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Muzio Scevola

MUZIO SCEVOLA

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Nicolò MINATO.
Musica di Francesco CAVALLI.

Prima esecuzione: 26 gennaio 1665, Venezia.


Intervenienti:

MUZIO Scevola

tenore

ORAZIO Cocle

soprano

Laerte PORSENNA re dell'Etruria

tenore

PUBLICOLA console de' Romani

basso

MELVIO romano

contralto

TARQUINIO Superbo re scacciato da Roma

basso

VALERIA figliola di Publicola

soprano

ELISA moglie di Orazio Cocle

soprano

VITELLIA fanciulla loro figliola

soprano

ISMENO capitano di Porsenna

basso

CLODIO cavaliere romano

contralto

FLORO cavaliere romano

soprano

PORFIRIA vecchia nutrice di Valeria

contralto

MILO servo d'Orazio, e d'Elisa

contralto

PUBLIO un capitano di Porsenna, che vien ucciso da Muzio

tenore

La STATUA DI GIANO

basso

2 VESTALI

altro

PALLADE in macchina

contralto

VENERE in macchina

sconosciuto


Cavalieri, Soldati, e Paggi di Porsenna. Paggi di Muzio Scevola. Soldati, e Paggi di Publicola. Soldati di Tarquinio. Soldati d'Ismeno. Damigelle di Valeria. Paggi d'Orazio. Paggi di Clodio, e di Varo. Servi. Schiavi.

La scena si figura parte in Roma, parte nel Trastevere, preso da' Toscani.

Illustrissimo ed eccellentissimo signore

Come la linea sorta dalla picciolezza d'un punto si stende sino all'ampiezza più vasta della circonferenza, così dal centro della mia devozione s'inalzano alla sfera sublime del merito di v. e. le linee di questi fogli, con un ossequio, c'ha l'anima per origine, e l'immortalità per confine. Tenterei d'abbozzar con penna riverente qualche tratto delle glorie di v. e.; ma non a tutti è lecito effigiar gl'alessandri, e se non tornan gl'omeri, non v'è chi possa tesser encomii a un nuovo Achille. Non si possono ridire gli splendori di v. e. sotto le misure del tempo, e per raccontarle sarebbe necessario, ch'immobilito Saturno si prolungasse l'eternità, come altra volta il sole per render un giorno più lungo s'arrestò ne le sfere. Gradisca perciò l'e. v. l'ossequio di questi fogli: e se nel pubblicarlo ho convenuto lasciarmi prevenire, non mi lascio eccedere; e qui troverà l'e. v. le qualità del vero fine, che suol essere primo nell'intenzione ed ultimo nell'esecuzione; si contenti dunque con l'accoglierli benignamente felicitar la mia fortuna, che si fa gloriosa nel costituirmi in eterno

di vostra eccellenza

um. div. e riverentiss. servo

Nicolò Minato

di Venezia li 26 gennaio 1665

Lettore

Eccoti un altro aborto della mia penna obbligata a gl'aggradimenti, che de' suoi tratti sempre mostrasti. Professo di scrivere per debito contratto con la cortesia. Oltre il Xerse, l'Artemisia, e l'Antioco, lo Scipione compatisti, e cumulasti d'applausi l'ossequio, con che, per tua compiacenza, spargo gl'inchiostri. Ricevi ora Muzio Scevola, che tanto più merita compatimento, quanto che egli tutto fece per servire a la patria, ed io tutto faccio per servire al tuo piacere. Non mi privare della tua benignità, e se vedi errori emendali, e compatiscili, mentre io, involto in molt'altre occupazioni, ho fatica ad aver tempo di scrivere, non che di emendare. Troverai qualche sentimento di gentilità, ma raccordati, che parlano persone figurate in tempo, in che non era comparso pur anco il lume delle vera fede. E se trovassi, in qualche altro loco alcun senso, che risenta del cattolico in bocca di un gentile, rifletti, che siccome anco i gentili confessarono la prima causa, ch'è dio, così tutti gl'attributi della divinità potevano dalli medesimi esser, e concepiti, ed espressi.

Compatisci, e vivi felice.

Argomento

Di quello, che si ha dall'istoria.

Tarquinio Superbo per la sua tirannide, e per avere il di lui figliolo violata Lucrezia, privo dalla corona di Roma, ricorse al favore di Laerte Porsenna re de gli etruschi. Questo mosse guerra a' Romani per rimettere i Tarquini nel regno; prese il Ianicolo, e, data una rotta alle genti latine si rivoltò con l'esercito per passar il Tevere sopra il ponte Sublicio, che quella parte, detta il Transtevere, dall'altre parti di Roma divideva. Orazio detto Cocle, perché aveva perduto un occhio nella guerra, si oppose sul ponte a' toscani: e tanto sostenne solo l'impeto loro, quanto bastò a' romani per tagliar il ponte, onde non potessero passar i nemici. Veduto Orazio il ponte bastevolmente tagliato si gettò nell'acqua, e passò a nuoto a suoi, salvo dalla quantità dell'armi, che gl'erano da' nemici lanciate. Muzio Scevola poi si portò in abito toscano tra i nemici per uccider Porsenna, ma, per errore, uccise uno, che gli stava a lato. Fatto prigione Muzio, pose spontaneamente la destra nel fuoco dinanti Porsenna; dicendoli, che ben meritava tal pena per aver commesso l'errore d'uccider altri in vece di Porsenna: poi li soggionse che egli era il primo del numero di trecento giovani romani, che avevano risolto ad uno ad uno tentar la di lui morte. Porsenna mosso per timore, o per la generosità di Muzio, levò l'assedio, licenziò Tarquinio, e fece pace co' Romani. Mentre si trattava la pace furono dati ostaggi vicendevolmente. Li Romani diedero dieci giovani, e dieci donzelle romane, tra le quali Valeria figliola di Valerio Publicola all'ora console di Roma. Questa, parendogli debolezza d'animo lo stare così vilmente nelle mani de' nemici, persuase le compagne alla fuga, e passando il Tevere a nuoto a cavallo si ridusse in libertà. Valerio Publicola per non mancar di fede a Porsenna gli rimandò la figlia con l'altre donzelle: e Porsenna l'accolse con segni d'onore, ed a Valeria come principale della fuga donò un bellissimo cavallo: onde in Roma poi fu a lei eretta una statua a cavallo: benché altri dicano quella essere stata Clelia, e non Valeria.

Di quello che si finge.

Sopra questi fatti per intrecciar il dramma, ed adornarlo d'invenzioni si fingono li seguenti verisimili.

Che Valeria non fosse data per ostaggio ne' trattati di pace, ma che venga fatta prigioniera dall'armi toscane nella presa del Ianicolo: e che di lei s'innamori Porsenna, ma che ella come ad un nemico della sua patria neghi corrispondenza, ed anco ver essere amante di Muzio Scevola.

Che nello istesso tempo fosse fatta prigioniera Elisa altra giovine romana moglie d'Orazio Cocle con una sua picciola figliola, e che un capitano di Porsenna a cui era toccata nella divisione delle prede, invaghito di lei, perché ella gli negasse d'acconsentir alle sue brame, la maltratti, e tiranneggi.

Che Muzio Scevola, che andò tra i toscani per uccider il re, come nemico della patria, v'andasse anco stimolato dall'amore di Valeria, di cui era innamorato.

Che dopo il combattimento sul ponte Sublicio, anco Orazio incognito passasse tra i toscani per causa d'Elisa sua moglie fatta prigioniera.

Da queste suppositioni seguono gli accidenti, che formano il dramma, a cui porge il nome Muzio Scevola.

Scene

Macchine

2 Figure armate, che combattono sopra una nube di fuoco.

Pallade sopra una nube, che s'aggrandisce, ed occupa buona parte della scena.

Venere sopra un'altra nube.

6 Amorini, che ballano in aria, poi volano via.

Balli

1 - Di otto Statue, che mosse da Spiriti partono dal sito, dove circondano la Statua di Giano per ornamento, e dopo il ballo ritornano al loro loco.

2 - Di otto Seguaci di Pallade, che escono da una nube, e di sei Amorini in aria.

Atto primo
Scena prima

Tevere con il ponte Sublicio.
Melvio. Orazio Cocle sul ponte combattendo. Publicola. Esercito di romani, e Guastatori, che tagliano il ponte da una parte. Porsenna. Tarquinio Superbo, ed Esercito di toscani dall'altra.

MELVIO

Si rompa, si franga,

reciso dall'onda

all'oste, ch'inonda

il varco rimanga.

CORO

Si rompa, si franga.

Qui sarà tagliato il ponte.

ORAZIO

Così allor, ch'è di giusti

preservator il fato

contrasta un ferro solo a un regno armato.

(Orazio si getta nel fiume, e va a nuoto tra i suoi)

PORSENNA

Anzi quindi preveggo

le romane cadute: e sarà questo

luminoso fulgore

d'una spada latina

sforzo di face al suo morir vicina.

PUBLICOLA

Sarà luce di lampo,

ch'il fulgore precede.

TARQUINIO

E questo poi

sol le cime dei boschi, e i monti fere.

PUBLICOLA

Così il valor latin le teste altere.

CORO

Tornate addietro o vilipese schiere.

Scena seconda

Foro romano.
Clodio. Floro.

CLODIO

Quando il mondo in giro accolse

chi dal niente lo formò

fors'a noi dettar risolse,

che giammai fermar si può.

FLORO

Come in sferica figura

permanenza non si dà,

così un punto è la misura

di mortal felicità.

CLODIO

Già più angusti di Roma

i confini son resi. Etrusca preda

il Gianicolo è fatto, e 'l Tebro stesso

già par, che paventi

ceppi di ferro ai fuggitivi argenti.

FLORO

Stringe nodo servile

del console la figlia.

CLODIO

(Il mio tesoro.)

Preziosissima spoglia.

FLORO

(Il bel, ch'adoro.)

CLODIO

E forse 'l vago labbro

tenta di profanar con sozzi baci

il predator lascivo.

FLORO

Ed io di duol non moro!

CLODIO

(Ed io pur vivo!)

FLORO

Così mesce, e confonde

sempre volubil sorte

gioie un dì, l'altro pene, e 'l terzo morte.

Scena terza

Melvio. Publicola. Orazio. Coro di Soldati. Clodio. Floro. Popolo.

MELVIO

Allori, e trofei

a te si denno alzar,

ch'il nume tutelar

di Roma sei.

CORO

Allori, e trofei.

ORAZIO

Infausto trofeo,

vittoria infelice,

se perder mi tocca,

qual miser'Orfeo

la cara Euridice;

infausto trofeo

vittoria infelice!

Io de' patrii Penati

la libertà difendo, e ciel maligno,

rubandomi la moglie,

con empio guiderdon l'alma mi toglie!

PUBLICOLA

S'a te l'impeto ostile

rapisce la consorte, a me pur anco

la dolce prole invola,

con le perdite mie le tue consola.

ORAZIO

Sangue, che stilli dall'altrui ferite

le mie non disacerba.

PUBLICOLA

Quella sventura è men dell'altre acerba

che per la patria viene; e ingiurioso

quel destin non si rende,

che circonda di gloria allor, ch'offende.

Scena quarta

Muzio Scevola. Publicola. Orazio. Clodio. Floro.

MUZIO

Signor, o sia del fato,

ch'al mio fine mi trae, feroce impulso,

o d'amico destino,

che mi scorge ai trofei forza soave

m'arde 'l seno un desire

o d'uccider Porsenna, o di morire.

PUBLICOLA

Generoso desio,

ma di tentar l'impresa

con qual mezzo presumi?

MUZIO

Con il favor de' numi.

ORAZIO

Stimolati dall'opre

si muovono gli dèi: tu che farai?

MUZIO

Nulla determinai,

farò ciò, che potranno

dettar a un cor guerrier forza, od inganno.

PUBLICOLA

Ardua Muzio è l'impresa.

MUZIO

Facile ogn'opra a un risoluto è resa.

PUBLICOLA

Il troppo ardir sovente

concepisce speranze insufficienti,

ma partorisce alfine

aborti di cadute, e di rovine.

MUZIO

Passerò tra i nemici

armato ad uso loro

(e vedrò, se non altro, il sol, ch'adoro),

mi sarà forse amico

il cielo, e quand'ancor cader dovessi,

avrò tolto all'oblio

con eroico ardimento il nome mio.

ORAZIO

Muzio un desio conforme al tuo nel core

m'hai svegliato, e riscosso.

CLODIO

Ed io restar non deggio.

FLORO

Ed io non posso.

ORAZIO

Me chiaman sovra ogn'altro

là dai nodi servili,

e la consorte, e l'innocente prole.

CLODIO

(E me 'l mio ben cattivo.)

FLORO

(E me 'l mio sole.)

PUBLICOLA

E lasciar vacillante

la patria non vi pesa?

MUZIO

È un custodirla, il prevenir l'offesa.

PUBLICOLA

Ma 'l provocarla è rischio.

ORAZIO

E l'aspettarla

è una viltà, che nuoce!

PUBLICOLA

Ma 'l periglio?

CLODIO

No 'l teme un cor feroce.

PUBLICOLA

La speme è incerta.

FLORO

È nobile il desire.

PUBLICOLA

Ma s'avverso è 'l destin?

MUZIO

Gloria è 'l morir.

PUBLICOLA

Arridano le stelle al vostro ardire.

Scena quinta

Luogo nel Trastevere, dove li Toscani fanno piazza d'armi con padiglioni.
Elisa. Vitellia. Guardie. Ismeno.

ELISA

Amara servitù,

ch'allontanar mi fai

da chi mia gioia fu,

amara servitù!

Soave libertà,

quando ritornerai

a consolarmi più?

Amara servitù!

Ed è pur vero, o stelle,

ch'è mio solo conforto

aver meco nel mal la dolce prole!

Così delle sue pene,

fatta per troppo amor empia, e crudele,

son costretta a gioire,

e numerar per gioia anco 'l martire.

ISMENO

Olà, dall'altre prede

perché t'allontanasti?

Vieni, che tosto al re, che t'avvicina

dovrò condurti.

ELISA

Oh dèi!

La libertà del duolo anco perdei.

Scena sesta

Porsenna. Tarquinio.

PORSENNA

Fortuna.

TARQUINIO

Ostinata.

PORSENNA E TARQUINIO

Si vince sprezzando.

TARQUINIO

Fortuna.

PORSENNA

Sdegnata.

Si placa pregando,

e spesso lusingata il crin ci stende.

TARQUINIO

Ma chi adopra l'ardire anco lo prende.

PORSENNA

Non volle ai nostri sforzi

assentir il destino.

TARQUINIO

Egli si rise

dell'infamia d'un solo: ed ebbe a sdegno

macchiar col di lui sangue i nostri acciari.

PORSENNA

Ma non per tanto avari

ci furo i numi. Roma

a sé stessa decresce

per tornarti soggetta.

TARQUINIO

Io dello scettro

toltomi ingiustamente ornar la destra

giustamente ritento:

e 'l ciel, che mi girò torbidi nembi,

par, che mi torni a riguardar sereno.

PORSENNA

Ecco se n' viene con le spoglie Ismeno.

Scena settima

Valeria. Elisa. Vitellia. Ismeno.
Coro di Schiavi, e di Servi, che portano molte spoglie.

VALERIA

Né fastosa allor che ride...

ELISA

Né dolente allor che freme...

VALERIA E ELISA

Varia sorte mi vedrà.

ELISA

Né superba, se m'arride...

VALERIA

Né avvilita, se mi preme...

VALERIA E ELISA

Il destin mi troverà.

ISMENO

Del Trastevere omai

piegan signor le trionfate turbe

l'ostinate cervici al nostro giogo.

E mentre vincitrice

il Gianicolo aprico Etruria doma,

i sette colli suoi non trova Roma.

Varie, molte, pompose

furo le nostre prede:

di fulgido metallo

masse doviziose, ostri di Tiro,

adamanti, rubini, e lunghe fila

di rugiade, indurate

nelle conche eritree, qui troverai:

ma queste, che rimiri

bellezze preziose,

animati tesori

son d'ogn'altro tesor gioie migliori.

PORSENNA

(Abbagliato son io da quei splendori.)

Dell'esser vostro, o belle,

le notizie scoprite.

VALERIA

Siam romane.

PORSENNA

Seguite

se non v'è grave 'l favellar.

VALERIA

Che giova

ridir le sorti andate?

PORSENNA

Di placar stelle irate

ha talvolta virtute.

VALERIA

Non son più mie le qualità perdute.

TARQUINIO

Se resistono ai preghi, ubbidienti

dai tormenti sian rese.

VALERIA

Tiranno discortese; a guerra ingiusta

aver indotto un re poco ti fora,

s'all'empietà non l'invitassi ancora?

PORSENNA

(Che amabile fierezza!)

ELISA

E perché l'alterezza,

ch'odioso lo rende a Roma, ai cieli,

più rinfacciar gli possa,

lascia, ch'io gli riveli

l'esser nostro Valeria. Ella è Valeria

del console la figlia. E di colui,

che sul ponte Sublicio,

solo contese al furor vostro il varco

quest'è prole. Io son moglie.

ISMENO

Pregiatissime spoglie!

ELISA

No, no non tornerai

a violar la libertà latina,

con tiranna insolenza.

TARQUINIO

Donisi al vostro duol questa licenza.

PORSENNA

Della vostra sventura

san gli dèi, se mi duol, ma se di Marte

così voglion le leggi,

che far poss'io? Valeria

meco rimanga; Ismeno

l'altre ritenga; e da Tarquinio poi,

conforme a' suoi voleri,

sian divise le spoglie a miei guerrieri.

ISMENO

Grazie ti rendo.

TARQUINIO

Andiamo.

ELISA

Empio, superbo,

Giove ti pagherà l'insidie ingiuste

con infocati teli.

VALERIA

Crudel, crudel ti puniranno i cieli.

Scena ottava

Porsenna. Valeria.

PORSENNA

Valeria, io non pretendo

con rigorose leggi

di servitù noiosa,

oscurar il fulgor de' merti tuoi.

VALERIA

Siami pur qual tu vuoi,

ponmi o in reggia superba, o mi condanna

a bosco ombroso, o pur a colle aprico,

esser peggio non puoi, che mio nemico.

PORSENNA

Dunque con alma indifferente accetti

e gli scherni, e i favori?

VALERIA

E che poss'io

dar legge al destin mio?

PORSENNA

Sta in mia man la tua sorte.

VALERIA

E che mi giova?

PORSENNA

Puoi placarla co' preghi.

VALERIA

Anima vile

a un nemico si pieghi.

PORSENNA

E se crudele

teco sarò?

VALERIA

D'alpestre cor, di fiero,

d'animo di macigno il biasmo avrai.

PORSENNA

E se placidi rai

ti volgerò cortese?

VALERIA

Fanno i favor dimenticar l'offese.

PORSENNA

E l'offese obliate,

può concepirsi amor?

VALERIA

No, tra nemici.

PORSENNA

Dunque dell'ire ultrici

mai non cessa la fiamma? E nobil petto

mai non lascia i rigori?

VALERIA

Sì: ma sì tosto non principia amori.

Scena nona

Porfiria. Valeria. Porsenna.

PORFIRIA

A Porfiria vecchiarella,

che fu bella,

or soggiace degl'anni all'aspra pena:

signor deh fate dar una catena.

PORSENNA

Chi sei tu, che ricerchi

ciò, cui ciascun contrasta?

La catena del tempo a te non basta?

PORFIRIA

A Valeria bambina

diedi le poppe; e sì teneramente

l'amo, che dal seguir ogni sua sorte

sol mi disgiungerà falce di morte.

PORSENNA

I sensi di costei

grati, o bella ti sono?

VALERIA

No 'l nego.

PORSENNA

A te la dono.

VALERIA

Piuttosto di', che ciò, ch'è mio mi rendi.

PORSENNA

(O ch'implacabil alma!) Olà, sia scorta

alla reggia Valeria. A cenni tuoi

servi, e donzelle avrai.

VALERIA

Non li chiedo.

PORSENNA

Vivrai

sciolta da' ferri.

VALERIA

O rigido, o soave

il voler del destin, niente m'è grave.

PORSENNA

(O che rigido cor!) Addio. Rifletti,

ch'in un'alma cortese

fanno i favor dimenticar l'offese.

(Di che altera bellezza amor m'accese!)

PORFIRIA

S'io non erro, Porsenna,

per te languisce. Amore

frangerà l'ire sue.

VALERIA

Porfiria, ho core

ad ogni duol bastante:

no 'l chiedo amico, e non lo voglio amante.

Volga rapida, e leggera

la fortuna più incostante

la volubile sua sfera.

Quanto sa mi turbi, e mova,

ch'a scuoter il mio cor niente li giova.

Tolga rigida, e fugace

il crin d'oro alla mia mano

calva dèa cieca, e rapace;

più che tenta d'abbassarmi,

con magnanimo cor saprò innalzarmi.

Scena decima

Clodio. Floro. Valeria. Porfiria.

CLODIO E FLORO

Valeria.

FLORO

Clodio amico.

CLODIO

Amico Floro.

FLORO

Veggio, o bella, i tuoi nodi,

con pena immensa...

CLODIO

Ed io con duolo estremo.

FLORO

(Emulo lo cred'io.)

CLODIO

(Rival lo temo.)

VALERIA

In alma generosa

il duolo è men possente:

tant'è fiero 'l martir, quant'altri 'l sente.

CLODIO

Così mai non arrivi ombra di doglia

a turbar il sereno

del bel sembiante.

FLORO

O de' bei rai la luce.

CLODIO

(M'insospettisce.)

FLORO

(A gelosia m'induce.)

VALERIA

Ma voi per qual destino

varcaste 'l Tebro ondoso?

CLODIO

A picciol pino.

FLORO

A lieve abete.

CLODIO

M'affidai...

FLORO

Mi diedi...

CLODIO

Qua venni.

FLORO

Qua son giunto.

CLODIO

Ignoto.

FLORO

Occulto.

CLODIO

E se ti val...

CLODIO E FLORO

Se giova...

FLORO

Pronto a recarti aita,

per la tua libertà darò la vita

CLODIO

Lascia garrulo Floro

di mescer le tue voci ai detti miei.

FLORO

Quel, che turbi il mio dir anzi tu sei.

VALERIA

Molto vi deggio in ver, ma nulla chiedo.

Contro il voler del fato

né v'è giusta speranza,

né rimedio miglior, che la costanza.

CLODIO

Deh ferma.

FLORO

Ascolta.

PORFIRIA

Cheti, cheti al Tebro

voi ritornar potete,

e darvi a picciol pino, a lieve abete.

CLODIO

Anco Floro si turba.

FLORO

Anch'ei s'impallidisce.

CLODIO E FLORO

È certo amante.

CLODIO

Volgo muto le piante.

FLORO

Labbro ver lui non movo.

CLODIO E FLORO

Acciò s'avveda

ch'è forza ch'ei mi fugga, o che mi ceda.

CLODIO

Al rigor di due tiranni

sta soggetto un cor geloso:

vuol ciascun, che ei si condanni

al tormento più penoso:

ma non so, se peggio sia

o la face di Cupido,

o il flagel di gelosia.

Due contrari gelo, e foco

stando insieme in un sol core

van facendo a poco, a poco

di due pene un sol dolore,

onde avvien, che sempre stia

con la face di Cupido

il rigor di gelosia.

Scena undicesima

Orazio Cocle. Milo.

ORAZIO

Se il mio mal da voi dipende

perché, o dèi, non l'impedite?

O se pur altri m'offende,

dunque mal mi custodite.

Deh se al mondo presiedete

perché meglio no 'l guardate?

E se più far non sapete

dunque il ciel non usurpate.

MILO

Signor, signor non t'aggravar del cielo,

che un gran peso ti toglie:

non v'è intrico peggior quanto aver moglie.

ORAZIO

Così parla la plebe:

ma nobil alma non detesta mai

ciò. Che un giorno approvò.

MILO

Non sono eguali

a quel giorno i seguenti.

ORAZIO

A chi muta parer son differenti.

MILO

Perché Imeneo tien le catene in mano?

ORAZIO

Perché son gli sponsali

un vincolo d'amori,

un gruppo d'alme, un union di cuori.

MILO

No, no: tu non lo sai

perché l'uom, che s'ammoglia

pazzo appunto diviene,

Imeneo per legarlo ha le catene.

Ma vedi Elisa.

ORAZIO

E seco

la mia tenera prole.

Ritiriamci; nascosto

voglio udir del destin come si duole.

Scena dodicesima

Elisa. Vitellia. Milo. Orazio.

ELISA

Se nel ben sempre incostante

fortuna vagante

di farsi stabile

uso non ha,

anco mutabile

nel mal sarà.

ORAZIO

(Alma più nobile

chi troverà?)

ELISA

Se non può d'astro inclemente

pupilla dolente

lo sdegno frangere

né il ciel mutar

non giova piangere,

né sospirar.

ORAZIO

(Dunque d'affliggermi

poss'io cessar.)

(esce)

Elisa?

ELISA

Orazio?

VITELLIA

Genitor?

ORAZIO

O cara

dolce mia prole.

ELISA

Oh dio

giunge il nemico: parti.

MILO

O me infelice.

ELISA

Fuggi il rischio imminente

di servitù spietata.

ORAZIO

Fier destin!

ELISA

Sorte rea!

VITELLIA

Fortuna ingrata!

MILO

Non te 'l diss'io signore.

(inciampa, e cade)

Ahimè: cieco m'ha reso il gran timore.

Scena tredicesima

Ismeno. Milo. Vitellia. Elisa.

ISMENO

Perché fuggi? Chi sei?

MILO

(Che deggio dir, oh dèi!)

ISMENO

Rispondi?

ELISA

Egli è latino,

e fuggia dai miei sdegni; onde traesti

così folle ardimento?

MILO

(Con chi favella!)

ISMENO

In che t'offese?

ELISA

L'empio

poiché dal re partimmo,

udite (e non so come)

le tue lascivie, e le ripulse mie,

fattosi tuo fautore

or per te mi chiedea d'indegno amore.

MILO

Misero me!

ISMENO

Costui? Di', che t'ha mosso?

ELISA

Quel genio, che proclive

tengono al mal oprar l'anime vili.

MILO

(Che farò mai?)

ISMENO

Tu tremi, e ancor non parli?

ELISA

(piano a Milo)

Afferma quant'io dico.

MILO

(Son pur nel grand'intrico.)

ISMENO

Che dici?

MILO

Incerto ancora,

se ciò signor t'aggradi, o pur t'irriti

ho gli spirti smarriti.

ISMENO

Se l'oprar fu sincero

tutto m'è grato.

MILO

Dunque tutto è vero.

ISMENO

Avrai mercé maggior di quanto speri.

ELISA

(Secondaro le stelle i miei pensieri.)

MILO

(Tremo ancor di timore.)

ELISA

(Così non favellò del mio signore.)

ISMENO

Tanto o bella, aborrisci

chi ti parla d'amarmi?

ELISA

T'amerò quando senso avranno i marmi.

ISMENO

Ciò che neghi agli affetti,

cederai allo sdegno.

ELISA

Al soffio irato

di crudo Borea, d'Aquilon malvagio

anzi il gel più s'indura.

ISMENO

Ma percosso si frange,

e la durezza sua non l'assicura.

Ciò, che donar ricusi

rapir saprò.

ELISA

Tiranno

ferma.

ISMENO

Sei mia...

ELISA

Nemica.

ISMENO

Serva.

VITELLIA

Lascia crudele

di molestar la genitrice mia.

ISMENO

Eh che sì sfacciatella.

ELISA

Nulla, nulla farai.

ISMENO

Tosto ti pentirai: olà, costei

stanchi dura fatica,

e sotto il peso di percosse acerbe

germano il genio altero,

e i pensier contumaci,

merta i flagelli chi rifiuta i baci.

ELISA

Siati nemico il fato.

VITELLIA

Ti fulmini dal ciel Giove adirato.

MILO

Quanto, misero me, son imbrogliato!

ELISA

Fermo scoglio è la mia fede,

agitata,

flagellata

dal furor d'onda spumante

più costante

nulla cede:

fermo scoglio è la mia fede.

Vivo alloro è la mia fede,

ch'il suo verde

mai non perde

d'Aquilon al fiato acuto,

né canuto mai si vede

vivo alloro è la mia fede.

Scena quattordicesima

Porfiria. Valeria. Poi Clodio, e Floro.

PORFIRIA

Mi seppi anch'io vantar

di pura fedeltà

nella mia bella età.

Ma non mi feci odiar,

e con ingegno scaltro

scherzai con uno, e fui fedel con l'altro.

Mantenni a un sol la fé,

ma non mostrai rigor

a chi mi chiese amor;

così d'aver mercé

nell'amoroso duolo

speravan mille, e conseguiva un solo.

VALERIA

Io l'opre mie non reggo

con gli altri sensi. Muzio solo adoro.

PORFIRIA

Ma qui da lui lontana

d'una speranza vana

non fai nutrir Porsenna.

VALERIA

A Clizia ogni altro lume,

che quel di Febo è ignoto,

né sa dal polo amato

calamita fedel torcer il moto.

Vien Clodio.

CLODIO

Bellissima se t'amo,

e tacer no 'l poss'io senza morire.

Scusa d'un disperato

il necessario ardire.

Vien Floro.

FLORO

Ei mi prevenne.

CLODIO

Ecco 'l rival.

FLORO

Non cederò.

VALERIA

Che vuoi?

FLORO

Escon Valeria dalle tue pupille

sì cocenti faville,

che ben giurar poss'io,

che per arder un'alma

di Radamanto a scherno

desta beltà di ciel fiamma d'inferno.

CLODIO

Ardisci troppo o Floro.

FLORO

Io l'amo.

CLODIO

Ed io l'adoro.

FLORO

La fiamma estingui.

CLODIO

Ammorza tu la face.

FLORO

Arder m'è caro.

CLODIO

Incenerir mi piace.

FLORO

M'avrai nemico.

PORFIRIA

Vien il re, tacete,

s'ei vi scopre latini,

altre catene, che d'amor avrete.

Scena quindicesima

Porsenna. Valeria. Clodio. Floro. Porfiria.

PORSENNA

Che si contende qui? Chi siete?

VALERIA

Sire

io ti dirò: né poco

ascolterai d'infamia, a senso mio.

Sono dei tuoi guerrieri: e delle gemme

depredate ai Latini una tra l'altre

par ch'ad ambi gradisca, e a queste gare

per il di lei possesso erano giunti;

e pur certi non son s'ad essi, o ad altri

dall'incerto avvenir prescritta sia

ora di' non è questa una follia?

CLODIO

(Crudo favor!)

FLORO

(Acerba cortesia!)

PORSENNA

Giunge a tanto dell'oro

l'avidità esecranda,

che con iniqua usanza

si pretende rubar sin la speranza.

VALERIA

So, che di rado il cielo

seconda i sensi umani, e giurerei,

che la gemma pretesa

non sia, che a voi fortifica: onde potete

per far pago il desio, che il cor v'ingombra

divider l'aria, e compartirvi l'ombra.

CLODIO

Ben udii.

FLORO

Ben intesi.

(partono)

VALERIA

(Gli ho scherniti ad un tempo, e gli ho difesi.)

Scena sedicesima

Porsenna. Valeria. Porfiria.

PORSENNA

Bella cessaro ancora i primi impulsi

dell'alma conturbata?

VALERIA

Contro i nemici miei son sempre irata.

PORFIRIA

Alfin preda infelice

non sei di crudo scita,

di trace infido, o di numida avaro.

Di rugginoso acciaro

non t'aggravai le piante, e non ti diedi

di balza alpestre in un confin remoto

per pena il tempo, e per tormento il moto.

VALERIA

Or che vorresti?

PORFIRIA

Amore.

VALERIA

Dunque il non esser empi

vendono i regi? La speranza accorta

di pretesa mercede

il favor concesse?

E non fu la virtù, ma l'interesse?

PORFIRIA

Dimmi Valeria, forse

la speranza è peccato?

Enormità 'l desio?

VALERIA

È vano lo sperar l'affetto mio.

PORFIRIA

Che peggio far potresti,

s'io ti fossi inumano?

VALERIA

Detestar l'empietà del cor villano.

PORFIRIA

E l'esser pio, che rende?

VALERIA

Inimico non è chi non offende.

PORSENNA

E 'l cessar dall'offese

può partorir amor?

VALERIA

No, perché avanza

dell'incendio primier la rimembranza.

PORSENNA

Se dunque con amore

Amor non si risveglia, almen di Marte

non si rompan le leggi. Il crin reciso,

incatenata il piede,

cinta di rozze lane

vivrai schernita, e vilipesa ancella.

(Oh dio così favella

innamorato cor!) Tolgan le stelle

ch'io ti molesti, ancor ch'ingrata. Amore

di vincitor, che fui vinto mi rende.

Inimico non è chi non offende.

PORFIRIA

Così ognor tollerante

Porsenna non sarà, Valeria mia.

VALERIA

Qualunque ei vuol pur sia

nell'ombre sue pavento,

né m'alletta il suo lume,

vittima già son fatta ad altro nume.

La fiamma, che amore

nel core m'accese

per altra beltà

sì viva s'apprese,

che mai cesserà.

Sì fiero fu il dardo,

che un guardo lucente

nel sen mi vibrò,

che stral più pungente

ferir non mi può.

Scena diciassettesima

Milo. Porfiria.

MILO

Numi rei dell'atra Dite,

dite dite,

se sì dà flagel peggiore

d'un orribile timore.

Ma che veggio!

PORFIRIA

Costui quanto m'osserva.

MILO

Bizzarro adornamento

dell'etrusche contrade

dai deserti arenosi

della Libia cocente

condur le mummie ad ingannar la gente?

PORFIRIA

Certo infiammar di me costui si sente.

MILO

Si move? Brutto clima,

dove nel mezzogiorno

vanno i fantasmi intorno!

PORFIRIA

Va contemplando il mio sembiante adorno;

amico!

MILO

Oh quest'è brutta?

Che paesi infelici,

dove i fantasmi van cercando amici.

PORFIRIA

Odi.

MILO

Non è già spirto.

PORFIRIA

Che fai?

MILO

Lascia ch'io tocchi

affé sei corpo al tatto, e non agli occhi.

PORFIRIA

Fermati!

MILO

Non vogl'altro.

Donna crespa e canuta,

a cui l'effige umana il tempo invola

sazia ogni senso in un'occhiata sola.

PORFIRIA

Benché il tempo, che fuggì,

la bellezza gli involò,

il desio dei più bei dì

donna mai lasciar non può.

La speranza di gioir

con i giorni può cessar

ma la forza del desir

mai non usa abbandonar.

Scena diciottesima

Muzio. Tarquinio. Valeria.

MUZIO

Prima essenza increata,

che, senza tempo, e moto,

e del tempo, e del moto il fonte sei,

se son giusti seconda i voti miei.

Tu, ch'immenso, incompreso

il tutto in te comprendi,

movi non mosso, e non creato crei,

se son giusti seconda i voti miei.

Vien Tarquinio.

VALERIA

Muzio?

MUZIO

Valeria?

VALERIA

Oh dio!

TARQUINIO

Tu qui?

MUZIO

Io qui signore,

ad inchinar fedele

la fronte anco real senza il diadema;

ad unir co' suoi ferri

questo, ch'al fianco mio non vil si cinge.

(Contro i nemici suoi saggio è chi finge.)

VALERIA

Infelice che sento!

TARQUINIO

Non leggero contento

mi reca 'l tuo valor: ma che t'induce

a differir dall'empietà latina?

MUZIO

Genio, che non inclina

a star fra gl'empi involto.

TARQUINIO

Come amico ti stringo.

VALERIA

(Oh dèi ch'ascolto.)

Tu fellon? Tu ribelle?

Tu alla patria nemico?

MUZIO

Chi discaccia 'l suo re fellon io dico.

VALERIA

Dunque al nome di Muzio

per fregio aggiungerà la dèa loquace

de' tarquini seguace?

MUZIO

Sì.

VALERIA

Contro 'l Lazio adunque

la spada impugnerai?

MUZIO

Per il mio rege

a guerreggiar m'accingo.

(Come poss'io farli saper che fingo?)

VALERIA

Così degl'avi illustri

la memoria deformi? Il nome oscuri?

E dall'ingiurie tue

fin nelle tombe lor non son sicuri?

MUZIO

Agl'estinti non penso.

VALERIA

I patri numi

così difendi?

MUZIO

Di mortal difesa

han di mestier gli dèi?

VALERIA

Avrai l'odio di Roma.

MUZIO

Ma non lo curo.

VALERIA

Degl'amici.

MUZIO

Pazienza.

VALERIA

Del mondo.

MUZIO

Non intiero.

VALERIA

Del cielo.

MUZIO

Indifferente

a tutti è Giove.

VALERIA

Io stessa,

se con quest'ombre i tuoi splendori eclissi

t'aborrirò.

MUZIO

Ch'importa! (Ahimè che dissi!)

VALERIA

Resta perfido. (Oh dio

s'un traditor adoro

son traditrice a mio dispetto anch'io.)

TARQUINIO

Andran.

MILO

Dove?

TARQUINIO

A Porsenna.

MILO

A tutti ignoto.

Lasciami, fin che teco

i ripari, le forze, i fini, e l'opre

de' Lazio i rubelli

partecipi, e ti scopra un mio pensiero

onde vittorioso

potrai del Tebro ricalcar l'impero.

TARQUINIO

Farò quanto t'aggrada. Eccolo appunto.

MUZIO

Mi disgiungo da te. Giove, che libri

il premio ai buoni, ed i flagelli ai rei,

se son giusti seconda i voti miei.

Scena diciannovesima

Porsenna. Publio suo capitano. Muzio. Tarquinio. Soldati, Servi.

PORSENNA

Se un crin d'oro m'incatena,

il volante pargoletto

anco a Giove accese il petto.

Se a un bel ciglio non resisto,

all'ignudo alato arciero

anco cesse il dio guerriero.

Publio, sarà tua cura

condur col nuovo dì le squadre al Tebro,

mentre 'l sol dorma ancora,

e prevenir la sonnacchiosa aurora.

MUZIO

(A che fo più dimora?)

PORSENNA

L'isola tiberina

assalirò impensato.

MUZIO

(Qui sarò più celato.)

PORSENNA

Così sia, ch'il Tarpeio, e l'Aventino

maggiormente si stringa.

MUZIO

(È più vicino.)

TARQUINIO

Animo coraggioso

nell'oprar non è tardo.

MUZIO

(Numi scorgete voi questo mio dardo.)

Muzio ferisce Publio, che stava al fianco del re.

PUBLIO E MILITARI

Ahimè!

PORSENNA

Che veggio!

TARQUINIO

Da mortal

langue trafitto!

PORSENNA

Fin del regio lato

il rispetto s'ardisce

di violar!

TARQUINIO

S'arresti

colui, che fugge. Al certo

Muzio, un latin, ch'offerse, o almen infinse,

di seguir le mie parti

il reo sarà.

PORSENNA

D'aspre catene cinto

mi si conduca. E tu, Porsenna ignaro,

nemici accogli?

TARQUINIO

Appena

mi favellò, l'avrei

condotto a' piedi tuoi.

PORSENNA

Basta: tanto non prenda

d'ardire ne' regni altrui chi perse i suoi.

TARQUINIO

Forse de' miei dal cielo

disoccupato fui

perch'aiutassi a sostener gl'altrui.

Scena ventesima

Tempio di Giano in Roma.
Publicola. Melvio. Sacerdoti. Soldati. Servi. Popolo.

PUBLICOLA

Non si move.

MELVIO

Non sussurra.

PUBLICOLA

Onda in fiume.

MELVIO

Erbetta in prato.

PUBLICOLA

S'il ciel non vuol.

MELVIO

Se non l'impone il fato.

PUBLICOLA

Mai non spira.

MELVIO

Mai non soffia

aura dolce.

PUBLICOLA

Euro adirato.

MELVIO

S'il ciel non vuol.

PUBLICOLA

Se non l'impone il fato.

Dunque del chiuso Giano

perché prospero a noi rende il destino

s'aprano l'are.

MELVIO

I cardini stridenti

volgan le ferree porte:

veggansi i sacri chiostri,

e la faccia bifronte a noi si mostri.

Qui sarà aperto un luogo dov'è la Statua di Giano con altre otto.

PUBLICOLA

Fa' che Roma trionfi, o dio, che tieni

il duplicato volto,

ed al passato, e all'avvenir rivolto.

Arder farò, se vincitor io torno,

innanti ai doppi lumi

arabi incensi, e nabatei profumi.

MELVIO

Ma di qual nova, inusitata luce

sfavilla il tempio? Mira

sovra nube di foco

pugna d'armati, e un rapido momento

tutto involò.

PUBLICOLA

Così m'avviso appunto,

che cessar tosto deggia

il bellicoso ardor, che Roma accende.

PUBLICOLA E MELVIO

Così favella il ciel a chi l'intende.

(partono)

Si vedono Spiriti infernali dietro le statue. Poi la Statua di Giano.

STATUA DI GIANO

Ah, ah, ah, ah, eppur è vero, che pensa

l'ingannato Romano

alla superna mente

erger altari, e tempii

ed adora qui dentro

i neri spirti dell'acceso centro.

Noi pur nell'alta sfera

già pretendemmo egualità con dio,

pugnammo: ma prevalse

la sua fortuna, e 'l cavernoso fondo

a noi rimase del diviso mondo.

Or, se pur anco, in onta

del ciel vittorioso,

cieco 'l Roman ci adora,

miei seguaci gioite,

e dando moto ai delusori sassi,

sciogliete a liete danze i duri passi.

Le Statue partono dal loro sito: fanno un ballo, gettando fiamme dalla bocca, e poi tornano al luogo di prima.

Atto secondo
Scena prima

Giardino nel Trastevere.
Valeria. Porfiria.

VALERIA

Per ammorzar l'ardor,

che vive nel mio cor

d'un empio, d'un ribel,

deh prestatemi pietose

il vostro freddo gel

alpi nevose.

Perch'io non arda più

di chi scoperto fu

di fellonia ripien,

deh venite per pietate

ad agghiacciarmi il sen

orse gelate.

PORFIRIA

Senz'invitar dal più remoto polo,

o dall'eccelse rupi, i ghiacci, e l'orsa,

com'in rapido fiume

l'onda incalza l'altr'onda,

tal da prudente core

si discaccia un ardor con altro ardore.

VALERIA

Io più non amerò: troppo mi sembra,

che mal cauto si guardi,

chi per fuggir le piaghe incontra i dardi.

PORFIRIA

Di non amar anch'io

mille volte giurai,

e mille volte a riamar tornai.

Scena seconda

Clodio. Floro. Valeria. Porfiria.

Insieme

VALERIA

Felice chi sa

senza seguir amor

viver in libertà.

CLODIO E FLORO

Beato chi sa

senza seguir amor

viver in libertà.

CLODIO E FLORO

Sue dure catene

non cessano mai.

VALERIA E CLODIO

Non dà se non pene.

VALERIA E FLORO

Non ha se non guai.

Insieme

VALERIA

Gioire non sa.

CLODIO

Penare sol fa.

FLORO

Languire sol fa.

Insieme

VALERIA

Felice chi sa

senza seguir amor

viver in libertà.

CLODIO E FLORO

Beato chi sa

senza seguir amor

viver in libertà.

CLODIO E FLORO

Bella!

CLODIO

Ecco il mio ardor.

FLORO

Ecco 'l mio foco.

CLODIO

Soffra chi non ha cor.

FLORO

Taccia chi non ha senso.

(mettono mano alle spade per uccidersi, e si fa di mezzo Valeria)

VALERIA

Primo si fermi chi più m'ama.

CLODIO

Dunque

chi più t'ama, crudele,

soffrir deve il rival?

FLORO

Dunque il rivale

vuoi preservar di chi più t'ama, ingrata?

VALERIA

E che dirà la plebe

dell'Etruria nemica,

se invece d'impugnar brandi fedeli

per la patria, che langue

qui per un vano amor versate il sangue?

Vivete a miglior fato,

la ragion non vi bendi amor bendato.

(parte)

CLODIO

Floro, perch'io più l'amo il brando arresto.

FLORO

Io perché l'amo più non ti molesto.

(parte)

PORFIRIA

Fermati. Ed io chi son? Che di mirarmi

folle, ne pur ti pensi?

CLODIO

(A fé che può costei molto giovarmi.)

Confesso non osai.

PORFIRIA

(Chi sa, ch'io non li piaccia.)

CLODIO

E non sperai

sì lieta sorte.

PORFIRIA

Non ottien chi tace,

chi pretende dimanda.

(A fé, che vettovaglia amor mi manda.)

CLODIO

Or che sperar poss'io? Che mi prometti?

PORFIRIA

Soavissimi affetti.

CLODIO

O me felice!

PORFIRIA

E se tacer saprai

baci, ed amplessi avrai.

CLODIO

Eh mi burli.

PORFIRIA

Se io mento

mi copra or ora il ciel d'eterno oblio.

CLODIO

Dunque amato son io?

PORFIRIA

E chi non t'amerebbe idolo mio.

Tu resti?

CLODIO

Di'! Chi m'ama?

PORFIRIA

Io, mia speranza.

CLODIO

E Valeria?

PORFIRIA

T'aborro.

CLODIO

Scusami non t'intesi: il tuo sembiante

ha ceffo di mezzana, e non d'amante.

PORFIRIA

S'il veder piacer arreca,

ma vecchiezza ognun rifiuta,

saria meglio farsi cieca,

che non è venir canuta.

Se vecchiezza tanto ingombra,

ch'ogni senso gl'è nemico

saria meglio l'esser ombra,

ch'esser corpo tanto antico.

Scena terza

Elisa vestita d'abito servile, lavorando con la zappa il giardino. Vitellia.

ELISA

Dure glebe io pur vi frango:

ma s'indura 'l mio destino

più ch'io peno, e più che piango.

Io vi svello erbe crescenti,

ma non tronca irato cielo

le radici a' miei tormenti.

VITELLIA

Deh cessa o madre: e la fatica ingiusta

mi partecipa alquanto,

e tu respira, e ti solleva intanto.

(Vitellia vuol levar la zappa ad Elisa, ella non vuole)

ELISA

No, no viscere mie.

VITELLIA

Sì, sì mia genitrice.

ELISA

No, che questi sudori,

ch'il ciel stillar mi vede

imperlano la fronte alla mia fede.

VITELLIA

Sì: che diventa a chi sostien costante

la fortuna nemica

un gioco pueril sin la fatica.

Scena quarta

Milo. Orazio. Elisa. Vitellia.

MILO

Se 'l favellarti Elisa,

non v'è chi noti, Orazio a te se n' viene.

ELISA E VITELLIA

Dov'è?

VITELLIA

Padre!

ELISA

Signore!

ORAZIO

Figlia! Mio bene!

Ah ben conosco in queste

amarezze servili

l'altrui viltà, la tua costanza, e 'l cielo

incrudelito. Ma tu piangi. Oh dio!

Perché i bei rai mi celi?

E se tanto aborrisci

fortuna rea, ch'ogni mia mal arreca,

perché l'imiti poi col farti cieca?

Lascia veder quai lampi

torbido 'l ciglio scocchi

tu se 'l mi' amor senza bendarti gl'occhi.

ELISA

Mio nume.

MILO

Fuggi, fuggi, arriva Ismeno.

VITELLIA

O cieli!

ELISA

Oh dèi!

MILO

S'egli di te s'avvede

non è per me sicuro

l'abisso più profondo.

ORAZIO

Quant'ho nemico 'l ciel! (Qui mi nascondo.)

Scena quinta

Ismeno. Elisa. Vitellia. Milo. Orazio nascosto.

ISMENO

Neppur mi guarda.

VITELLIA

(Barbaro.)

ELISA

(Inumano.)

ISMENO

Milo?

MILO

Signore.

ISMENO

Tenta piegar costei:

di', che ceda, o repugni,

possederla ho risolto.

Fingerò di partir, ma qui t'ascolto.

(si nasconde)

MILO

Signor non so.

ISMENO

Ubbidisci.

MILO

(Affé ci sono. Eh oh che veggio! Orazio

non è di qui partito!)

(Ismeno in disparte con cenni stimola Milo a parlar ad Elisa, onde segue Milo a dire di lui)

(Dell'ingresso ardente

dell'infernal Cocito

sembra 'l dragon custode.)

(Ismeno gl'accenna sdegnoso che li parli, onde egli dice piano a lui)

Ora comincio.

(va verso Elisa, poi timoroso dice verso dove sta Orazio)

Affé ch'Orazio m'ode.

(poi tremando dice ad Elisa)

D'Ismeno (oh maledetto)

deh gradisci l'affetto, e così l'ire

del tuo destino ammorza.

(poi dice piano verso Orazio)

Signor non t'adirar lo fo per forza.

ELISA

Bifolco vil, dai solchi, e dagl'aratri

chi di mezzan t'indusse

all'esercizio indegno?

ORAZIO

(O dolcissimo sdegno!)

ISMENO

(piano a Milo)

Segui, segui che tardi?

MILO

(Oh, lo potessi avvelenar coi guardi.)

(poi timoroso dice ad Elisa)

E che sarebbe Elisa

compiacerlo una volta?

(Signor parlo così perch'ei m'ascolta.)

ELISA

(gli vuol dare con la zappa)

Seppellisci malnato

i sensi abominosi.

ISMENO

Ferma. Tanto odiosi

ti sono i preghi? E che saran gl'insulti?

ELISA

I vermigli virgulti

son molli in grembo a Teti,

ma se li scopre avara mano all'Etra

sanno, acciò non li turbi

l'aria nemica, trasformarsi in pietra.

ISMENO

Che follie? Che chimere?

Son amante.

ELISA

Son moglie.

ISMENO

Marte mi ti concesse.

ELISA

E onor mi toglie.

ISMENO

Alle dure ripulse

succederan le pene.

ELISA

Seminerai nell'infeconde arene.

ISMENO

Ti vincerà il tormento.

ELISA

Erri: tanto sarebbe

percoter l'aria, e flagellar il vento.

ORAZIO

(Della costanza sua parto contento.)

(parte)

ISMENO

E che più m'avvilisco?

(va per abbracciar Elisa)

Io voglio.

ELISA

Ferma iniquo.

ISMENO

Che ferma?

ELISA

Griderò.

ISMENO

Chi fia che t'oda?

ELISA

Il cielo, se non altri.

ISMENO

È assai lontano.

ELISA

Ti giungerà coi fulmini.

VITELLIA

Inumano,

che fai?

ELISA

Lasciami furia.

(Ismeno le dà uno schiaffo, e parte)

VITELLIA

Crudo, perfido.

MILO

Cieli, e non si muove

il giusto sdegno vostro.

VITELLIA

Empio, demone, mostro.

ELISA

Quest'ingiurie son sfregi alla mia fede,

e tal dalle percosse

di giusta cetra l'armonia procede.

(Elisa siede, e prende in braccio la figlia)

Dolce gioia del mio core

un sol bacio, ch'io ti porgo

m'addolcisce ogni dolore.

Lungi vola dal mio petto

ogni pena nel baciarti

caro labbro pargoletto.

(torna Ismeno, e prende Vitellia)

VITELLIA

Ahimè.

ISMENO

Lascia.

ELISA

Perché?

ISMENO

Non tocca a' vinti

chieder ragione al vincitor.

ELISA

Tiranno

ferma: oh dio.

VITELLIA

Madre aita.

ELISA

Sì barbaro furore

da chi apprendesti mai?

ISMENO

Dal tuo rigore.

(parte)

ELISA

Uccidimi piuttosto, sì ti prego, e pria,

ch'allontanarmi dalla cara prole,

negami l'aria, e mi contendi il sole.

E qual delitto, o ciel, commisi mai,

che sostener mi fai

di Tizio 'l rio dolore

lasciarmi in vita, e sradicarmi 'l core!

Dimmi di qual misfatto il senso ho reo,

che sebben di Tifeo

non ebbi l'empio ardire

grave monte di pene è 'l mio martire!

Scena sesta

Orazio.

(torna credendo ritrovar la moglie)

Partì la mia diletta: invan io torno

qualunque volta arrivo

a scior le labbra, per indur Elisa

a fuggir meco, tronca

sorte importuna i fiati;

così desio mi strugge,

e a Tantalo simile,

quand'ho l'onda vicina allor mi fugge.

Ditemi, siete voi,

crudelissimi numi,

ch'il nodo che stringeste, ora sciogliete?

Ditemi, dall'avare

vostre rapine il mio tesoro è invaso?

O ciò, ch'uniste voi, disgiunge il caso?

Della linea degl'amori

chi sciogliendo i punti va!

E del centro di due cori

chi divide l'unità!

Chi discioglie questo nodo,

che sì stretto amor unì,

potrebb'anco, in egual modo,

disunir il sol, e 'l dì.

Scena settima

Sala con trono regale nel Trastevere.
Muzio con Guardie. Poi Porsenna, e Tarquinio.

MUZIO

Se parca intempestiva

il mio stame vital

troncar dovrà,

pur ch'il mio nome viva,

acerbo il dì fatal

non mi sarà.

Se meco all'ombre ignude

la memoria di me

non condurrò,

alla fatal palude

con non irato piè

mi volgerò.

TARQUINIO

Ecco l'empio.

PORSENNA

Volò dalla tua mano

la micidial saetta?

MUZIO

Sì.

PORSENNA

Che t'indusse a ciò?

MUZIO

L'esser romano.

TARQUINIO

E ribel ti fingesti? E sotto il velo

d'amicizia bugiarda, e fraudolente

la morte de' nemici

così rubando vai?

MUZIO

Un nemico ingannar, virtù stimai!

PORSENNA

Ti stancheran le pene.

MUZIO

Dimmi, che stancheranno?

Quest'union di polve,

questa mole di linee, e d'ombre adorna!

Ch'alfin uscì dal nulla, e in nulla torna?

PORSENNA

Farò da fiamme ultrici

arder la destra.

MUZIO

Di quel foco il lume

la memoria di me farà più chiara.

PORSENNA

Avrai la morte.

MUZIO

Per la patria è cara.

PORSENNA

(Giunge Valeria.) Alquanto

il reo mi s'allontani,

e fiamme ubbidienti ardano intanto.

(partono le guardie con Muzio, e parte Tarquinio)

Scena ottava

Valeria, che ancora crede Muzio ribelle alla patria. Porsenna.

VALERIA

Per me

speranza

non v'è:

chi tradì

i Penati, e se n' fuggì,

come può serbarmi fé?

Per me

speranza

non v'è.

(Porsenna sente questi soli versi)

PORSENNA

E per me v'è speranza idolo mio,

ch'amor giammai t'accenda?

VALERIA

Quanto si può sperar, ch'il grave ascenda.

PORSENNA

Così bella, e spietata!

Da qual gioco inaccesso

l'invecchiate pruine, o 'l gel più adulto

scelse rozza natura

per circondarti 'l cor, rupe animata?

Così bella, e spietata!

Né già te l'onda insana

del mar produsse, né dell'orsa algente

il più inospito clima

tra le fasce indurò l'alma gelata.

Così bella e spietata!

VALERIA

Vuoi tu ch'ami un nemico? Amansi insieme

i contrari elementi?

PORSENNA

Se d'amarmi consenti,

di Marte strepitoso

farò tacer le trombe.

VALERIA

Dunque il giusto, il dovere

alla follia d'un vano amor soccombe?

E a momenti all'onesto,

senza il senso d'amante

lo spron della virtù non è bastante?

PORSENNA

Della stessa virtute

è meta 'l premio. Ascolta

d'un Roman, non volgare ai detti, al volto,

reo di morte tenera,

ti darò in don la vita,

se non mi neghi amor.

VALERIA

Mora s'è giusto:

né già comprar tu déi

con l'ingiustizia tua gl'affetti miei.

PORSENNA

(Ch'inesorabil cor! Più, che gl'accenti

moveran forse l'opre.) Olà si porti

la fiamma, e venga il reo. Né men de' tuoi

fia che pietà ti mova!

(va a sedersi nel trono, dicendo)

Tentar senza speranza anco mi giova.

Scena nona

Muzio. Porsenna. Valeria. Cavalieri. Soldati. Servi.

Si porta il fuoco per arder la mano a Muzio.

MUZIO

Eccomi, o re.

VALERIA

Che miro!

MUZIO

I tuoi rigori adempi.

VALERIA

È quest'il reo?

Dunque chi a te rifugge

così ricevi?

PORSENNA

Ei finse,

né sicuro al mio fianco un duce estinse.

VALERIA

Che sento!

PORSENNA

Vivo, e sciolto

t'avrà Valeria in don, s'all'amor mio

ammollir non ricusa il cor di pietra.

Tu da lei vita, e libertade impetra.

VALERIA

Muzio!

MUZIO

Valeria!

VALERIA E MUZIO

Oh dèi!

VALERIA

Leggi nel mio pallor.

MUZIO

In questi lumi

osserva.

VALERIA E MUZIO

I sensi miei.

VALERIA

Muzio!

MUZIO

Valeria!

VALERIA E MUZIO

Oh dèi!

PORSENNA

Valeria non rispondi?

VALERIA

Muzio ancor nulla chiese.

PORSENNA

Chiedi Muzio.

MUZIO

Sì vile

non son io, ch'i miei giorni

le vergini del Tebro

con sozzi affetti a prolungar inviti.

PORSENNA

(O generoso cor!)

MUZIO

Bella se mai

a latino amator giurasti fede,

serbala intatta pur.

(Muzio mette la mano sul fuoco, e segue)

Vedi s'ho core,

ch'ai martir si sgomenti.

VALERIA

(O cieli.)

PORSENNA

Ferma.

MUZIO

O di morir paventi.

PORSENNA

Ferma.

(scende dal trono, e segue)

S'arresti 'l pertinace.

VALERIA

(Oh dio!)

PORSENNA

Vilipeso son io

fin col disprezzo de' tormenti! E quando,

e qual temerità vider le stelle!

Del giudice esitante

prevenir l'ire, e non mature ancora

ir'incontro alle pene!

MUZIO

Errò la mano: e ben del foco è rea,

che non seguì 'l desio,

che te ferir volea. Ma d'altrettanti

congiurati latini alla tua morte,

quanti pur sono appunto,

di tre secoli gl'anni il prim'io fui.

Tutti non andran vuoti i colpi altrui.

(Porsenna si ritira in disparte in atto di considerare)

PORSENNA

Che ascolto!

(in disparte l'uno all'altra)

VALERIA

A che t'indusse

sconsigliato desio!

MUZIO

Non ti scoprir amante idolo mio.

PORSENNA

Il Tebro ha tanti eroi!

(seguono in disparte)

MUZIO

(piano)

Un momento è la vita,

un sol fiato volante

e ci ruba la morte un solo istante.

VALERIA

Mio ben.

MUZIO

Deh taci non parlar da amante.

PORSENNA

Ed io per un superbo. Eh non è giusto.

(si rivolta a Muzio)

Muzio 'l tuo cor invitto

l'ardir eccelso, e la virtù latina

più, che le numerose ampie falangi

mi combatte, e mi vince,

vivi, e libero torna,

che l'arsa man la tua costanza adorna.

VALERIA

O me beata!

PORSENNA

Al console di Roma

vattene, e di', che farò uscir le schiere

dai romani confini,

licenzierò i Tarquini,

lascerò 'l colle trionfato; e tutti

renderò i prigionieri,

mentre Valeria, che di Marte è preda,

moglie in trofeo d'amor a me conceda.

VALERIA

Misera me!

MUZIO

(Infelice

che sento! Era la morte

pena men grave assai.)

VALERIA

Senza Muzio il mio ben non vivrò mai.

PORSENNA

Così ammutisci?

MUZIO

Ammiro

il tuo gran cor. (Oh dio,

in qual di pene acerbe

labirinto son io!) Ma che più tardi?

Effeminato core!

Vinca la dolce patria, e ceda amore.

Andrò signor, e tua

sarà Valeria.

VALERIA

(Oh numi!)

Tu dunque del mio cor dispor presumi?

MUZIO

Signor sarà mia cura,

ch'il tuo voler s'adempia.

PORSENNA

Or vanne. Seco

voi partirete, ostaggi

della mia fede. Addio.

(a Valeria)

Or comprendi se t'amo idolo mio.

Scena decima

Muzio. Valeria.

VALERIA

Tu, mentitor, tu, falso,

mai ardesti di me? Io ti fui cara?

Sì, che mentisti, ingrato,

nel chiamarmi tuo core,

che se tuo cor io fui

sì di leggero il cor si cede altrui?

MUZIO

(Ahimè!)

VALERIA

Crudel sospiri?

Anco l'angue del Nilo

piange l'uomo, ch'uccise.

MUZIO

(Ahi che feci!)

VALERIA

Al tuo amore,

se disprezzarmi dovevi,

perché allettarmi, di'? Perché spietato?

MUZIO

Non aggiunger martire a un tormentato.

VALERIA

Muzio, vita, cor mio!

Deh mira questi lumi,

già tue lucide stelle

dall'angosce del cor fatti due fiumi,

e non ti movi, oh dio!

Muzio, vita, cor mio.

MUZIO

(Ahi che pena!) Valeria

t'adorerò regina.

Da' pur bando al dolore.

Vinca la dolce patria, e ceda amore.

VALERIA

Dio bendato,

nume alato,

la ferita,

che mortal mi piagò,

o risana, o morirò.

Cieco infante,

dio volante,

quell'ardore,

che vorace m'infiammò,

o s'estingua, o morirò.

Scena undicesima

Orazio. Poi Elisa.

ORAZIO

Con la rota d'Issione

la mia pena cangerei,

tanto sono spietati i dolori miei.

Il gran sasso del mio duolo

pur alfin depor sperai,

ma Sisifo novel, non poso mai.

Affé se n' vien Elisa.

ELISA E ORAZIO

Per te mia luce, mio bene,

dolci mi sono i guai, liete le pene.

Scena dodicesima

Tarquinio. Ismeno. Elisa.

TARQUINIO

Dunque Porsenna...

ELISA

(Partì ahimè!)

TARQUINIO

Vilmente

trionfato dal senso...

ELISA

Ingiurioso ciel!

TARQUINIO

Rinunzia all'armi?

ORAZIO

(O destin sempre egual nel tormentarmi!)

(parte)

ISMENO

Amor l'incatenò.

TARQUINIO

Sì di repente

vedrò dunque cangiarsi

in amplessi gl'assalti?

L'aste sanguigne in amorose faci?

Lo strepito di Marte in suon di baci?

ISMENO

Amor nudo, e bambino

vuol inerme l'amante.

TARQUINIO

Ed io schernito

rimango! Farà Giove,

che, del cielo incontrando il giusto sdegno,

chi non difende i re, perda il suo regno.

(parte)

ISMENO

Sei pertinace ancora

rigida Elisa?

ELISA

Son fedele.

ISMENO

Alfine

sarà forza cangiarsi.

ELISA

Quando vedrò costante

del fugace Mercurio il piè fermarsi.

ISMENO

Languirai fra i tormenti.

ELISA

Ma sarà la mia fede

come di Tizio 'l core,

sempre lo strugge un mostro, e mai non more.

ISMENO

Che sofismi? Che sogni?

Son risoluto.

ELISA

Anch'io.

ISMENO

Di possederti.

ELISA

Di morir piuttosto.

ISMENO

Né fia giammai, ch'il tuo rigor si stempre?

ELISA

Chi ben odia una volta, odia per sempre.

ISMENO

(parte dicendo)

Ora m'attendi.

ELISA

(sola)

All'anime rubelle

per aver martir peggiore

manca solo il mio dolore.

(Ismeno torna con Vitellia)

VITELLIA

Genitrice!

ELISA

Cor mio!

ISMENO

Elisa, o mi compiaci, o in questo seno

immergo il ferro.

(Ismeno mostra con uno stile voler uccidere Vitellia)

VITELLIA

Ahimè!

ELISA

Spietato, oh dio!

Che fai? Che tenti? Ferma.

Apri piuttosto queste vene.

VITELLIA

Madre,

s'il mio sangue ti giova

lascia pur, ch'io lo sparga.

ELISA

(Ah, che tormento!)

ISMENO

Acconsenti, o la sveno.

ELISA

Odimi.

ISMENO

Attento

mi fermo.

ELISA

(Che risolvo? In quali estremi

di miseria son io?)

ISMENO

Tu non risolvi? Mira.

ELISA

Piano, aspetta,

che l'attonita mente

s'avvezzi ad esser empia. (Ad una figlia

l'altra succede, ma caduto onore

più non risorge!)

ISMENO

Uccido.

ELISA

No ferma. (Oh dio! Disumanata dunque

sarò.)

ISMENO

Più non aspetto.

ELISA

Barbaro, adesso. (E per non esser cruda

sarò adultera forse?)

ISMENO

Ancora tardi?

ELISA

(Cieli

dov'è un fulmine vostro?)

ISMENO

Di', mi compiaci?

ELISA

No, saziati mostro.

(parte)

ISMENO

A mio dispetto, ahi lasso,

o costei non ha core, o l'ha di sasso.

Scena tredicesima

Luogo solitario, che corrisponde sul Trastevere.
Porfiria. Valeria fuggendo.

PORFIRIA

Maledetta

questa fretta

senza un poco riposar,

io non posso respirar.

Sia detto con tua pace

anco 'l tempo va lento, ed è fugace.

VALERIA

Il desio di fuggir da chi s'aborre

dà l'ali al piede.

PORFIRIA

Alato

solo Mercurio ha 'l piè, ch'è dio de' furti.

VALERIA

Ed io, ch'all'inimico

rubo la libertà, ch'ei m'avea tolta,

aver deggio all'istante

quanto il nume de' ladri 'l piè volante.

PORFIRIA

Ma di varcar il Tebro

la via non scopro.

VALERIA

Qualche breve pino

di pescatrici turbe

trovar sperai, ma veggio

dalle romite sponde

rapir i baci solitarie l'onde.

PORFIRIA

Or che farem?

VALERIA

O fossi

sotto il gelido polo,

dove io ceppi di ghiaccio

incatenati i fiumi

serve di via, nel nostro clima ignota,

al passegger la superficie immota.

PORFIRIA

Io no, che non vorrei

esser là tra le brine,

troppo in odio mi son queste del crine.

VALERIA

Ma forse pigra aspetto

chi la fuga mi vieti?

Passerò l'onde a nuoto.

PORFIRIA

No: che se quanto in terra, anco fra l'acque

l'amoroso desio desti ed accresci

farai peccar di carne infino i pesci.

Scena quattordicesima

Clodio. Valeria. Porfiria. Coro di Soldati. Poi Floro.

CLODIO

Bella, forse te n' fuggi?

VALERIA

Sì: ma l'onda deserta

mi nega il varco.

CLODIO

Giace,

lontano alquanto pescareccio legno,

vieni, e all'angusta prora

non sdegnar, che ti scorga un che t'adora.

Soldati mandati da Porsenna dietro a Valeria.

PORFIRIA

Ahimè turba d'armati

ci sopraggiunge.

VALERIA

Oh dio!

CLODIO

Non temer.

Clodio assale li Soldati, li combatte, e fuggitivi li segue.

VALERIA

Dove fuggo? Ove mi celo?

PORFIRIA

Per lo spavento mi si rizza il pelo.

Floro viene a cavallo.

FLORO

Qui ti trovo mio nume!

VALERIA

Soccorri alla mia fuga.

FLORO

E come?

VALERIA

O son costretta

a tornar prigioniera.

PORFIRIA

Deh presto.

FLORO

All'altra sponda

ti porterà questo corsier; se pure

non temi 'l rischio.

VALERIA

Andiam, nulla pavento.

PORFIRIA

Ed io che fo?

VALERIA

Dal cielo

avrai soccorso.

(parte Valeria con Floro)

PORFIRIA

Bene.

Così va: non v'è chi aiuti

gl'anni antichi, e vilipesi,

ma diventano cortesi

per le belle insino i brutti.

(si vede Valeria passar per il Tevere a cavallo)

(torna Clodio che ha scacciato i soldati)

CLODIO

Che veggio? Il foco mio

fugge per l'acque! Oh dio

Porfiria il grand'ardire

chi fomentò? Chi diede

il nuotante destriero alla fugace?

PORFIRIA

Floro.

CLODIO

L'emulo mio?

PORFIRIA

Sì, tu va' in pace.

CLODIO

Così appunto ai fidi amanti

avvenir talvolta s'ode:

uno serve, e fatica, e l'altro gode.

So, ch'il cieco faretrato

spesso adopra simil frode:

uno serve, e fatica, e l'altro gode.

FLORO

Fugge Valeria, e non intendo ancora

io, che so del suo cor il fiero orgoglio,

come fugga per l'onde un duro scoglio.

Come la luce 'l sol,

la fiamma l'ardor,

così produce il duol

nell'alme amor,

e sol, per non penar,

è rimedio il non amar.

Come de' prati i fior,

le stelle del ciel,

così è proprio d'amor

l'esser crudel.

E sol per non penar,

è rimedio il non amar.

Scena quindicesima

Porsenna. Porfiria.

PORSENNA

E tu pur la seguivi? Adunque rea

sei della fuga.

PORFIRIA

Sire

anzi m'opposi, e ostai,

ma superò la rapida corrente

del giovanil desire

gl'argini del consiglio.

PORSENNA

E perché seco

non fuggisti?

PORFIRIA

Non ebbi

possibil modo.

PORSENNA

Il mezzo dunque solo

mancò, non il desio.

PORFIRIA

Ci son caduta.

PORSENNA

Pagherai le pene

dell'altrui fuga con le tue catene.

Se liquefatto ghiaccio

tanto mai non vi gonfi, o vi rinforzi,

che tumide vi sforzi

dalle sponde gradite a uscir di braccio

rendete a questo loco

acque sorde, e rapaci il mio bel foco.

Ma voi, crude, e fugaci

più correte? Di Zefiro cortese

non vi baci aura dolce. Irato Borea

sol vi stanchi, e confonda

in continue percosse onda con onda.

PORFIRIA

(assistita dalle guardie)

Uditemi o stelle

miratemi ahimè!

Ma sete rubelle

o misera me.

De' regni profondi

accoglimi o re,

ma tu non rispondi

o misera me!

Scena sedicesima

Campidoglio in quella parte dove si trova il tempio della dèa Vesta.
Publicola. Melvio. Due Vestali. Genti. Soldati. Popolo.

MELVIO

Saggio chi ne' perigli

rifugge all'immortal,

che d'umani consigli

poco la forza val.

MELVIO E PUBLICOLA

Saggio chi, ne' perigli

rifugge all'immortal,

che d'umani consigli

poco la forza val.

PUBLICOLA

Or, ch'a' trofei nemici

il Gianicolo cesse, e nell'interno

della patria languente

serpe l'incendio ostile, è ben prudenza,

rammemorar del venerato foco,

che qui si serba, il cui durar prescrive

la libertà latina,

la più vigile cura.

MELVIO

E di Pallade insieme,

perché de' nostri ossequi, il ciel sia pago,

qui dentro eretta, venerar l'imago.

2 VESTALI

Vieni, vieni,

vedi belle

come stelle

e vivaci

quelle faci.

Si vede il fuoco custodito nel tempio della dèa Vesta.

Scena diciassettesima

Muzio. Principi toscani. Publicola. Melvio. Due Vestali. Soldati. Popolo.

MUZIO

Arde la sacra fiamma

lucida sì, che non scortese il cielo

al Tebro arride.

PUBLICOLA

Muzio

che riporti? Che optasti?

MUZIO

E perché più l'arsiccia mano ascondo?

(alza la destra abbruciata, e segue)

Vedi tu, veggia Roma, e veggia il mondo.

MELVIO E PUBLICOLA

Che rimiro!

MUZIO

Alle fiamme

stesi la man spontanea, e su mio senso

punir l'error di mal vibrato strale,

ch'al re non giunse: espressi

il nostro ardir, il suo periglio; ei, vinto,

(sia timor, o virtute)

mentre Valeria (oh dio) sposa gli sia

nunzio d'amica pace a te m'invia.

(Io son ministro della morte mia.)

PUBLICOLA

Gran cose arrechi.

MELVIO

Roma

respirerà per te.

PUBLICOLA

Se può Valeria,

con imenei felici,

l'afflitta patria coronar d'uliva

facciasi.

MELVIO

(O voce, che del cor mi priva.)

CORO DI POPOLO

Viva Muzio viva: viva.

PUBLICOLA

L'ire d'un regno intero

frena un'adusta mano, e trae dai ceppi

Roma, che già principia esser cattiva.

CORO DI POPOLO

Viva Muzio viva: viva.

Scena diciottesima

Valeria. Muzio. Publicola. Melvio. Vestali. Soldati. Genti. Popolo.

VALERIA

Della patria esultante

il giubilo s'accresca

con la mia libertà.

PUBLICOLA

Figlia.

MUZIO

Che miro!

PUBLICOLA

Come a noi vieni?

VALERIA

Generosa fuga

mi vi rende.

PUBLICOLA

A Porsenna,

che sposa ti desia,

ch'offre cortese pace al Tebro oppresso,

quest'ingiuria tu fai?

VALERIA

(Così m'accoglie

il genitor!)

MUZIO

Con novità imprudente,

mentre trattiam di pace,

così offendi, Valeria,

la ragion delle genti?

VALERIA

(Così m'incontra un amator!) E deggio

a sforzati imenei

soggettar l'alma?

PUBLICOLA

Dunque

alla patria tu sola

negherai la salute? Al re nemico

torna Muzio, e dirai,

che tutto approvo: e rendi

a lui Valeria. Vinca

il fallo suo questa bontà cortese,

che chi tratta favor non merta offese.

VALERIA

Padre.

PUBLICOLA

Vanne: si deve

con provvidi consigli

amar prima la patria, e poscia i figli.

(entra nel tempio)

Scena diciannovesima

Valeria. Muzio.

VALERIA

Ah Muzio, ingrato Muzio!

MUZIO

Ah Valeria adorata!

VALERIA

Che farai?

MUZIO

Morirò.

VALERIA

Pensi condurmi

al tuo rival?

MUZIO

(Oh dio!

Altrui mieto le spiche?

Altrui fabbrico 'l miele?)

VALERIA

Che rispondi crudele?

MUZIO

(Io mi condenso l'ombre

per celarmi del sole

il benigno riflesso?

Io son del mio tesor ladro a me stesso!)

Come poss'io, Valeria,

perché tronchi 'l mio stame

dalla forbice a Cloto? (Ah senso frale,

a che pieghi? Ove vai?)

Vieni Valeria, e non parlarmi mai.

VALERIA

Ch'io non parli, spietato? Insino un marmo

tocco dai rai del sole

parlò. Voci canore

sparge morendo il bianco cigno, ed io

non posso agonizzante

dolermi d'un crudel, d'un empio amante?

MUZIO

Oh dio, morir mi fai!

Vieni Valeria, e non parlarmi mai.

Scena ventesima

Publicola. Melvio. Soldati. Genti. Popolo tornano fuori del tempio, e partono. Pallade e Coro di suoi Seguaci. Venere. Coro d'Amorini in aria.

PUBLICOLA

Placan nume adirato

riverenti preghiere.

MELVIO

E già fur viste

fermar il sole, immobilir le sfere.

PALLADE

Negar non sa

invocata,

supplicata deità.

L'aspetto feroce

di fiera Bellona,

ch'a Roma già nuoce

cangiar si vedrà.

Negar non sa

invocata,

supplicata deità.

VENERE

Un dardo d'amore

gli sdegni frenò,

di Marte l'ardore

sua face placò,

onde solo amor giocondo

e delizia del ciel, pace del mondo.

PALLADE E VENERE

Elmi, e loriche,

aste, e bandiere

in cetre amiche

cangiate o schiere:

e ogni mio seguace

tosto principi a festeggiar la pace.

Otto Seguaci di Pallade usciti dalla sua nube, formano il ballo in terra: e 6 Amorini ballano in aria.

Atto terzo
Scena prima

Stanze in un palazzo nel Trastevere.
Porsenna. Tarquinio.

PORSENNA

Amor, se tu non puoi

vincer un'alma algente,

sei dunque un finto nume, un impotente.

O se vuoi, ch'io disprezzato

viva di doglie onusto,

sei dunque un dio crudele, un nume ingiusto.

TARQUINIO

Porsenna, a fé m'è grave

la fuga del tuo ben.

PORSENNA

(Detti pungenti!)

TARQUINIO

Un s'accende la destra,

l'altra fugge per l'onde:

a fé bizzarro gioco

chi ci scherne con l'acque, e chi col foco.

PORSENNA

Tanto dei patrii Lari

può nobil zelo.

TARQUINIO

Questi

sono i favor, Porsenna, onde ti movi,

benefico di Roma,

ad offerir la pace?

Una mano abbruciata? Un piè fugace?

PORSENNA

Mal si chiede ragione

a chi cessa dall'opre,

che non tenuto incominciò.

TARQUINIO

Ti scuso

non adduce ragion chi non ne trova.

PORSENNA

La ragion di chi regna è quel che giova.

Scena seconda

Clodio. Floro. Soldati. Tarquinio. Porsenna.

PORSENNA

Siete voi, che porgeste

aita alla fugace?

CLODIO E FLORO

Sì.

PORSENNA

Chi siete?

CLODIO E FLORO

Latini.

CLODIO

Io la turba seguace

dispersi.

FLORO

Ed io li diedi

il corsier, che la trasse

per gl'ondosi cristalli.

PORSENNA

Adunque gara

di reità vi sprona?

CLODIO E FLORO

Anzi di gloria.

PORSENNA

E qual sopra di voi

da simil opra mai raggio discende?

CLODIO

Sé stesso illustra chi 'l dover difende.

PORSENNA

Or basta; se dal Tebro

non fia regetto ciò che chiese, voi

liberi tornerete:

ma fra ceppi frattanto il piè tenete.

TARQUINIO

Intesi: dunque dal Roman dipendi?

PORSENNA

Di bellicosi incendi

sparsi fiamme bastanti.

TARQUINIO

Il corso arresti

alla corrente delle glorie.

PORSENNA

Basta

a senso generoso

lo aver potuto trionfar.

TARQUINIO

Chi cede

sempre ha faccia di vinto.

PORSENNA

E se son vinto,

del nemico furore

non trionfò la forza.

Mi vinse la virtù.

TARQUINIO

Di' pur amore.

CLODIO

Con rigido aspetto

fortuna

importuna

mirarmi ben può,

ma vincermi no.

(parte)

FLORO

Influsso maligno

di stelle

rubelle

affliggermi può,

ma vincermi no.

(parte)

Scena terza

Ismeno. Milo. Soldati.

ISMENO

Se dai sensi alfin proviene

quanto intendo, e quanto io so,

perch'ingrato un picciol bene

dunque al senso negherò?

Se natura, per giovarmi

con i sensi mi creò,

quel piacer vorrò negarmi,

che dal senso nascer può?

ISMENO

Non giunge Elisa ancor? Che li dicesti?

MILO

Ciò che tu m'imponesti.

ISMENO

Che fu?

MILO

Ahimè! Signor non mi raccordo più.

ISMENO

Ah scellerato.

MILO

Piano

se vuoi, ch'io me 'l rammenti:

perché del tuo rigore

la memoria ha timore.

(O li potessi lacerar il core!)

ISMENO

Parla.

MILO

(parla tremando)

Gli dissi, che serbasti illesa

la sua bambina prole,

che ti struggi per lei qual ghiaccio al sole.

ISMENO

Tu tremi? Certo reo

sei di qualche menzogna.

MILO

Non tremo no, son come scoglio immoto.

ISMENO

Che no?

MILO

Se non è forse il terremoto.

ISMENO

Ma vien Elisa.

MILO

Ahimè, che dirò mai

s'egli scopre, ch'a lei nulla parlai.

Scena quarta

Elisa. Ismeno. Milo. Soldati.

ELISA

(si inginocchia)

Ismeno, già ch'intatta

con la strage infelice

d'amatissima figlia, io mi serbai,

donami almeno pietoso

le viscere trafitte.

MILO

(Io son spedito.)

ELISA

Le membra esanimate,

se può mai l'empietade aver pietate.

ISMENO

E gli parlasti eh?

MILO

(presso Ismeno)

Non mi diè fede,

che spesso un infelice il ben non crede.

ISMENO

Elisa, mio tesoro

sorgi, Vitellia vive: ed io t'adoro.

Ciò pur Milo t'espresse.

ELISA

Ei mente.

MILO

(Oh cieli!

misero me.) Signor lascia, che dica.

Non creder a' suoi detti, è mia nemica.

ELISA

E se nunzio venia

de' suoi vezzi lascivi

forse a pentirsi avea d'esser tra' vivi.

ISMENO

Che dici?

MILO

Ella, signore

parla così per far il bell'umore.

ISMENO

Lascia i rigori, o bella,

io non ti chiedo alfine

degl'esperii giardini

le vigilate poma, il ramo d'oro,

ch'a gl'Elisi mi porti, o l'aureo vello,

cui faccia un Minotauro aspra difesa.

ELISA

L'oro della mia fede

è assai più prezioso:

né 'l Minotauro avanza

la custodia miglior di mia costanza.

ISMENO

Che costanza? La forza

ti vincerà.

ELISA

T'inganni.

ISMENO

A fianco imbelle

insulterà braccio robusto.

ELISA

Ferma,

prevenirò gl'insulti

con questo colpo.

(vuol uccidersi)

ISMENO

Lascia.

ELISA

O crude stelle!

Anco 'l morir tolto!

ISMENO

Ed or, ch'inerme

resa è la mano, che farai?

ELISA

Deh cessa

da queste voglie, Ismeno,

se da' nemici acciari

di mille instrutte schiere

Giove illeso ti serbi. Altre bellezze

mancano forse a' tuoi desir? Più tosto

vilmente mi condanna a franger glebe,

a sviscerar le rupi, o dalle vene

de' preziosi monti

per escavar metalli.

ISMENO

Eh tu vaneggi.

ELISA

Deh se umano tu sei

moviti ai pianti miei.

ISMENO

Come v'è fera,

ch'al sangue inferocisce,

tal s'indura il mio core

allo stillar di lacrimoso umore.

Vieni.

ELISA

Lasciami.

ISMENO

Folle

sei ben se 'l pensi.

ELISA

Cieli aita!

MILO

(Oh scellerato.)

ELISA

Empio!

ISMENO

Di' ciò, che sai.

MILO

(Crudo, inumano.)

ELISA

Deh più tosto m'uccidi:

pietà, soccorso, aita.

ISMENO

Invan tu gridi.

Ismeno strascina Elisa in una stanza.

MILO

Se in lascivia lo sdegno

non rivolga, di vita

non restava per me speranza alcuna:

così fu l'altrui mal la mia fortuna.

Scena quinta

Porfiria incatenata. Milo.

PORFIRIA

Chi di ferro mi circonda,

con rigor,

no 'l faria s'avessi bionda la chioma d'or.

MILO

Porfiria che fai tu con questi ferri?

PORFIRIA

Li strascino adirata

per flagellar il suol, ch'in tante pene

per pietà non m'inghiotte, e mi sostiene.

MILO

A fé chi ti restrinse

la libertà d'ir per le vie vagando

ebbe senso prudente,

perch'hai virtù di spaventar la gente.

PORFIRIA

Ah tristo! A te piuttosto

devonsi le catene: e mi strapazzi,

perch'ora, che son troppi,

non si costuma più legar i pazzi.

MILO

A chi t'incatenò molto ben déi:

poiché, mentre cadente

nel seno della tomba omai trabocchi

quel peso ti trattiene,

e stai tra vivi a forza di catene.

PORFIRIA

Impertinente, iniquo,

indiscreto, malvagio.

MILO

Sembri un mastin latrante: e ben fu saggio

chi ti legò; che sciolta,

qual rabbioso molosso,

forse ad ogn'uom ti lanceresti addosso.

PORFIRIA

Visse in vago giardin

ramo, che verdeggiò,

ma inaridito alfin

nel foco si gettò.

Tal successe a beltà,

ch'agl'anni incanutì:

ogni piacer se n' va

col tempo, che fuggì.

Scena sesta

Elisa. Poi Orazio.

ELISA

Soglie indegne, empi tetti

un fulmine v'atterri,

il terren si disserri,

v'inabissi del centro il più profondo,

e dai confini suoi v'escluda il mondo.

Ma giunge Orazio: di mirarlo, oh dio,

indegna son.

ORAZIO

Tu fuggi idolo mio?

Elisa?

(parte Elisa senza mirarlo, e segue Orazio)

Io grido invano. E chi d'Elisa

rende sordo l'udito, e l'alma indura

colei, che del mio core

distinti a pena, ed immaturi ancora

intese i sentimenti? Ogni sospetto

di violata fé toglie l'invitta,

la generosa sua costanza: or dunque

come torce dal mare

rapido fiume il corso? E come il grave

retrocede dal centro? Ahi che la sorte

per tormentar quest'alma,

iniqua, mi conduce

a farmi apparir ombra anco la luce.

Non ti credo o gelosia:

per affligger l'alme amanti,

con flagel di pena ria,

tu fai gl'aromi giganti,

e dai forza alla bugia;

non ti credo, o gelosia.

Fuggi pur dall'alma mia:

il mio ben a me ribelle

non dirò giammai, che sia,

se dal ciel le vive stelle

non vedrò partirsi pria:

non ti credo o gelosia.

Scena settima

Quartieri di soldati nel Trastevere.
Muzio. Valeria.

MUZIO

Io peno.

VALERIA E MUZIO

Io moro per te.

VALERIA

E m'abbandoni?

MUZIO

Sì.

VALERIA

Perché?

MUZIO

S'incrudelì

meco il destino.

VALERIA E MUZIO

Ahimè.

MUZIO

Io peno.

VALERIA E MUZIO

Io moro per te.

VALERIA

Né v'è speranza?

MUZIO

No.

VALERIA

Crudel.

MUZIO

Come vivrò

senza la vita!

VALERIA E MUZIO

Ahimè.

MUZIO

Io peno.

VALERIA E MUZIO

Io moro per te.

VALERIA

Aborrirò Porsenna,

che di Muzio mi priva.

MUZIO

Oh dio, reprimi

le non ben giuste doglie

altri che Muzio a te Muzio non toglie.

VALERIA

Te dunque aborrirò.

MUZIO

Merta 'l tuo sdegno

chi ti fa scorta al regno?

VALERIA

Scettri non curo.

MUZIO

E se degenerante

dal sesso imbelle, il non pieghevol core

ambizion non punge, almen ti mova

generoso desio

di giovar alla patria, idolo mio.

VALERIA

Le voci lusinghiere

dal labbro effeminato

dunque bandisci: oblia

queste luci neglette, e queste chiome,

scordati di Valeria insin il nome.

MUZIO

(Cieli, e soffro? E non moro!)

VALERIA

(Oh dio così favello, e pur l'adoro.)

MUZIO

Perché sì cruda?

VALERIA

Taci.

MUZIO

Vorrai negarmi l'adorarti?

VALERIA

Deggio

alla patria giovar?

MUZIO

Sì.

VALERIA

Dunque in odio

cangio l'amor ingiusto.

MUZIO

E perché mai?

VALERIA

Crudo ancor non lo sai?

MUZIO

Chi d'amor così tosto il nodo scioglie?

VALERIA

A te sol Valeria toglie.

MUZIO

(Cieli, e soffro? E non moro!)

VALERIA

(Oh dio così favello e pur l'adoro!)

Ecco Porsenna.

MUZIO

(O duro acerbo passo!)

VALERIA

Oh me infelice!

MUZIO

Ahi lasso!

Scena ottava

Porsenna. Muzio. Valeria.

PORSENNA

Muzio? Teco 'l mio core?

Chi mi rende Valeria?

MUZIO

Il genitore.

PORSENNA

Dunque assente alla pace.

MUZIO

Assente: anzi fugace

la figlia non gradì: come sua spoglia

vuol, che ritorni a te: vide con sdegno

da cortese nemico

involarsi le prede:

che cor latin di cortesia non cede.

PORSENNA

Né l'alma di Porsenna

peccò mai di viltà. Scettro, e diadema

fin nel tetto natio

a recarti verrò: libera intanto

ritorna al genitor mio cor, mio bene.

MUZIO

(Uccidetemi pur mie crude pene!)

PORSENNA

Tu non parli? Valeria i flutti amari

dell'alma tempestosa

forse ondeggiano ancora?

MUZIO

(Ah ch'il martir m'accora!)

VALERIA

Porsenna al fin di gloria

ti fia picciola palma

far pace a un regno, e mover guerra a un'alma.

PORSENNA

Più non ti son nemico.

VALERIA

Eppur m'affliggi.

PORSENNA

Ti lascio in libertade.

VALERIA

Eppur mi leghi.

PORSENNA

Ti dono un regno.

VALERIA

Eppur il ben mi neghi.

MUZIO

Valeria il ciel, la patria, il genitore

ti fan sposa a Porsenna:

tu scaccia omai dal renitente core

i sensi pertinaci.

VALERIA

(Ah crudel!)

MUZIO

(Sorte rea!)

VALERIA

(Perfido taci.)

PORSENNA

E tanto avversa, o bella,

all'amor mio ti rendi?

VALERIA

Della mia crudeltà, col ciel contedi.

MUZIO

Il ciel non sforza: lascia

lascia, ingrata, Valeria,

il rigor imprudente; e un re, che t'ama

giustamente compiaci.

VALERIA

Ah crudel!

MUZIO

(Sorte rea!)

VALERIA

(Perfido taci.)

Scena nona

Porfiria. Valeria. Porsenna. Muzio.

PORFIRIA

Signor già, che Valeria

fece ritorno a te

da sì dura miseria

fa sprigionar il piè.

PORSENNA

Giungi opportuna. Tosto

sciolta rimanga. Con Valeria andrai.

PORFIRIA

Via scioglietemi omai.

PORSENNA

Vattene, Muzio amico.

PORFIRIA

Fate presto vi dico.

PORSENNA

Rendi Valeria al genitor: esponi

che tra i Latini, amico,

giungerò tosto anch'io.

Spargi o bella d'oblio

ciò che di sdegno contro me t'accese:

fanno i favor dimenticar l'offese.

MUZIO

Vieni Valeria.

VALERIA

Teco

mai non verrò: troppo t'aborro, ingrato,

vanne, e s'il piè trarrai

fin dove il Nilo da bambina fonte

avvezza l'onda a' precipizi vasti,

non mi sarai lontan quanto mi basti.

MUZIO

Lascia crudel, ch'al genitor ti torni,

poi fuggirò nel più remoto lido

della terrena mole,

dove si renda ignoto insino il sole.

VALERIA

Senza di te condurmi

al genitor saprò. Mi saran scorta

questi guerrieri.

MUZIO

A me commessa

è la tua cura.

VALERIA

Ed io

non partirò.

MUZIO

Senza mirarti mai,

senza scioglier un fiato

ti seguirò.

VALERIA

T'inganni.

MUZIO

E tanto adunque

lo sdegno il cor t'ingombra?

VALERIA

Aborrisco di Muzio insino l'ombra.

MUZIO

(Cieli! E soffro? E non moro!)

VALERIA

(O dèi così favello, e pur l'adoro!)

Parto.

MUZIO

Ti seguo.

VALERIA

Ed io mi fermo.

MUZIO

Ah cruda.

Andrai, s'io m'allontano?

VALERIA

Sì, ma se vieni resterò.

MUZIO

Né giova

preghiera umile.

VALERIA

È vana.

MUZIO

(Ceder è forza.) Addio: parti inumana.

VALERIA

Lassa che feci!

PORFIRIA

Troppo

ti trasporta il furore.

VALERIA

Lo scaccia il labbro, e pur l'adora il core.

Già per me giunse all'occaso

il bel sol della speranza,

né di bene altro m'avanza,

ch'il rigor d'un'ombra oscura.

La vita, che mi resta, è una sventura.

Già per me scortese cielo

non ha più raggio benigno.

E qual rigido macigno

nel mio mal vieppiù s'indura.

La vita, che mi resta, è una sventura.

PORFIRIA

Folle, si strugge in pianti

perché la sua bellezza ha molto amanti,

ed io, ch'ho pur estinte

l'amorose faville,

non mi spaventerei d'averne mille.

Bella felicità

di giovinetta età

vedersi idolatrar

da mille cori

poter far sospirar

con un sorriso cento amatori.

Ma quando poi sparì

il sol de' più bei dì

delle gioie d'amor

grave è 'l digiuno,

e pessimo dolor

bramarne cento, e non n'aver pur uno.

Scena decima

Elisa. Vitellia. Milo.

ELISA

Corri lucido nume

dell'Atlantico mar

vola nell'onda;

sorga cieca notte, e mi nasconda.

In fera, in tronco, in sasso

deh tramutar mi fa

Giove clemente.

O se pietoso sei, tornami al niente.

VITELLIA

Genitrice!

ELISA

Deh parti.

VITELLIA

Perché mi scacci?

ELISA

Mi tormenti.

VITELLIA

E come?

In che t'offesi?

ELISA

Ah se sapessi. (Oh dio!)

MILO

(Affé lo so ben io.)

VITELLIA

Madre non m'ami più?

ELISA

Sì dolce nome

non proferir...

VITELLIA

Deh dimmi in che peccai?

ELISA

Allontanati omai.

VITELLIA

Tanto, tanto mi sdegni?

ELISA

(Siete o miei lumi, di mirarla indegni.)

Milo altrove conduci

Vitellia, e non ritorni

s'io non chiedo. E tu tosto mi reca

di papaveri oscuri

gelidi succhi, e sonnolente polvi.

MILO

Ma che farne risolvi?

ELISA

Ciò che m'aggrada.

MILO

Eh dimmi:

e 'l mio desir compiaci.

ELISA

Parti, ubbidisci, e taci.

MILO

Tutto farò.

VITELLIA

Chi mai

a tanta crudeltà meco t'ha mosso?

ELISA

Ah figlia, figlia! (Ahi che parlar non posso!)

MILO

Io m'accorgo al sembiante,

che qualche spirto gl'è saltato addosso.

Scena undicesima

Ismeno. Elisa.

ISMENO

Ecco l'altera.

ELISA

Ecco la furia, il mostro.

ISMENO

Elisa sei pur mia.

ELISA

Vincesti Ismeno.

ISMENO

Raddolcisti lo sdegno?

ELISA

Amor acquista amore. (Ah quant'io peno.)

ISMENO

Come in brevi momenti

cesse del duro core

il rigor dispietato?

ELISA

Alfin da tigre ircana

gl'alimenti non ebbi. (Oh scellerato.)

ISMENO

E de' rigori miei

tanto fosti sprezzante?

ELISA

Nulla mossero mai l'alma costante

gl'impeti pertinaci.

M'han vinto i... (Mi deturpo, ancor ch'io finga.)

ISMENO

(Fanno tutte così.) T'han vinto i baci.

ELISA

Basta: cessò lo sdegno.

(Cieli, e sostengo di mirar l'indegno!)

ISMENO

Ma quei, che provasti

son baci rapiti

tra sdegni, e furori,

torniamo agl'amori.

ELISA E ISMENO

Torniamo.

ELISA

(M'offendo

pur anco fingendo.)

ELISA E ISMENO

Torniamo.

ELISA

(Son finti

o stelle gl'errori.)

ELISA E ISMENO

Torniamo agl'amori.

ELISA

Fa' di cibi improvvisi

condir parche vivande,

che dopo lieta mensa

più dolce amor i suoi piacer dispensa.

ISMENO

Tanto adempir farò: verrai?

ELISA

Fra poco.

(parte Ismeno)

Scendi ozioso foco

dalla rotante sfera

in fulmini converso

a incenerir questo tiran perverso.

Che mi consigli tu?

Schernito cor?

All'iniquo traditor

il seno aprir?

Vendicarsi, e poi morir.

Dimmi, che deggio far

alma fedel?

Contro 'l barbaro crudel

inferocir?

Vendicarsi, e poi morir.

Scena dodicesima

Muzio.

Respiri,

che vita mi date,

fermate,

fermatevi omai.

Posso finir

sol col morir i guai.

Ma che? Dunque con duolo

cede un affetto vano

chi lieto per la patria arse una mano!

Ciò, che giova a' Penati

si dà piangendo? Andiamo.

Si preceda Valeria, oppur si segua,

nulla rileva. Scaccia alma avvilita

dall'insane pupille i pianti indegni.

Non si può dir eccesso

salvar la patria, e rovinar sé stesso.

Chi vive legato,

dal nume bendato,

a torto si duole.

Le catene d'amor rompe chi vuole.

A batter severo

il picciolo arciero

ogn'alma non suole,

nelle guerre d'amor vince chi vuole.

Scena tredicesima

Logge deliziose, con stanze nel Trastevere.
Orazio. Poi Elisa, e Milo.

ORAZIO

Sei troppo acerbo o fato,

involator crudel

d'ogni mio bene,

son asprissime le pene,

ond'io vivo tormentato,

sei troppo acerbo o fato.

In un momento solo

ogni gioia sparì

dal mesto core,

è fierissimo il dolore,

che mi rende disperato

sei troppo acerbo, o fato.

Milo viene porgendo ad Elisa un vasetto d'argento.

ELISA

Porgi.

MILO

Son pronto: dimmi

che pensi farne mai?

(Elisa vede Orazio, e vuol partire)

ELISA

Ahimè partiamo.

ORAZIO

Elisa ove ne vai?

A me t'involi?

ELISA

(Ah sostener non posso

di rimirarlo.)

ORAZIO

Agl'ornamenti usati

come torni?

ELISA

Placati

son d'Ismeno i furori.

ORAZIO

(Ah gelosia m'accori!) Elisa tosto

fuggiam di qui.

ELISA

Non posso.

ORAZIO

E perché?

ELISA

Tu non sai

quanto vi lascio. (Ahimè, che dissi mai!)

ORAZIO

M'insospettisci, Elisa.

Che vi lasci?

ELISA

La figlia. (Io l'aggiustai.)

ORAZIO

Pazienza. Andiam, pria, che tu sia costretta

a lasciarvi di più.

ELISA

(S'io parto, o dèi

chi mi ritornerà, ciò che perdei?)

ORAZIO

Che mormori?

ELISA

Eh lascia

ch'io resti.

ORAZIO

E che di grato

tra i nemici ritrovi?

ELISA

Ciò che più bramo.

ORAZIO

A sdegno affé mi movi:

vieni.

ELISA

Non voglio.

ORAZIO

Come?

ELISA

A mio piacer ancora

contenta non son io.

ORAZIO

Di chi?

ELISA

D'Ismeno.

ORAZIO

Così, sfacciata! L'impudico seno

trafiggerò con questo ferro.

Scena quattordicesima

Porsenna. Orazio. Elisa. Milo, che fugge via.

PORSENNA

Ferma.

ELISA

(Ahi lassa!)

ORAZIO

(Ahimè!)

PORSENNA

S'arresti

l'empio. Ne' regi tetti

non è dunque sicura

femmina illustre? Chi sei tu?

ELISA

Signore,

non si move quel ferro

contro di me. Caduto

dalla mano d'Orazio, a me consorte,

questo guerriero lo riportò in trofeo,

là di Marte feroce

nell'acerbe contese:

ora del noto acciaro agl'occhi miei

qui facea pompa: ma guerrier scortese,

sebben gli porgo in cambio

questa gemma, ch'io porto, a me lo nega,

né 'l vince o man, che dona, o cor, che prega.

ORAZIO

(Resto muto.)

PORSENNA

Lasciar infruttuosa

così giusta preghiera

non ti sembra viltà?

ORAZIO

(Parlar non oso.)

PORSENNA

Silenzio rigoroso

nasce da scortesia. Porgi quel ferro

a chi, senza fatica

di chimico lavoro,

in un momento te lo cangia in oro.

ORAZIO

(E son costretto a simular! Oh dèi!)

Sire ubbidisco.

(Orazio dà la spada ad Elisa, ed ella a lui un anello con gioia)

ELISA

Prendi,

e s'Orazio in tua mano unqua lo scorge

digli, che col suo brando

lo permutai: che forse

ombra di gelosia

non lo conturbi.

ORAZIO

(piano ad Elisa)

Ah ria,

l'avermi tolto il ferro

poco potrà giovarti:

non mancheranno acciari, onde svenarti.

(partendo)

ELISA

Grazie ti rendo.

PORSENNA

A Roma

con gl'altri prigionieri

oggi meco verrai,

pria, che del biondo nume in grembo a Teti

scendano stanchi a riposar i rai.

ELISA

(Ivi, Orazio, mio ben, m'ucciderai.)

(partendo)

Scena quindicesima

Tarquinio. Porsenna.

TARQUINIO

Veggio, veggio Porsenna,

che alla virtù sbandita

vilmente amor lascivo usurpa il loco,

e i conquistati allori

del dio bambino incenerisce il foco.

PORSENNA

Di non ben giusta guerra

provocator tu fosti: e se m'opponi,

che m'induca alla pace il dio d'amore,

anco a gloria m'arreco,

ch'alla ragion m'apra le luci un cieco.

TARQUINIO

Debil alma, soggetta

all'amorosa face,

dà nome di ragione a ciò, che piace.

PORSENNA

E chi al solo interesse

la sua ragion restringe,

solo ciò, che desia, giusto si finge.

TARQUINIO

Non mancheran ricorsi

a chi non manca ingegno.

PORSENNA

Sgombra intanto il mio regno.

TARQUINIO

Altri fia, che riporti

i trofei, che tu sprezzi.

PORSENNA

Vanne co' suoi trofei.

TARQUINIO

Resta a' tuoi vezzi.

PORSENNA

Che bambino sia Cupido,

creder può

chi no 'l provò.

Ma se un cor divien amante

lo ritrova un fier gigante.

Che sia cieco il nume alato

creder può

chi no 'l provò.

Ma chi sa com'egli scocchi

potrà dir, ch'egl'ha cent'occhi.

Scena sedicesima

Ismeno, ed Elisa assisi a una mensa.

ISMENO

Questo di liquid'or

soavissimo licor

mentre le fauci terge

di letizia il cor asperge.

ELISA

E sì dolce, e sì piccante,

che non san le labbra ingorde

dir se bacia oppur se morde.

(si levano)

ISMENO

Quanto Elisa m'affligge,

che tu deggia partire

ahi, ch'il pensarlo sol mi fa languire!

ELISA

Brevi saranno i guai.

ISMENO

Dimmi, ritornerai?

ELISA

Tosto l'affetto mio

perderai nell'oblio.

ISMENO

T'amerò fin, ch'io mora.

ELISA

Se così mi prometti

qui resterò.

ISMENO

Di vita

quand'io cesso d'amarti il ciel mi privi.

ELISA

Ed io non partirò fin che tu vivi.

ISMENO

Ma le pupille gravi

non so qual sonno a riposar invita

vieni, vieni mia vita.

Mio cor, mia speranza.

ELISA

(Empio, di vita un sogno sol t'avanza?)

(si vedono entrar in una stanza, e serrarla)

Scena diciassettesima

Vitellia. Milo. Poi Elisa.

VITELLIA

Chi meco si trastulla

ora, che son fanciulla,

alquanto più, che tardi

affé non troverà nemmen, ch'io 'l guardi.

Ora, che son bambina

s'alcun mi s'avvicina

non fuggo, e non m'arresto,

ma chi mi vuol baciar lo faccia presto.

Ove mi guidi?

MILO

Elisa

la genitrice tua

qui condurti m'impose.

VITELLIA

In questo loco

dunque attenderla deggio?

MILO

Sì.

VITELLIA

Ma dov'è?

MILO

Non so, né vuò saperlo.

Chi serve a donna bella,

e vuol esser gradito

abbia di talpa i rai, d'aspe l'udito.

Sciocco pur si dimostri,

niente osservi, o distingua,

sappia servir, senz'occhi, e senza lingua.

(esce furiosa da una stanza Elisa, e pigliando la figlia per mano, si parte)

ELISA

Vieni figlia: tu segui i passi miei.

MILO

Che demone ha costei?

Scena diciottesima

Sala reale in Roma.
Melvio. Valeria. Muzio.

MELVIO

Se di Marte sdegnoso

Roma il furor combatte,

l'impeto de' nemici amor abbatte.

Amor, quel cieco dio,

ch'ancor non trionfò del petto mio.

Batti pur ignudo amore,

ali tenere, e vezzose,

per entrar in questo core.

Ogni dardo scocchi invano,

che ferite non vuol il cor, ch'è sano.

Tenta pur di circondarmi

tra l'insidie d'un bel crine,

ch'io non voglio imprigionarmi,

fuggo i lacci d'un bel volto,

che catene non vuol il cor, ch'è sciolto.

VALERIA

Se Cupido pertinace

quella face,

ond'io il seno m'infiammò,

tien accesa, e che farò.

Ad Amor, che mi trattiene

tra catene

io domando libertà,

ma s'ei nega, e che farà.

MUZIO

Valeria?

VALERIA

Che vorresti?

MUZIO

Or, ch'a Roma giungesti

dall'afflitto cor mio

prendi l'ultimo addio.

VALERIA

Di che parli? Chi sei?

MUZIO

Chi son? Tanto rigore

t'assalì, dispietata,

che per far, ch'io del duol nel mar trabocchi

mi scaccia il cor, né mi conoscon gl'occhi!

VALERIA

Certo deliri.

MUZIO

Ah cruda!

Così a Muzio rispondi?

VALERIA

Muzio sei tu? Chi tramutò del crine

i bei volami d'oro

in serpentose trecce? E chi converse

in squallid'ombre i luminosi rai?

(A mio dispetto egl'è più bel che mai.)

MUZIO

Tu, tu Valeria, il core

in furia tramutasti.

VALERIA

(Eppur è forza

ch'io lo disprezzi!)

MUZIO

Oh dio così crudele

con chi t'adora!

VALERIA

Muzio,

quell'imeneo, che mi destina altrui

le tue sembianze belle

in oggetto odioso omai rivoglie

e deforme ogni amante a onesta moglie.

Scena diciannovesima

Porsenna. Clodio. Floro. Coro di Schiavi, Soldati, e Genti. Publicola. Melvio. Cavalieri. Soldati. Popolo. Muzio. Valeria.

PORSENNA

Publicola la forza

si piega alla virtù. Veggan degli anni

le più tardi memorie,

che vince la virtù sin le vittorie.

PUBLICOLA

Il tuo gran cor Porsenna

sa donar i trionfi,

e quand'in man si vede

il crin della fortuna, allor lo cede.

PORSENNA

Già n'andaro i Tarquini:

già 'l Trastevere torna

a riunirsi al Tebro, e già disciolti

son resi i prigionieri.

PUBLICOLA

Ed io la figlia,

che, con gl'affetti, illustri, e invitti al regno

con esultante cor a te consegno.

PORSENNA

Giungi in pegno di fede

adorata Valeria

alla mia destra gl'animati amori.

MUZIO

(Acerbissime pene.)

VALERIA

(Aspri dolori.)

(Valeria porge la destra a Porsenna piangendo, e Muzio piange in disparte)

PORSENNA

Bella tu piangi? Ancora

forse mi sdegni? Muzio

tu pur di pianto aspergi

le guance impallidite?

Che ti conturba? Di'?

MUZIO

Nulla signore.

PORSENNA

Che lacrime son queste?

VALERIA

Io perdo il core.

PUBLICOLA

Come? Chi perdi?

VALERIA

Muzio.

PORSENNA

Forse l'ami?

VALERIA

L'adoro.

PORSENNA

E tu nel seno alberghi egual desio?

MUZIO

Ella è l'idolo mio.

PORSENNA

E taci? E a me la cedi?

MUZIO

Così devo alla patria.

PORSENNA

Ah non sia vero,

che di sì nobil alme

io disgiunga i legami, e quanto, o Muzio,

è nobile il tuo cor, sia vile il mio.

Ti concedo Valeria. E sappia il mondo,

che può in un regio core

assai più la virtù, ch'il dio d'amore.

Scena ultima

Orazio. Porsenna. Clodio. Floro. Publicola. Melvio. Valeria. Popolo. Soldati. Cavalieri. Elisa. Vitellia. Milo. Porfiria.

ORAZIO

Mora Porsenna, mora.

PUBLICOLA

Ferma.

MUZIO E MELVIO

Che fai?

PORSENNA

Così la data fede

si tradisce?

ORAZIO

Tu manchi

alle promesse: tutti i prigionieri

devi condur: ma dove

dov'è la moglie mia? Di vil lascivo

preda riman?

PORSENNA

Con gl'altri

a venir l'invitai:

ma se forse la move altro desio

in ciò, che far poss'io?

ORAZIO

Di donna illustre

a non lasciar da predator indegno

calpestar la costanza

t'insegnerò con questo ferro.

MELVIO

Orazio

deponi il brando, che ricerca il fatto

più sicura notizie.

ORAZIO

Io, che perdei

per la patria un de' lumi: io, che sostenni

solo contro 'l furor di mille schiere

la libertà latina,

riporterò in trofeo

nota d'infamia!

Viene Elisa, e getta a' piedi d'Orazio la testa d'Ismeno, e dice

Orazio

mira.

MELVIO E PUBLICOLA

Che veggio mai!

ELISA

Ciò, che non cessi all'ire, alle promesse,

all'inumana minacciata strage

della diletta prole, Ismeno iniquo

con la forza rapì: nel sonno immerso

col brando, che ti tolsi,

l'empio teschio recisi:

(dà ad Orazio la sua spada tinta del sangue d'Ismeno, e segue)

or, se non basta

a lavar questa macchia il sangue rio,

spargi col ferro stesso ancor il mio.

MELVIO

O magnanima impresa!

PUBLICOLA

Atto sublime!

MUZIO

Invitto eccelso cor!

ORAZIO

Degna d'applauso

anzi Elisa t'hai resa.

Sapesti in gloria convertir l'offesa.

MELVIO

Or va' co' tuoi furori

del cieco abisso a conturbar gl'orrori.

PORFIRIA

Sul nero lito d'atro sangue involta

lasci 'l nocchier fatal l'alma insepolta.

PORSENNA

Voi, voi che della bella

alla fuga giovaste, a lei chiedete

la libertade.

VALERIA

In libertà vivete.

CLODIO E FLORO

Sciogli, sciogli cieco amore

con i lacci del piè quelle del core.

PORSENNA

Ed in sì lieto giorno

faccia ogni cor al suo gioir ritorno.

MUZIO

Applaudirò in eterno

a tua bontà infinita.

Insieme

MUZIO

Chi Valeria mi dà, mi dà la vita.

VALERIA

Mentre Muzio mi dai, mi dai la vita.

ORAZIO

O voi, che penate

in aspri martir,

al fin di gioir

sperate pur sperate,

che rigor di fortuna alfin si spezza.

E 'l fin d'ogni tormento è l'allegrezza.

CORO

E 'l fin d'ogni tormento è l'allegrezza.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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