rattien?

POLIFERNO

Pazienza.

CLEARTE

E tu mio core intanto

d'amor l'aspro martire

soffri costante; è gloria anco il soffrire.

Voglio servir fedel,

e peni quanto sa

quest'alma amando.

Sia quanto vuol crudel,

io vincer la beltà

vuò sospirando.

Scena terza

Niobe con séguito di Dame, Nerea, e i suddetti.

POLIFERNO

Viene alfine la bella.

CREONTE

A sì gran foco

per resistere, ahi lasso, un core è poco.

NIOBE

Che si tarda Clearte?

Meco al trono si ascenda.

CLEARTE

Che fia? Suddito umile

con guardo adoratore

quell'altezze sol mira.

NIOBE

Sei nel soglio compagno,

CLEARTE

Ma prostrato a' tuoi cenni.

NIOBE

Il mio cenno ciò impone,

CLEARTE

Lo condanna Anfione.

NIOBE

Ei del regno spogliossi; e sol s'inchina

in Clearte il regnante.

CREONTE

Che impero.

CLEARTE

Ahi ciel che pena.

NEREA

Oh sciocco amante.

NIOBE

Su non s'indugi; al soglio:

così risolvo, e voglio.

(prendendolo per mano, lo conduce sul trono, mentre suona il ritornello della seguente aria)

Qui la dèa cieca volante

ferma il corso all'orbe instabile.

E tributa a regie piante

l'aureo crine incontrastabile.

Scena quarta

Anfione con séguito di Cavalieri, e i suddetti.

CLEARTE

Giunge il re.

NIOBE

Ferma.

POLIFERNO

Or mira

l'empio Anfion.

CREONTE

Altero

in gran fasto s'aggira...

ANFIONE

Qual novità sul trono

fassi oggetto ai miei sguardi?

NEREA

Egli in mal punto

a incomodarli è giunto.

ANFIONE

Niobe.

NIOBE

(Che dirà mai?)

ANFIONE

Qual sulla regia sfera

novella impressione

avventizia riluce?

NIOBE

Il riflesso divin della tua luce.

ANFIONE

Dunque dovrà sublime

sovrastare al suo sole

l'apparenza del raggio?

NIOBE

Sì, qualor fa dal suolo

Febo in umane spoglie al ciel passaggio.

CLEARTE

Me infelice.

ANFIONE

Si serba

al rege il trono.

NIOBE

E tu più re non sei.

ANFIONE

Come?

NIOBE

Qui più non s'erge

base a tue glorie.

ANFIONE

E tanto ardisci?

NIOBE

Insano

chi su base volgare

di terrena sembianza

autorizzar vuo' i numi: a te, cui cede

de' tebani Penati oggi il maggiore,

si dée seggio di stelle...

Si apre il globo e comparisce una celeste.

Olà... già si disserra,

per accoglierti un cielo,

in cui sotto uman velo

di Giove il figlio adorar dée la terra.

CLEARTE

Alto pensier...

NEREA

Gran mezzo

di placar le giust'ire.

CREONTE

Oh ingegno, oh vezzo?

ANFIONE

Confuso io resto: o delle regie glorie

gloria, e splendor: qual sia,

per celebrarti al mondo

raro esempio d'amore,

labbro a pieno facondo?

Omai ratto agl'imperi

dell'eccelsa tua mente,

ascendo un ciel, che a cenni tuoi formato,

e da raggi animato

del doppio sol, ch'hai sulla fronte ardente.

Ascendo alle stelle,

ma gl'astri, ch'adoro,

ha il ciel d'un bel sen.

Mie care facelle

mi struggo, mi moro

al vostro balen.

NIOBE

Con fronti umiliate

ciascuno il nume inchini.

(tutto il corteggio s'inchina ad Anfione)

CREONTE

Se non mi porgi aita,

celar più la mia fiamma

non posso alla mia vita.

POLIFERNO

Il rapitor della beltà sicana,

Pluto invoco; e già pronte

son, per rapir chi brami,

l'ombre di Flegetonte.

CREONTE

Felice sorte.

NIOBE

Armonici intervalli

sveglin or lieti balli.

Segue il ballo, è poi terminato.

POLIFERNO

Alle prescritte mete

sorgete, omai sorgete

dalle stigie caverne

spaventose ombre inferne.

Qui sorge infernale, che ingombra tutto il vacuo della scena.

CREONTE

Che miro?

POLIFERNO

Ora ubbidisci:

tra nuove illusioni

teco verrà l'idolo tuo: sparisci.

(è portato via dalla nube)

POLIFERNO

Numi tartarei

con vostri sibili

tremendi, orribili

turbate il ciel.

E dal sidereo trono

atterri il vostro tuono

un Salmoneo novel.

A un terribile rimbombo si profonda con tutta l'infernale, tornando a comparire la prima scena oscurata senza persone.

Scena quinta

Anfione in atto di spavento.

Ove son, chi m'aita? In mezzo all'ombre

solo m'aggiro, e abbandonato, ahi lasso,

in abisso di orror confondo il passo.

Misero chi mi cela? Ai lumi intorno

l'imago ancor del minacciante cielo

m'agita, mi spaventa: ahi che miraste

sventurati occhi miei! Voi pur aperte

mie pupille funeste

scorrer dell'Etra i campi a Marte in seno,

quasi lampo, e baleno,

l'idolo mio, l'anima mia vedeste.

Niobe: ahi doglia infinita!

Perduta ho l'alma, e ancor rimango in vita.

Non fu già in riva al Xanto

così degna di pianto

del troiano garzone

la rapina fatale,

quanto or la pena mia, quanto il mio male.

Oh spettacolo atroce!

Oh mio fiero destin, perversa sorte!

Sparì mia vita, e non mi date a morte.

Dal mio petto o pianti uscite

in tributo al mio dolor.

E in virtù de' miei tormenti

disciogliendovi in torrenti,

in voi naufraghi 'l mio cor.

Scena sesta

Colline con fonte.
Tiresia, poi Tiberino.

TIRESIA

Confuse potenze

destatevi su.

La mente ingannata,

da false apparenze

or vinta, e legata

non rendasi più.

TIBERINO

Ove quasi furente

movi l'incerto piè?

TIRESIA

Di eventi oscuri

ingombrata la mente,

mal discerne gl'auguri.

A pastorali alberghi

nuovamente m'involo,

ed alle sacre soglie

già ritorno, già volo.

TIBERINO

E ancor senza svelarmi

gl'arcani di mia sorte, alle promesse

procrastini gli effetti?

TIRESIA

Hanno legge dal ciel sempre i miei detti.

TIBERINO

Dimmi almen: deggio in Tebe

sperar vittorie?

TIRESIA

È van desio.

TIBERINO

Fia dunque,

or che infuria Bellona,

pigra in mezzo all'armi

di Tiberin la destra?

TIRESIA

È talora la sorte

degl'ozi ancor maestra.

Scena settima

Tiberino, e poi Manto in compagnia di Ninfe con vari strumenti da suono.

TIBERINO

Fuggirò questo cielo,

che contrari a mie brame

così nutre gl'influssi:

ma dove, oh dèi, se imprigionata, e presa,

a un biondo crin l'anima mia s'è resa.

MANTO

Qua mie fide compagne, ove ridente

mormora l'onda, ad accordar venite

dell'incerate avene il suon giulivo:

ma che veggio? Mia fede

fatta già calamita a due bei rai,

il polo del suo amor non perde mai.

TIBERINO

Ecco il seno adorato: oh poco avvezza

all'amorose gioie

semplicetta bellezza.

MANTO

Ridir, vuo' le mie pene.

TIBERINO

Voglio scoprir l'oggetto,

ch'il cor le accese in petto.

MANTO

La man benefattrice

a venerar mi guida

nuova sorte felice.

TIBERINO

M'incatena ognor più: grata a me giungi;

ed appunto o vezzosa,

replicava il mio core

gli eventi del tuo amore.

MANTO

M'è benigna fortuna.

TIBERINO

Or dimmi o bella

di qual vago sembiante

col rincontro de' sguardi,

come, già m'affermasti,

amore t'invaghi'?

MANTO

Io te mirai.

TIBERINO

Non altri?

MANTO

Altri non mai così.

TIBERINO

Alma innocente?

MANTO

Ed al tuo sen, mi svela

signor, nulla produsse

lo sguardo mio?

TIBERINO

Che dir saprò? M'è forza

dir, che m'accese: no, tempo migliore

si attenda a palesar l'ardor del core.

Il tuo sguardo o bella mia

nel mio sen fiamme aumentò.

Ma ch'amor poi questo sia,

dir no 'l posso, e non lo so.

Scena ottava

Manto.

Odi come diverso

da ciò che insegna altrui,

il maestro d'amor d'amor favella.

Oh sventurata Manto! Un stranier crudo,

per lui meglio gioire,

serbò tua vita a più crudel morire.

Tu ci pensasti poco

mio cor a dir di sì

t'inceneristi al foco

sì tosto che apparì.

Tu ti fidasti assai

mio cor del crudo arcier.

Troppo credesti ai rai

d'un volto lusinghier.

Scena nona

Niobe, e Poliferno in apparenza di Mercurio.

NIOBE

Chi sei, dove mi guidi?

POLIFERNO

Io Mercurio m'appello, e degli dèi

son messagger; l'incarco

ebbi di qua condurti...

NIOBE

E così tosto

sparì dagl'occhi miei Marte il mio nume?

POLIFERNO

Per trasportarti alla magion celeste,

farà presto ritorno: a quanto giunse

donna immortal la tua beltà divina:

Marte dall'alte sfere

di trar ebbe possanza;

ed è vil paragone or al tuo merto

la gran madre d'amor; del dio tonante

fu meno degna preda

Europa, Danae, e Leda.

NIOBE

Tebe, figli, Anfion, regno, vassalli.

POLIFERNO

Or ch'il gran dio dell'armi

sposa ti elesse, il nutrir più non lice

nel sen terreni affetti.

NIOBE

Deh cedete or mie pene a' miei diletti.

Stringo al seno un nume amante,

fatto eterno è il mio gioir,

s'a bei rai del suo sembiante

divien gioia ogni martir.

Scena decima

Sopra gran nuvolosa dall'alto della scena, Creonte in apparenza di Marte, e i suddetti.

POLIFERNO

Mira: già il dio guerriero,

a te scende dall'Etra.

NIOBE

L'abisso di sua luce

non v'abbagli occhi miei: ma ben discerno,

che un raggio sol de' suoi divin splendori

può rischiarar l'inferno.

CREONTE

(scende dalla macchina)

Lascio l'armi, e cedo il campo

già mi rendo a un vago lampo,

d'altra Venere in beltà.

Guerre, e stragi andate in bando,

baci, e vezzi io vo cercando

nel bel sen, che vinto m'ha.

(essendo la macchina a terra)

POLIFERNO

(Agevolò l'impresa

l'ordita illusion, da cui ingannata,

divota amante ella al tuo amor s'è resa.)

CREONTE

(Il tuo saper fa l'alma mia beata

t'accosta o dèa terrena; han gl'uman pregi

possanza ancor sovra gli dèi; sovente

le delizie de' numi

son fra mortali; or il timor disgombra;

sembra ogni nume a te vicino un'ombra.)

NIOBE

Alle grazie celesti

il core umiliato,

al sembiante adorato

sacra i desir dell'adorante salma,

son incensi i sospir, vittima è l'alma.

CREONTE

Vieni mia cara, vieni

fra le mie braccia; avrai

sovra del sole il trono;

ti cingerà degl'astri

il risplendente velo;

e se lasci la terra, acquisti un cielo.

NIOBE

All'impero divino

divota, ubbidiente,

corro veloce, e de' terreni fasti

son le memorie spente.

CREONTE

T'abbraccio mia diva...

NIOBE

Ti stringo mio nume...

CREONTE E NIOBE

Ti lego al mio cor.

NIOBE

Tua luce m'avviva...

CREONTE

Mia vita è il tuo lume...

CREONTE E NIOBE

Mia gioia è il tuo ardor.

Seguendo il ritornello della seguente aria, comincia a scender la macchina, in cui siede anche Poliferno.

POLIFERNO

Gioite, godete

in grembo al piacer,

de' numi diletti

son sempre gli affetti

del picciol arcier.

Scena undicesima

Camere regie.
Anfione, Tiresia.

ANFIONE

Tu mi laceri il core.

TIRESIA

Che a te venga imponesti,

perché il ver ti riveli.

ANFIONE

Creonte dunque?

TIRESIA

Sì.

ANFIONE

Il tessalo nemico?

TIRESIA

Egli.

ANFIONE

Con magich'opre?

TIRESIA

Arti di Poliferno.

ANFIONE

M'abbagliò?

TIRESIA

Le pupille.

ANFIONE

Mi confuse?

TIRESIA

La mente.

ANFIONE

Ed in mezzo a fantasmi?

TIRESIA

Di strane illusioni.

ANFIONE

Mi rapì?

TIRESIA

La consorte.

ANFIONE

Empio ardir.

TIRESIA

Grave inganno.

ANFIONE

E resisto all'affanno?

TIRESIA

In mezzo a mille incanti

il piè raggiri; i numi

così de' lor disprezzi

vendican l'onte.

ANFIONE

O de' superni regni

deità, che reggete

dei re la sorte: io prego

deh temprate clementi

il rigido tenor de' miei tormenti.

TIRESIA

All'umili preghiere

de' divoti mortali

si mostrano sovente

gli dèi placati; ed io ritorno al tempio,

per impetrar propizie a tue difese

le onnipotenti destre.

Poscia de' lor decreti

rivelerò i segreti.

De' numi la legge

è scorta a chi regge,

ogn'ora fedel.

Di vana grandezza

si vanta chi sprezza

i dogmi del ciel.

Scena dodicesima

Anfione.

E ancor neghittosi

ve ne state tant'uopo

spirti del regio sdegno?

Del tradimento indegno

su su cadan gl'autori in mar di sangue,

su alla strage degl'empi,

per far miei dì felici,

corran le furie mie vendicatrici.

Tra bellici carmi

risvégliati all'armi

invitto mio cor.

Quest'alma dolente

a guerra furente

già desta il valor.

Scena tredicesima

Pianura ingombrata da capanne di Pastori.
Clearte, Nerea.

CLEARTE

De' tebani pastori, io pur non erro,

son questi gl'abituri.

NEREA

E che rimiro?

CLEARTE

Ma come d'improvviso

qui spazia il piè? Fra sconosciute genti

pur noi sinor vagammo.

NEREA

Inver mi sembra

cosa da farmi intirizzir le membra.

CLEARTE

E di qual forza ignota

fur così strani effetti?

NEREA

Ahi non vedesti

nel regio anfiteatro

tutti gl'inferni spirti

contro noi congiurati? E il dio Gradivo

cinto d'aeree schiere

involar la regina? In quell'istante

(io penetro nel fondo)

ei, perché non si sappia,

ci pose fuor dal mondo.

CLEARTE

Con memoria sì cruda

ahi mi sveni: e fia ver, che l'idol mio

sia sparito? Alla reggia

me n' corro impaziente:

Amor con nuova pena

non tormentar l'anima mia dolente.

Non mi far pianger sempre

tiranno mio destin.

Un giorno cangia tempre

al crudo dio bambin.

Scena quattordicesima

Nerea, Manto, e poi Tiberino.

NEREA

Ratto se n' va: fra questi alberghi intanto

io cercar vuò brieve riposo; e appunto

qui gentil pastorella

prende dolce quiete.

MANTO

Ahi crudel.

NEREA

Si risveglia.

MANTO

Infido core

così paghi il mio amore?

NEREA

Manto è costei, e d'amorosa doglia

mesta si lagna.

MANTO

In grembo al suolo ircano

t'allattaro le tigri Alban superbo,

empia cagion del mio tormento acerbo.

NEREA

Uh poverina.

TIBERINO

Piange

il mio ben? Che t'opprime

vergin leggiadra! Dimmi

che t'affligge? Ahi col guardo

par che tenti mia morte.

NEREA

Ardon per tutto

di Cupido le faci.

TIBERINO

Parla o bella, ancor taci?

MANTO

Ho troppo parlato,

ti basti così.

Il cor ingannato

già troppo languì.

Scena quindicesima

Nerea, Tiberino.

NEREA

Mi commuove a pietade: oh che bel vanto

tradir le giovinette.

TIBERINO

Io qui son fatto

di rimproveri scopo.

NEREA

È troppo folle

chi d'uomini si fida.

TIBERINO

A violenza

fermo qui più le piante:

sia pur forza d'amor, d'astri, o di fato,

un sol momento parmi

lungi dal caro bene

un secolo di pene.

Ci sei colto mio cor, non vi è più scampo.

Segui ad amar penando

quel sen, che saettando

ti va d'amor col lampo.

Scena sedicesima

Nerea.

Oh che dolci concetti,

che parole melate han sempre in bocca

questi strani zerbini; ognora estinti

si mostrano in amor, ma i cori han finti.

Questi giovani moderni

giocan sempre ad ingannar.

I lor vezzi sono scherni,

che fan l'alme sospirar.

Questi giovani moderni

giocan sempre ad ingannar.

Paion tanti Endimioni

le zitelle in lusingar.

Ma se v'è, ch'il cor li doni,

è una luna a vaneggiar.

Questi giovani moderni

giocan sempre ad ingannar.

Segue ballo di Pastori.

Atto terzo
Scena prima

Sfera di Marte.
Niobe in apparenza di dèa, Creonte, e corteggio di Deità apparenti.

CREONTE

Delle celesti soglie

già calpesti i zaffiri; a te s'inchina

del quinto giro il coro,

ove io divoto i tuoi bei lumi adoro.

NIOBE

In sen d'eterna gioia

vivon miei sensi, e immortalmente unita

al tuo fianco divin gode mia vita.

CREONTE

In dolci nodi avvinti

posiam mia dea, e del tuo amor mi rendi

segni più lieti:

NIOBE

Ahi ch'ognor più m'accendi.

Amami, e vederai,

ch'amor non ha più stral,

vibrolli tutti al seno mio per te.

In quei tuoi vaghi rai

è l'ardor mio mio fatal

né v'è fede, che sia pari a mia fé.

Ma da qual nube interna

sento opprimermi 'l cor? Lassa, già langue

in sen lo spirto esangue.

(sviene)

CREONTE

Che fia mio ben? Idolo mio? Mio nume?

Scena seconda

Poliferno, e i suddetti.

POLIFERNO

Fuggi Creonte, fuggi; armasi il cielo

contro di noi, già freme

di Tiresia alle preci

adirata Latona; e a nostri danni

per possanza maggiore

volgonsi i nostri inganni.

CREONTE

Misero me che ascolto: e semiviva

lascerò la mia vita?

POLIFERNO

Uop'è che ceda

il tuo amor al destino; il campo tutto

teme, se più vai lungi, esser distrutto.

CREONTE

Ahi ciel.

POLIFERNO

Più non s'indugi.

CREONTE

Oh stelle infide:

il dolore m'uccide.

Luci belle, che languite,

io vi lascio, e vado a morte.

Così voglion mie ferite,

vuol così l'iniqua sorte.

(parte con Poliferno)

Scena terza

Sparisce l'apparenza della sfera di Marte, e si vedono solitudini con grotte.
Anfione, e Niobe svenuta sovra un pezzo di rupe.

ANFIONE

Qui, dove muto, e solo

il silenzio passeggia,

dall'aborrita reggia

vengo re sfortunato

in compagnia del duolo,

a esacerbar mio fato:

accogliete i miei pianti, i miei martori

solitudini care, amici orrori.

Ma su guancial di sasso

ninfa qui appar, che dorme.

NIOBE

Ahi respiro.

ANFIONE

Si desta.

NIOBE

Ai dolci amplessi

torna l'alma smarrita.

ANFIONE

È di Niobe la voce.

Ahi, se non erran gl'occhi,

Niobe è costei.

NIOBE

Ma dove son, che veggio?

ANFIONE

Benché in diverse spoglie,

è dessa: io non traveggio.

NIOBE

Dov'è il ciel, dov'è Marte?

ANFIONE

I suoi vaneggiamenti

ascoltar vuò in disparte.

NIOBE

Dive ancelle ove siete?

Mio nume ove sparisti? E chi dal soglio

de' canori adamanti,

in queste mute arene

ha Niobe condannata?

ANFIONE

Mente contaminata.

NIOBE

(vede Anfione)

Dimmi: ahi che miro? Sposo.

ANFIONE

Ahi schernita regina,

tradita fé, tiranneggiato Amore,

costanza offesa, ed ingannato core.

NIOBE

E che dirò?

ANFIONE

Quanto a me fe' palese

Tiresia l'indovino,

ascolta alma confusa

di regnante delusa:

per gran forza d'incanto,

sotto velo di nume al sen stringesti

il mio Creonte,

ch'ora Tebe assalisce:

così permette il ciel, quando punisce.

NIOBE

Niobe che ascolti? E di cotanto oltraggio

vilipesa, e negletta,

tardi ancor la vendetta?

Contro il ciel, che m'ha schernita,

corro, volo a guerreggiar.

E dal soglio inferocita

voglio i numi fulminar.

Scena quarta

Anfione.

Nell'Egeo tempestoso

nave non scosser mai

con impeto più insan gl'austri frementi,

qualor nel mar turbato

di tante passioni

abbattuta è al mio sen l'anima mia,

colpa di stelle, e di fortuna ria.

Ho perduta la speranza

alma mia di più gioir.

Il destin cangiò sembianza,

sol per farmi ognor languir.

Scena quinta

Tempio di Latona.
Tiresia, Manto, Tiberino, e Popolo.

TIRESIA

Con eterni legami

stringendovi le destre,

l'alme, e i cori annodate: oggi divise

non vuol più vostre salme

il ciel, che a me commise

farvi goder di casto amor le calme.

(si dan le destre)

TIBERINO

Son felice.

MANTO

Io contenta.

TIBERINO

Sparì mia doglia.

MANTO

Ogni mia pena è spenta,

TIRESIA

Or meco o Tiberino

le piante affretta; e tu mia figlia intanto

nel culto della dèa

il popolo accompagna; e richiamandolo

le disviate menti

ai voti riverenti,

con suppliche divote, e preci umili,

di Tebe nei perigli

dal ciel prendi i consigli.

(parte)

TIBERINO

Or ch'è mio quel vago labbro,

saprai tosto amor cos'è.

Proverai, ch'egli è sol fabbro

di dolcissima mercé.

Scena sesta

Manto, e Popolo, poi Niobe con numeroso Corteggio, Clearte, e Nerea.

MANTO

Foste alfine pietosi

numi del mio cordoglio: a nostri dèi

offriam amici in sacrificio i cori,

e la gran madre eterna,

con la prole divina ogn'uno adori.

NIOBE

Che si fa? Che si tenta? Empi Tebani

da quai furori insani

follemente agitati, i falsi dogmi

d'una stolta eseguite?

Così anteporre ardite

immagin vane, e insussistenti oggetti,

ch'han sol di numi il nome,

di Tantalo alla prole? Io quella sono,

che da numi non finti

vanto la discendenza, Atlante, e Giove

sono di Niobe gli avi; olà miei fidi

tosto in più schegge infrante

cadan gl'idoli indegni alle mie piante.

I Seguaci di Niobe atterrano gl'idoli di Latona, di Apollo, e di Diana.

MANTO

Chiudetevi miei lumi,

e non v'aprite più;

se pria non fanno i numi

vendetta di lassù.

NIOBE

Mi si toglia dagli occhi.

MANTO

E ancora o cielo i fulmini non scocchi.

(parte)

Scena settima

Niobe, Clearte, Nerea, e Corteggio.

NIOBE

Senza indugio Clearte

vanne, e di tanta impresa

godan tosto il trionfo i miei gran figli;

e fra pubblici applausi

de' popoli adoranti

abbian di numi comun voti e i vanti.

CLEARTE

Giuste son le tue glorie

o dell'ismenia gente,

e fra i numi del ciel diva possente

(parte)

Scena ottava

Niobe, Nerea, Corteggio.

NIOBE

Vinti sono i celesti; or del mio petto

precipiti lo sdegno

contro il tessalo infido, e dal profondo

m'inchini Averno, e con Averno il mondo.

In mezzo all'armi

vuò vendicarmi

d'un infedel.

Cangiossi in face

d'odio vorace

d'amor il tel.

Scena nona

Nerea.

Affé ch'è un brutto intrico, ed è delitto

farne motto, o parola: il ciel mi guardi

da sì arrabbiati amanti,

che goder vonno a forza ancor d'incanti.

Povere giovinette

a quanti inganni ognor siete soggette.

Ma poi, che nella rete

v'hanno fatto cader, v'è speme alcuna

di trovarne in amore alcun costante?

Ohibò; questa speranza

non è più dell'usanza.

Che alla fé di donne amanti

siano gl'uomini costanti

io giammai no 'l crederò.

Sempre a prova e vedo e sento,

che ciascun ne brama cento

se ben giura ognun di no.

Scena decima

Gran piazza di Tebe, concorso di Popolo, Clearte, che sovra gran macchina conduce in trionfo i Figli di Niobe.

CLEARTE

Tutta gioia, e tutta riso

Tebe esulti in questo dì.

Se di numi or fatta reggia,

con il ciel lieta gareggia,

poiché i pregi al ciel rapì.

Ad un subitaneo terremoto si vedono cader tutti gli edifici, ed ingombrata da improvvise nubi la scena fra lampi, tuoni, e saette, appariscono dall'alto Latona, Diana, ed Apolline, con loro Deità compagne, in atto di fulminar li Trionfanti, e poi spariscono.

CLEARTE

Ma lasso, infin dal centro

par, che si scuota il mondo?

Scaglia fulmini il cielo,

fra il vivere, e il morire, io mi confondo.

Scena undicesima

Anfione con spada alla mano, e i suddetti atterrati dai fulmini.

ANFIONE

Fin dove m'inseguite

furie fulminatrici? I dardi ardenti

sì sì crude avventate, io serbo ancora

contro delle vostr'ire il cor costante,

ma che scorgo? Ahi spavento.

E che miro? Ahi tormento.

Incenerita al suolo

l'amata prole? Ahi duolo.

Chi mi sostiene? Io perdo i sensi. Ahi figli,

figli miei spenti: o cieli

troppo ver me crudeli.

Ma s'ognor nuovi scempi

inventate a' miei danni,

non mai stanchi tiranni,

per saziarvi un dì numi spietati,

sgorghin dal proprio seno

vasti rivi di sangue; a un disperato

vita è l'ultimo fato.

(si uccide)

Scena dodicesima

Niobe, e i suddetti.

NIOBE

Fermati.

ANFIONE

Niobe.

NIOBE

Egli svenossi.

ANFIONE

Io moro.

Spira già nel proprio sangue

l'alma pallida, e tremante.

Numi rei trofeo già esangue

di vostr'ire ecco un regnante.

NIOBE

Crudo ciel.

ANFIONE

Treman...

NIOBE

Empio fato.

ANFIONE

An...

NIOBE

Inopportuno arrivo

egli muor, ed io vivo?

Oh dell'ismenio soglio

glorie precipitate; alteri figli

estinti è il nostro nume.

Ma che veggio? E non sono

questi i figli anco uccisi?

Non è questa la prole, e non son queste

d'atro pallor dipinte

delle viscere mie viscere estinte?

Vista crudel: accorri, accorri, vieni

teban regnante, e le regali salme

togli all'indegna parca: ahi che trafitto

privo d'alma, e di vita in terra stassi

chi diè vita alle pietre, anima ai sassi.

Sposo chi mi ti ruba?

Figli chi a me vi toglie. E a chi di voi

offrirò pria da inessicabil vena

lacrimoso tributo? Afflitti lumi,

se pur pianger potete,

solo il mio duol piangete:

giacciono al suo recise

tutte le mie speranze.

Ma negandomi i pianti immenso affanno,

cinta l'alma di nube orrida, e tetra,

già mi rende di pietra.

Funeste immagini

già mi tormentano;

stigie voragini

già mi spaventano:

vinta alfin dall'empia sorte

figli, sposo, io son di morte.

Scena tredicesima

A lieto suono di trombe, e timpani, Creonte, Poliferno, Tiresia, Manto, Tiberino, Soldati, e Popolo.

CREONTE

Doma è già Tebe, e le superbe mura,

già fulminate dal celeste trono,

se col canto s'alzar, cadder col tuono.

POLIFERNO

Ecco Anfione estinto.

TIBERINO

Ecco i figli atterrati.

MANTO

Ecco Niobe impietrita.

CREONTE

Sventurato regnante.

Giovanetti infelici.

Miserabil regina.

TIRESIA

Così contro degli empi il ciel destina.

CREONTE

Mi si togliano al guardo; a violenza

rattengo il pianto, ahi Niobe.

TIRESIA

Or che gli dèi

del gran soglio tebano

ti concesser l'impero,

lasciar convien Creonte

gl'amorosi deliri.

CREONTE

Pur d'uopo è ch'io sospiri:

ma con più saggio core

vuò che de' miei delitti

porti tosto la pena

chi ne fu autor: in bando

vadane Poliferno.

POLIFERNO

Io?

CREONTE

Sì.

POLIFERNO

Fia dunque

questo alla fede mia premio dovuto?

CREONTE

Mercé con degna ad uom soggetto a Pluto.

POLIFERNO

Come?

CREONTE

Fuggi, sparisci, ancor persisti?

POLIFERNO

Empio ciel mi tradisti.

Scena quattordicesima

Creonte, Tiresia, Manto, Tiberino, e poi Nerea.

CREONTE

Or voi felici amanti

lieti godete.

TIBERINO

Alle latine sponde

meco verrai mia speme.

MANTO

Ti seguirò dove tu vuoi mio bene.

Pietà signor pietade

di Nerea l'infelice.

CREONTE

Chi sei tu?

NEREA

Son di Niobe io la nutrice.

CREONTE

Vivrai lieta, e sicura.

NEREA

Affé son mezza morta di paura.

CREONTE

Di palme, e d'allori

si cinga 'l mio crin.

E applausi canori

si dian al destin.

Segue ballo di Soldati festeggianti

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima Scena ventunesima Scena ventiduesima Scena ventitreesima Scena ventiquattresima Scena venticinquesima Scena ventiseiesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima