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La morte di Orfeo

LA MORTE DI ORFEO

Tragicommedia pastorale.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto e musica di Stefano LANDI.
Prima esecuzione: 1 giugno 1619, Roma.


Personaggi:

TETI regina del mare, nel fiume Ebro

contralto

FATO nel cielo

basso

EBRO fiume

basso

AURORA con tre euretti

contralto

ORFEO

tenore

MERCURIO con due giovani

tenore

APOLLO

tenore

BACCO

contralto

NISA

soprano

IRENO

tenore

LINCASTRO

contralto

FURORE

basso

CALLIOPE madre d'Orfeo

contralto

FILENO pastore nunzio

tenore

CARONTE

basso

EURIDICE

soprano

GIOVE

basso

FOSFORO

contralto

PRIMO EURETTO

soprano

SECONDO EURETTO

contralto

TERZO EURETTO

contralto


Coro di Pastori. Coro di Satiri. Coro di Menadi. Sacerdotessa di Bacco. Coro di Dèi.



Dedica

All'ill.mo ed rever.mo signor ed patron mio calendissimo il signor Alessandro Mattei chierico di Camera, abate di Nonantola ecc.

Ho creduto donando questi miei musicali componimenti a v. s. illustr. non far cosa punto lontana da quell'antica opinione, secondo la quale furon dette le muse tutte l'opere loro canoramente comporre e con musicali accenti scrivere o parlare; anzi aggiunsero alcuni il mondo tutto e l'animo di quello breve compendio esser d'armonica misura composto, e per quella vivere e sostenersi. Imperò che se questo è in alcuna maniera vero, per certo nelle interne doti di v. s. ill.ma è verissimo, nella quale tanto ogni parte corrisponde e consuona, che la fama non troncamente e con voce imperfetta, ma con intera ed egual testimonianza ne fa in ogni luogo fede e certezza. Aggiungesi che al molto diletto che dalle più gravi scienze ella riceve, tanto corrispondono gli ornamenti delle minori, che quasi la musica alla poesia congiunta doppiamente gli animi altrui con dolce forza trae ad amarla ed onorarla.

Tra questi minori suoi ornamenti ella degnamente ripone musica, nella quale poi che, come d'animo ben composto, tanto si diletta v. s. ill.ma, non si sono arrossite queste mie imperfette note a ricorrerle in seno, sperando che se per loro si canta la morte di Orfeo per l'altrui invidia estinto, e per sua gloria immortale, esse, ben che morte in sé medesime, siano per aver felicissima e secura vita nella buona grazia di v. s. ill.ma, alla quale bacio riverentemente la mano.

Di Padova li primo giugno 1619.

Di v. s. ill.mo e rever.mo

servitore umilissimo

Stefano Landi

Argomento

Celebrando Orfeo con un convito de' dèi il suo giorno natale, è ucciso dalle menadi per ordine di Bacco, per non averlo voluto in detto convito, ed è poi da Giove trasferito in cielo.

Atto primo
Scena prima

Teti nell'Ebro, Fato in cielo.

TETI

Teti, del mar regina,

con argentata conca in onde d'oro

solco dell'Ebro il liquido tesoro.

Qual ogni lido inchina

da che il canoro semideo vi tira

il ciel, la terra, il mar con la sua lira.

Ah questa, ahimè (che vede

la mia mente indovina?) è l'ultim'ora

della lira e del canto, e fia che mora

Orfeo, non già sul piede

punto come Euridice, ma da insano

furor di donne inciso a brano a brano.

Ahi, soffrirete, selve,

così crudo spettacolo e sì fiero?

Lo vedrai, ciel? Lo vedrai, padre arciero?

Lo vedrete belve?

Né torrassi di man dell'empio fato

Orfeo, dal ciel inutilmente amato?

Io no 'l vo' già soffrire,

scenderò in terra e condurollo in seno

de' miei scogli reali, al mar Tirreno.

FATO

Torna, Teti, nel mar, non toccar terra,

ch'il tuo nume indovino

oggi vaneggia ed erra.

Non sai tu ch'immutabile destino

vuol ch'oggi pera Orfeo?

Or taci e torna; e mora

s'io ve 'l comando e queste stelle or ora.

TETI

Io parto, ahimè, ma tu festeggi intanto.

Citaredo infelice, il tuo natale,

e le parche crudeli il crin fatale

recidono, ond'in pianto

volgeransi i conviti, il canto e 'l riso;

or chi non piange e discolora il viso?

Scena seconda

Ebro solo.

Lascia, Diana, omai l'erranti spere,

lascia i notturni balli;

già sparita è nel ciel ogni facella,

tu, sfavillante e bella,

sola passeggi ancor gli eterei calli.

E tu che fai? Non sorgi

ahimè, non sorgi ancora,

madre e figlia del sol, novella Aurora?

Ahi luci sonnacchiose,

sorgete omai dal letto trionfale,

dai molli gigli e morbidette rose.

Non ti sovvien? D'Orfeo

oggi è 'l giorno natale;

per onorar l'illustre semideo

manda il ciel i suoi numi;

la terra indora di celesti lumi;

destati dunque, sonnacchiosa, omai.

Apri, Aurora, le porte

al dì nascente, ai fortunati rai.

Ecco, l'apre: o felice, o lieta sorte!

Scena terza

Euretti, Aurora, Ebro.

PRIMO EURETTO

Su su, dall'oriente

uniti venticelli usciamo fuori

a rallegrar i fiori,

che già vicin si sente

l'annitrir...

(il Secondo e Terzo euretto ripetono queste parole)

AURORA

Fra desta e ancora in sogno,

parvemi di sentir il mormorio

de' flutti d'oro

d'Ebro canoro,

che si lagna del tardo sorger mio.

PRIMO EURETTO

Non vedi là, non vedi

che a noi fissa le luci e par che indori

a' raggi tuoi i vaghi suoi colori?

AURORA

Scendiamo dunque e de' celesti fiori

portiamo in terra un nembo;

empiamne pur il grembo,

che 'l dì natale

d'un dio mortale,

è degno ben di sovrumani onori.

TERZO EURETTO

Portiamo fiori no, ma bianche perle,

assai più dolci al gusto

che candide a vederle:

portiamo in terra un nobil dono augusto.

LI TRE EURETTI

insieme

Godete pur, mortali,

e obliate intanto

fra 'l nostro dolce canto

e le dolcezze nostre, i vostri mali.

EBRO

Scendesti pur, o diva, e 'l dì felice

rimeni, quand'Orfeo mirò del padre

le beate de' rai lucide squadre;

ed or quel giorno braman festeggiare

più lieti l'aria, il ciel, la terra e 'l mare.

Sol s'aspettava che ne desse il segno

la bell'Aurora dal fiorito regno.

AURORA

Eccomi pronta fuor dell'oriente:

per me si tolgan tutte le dimore,

passin felici l'ore e voi, mia prole,

ite cantando e prevenite il sole.

Ite, miei venticelli,

destate i muti augelli e resti il cielo

senza macchia di nube e senza velo.

EBRO

Noi andiamo ad Orfeo, che già mi tira

la grata tirannia

di sua dolce armonia.

LI TRE EURETTI

insieme

Mentre cantiam, lontane

itene, nubi insane,

né si vegga d'intorno

oscuro velo a così lieto giorno.

E voi, vaghi augellini,

a gara gorgheggiate,

gareggiando cantate

il natale d'Orfeo,

la gloria del canoro semideo.

PRIMO EURETTO

Veggio una nuvoletta insidiosa,

superba e dispettosa,

che ostinata s'aggira,

e niuno se n'adira.

Or rinnoviamo il canto acciò s'asconda

la nuvoletta immonda.

PRIMO EURETTO E SECONDO EURETTO

Or rinnoviamo il canto acciò s'asconda

la nuvoletta immonda.

SECONDO EURETTO

Già puro in ogni parte il ciel si mostra

e già s'inostra

di purpureo velo;

tutta pomposa,

per esser vagheggiata,

esce la rosa,

e acciò meglio si goda il tener ostro,

torniamo al canto nostro.

PRIMO EURETTO E SECONDO EURETTO

E acciò meglio si goda il tener ostro,

torniamo al canto nostro.

LI TRE EURETTI

insieme

Mentre cantiam, la notte

torni all'inferne grotte,

e li notturni mostri

s'ascondan lievi, pria che il ciel s'inostri.

E voi, vaghi augellini,

a gara gorgheggiate,

gareggiando cantate

il natale d'Orfeo,

la gloria del canoro semideo.

CORO DI PASTORI

(le parole di sotto si dicono dopo la stanza che segue a due bassi)

a 8

Ecco, dall'orizzonte

escono i raggi a schiere,

di ferir vaghi più superbo monte,

e, quando orride e nere,

vibran le nubi folgori sonanti,

sempre i poggi più alti

provan di quel furor i primi assalti.

Così la vita nostra

qual più fortuna estolle

sovra degli altri in gloriosa mostra,

più facil fia che crolle,

e che ferito crudelmente, cada;

chi gode d'umil sorte,

non teme danno o minacciosa morte.

a 2 bassi

Alla valle profonda

più tardi giunge il sole,

più tardi scioglie il ghiaccio e corre l'onda;

ma quando irato suole

fulminar Giove o tempestar Giunone,

non teme ira od oltraggio,

in questa valle, assecurato saggio.

finita questa a due bassi, si torna a dire a 8:

Così la vita nostra

qual più fortuna estolle

sovra degli altri in gloriosa mostra,

più facil fia che crolle,

e che ferito crudelmente, cada;

chi gode d'umil sorte,

non teme danno o minacciosa morte.

Atto secondo
Scena prima

Orfeo solo.

Gioite al mio natal, crinite stelle,

gioite, luna e sole,

gioite, monti, selve e rive belle,

e tu, volubil mole

di salsi flutti e liquidi cristalli,

gioite, oggi e valli.

2º ritornello

Danzate al canto mio, fere selvagge,

danzate per le selve,

per intricati boschi e aperte piagge,

danzate per le selve,

e al rauco suon de' cimbali marini

danzate, orche e delfini.

3º ritornello

Cantate al mio gioir, onde correnti,

cantate, rivi e fonti,

cantate, elci frondosi, arvi gementi,

e voi dagli alti monti

vezzosi augelli, e tu rispondimi, Eco,

dal tuo canoro speco.

4º ritornello

Oggi li primi amabili splendori

trassi di questo sole,

trassi oggi le prim'aure e i primi ardori;

oggi tutto in carole

si passi lieto e si cominci omai:

trassi oggi i primi rai.

Scena seconda

Ebro, Orfeo.

EBRO

Tu lieto canti, Orfeo, e il tempo vola.

Su, su, dal ciel si chiame

chiunque di gioir brame:

oggi in lieto convito

siedono i dèi in questo ameno lito.

ORFEO

Vien, Giove e Marte; vieni, Apollo, e 'l crine

di più sereni raggi adorna e vesti;

venite pur, celesti!

Bacco, no, ch'io non voglio,

Bacco, no, ch'io non chiamo,

che nei lieti conviti ardire e orgoglio

e spesso ancor furore

suol eccitare al core.

EBRO

Fauni, Sileni, Satiri e Silvani,

tutti venite, e gioirete meco

in verde, erboso speco.

ORFEO

Venite ancor, pastori, al mio gioire;

ma voi, donne, lontane

ite dalle mie gioie e mio desire.

Ite pur, donne insane.

Peste del mondo e velenosi fiori,

prati de' bei colori,

ma in voi d'aspidi è 'l nido e con diletto

avvelenate de' mortali il petto.

Scena terza

Mercurio, con due Giovani dal cielo che portano dei vasi di nettare. Orfeo, Ebro.

MERCURIO

Udito ha il cielo, o giovane canoro,

il tuo cortese invito,

e verrà tutto unito

ad onorarti de' celesti il coro.

Giove solo riman nella celeste

più ritirata soglia,

odioso di feste,

egro nel volto e pieno il cor di doglia.

ORFEO

Qual caso lo contrista?

MERCURIO

Di congiurate stelle

a danni del suo sangue orrida vista.

Manda però, segni d'immenso amore,

in luogo dell'odiato inutil vino,

questi vasi di nettare divino.

ORFEO

Gradisco il dono, e, più che il dono, il core.

Vanne, Ebro, e quel prezioso almo liquore

ripon sicuro in ritirato sasso.

EBRO

Ove m'accenni, pronto muovo il passo.

MERCURIO

Io bandirò dal mondo il furor cieco,

che tra queste colline or fa dimora;

farò che il piede dal tartareo speco

non mova oggi, fin tanto

che finischin le gioie e torni il pianto.

ORFEO

O grazioso nume,

questa è mercé che sovra ogni altra bramo:

vada il Furor lontano

e alberghi sol nei femminili petti,

più dell'inferno assai sordidi letti.

Scena quarta

Apolline dal cielo, Orfeo.

ORFEO

Vedimi alle tue brame, o figlio amato,

tutto allegro e gioioso;

né crine omai dei raggi più pregiato,

né cerchio di diamante più pomposo,

né vesto più bel manto,

quando più bramo di bellezza il vanto.

Ma ohimè! Nel mezzo d'ogni mio diletto

un rio pensiero mi trafigge il petto.

Deh, non ti turbi

l'alma pensier noioso,

o lucido signore,

del giorno, o genitore.

APOLLO

So che crudo destino

dalle man dolci, forti e lusinghiere

di belle donne ti sovrasta, o figlio.

Deh, segui il mio consiglio:

un dolce ben, ch'in un momento pere,

fuggilo, e segui di virtù 'l cammino.

ORFEO

Non temer, padre, non temer che amore

non signoreggia più, come solea,

nel tenero mio core.

APOLLO

Fuggi pur, fuggi pure

le donne e i lor diletti; forse a morte

non giungerai, seguendo infide scorte.

ORFEO

Anzi odio, che non amo,

donna che inneschi di dolcezza l'amo.

APOLLO

Andiamo dunque a dar principio lieto

ai canti, ai suoni, ai balli.

Eco risuoni dall'ascose valli,

né turbi il gioir nostro alcun divieto.

CORO DI SATIRI

a 8

Deh, compagni, venite,

deh venite, compagni;

niun si lagni;

deh, compagni venite,

deh venite, compagni.

Due satiri

Cure moleste,

per le foreste

ite tra voi,

gioirem noi

in bel convito,

in sen fiorito,

fuor delle linfe,

tra vaghe ninfe.

Due altri satiri

Quel prezioso,

tutto odoroso,

tutto divino

odor del vino,

la sete rabbia

di nostra labbia

per l'avvenire

farà bandire.

(qui si replica Deh, compagni a 8)

Due satiri

O, s'io trovassi

tra questi sassi

quel dolce umore

che allegra il core,

quei tenerini,

dolci rubini,

la calamita

di nostra vita!

Due altri satiri

Già par che il core

senta l'odore,

tante son stille

tant'ha faville

che danno lena

ad ogni vena,

che danno al petto

dolce diletto!

Atto terzo
Scena prima

Bacco, Nisa.

BACCO

Schernito ed oltraggiato il padre Libero?

Dove? Da chi? Dal figlio di Calliope

vicino all'acque torbide

d'Ebro, che del suo fango or s'è fatto aureo,

un dio da un pastorello! Oh, come avvampami

lo sdegno al cor! Dove il furore aggirasi?

NISA

Nelle grotte infernali:

ivi, d'ordin di Giove,

vuol che tutt'oggi confinato resti

il messaggero alato de' celesti.

BACCO

Forse perché non turbi il bel convito,

le feste e l'allegria

che altri ha d'Orfeo, egli dell'onta mia?

Lo turberà, vi spargerà del sangue.

NISA

Deh, frena il tuo disdegno!

Non si convien a un dio tanto furore.

BACCO

Conviensi morte a chi dispregia amore.

NISA

Un nume è ancor piacevole nell'ira.

BACCO

Bacco, o dolcezza, o sangue e morte spira.

NISA

Il vestir lieto e 'l volto amor promette.

BACCO

Il tirso e le mie tigri ancor vendette.

NISA

Deh, per mio amor perdona!

BACCO

Al tuo nemico?

NISA

Al comun bene, al canto a tutti amico.

BACCO

Non sai, misera Nisa, i scorni tuoi!

Sappili da compagne.

Ecco gemendo van per le campagne.

Io me ne volo al ciel, quindi all'inferno,

per impetrar da Giove

di menar il furor dove mi giove.

Scena seconda

Coro di Menadi, Nisa.

CORO DELLE MENADI

Dove ne mandi, dolce Orfeo, lontane

lontan dal dolce canto?

E chi ne accoglie, ahimè! Sospiri e pianto?

Dunque disciolto e vagabondo il crine

ondeggi e scherzi ai venti,

e scherzi all'aure sian nostri lamenti?

E tu che fai? Nella spinosa mano

di fior corona intesta

rimanti rotta e secca alla foresta.

(ritornello che si fa, finita ogni stanza)

NISA

Dunque Orfeo ci abbandona?

Or dove irem dolenti? Amate selve,

deh, rispondete voi, voi ne guidate,

che noi già disperiamo.

ECO

Speriamo, amo.

NISA

Se more amore in lui,

come viverem noi? Deh, gentil Eco,

a quel crudel il nostro mal racconta.

ECO

Conta, onta.

NISA

Conta l'onta d'Orfeo. Ma che faranno

inferme donne e imbelli?

Dunque di novo l'alma si dispera...

ECO

Pera, era.

NISA

Era amante ora;

però niun gema più, né più sospire

ECO

Spire, ire.

NISA

E respiri ciascun alla vendetta.

Che più s'aspetta?

Ciascun core infurie.

ECO

Furie, rie.

NISA

Le rie furie d'Averno

venghino prima ad incitare il core,

poscia l'anciderem senza dimore.

UNA DELLE MENADI

Mora.

ECO

Mora, ora.

Scena terza

Lincastro. Ireno, pastore.

IRENO

Ah, infelice Ireno!

Ahi! Lagrimose luci, che vedeste

spettacolo sì fiero,

come a sonno immortal non vi chiudeste?

Ahi! Vago cigno, ahi! Lagrimosa sorte,

che 'n premio del tuo canto hai dura morte!

LINCASTRO

Non è quel, che di dolce amaro pianto

fa rimbombar la selva, il nostro Ireno?

Ah, sì, deh, per che tanto,

caro pastor, ti lagni?

Deh, per che il volto bagni

d'amara pioggia e questo lido ameno?

Fai al tuo doler gemere i venti

ai gravi tuoi lamenti.

IRENO

Veduto hai ben, Lincastro,

quel domestico cigno e così vago

di cantar sulla riva

di questa d'or corrente acqua nativa.

LINCASTRO

Cento e più volte, ogn'ora

tra pastori dimora.

IRENO

Or, mentre lieto canta

ed allegra de' numi il bel convito,

ecco, vien dalle selve stuolo ardito.

Chi 'l crederia? D'imbelli

invidiosi augelli,

ch'al bel cigno canoro

dieron morte crudele;

e tal fu il lor furore,

ch'avendo quelle membra, ahimè! divise,

ciascun ne portò via quel che recise.

LINCASTRO

Ah! Prodigi son questi,

d'impendente destin segni funesti.

Anzi, che veggio? Ahimè, fuggiam Ireno!

Qui si fanno apparire diversi mostri per la scena.

IRENO

Lupi son, mostri son d'ira frementi;

salviamo i nostri armenti!

Scena quarta

Bacco, Furore.

BACCO

Se mai per nostro amore,

ardito mio ministro,

guerreggiasti nell'armi,

oggi fa' che di palme

assai più degne il crine t'incorono.

FURORE

Eccomi, al paragone

d'ogni altro tempo, pronto a' cenni tuoi,

ad eseguir vendette,

a impennar dardi, ad infiammar saette.

BACCO

Avvelena la face,

ed odio sia il veleno

onde ogni cor di subito si sface.

Il cor avvampi e 'l seno

delle menadi mie;

corran spietate e rie

ad isbranar Orfeo, e sian le rive

del suo sangue cosparte,

e le membra divise a parte a parte.

FURORE

Or or, Bacco, vedrai

la tua vendetta viva

e lacerato Orfeo di riva in riva.

BACCO

Ecco là: sopra il monte

chiaman il nume ai lieti sacrifici

di tirso armate e pronte

a ricever nel petto

le fiamme tue ed il velen d'Aletto.

FURORE

Io volo dunque.

BACCO

E spira

odio, dovunque passi, incendio ed ira.

CORO DI PASTORI

Due pastori

L'Ebro, c'ha d'oro i flutti,

pallido corre e geme;

secchi sono e distrutti

i vaghi fior c'ha nelle sponde estreme.

Givan pur ora allegri

gli augei di faggio in faggio,

or stan solinghi ed egri,

e su nel ciel sparito è il più bel raggio.

Due pastori

Qualche grave rovina

sovrasta a questi lidi,

o fiamma repentina,

o inimica mano, o petti infidi!

O ciel, sì liberale

in dar segni dell'ira,

non far colpo mortale,

e scendan parchi i fulmini a ferire.

a 5

O quante strida, o quanti

s'odon per queste selve

sospir, lamenti e pianti,

mostri selvaggi e sanguinose belve!

Atto quarto
Scena prima

Mercurio dal cielo, coro di Dèi, Orfeo.

MERCURIO

Senatori del ciel, numi sovrani,

per non lieve cagione

del celeste governo

Giove v'attende al concistoro eterno.

UNO DEGLI DÈI

Dunque riman felice,

illustre semideo.

Tutti gli Dèi insieme intanto che s'alza la nuvola che li porta in cielo.

CORO DI DÈI

Dunque riman felice,

illustre semideo,

già qui dimora a noi far più non lice;

dunque riman felice.

APOLLO

Questa del tuo natal lieta ultim'ora

godi gioioso; intanto

faran plauso le stelle al nostro canto.

ORFEO

Ite al sacro consiglio

del governo del mondo, o sommi dèi,

e queste piagge e questi lidi miei

talor mirate con sereno ciglio.

Ahimè, che, al vostro dipartir, si parte

dal cor ogni mia gioia

e 'l petto ingombra orror, timor e noia;

su, dolcissima cetra,

dilegua il repentino mio dolore,

su, col tuo canto, impetra

il primiero seren al fosco core!

Ah, che trema la mano;

ah, mute son le corde.

E sento l'infelice

nuda ombra d'Euridice

che mi chiama. Ove sei,

dolce, cara consorte?

Dove debbo venire?

Ai regni, ai regni dell'oscura morte.

Vengo e ti seguo. Ahi lasso!

Non può spiegar un passo

irrigidito il piede.

Dunque starommi in quel cespuglio ombroso,

e darammi ristoro

l'ombra soave del paterno alloro.

Scena seconda

Coro delle Menadi infuriate, Furore.

CORO DELLE MENADI

Bacco Niseo,

Libero Bacco,

Bacco Niseo,

Bacco Bacco,

Liceo Evio,

Bacco Tirsigero.

FURORE

Non esce pur ancora

il fuoco, eppur omai

le viscere divora.

Fuora, Furor, che fai?

Impugna il tirso

e scopri il ferro,

che, s'io non erro,

ecco vicin Orfeo.

UNA DELLE MENADI

I

Fermate il piè, compagne,

ch'io vedo, e non m'inganno,

un fiero lupo.

II

Dove s'appiatta?

I

Nell'orror cupo

di quella fratta.

II

Lupo non è né fiera, e sembra un uomo;

anzi è 'l nemico Orfeo.

I

Dunque s'uccida

dove s'annida.

II

Dunque a vendetta

corriamo in fretta.

si replica Bacco Niseo a 4

Scena terza

Calliope sola.

Il desio di veder l'amato figlio

le collinette amene

mi fa lasciar di Pindo e di Pirene;

ma quel torbido, ahimè! pallido umore,

che versa l'Ebro mio fuor dell'usato,

a lagrimar m'invoglia

ad isfogar la doglia

che di mezzo alle dolcezze amara nasce,

e, nato appena, in fasce

mille dardi crudeli

avventa nel mio core,

saettatrice esperta di dolore.

O dolci aure soavi, voi che, sì liete

sussurrando, d'intorno

v'aggirate d'Orfeo al bel soggiorno,

ditegli che se n' vole

a questa riva, acciò la lusinghiera

sua cetra mi console,

e 'l mio dolor pera.

Scena quarta

Fileno, nunzio. Calliope.

FILENO

Versate, ahimè, versate,

amarissimi lumi,

amarissimi fiumi

che, gorgogliando, destino pietate.

CALLIOPE

Narra, Filena, narra il tuo dolore.

FILENO

Lacera, o madre, il crine,

vesti di bruno, o terra, i tuoi fioretti

e scopri all'onde d'oro

d'Ebro infelice il lucido tesoro.

CALLIOPE

Ahimè, qual flebil suono

acutissimi dardi al cor m'aumenta!

Ah, voce no, ma tuono,

onde il fulmineo orror l'alma paventa.

Parla, crudel, e non m'uccider sempre

in sì dogliose tempre!

FILENO

Parlerà, ch'io no 'l posso, il mio dolore,

parleranno le lagrime e i sospiri;

parleran queste selve e questi colli,

fatti loquaci al suon de' miei martiri,

e nel sangue d'Orfeo tiepidi e molli.

CALLIOPE

Dunque il mio dolce figlio

giace nel sangue suo fatto vermiglio?

Deh, narra qual si sia

la sua sventura e l'aspra pena mia!

FILENO

Narrerò, se il dolore

lascia alla voce il suon, la vita al core.

Sotto l'ombra di bel crinito alloro,

in grembo a verdi e preziose erbette,

presso a un ruscello, al gorgogliar canoro

di linfe fuggitive e garrulette,

prendeva Orfeo gratissimo ristoro

rallentando le pene al cor ristrette,

e facea con soavi e mesti carmi

indurir l'onda, intenerir i marmi.

Era, bianca colonna, eburnea mano

alla purpurea gota appoggio fido;

avea gli occhi rivolti al ciel invano,

al ciel ch'è sordo di sospir al grido;

facea l'aurata cetra il duol insano

muta giacer nel strepitoso lido

ch'Ebro mordendo bagna, e parea dire:

«Vedimi, Orfeo, al tuo languir languire».

Con gemer lieve e sospirar profondo

ei rimembrava intanto, e maledice

l'inesorabil fato, che dal mondo

tolse il suo ben, e sospirando dice:

«Fato crudel, ben m'hai riposto al fondo

d'un pelago di lagrime, infelice!»

Volea pur dir, ma ruppe il canto e 'l duolo

un confuso ulular d'armato stuolo.

Volge Orfeo gli occhi lagrimosi e vede

venir contro di sé con tirsi ignudi

l'infuriate Menadi, e ben crede

poter placar di donne i petti crudi.

Prende la cetra abbandonata e fiede

le fila d'oro, che piegar gl'incudi;

ma invan corre la man, suona la cetra,

che infuriate donne han cuor di pietra.

Dunque, mentre la man dolce sonava,

ahi, dispietato e più che crudo affetto!

Mentre col suono il canto gareggiava,

e ne prendean le selve e il ciel diletto,

giunse il Furore dove Amor si stava

tra molli piume dell'eburneo petto:

quivi con mille colpi, empie, il feriro,

onde l'anima e il canto insieme usciro.

al fine di ciascheduna stanza si fa il presente ritornello adagio

CALLIOPE

Ahi, dolor che m'uccidi!

Morte, che con un dardo,

a volar lieve a ritenersi tardo,

due vite abbatti e due alme dividi!

FILENO

Anzi, ecco appunto ch'Ebro

fra le lacrime sue ti porta avvolto

tra bianchi lini di tua prole il volto,

e par che dica all'onda in dubbio suono:

«Cantate voi, ora che muto io sono».

CALLIOPE

Ahi, vista! Ahi, figlio! Ahi, ciel! Ahi, numi! Ahi, sorte!

Serbate a me la vita, al figlio date

acerbissima morte!

Ahi, figlio, chi t'uccise?

Figlio, rispondi, o figlio,

quell'eburneo collo, ahi! chi 'l recise?

FILENO

Nel petto, ahimè! di femmine crudeli.

Ove di crudeltà si pasce il core,

nacque e crebbe di subito il furore.

CALLIOPE

Donne crudeli e ingrate,

ben pagherete il fio

del fallo vostro ingiusto

al giusto dolor mio!

Ma chi mi rende intanto il tronco busto?

FILENO

Ahi, che l'empie omicide

il laceraro tutto a brano a brano,

e le stillanti membra

or seminando van per monte e piano!

CALLIOPE

Anderò dunque, pria che il duol m'uccida,

l'innocenti reliquie del mio bene

raccogliendo in sospir, lagrime e pene.

CORO DI PASTORI

a 6

O tutti, raccolti

da piagge, da monti,

sospiri sepolti,

nei rivi le fonti

venite colmando,

nell'umido umore

venite scemando

i cuor di dolore.

È morto, ahi, chi piange!

È morto, ahi, chi geme!

Il petto che frange

di Tracia la speme;

è muta la lira

che trasse le selve,

che l'ira ~ feroce

placò delle belve!

Or lacera, esangue

si giace la prole,

qual fiore che langue

reciso dal sole.

O ferro spietato!

Che mano crudele!

Oh quanto hai versato

d'assenzio e di fiele!

È muta, ahi! la lira

che vinse l'inferno,

che ai regni dell'ira

diè dolce governo;

ch'in tremoli accenti

già fece fermare

la furia de' venti,

l'orgoglio del mare.

Atto quinto
Scena prima

Orfeo, Caronte nell'inferno.

Qui è da notare che per Orfeo s'intende l'ombra d'Orfeo; essendo già morto.

ORFEO

Ombre grate d'Averno,

grate al paro de' vaghi lampi d'oro,

che, col girar eterno,

intesse il sol con splendido lavoro,

or m'accogliete in seno

di quel bel lido ameno,

ove tra mirti ed amorose fronde

Euridice confonde ~ in dolce quiete

i suoi sospir col muto suon di Lete.

Or qual più lieve e pia

aura è tra questi orribili paesi,

che con dritta via

conduca a volo i miei sospiri accesi

e dia di me novella

alla mia dolce stella,

e le dica che Orfeo, non più vivente,

nud'ombra, sì, ma ardente ~ ai dolci rai

viene di lei, per non partirsi mai?

CARONTE

Qual ombra sento in questi

spechi d'Averno rimbombar soave?

Altri lugubri e mesti

scendon quaggiù, che di lasciar gli è grave

il ciel; questi gioisce.

Or di', chi sei,

ombra, che canti al suon di tanti omei?

ORFEO

Non riconosci Orfeo,

Caronte? Ecco ch'arrivo,

nuda ombra, al comun porto;

ove già scesi vivo,

or, rotta la prigion, vi giungo morto.

Passami, per pietade,

all'altra riva, e mostra

quel campo ove felice

in grembo a mille fior gode Euridice.

CARONTE

Ancor vaneggi, ancora,

fredda ombra, porti al sen foco amoroso?

Euridice dimora

in luogo impenetrabile e nascoso.

Getta pur tra quest'ombre ogni tua speme,

vedovo abitator di fredde arene!

ORFEO

Deh! Non turbar, Caronte,

con sì crude risposte il mio gioire;

fa' pur che varchi il rio,

che tosto rivedrò nel suo orizzonte

il sol, vivendo, morto,

al mio morir, risorto.

CARONTE

Va' pur errando vagabondo intorno,

anima disperata, ad altro lido;

non v'ha varco per te, né albergo fido,

finché il lacero e sparso

corpo, unito non sia sepolto ed arso.

ORFEO

Ahi, dura, acerba voce!

Ahi dimora, di morte assai più atroce!

Scena seconda

Mercurio, Orfeo, Caronte, Euridice.

MERCURIO

A che ti lagni, Orfeo, e, mesto il ciglio,

stampi d'orme maligne i lidi inferni?

Il ciel t'aspetta, e tu tra pianti eterni

il varco tenti di penoso esilio?

Lascia i campi di morte e le gementi

ombre d'inferno: tra i celesti eroi

avrai lucido seggio, e i crini tuoi

sfavilleranno d'or, di raggi ardenti.

ORFEO

Perdonami, del ciel nunzio felice:

più grato m'è in Averno

penar con Euridice

che senza lei nel ciel goder eterno.

MERCURIO

Ah, tu vaneggi, e credi

ch'Euridice anco t'ami e ti conoschi,

tra questi campi foschi

beve ella un lungo oblio

dell'antico desio,

deh, meco al ciel, alma felice, riedi!

ORFEO

Deh, fa' ch'io prima miri

la diletta consorte,

per cui tanti formai dolci sospiri,

per cui cara mi fu, lieta la morte.

MERCURIO

Vo' ch'ella disinganni il tuo furore.

Caronte, accosta il legno:

or or trarrolla dell'Elisio fuore.

CARONTE

Ma tu non t'accostar, alma perversa;

va' pur girando altrove e lassa il canto

ed apprendi formar, misera, il pianto.

E se pur anco hai di cantar desio,

le pause canterai del remo mio.

ORFEO

O infelice Orfeo,

o dispietata sorte

ch'alzi di me l'orribile trofeo,

e morte ancor mi dai dopo la morte!

MERCURIO

Ecco Euridice tua: vedila, Orfeo.

ORFEO

Non è più vaga e bella

qual sia nel ciel vaghissima facella:

ma ben sei crudo, rio,

che allontani le braccia al mio desio.

EURIDICE

Mercurio, chi è quel folle,

che nel gelo di morte arde d'amore?

MERCURIO

Dunque non lo conosci? Ei per te more,

e tua beltade sovra ogni altra estolle.

ORFEO

Euridice, mio bene, eccoti Orfeo,

quel già sì caro un tempo

agli occhi tuoi famoso semideo.

EURIDICE

O tu sogni, o deliri;

io non conobbi Orfeo,

né 'l vidi mai, né di vederlo bramo

né l'ho in odio, né l'amo.

Rimanti in pace, io torno ai dolci rai

dell'Elisio felice, ai miei desiri.

ORFEO

Ove fuggi, crudel? Ove mi lasci,

dura, spietata e fiera?

Euridice! Euridice!

MERCURIO

Or non qual era

è la consorte tua, misero amante.

Ma non temer: bevi secura l'onda,

ch'io ti porgo, e vedrai

rasserenati di tua mente i rai.

CARONTE

Beva, beva securo l'onda,

che da Lete tranquilla inonda;

beva, beva chiunque ha sete

il sereno liquor di Lete.

Non più affanni,

non più morte,

non più sorte;

privo di doglia,

pien di piacere,

venga, chi ha sete, a bere.

Beva, beva questi cristalli,

che trascorrono per le valli.

Beva, beva di questi argenti,

che non fanno provar tormenti.

Non più affanni,

non più morte,

non più sorte;

privo di doglia,

pien di piacere,

venga, chi ha sete, a bere.

Beva, beva questo liquore,

chi piagato si sente il core.

Beva, beva chi vuol dal petto

trar le noie e sentir diletto.

Non più affanni,

non più morte,

non più sorte;

privo di doglia,

pien di piacere,

venga, chi ha sete, a bere.

ORFEO

Che puro sereno,

che dolce e chiaro lume aggiorna all'alma!

Né nube di dolor, né tosco d'ira,

né di furor baleno

già più nel cor s'aggira,

né mi preme d'amor la grave salma.

MERCURIO

Or segui il volo mio,

alma felice, alla sublime sfera.

ORFEO

Oramai fia che pera

il piacer che dà vita al tuo desio.

CARONTE

Tante volte all'inferno e torni e parti,

alma di cantar vaga,

ed in cantar un'ostinata maga.

Or partiti una volta, e non tornare

né a veder, né a cantare;

ché, se tu torni, certo ti prometto,

per l'anima d'Aletto,

cacciarti in un cantone;

fatto immobile, batto col bastone.

Scena ultima

Coro di Pastori in terra.
Coro di Dèi, Giove, Fosforo, Orfeo, tutti nel cielo.

CORO DI PASTORI

Ancor nebbia han le menti; cessi omai

con lungo aspro dolore

turbar del cielo i più sereni rai.

Non è già morto Orfeo,

ma vive in ciel celeste semideo.

due del coro de' Pastori, mentre s'apre il cielo

Ecco, fra le più belle

schiere del ciel divine,

qual or lampeggia, e lucide facelle

fan giro sfavillando all'aureo crine,

e par che plachi la stellata lira

Giove toccante e fiammeggiante d'ira.

coro di Pastori segue

Non più, non più lamenti,

non più, non più querele:

non son i raggi spenti,

son giunte al ciel le fortunate vele:

Orfeo, ancora vive,

in terra no, ma nell'eteree rive.

Giove nel cielo; lo assistono tutti gli Dèi.

GIOVE

Quivi, del centro alla più luminosa

seggia del ciel, tra fortunati eroi,

Orfeo, qui ti riposa,

novello nume ai Traci e ai lidi Eoi;

e già inchina l'oreccio, e de' mortali

pietoso accogli i voti e caccia i mali.

In cielo, in terra intanto

s'oda lieto e festivo e dolce canto.

Fosforo, voi, ch'in ciel sete primiero,

ad annunziar il giorno,

date fausto principio al canto adorno.

prima stanza

FOSFORO

Venite, o vaghe stelle,

del sol lucide ancelle,

ornate i biondi crini

e le dorate chiome

al nostro semideo di bei rubini.

CORO DI DÈI

Non è già morto Orfeo,

ma vive in ciel celeste semideo.

seconda stanza

FOSFORO

Tu, ricca primavera,

de' fiori tesoriera,

di croco e d'amaranto,

di bianchi gigli e rose

tessi ad Orfeo il prezioso manto.

CORO DI DÈI E CORO DI PASTORI

insieme

O nume glorioso,

o fortunato eroe,

felice semideo.

terza stanza

FOSFORO

E voi, Grazie, che al cielo

sgombrate il fosco velo

co' vostri eterni lampi,

rasserenate il viso

al nostro Orfeo, che sovra ogni altro avvampi.

CORO DI PASTORI

Orfeo ancora vive,

in terra no, ma nell'eteree rive.

quarta stanza

FOSFORO

Ma voi, canore dive,

non siate al canto schive:

con chiari e dolci accenti

fate che s'oda in terra

rimbombar gli astri e gareggiar i venti.

CORO DI DÈI E CORO DI PASTORI

insieme

Fortunato semideo,

che, col pregio del tuo canto,

hai nel ciel stellato ammanto,

gloria eterna, egual trofeo.

CORO DI DÈI

a tre

Al ciel poggiasti con canori vanni,

togliendo a morte nel morir gli affanni;

or, cantando del ciel, di stelle ornato,

rendi molle, qualor s'induri, il Fato.

CORO DI DÈI E CORO DI PASTORI

a otto

O nume glorioso,

o fortunato eroe,

felice semideo,

fortunato semideo,

che, col pregio del tuo canto,

hai nel ciel stellato ammanto,

gloria eterna, egual trofeo.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto quinto Scena prima Scena seconda Scena ultima