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MITRIDATE RE DI PONTO
Dramma per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Vittorio Amedeo CIGNA-SANTI.
Musica di Wolfgang Amadeus MOZART.
Prima esecuzione: 26 dicembre 1770, Milano.
Personaggi:
MITRIDATE re di Ponto, e d'altri regni, amante d'Aspasia |
tenore |
ASPASIA promessa sposa di Mitridate, e già dichiarata regina |
soprano |
SIFARE figliuolo di Mitridate, e di Stratonica, amante d'Aspasia |
soprano |
FARNACE primo figliuolo di Mitridate, amante della medesima |
contralto |
ISMENE figlia del re de' Parti, amante di Farnace |
soprano |
MARZIO tribuno romano, amico di Farnace |
tenore |
ARBATE governatore di Ninfea |
soprano |
[Ouverture]
Allegro (re maggiore) / Andante grazioso (la maggiore) / Presto (re maggiore)
Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 corni.
Piazza di Ninfea, con veduta in lontano dalla porta della città.
Sifare con séguito d'Ufficiali, e Soldati, ed Arbate coi Capi de' cittadini, uno de' quali porta sopra un bacile le chiavi della città.
Recitativo
ARBATE
Vieni, signor. Più che le mie parole,
l'omaggio delle schiere,
del popolo il concorso, e la dipinta
sul volto di ciascun gioia sincera
abbastanza ti spiega in questo giorno
quanto esulti Ninfea nel tuo ritorno.
SIFARE
Questi di vostra fede
contrassegni gradisco. Altri maggiori
però ne attesi, e non dovea ricetto
qui Farnace trovar.
ARBATE
Del regno adunque
può già la gelosia render nemico
Sifare del german?
SIFARE
La bella greca
che del gran Mitridate
gli affetti meritò, di questo seno
fu pur anche la fiamma, ed è la prima
cagion, benché innocente,
delle gare fraterne.
ARBATE
Oh quanto ti precorse
colle brame, e coi voti
il dolente suo cor!
SIFARE
Se il ver mi narri,
molto a sperar mi resta, e tutto io spero.
Se di Roma fra il servo, e fra 'l nemico
osa Arbate appigliarsi
al partito miglior.
ARBATE
Se l'oso! E puoi
dubitarne, o signor? Forse m'è ignoto
che Colco è tuo retaggio, e che fu sempre
il Bosforo soggetto a chi di Colco
siede sul soglio? Il tuo voler soltanto
rendimi noto. Io già quel zelo istesso,
che al tuo gran genitore
mi strinse, in tuo favore
qui tutto impegno, e tu vedrai Farnace,
mercé del mio valor, della mia fede,
girne altrove a cercar e sposa, e sede.
(parte col suo seguito)
Sifare col suo Séguito, ed Aspasia.
SIFARE
Se a me s'unisce Arbate,
che non posso ottener?
ASPASIA
Il tuo soccorso,
signor, vengo a implorar. Afflitta, incerta
vedova pria che sposa al miglior figlio
di Mitridate il chiedo. Ah non fia vero,
che il sangue che t'unisce al tuo germano,
d'una infelice al pianto
prevalga in questo dì, barbaro, audace,
ingiurioso al padre egli al mio core,
ch'è libero, e che l'odia, impone amore.
Ma se pietà non senti,
signor, de' mali miei, se in mia difesa
non t'arma il mio dolor, vedrai te 'l giuro,
là su quell'ara, ove aspettata io sono,
come allor, che lo sforza un reo tiranno,
sappia un cor disperato uscir d'affanno.
SIFARE
Regina, i tuoi timori
deh calma per pietà. Finché io respiro,
libero è il tuo voler, e andrà Farnace
forza altrove ad usar. Ma chi t'adora,
se chiami delinquente,
sappi, ch'io son di lui meno innocente.
ASPASIA
(Che ascolto, o ciel!)
SIFARE
Non ti sdegnar: diverso
dall'amor del germano
di Sifare è l'amor. No, mia conquista
se da lui ti difendo,
non diverrai. Ma quando
t'avrò resa a te stessa, ove risolvi
volgere i passi tuoi? A me permesso
sarà l'accompagnarti? Aborrirai
quanto il nemico il difensore? Ed io
per premio di mia fé, per compiacerti
risolvere dovrò di non vederti?
ASPASIA
Dello stato, in cui sono,
prence, se sei cortese,
tanto non t'abusar.
SIFARE
Io non ne abuso
allor, che ti difendo
senza sperar mercé, quando prometto,
bell'Aspasia, ubbidirti, e poi celarmi
per sempre agli occhi tuoi.
ASPASIA
Forse prometti
ciò, ch'eseguir non sei capace.
SIFARE
E ad onta
de' giuramenti miei dunque paventi,
ch'io possa teco ancora
tiranno divenir?
ASPASIA
Contro Farnace
chiedo aita, o signor. Dall'empie mani
salvami pria: quest'è il mio voto. Allora
d'usarmi iniqua forza
d'uopo non ti sarà. Perch'io t'accordi
di vedermi il piacer, e tu fors'anche
meglio conoscerai qual sia quel core,
ch'ora ingiusto accusar puoi di rigore.
[N. 1 - Aria]
Allegro (do maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe.
Al destin, che la minaccia,
togli, oh dio! Quest'alma oppressa,
prima rendimi a me stessa,
e poi sdegnati con me.
Come vuoi d'un rischio in faccia
ch'io risponda a' detti tuoi?
Ah conoscermi tu puoi,
e 'l mio cor ben sai qual è.
(si ritira)
Sifare col suo Séguito.
Recitativo
SIFARE
Qual tumulto nell'alma
quel parlar mi destò! Con più di forza
rigermogliar vi sento
speranze mie quasi perdute. Un nuovo
sprone per voi s'aggiunge
oggi alla mia virtù. Tronchinsi ormai
le inutili dimore, e la mercede,
che prometter mi sembra il caro bene,
ah si meriti almen, se non s'ottiene.
[N. 2 - Aria]
Allegro (si bemolle maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni.
Soffre il mio cor con pace
una beltà tiranna,
l'orgoglio d'un audace,
no, tollerar non sa.
M'affanna, e non m'offende
chi può negarmi amore,
ma di furor m'accende
chi mio rival si fa.
(parte col suo seguito)
Tempio di Venere con ara accesa, ed adorna di mirti, e di rose.
Farnace, Aspasia, Soldati di Farnace all'intorno, e Sacerdoti vicini all'ara.
Recitativo
FARNACE
Sin a quando, o regina,
sarai contraria alle mie brame? Ah fuggi,
sì, fuggi, e meco vieni.
Te impaziente attende
di Ponto il soglio, e ognun veder ti brama
sua regina, e mia sposa. All'ara innanzi
dammi la destra, e mentre
con auspicio più lieto
s'assicura il diadema alle tue tempia,
le promesse del padre il figlio adempia.
ASPASIA
Per vendicare un padre
dai Romani trafitto
scettri io non ho, non ho soldati, e sol
unico avanzo delle mie fortune
mi resta il mio gran cor. Ah questo almeno
serbi la fé dovuta al genitore,
né si vegga la figlia
porger la man sacrilega, ed audace
all'amico di Roma, al vil Farnace.
FARNACE
Quai deboli pretesti
son questi, che t'infingi, e chi ti disse,
che amico a Roma io son?
Sposa or ti voglio.
(la piglia a forza per mano)
E al mio volere omai contrasti invano.
ASPASIA
Sifare, dove sei?
(guardando agitata per la scena)
Sifare con Soldati, e detti.
SIFARE
Ferma, o germano,
ed in Aspasia apprendi
Sifare a rispettar.
FARNACE
(ad Aspasia con risentimento)
Intendo, ingrata,
meglio adesso il tuo cor. De' tuoi rifiuti
costui forse è cagion. Ei di Farnace
è amante più felice, e men ti spiace.
SIFARE
(a Farnace)
Suo difensor qui sono, e chi quel core
tiranneggiar pretende
di tutto il mio furor degno si rende.
FARNACE
Con tanto fasto in Colco
a favellar se n' vada
Sifare a' suoi vassalli.
SIFARE
In Colco, e in questa
reggia così posso parlar.
FARNACE
Potresti
qui pur per le mie mani
versar l'alma col sangue.
SIFARE
A tanto ardire
così rispondo.
(vuol metter mano alla spada, e così pure Farnace)
ASPASIA
(trattenendo i due fratelli)
Ah no, fermate.
Arbate, e detti.
ARBATE
All'ire
freno, principi, olà. D'armate prore
già tutto è ingombro il mar, e Mitridate
di sé stesso a recar più certo avviso
al porto di Ninfea viene improvviso.
SIFARE
Il padre!
FARNACE
Mitridate!
ARBATE
A me foriero
ne fu rapido legno. Ah si deponga
ogni gara fra voi, cessi ogni lite,
e meco il padre ad onorar venite.
[N. 3 - Aria]
Allegro comodo (sol maggiore)
Archi.
L'odio nel cor frenate,
torni fra voi la pace,
o un padre paventate,
che perdonar non sa.
S'oggi il fraterno amore
cessa in entrambi, e tace,
dal giusto suo furore
chi vi difenderà?
(parte)
Farnace, Aspasia, Sifare, Soldati dei due principi, e Sacerdoti.
Recitativo
FARNACE
Principe, che facemmo!
SIFARE
Io nel cor mio
rimproveri non sento.
ASPASIA
(Oh ritorno fatal!) Sifare, addio.
[N. 4 - Aria]
Allegro agitato (sol minore)
Archi, 2 oboe.
Nel sen mi palpita
dolente il core;
mi chiama a piangere
il mio dolore;
non so resistere,
non so restar.
Ma se di lagrime
umido ho il ciglio,
è solo, credimi,
il tuo periglio
la cagion barbara
del mio penar.
(parte, e si ritirano pure i sacerdoti)
Farnace, Sifare, e i loro Soldati.
Recitativo
FARNACE
Un tale addio, germano,
si spiega assai: ma il tempo
altro esige da noi. Ritorna il padre
quanto infelice più, tanto più fiero,
pensaci: in tuo favore
tu pronte hai le tue schiere, a me non manca
un altro braccio. Il nostro
perdono si assicuri, a lui l'ingresso
della città si chiuda,
e giuste ei dia le leggi, o si deluda.
SIFARE
Noto a me stesso io son, noto abbastanza
m'è il genitor: ma quando
ritorna Mitridate
più non so che ubbidir.
FARNACE
Ad esso almeno
cautamente si celi
il segreto comun, né sia tradito
dal germano il german.
SIFARE
Saprò geloso
anche con mio periglio
fido german serbarmi, e fido figlio.
[N. 5 - Aria]
Andante (la maggiore) / Allegro / Andante / Allegro
Archi.
Parto: nel gran cimento
sarò germano, e figlio;
eguale al tuo periglio
la sorte mia sarà.
T'adopra a tuo talento;
né in me mancar già mai
vedrai la fedeltà.
Parto: nel gran cimento
sarò germano, e figlio;
eguale al tuo periglio
la sorte mia sarà.
(parte co' suoi soldati)
Farnace, suoi Soldati, e Marzio.
Recitativo
FARNACE
Eccovi in un momento
sconvolti o miei disegni.
MARZIO
A un vil timore
Farnace ancor non s'abbandoni.
FARNACE
E quale
speranza a me più resta,
se nemica fortuna
sul capo mio tutto il suo sdegno aduna?
MARZIO
Maggior d'ogn'altro fato
è il gran fato di Roma, e pria che sorga
nel ciel novella aurora,
ne avrai più certe prove.
FARNACE
Alla tua fede
mi raccomando, amico: il mio periglio
tu stesso vedi. In mia difesa ah tosto
movan l'aquile altere, a cui precorre
la vittoria, e il terror. Poi quando ancora
sia di Roma maggior l'empio mio fato,
ah si mora bensì, ma vendicato.
[N. 6 - Aria]
Allegro / Andante / Allegro (fa maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni.
Venga pur, minacci, e frema
l'implacabil genitore.
Al suo sdegno, al suo furore
questo cor non cederà.
Roma in me rispetti, e tema
men feroce e men severo,
o più barbaro, o più fiero
l'ira sua mi renderà.
(parte con Marzio seguito da' suoi soldati)
Porto di mare, con due flotte ancorate in siti opposti del canale. Da una parte veduta della città di Ninfea.
Si viene accostando al suono di lieta sinfonia un'altra squadra di vascelli, dal maggior de' quali sbarcano Mitridate, ed Ismene, quegli seguìto dalla Guardia reale, e questa da una schiera di Parti. Arbate con Séguito gli accoglie sul lido. Si prosegue poi di mano in mano lo sbarco delle Soldatesche, le quali si vanno disponendo in bella ordinanza sulla spiaggia.
[N. 7 - Aria]
Andante (sol maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni.
MITRIDATE
Se di lauri il crine adorno
fide spiagge, a voi non torno,
tinto almen non porto il volto
di vergogna, e di rossor.
Anche vinto, ed anche oppresso
io mi serbo ognor l'istesso,
e vi reco in petto accolto
sempre eguale il mio gran cor.
Recitativo
Tu mi rivedi, Arbate,
ma quel più non rivedi
felice Mitridate, a cui di Roma
lungamente fu dato
bilanciare il destin. Tutti ha dispersi
d'otto lustri i sudor sola una notte
a Pompeo fortunata, a me fatale.
ISMENE
Il rammentar che vale,
signor, una sventura,
per cui la gloria tua nulla s'oscura,
tregua i pensier funesti
su quest'amico lido
per breve spazio almen abbian da noi.
Dove son, Mitridate, i figli tuoi?
ARBATE
Dalla reggia vicina
ecco gli affretta al piè del genitore
il rispetto, e l'amore.
Sifare, Farnace dalla città, e detti.
SIFARE
Sulla temuta destra
mentre l'un figlio, e l'altro un bacio imprime
tutti i sensi del cor, padre, t'esprime.
MITRIDATE
Principi. Qual consiglio in sì grand'uopo,
e la Colchide, e il Ponto,
che al tuo valor commisi, e alla tua fede,
vi fece abbandonar?
FARNACE
L'infausto grido
della tua morte l'un dell'altro ignaro
qua ne trasse, o signor. Noi fortunati,
che nel renderci rei
del trasgredito cenno il bel contento
abbiam di riveder salvo chi tanto
stato è finora e sospirato, e pianto!
ISMENE
Perché fra i suoi contenti
dissimula Farnace
quello, che prova in riveder la figlia
del partico monarca?
FARNACE
(Oh rimprovero acerbo!)
MITRIDATE
Entrambi, o figli,
men giudice, che padre
voi qui mi ritrovate. Il primo intanto
l'imprudente trascorso
ad emendar tu sii, Farnace. Ismene,
che amasti, il so, viene tua sposa: in lei
di Mitridate al combattuto soglio
ravvisa un nuovo appoggio: al nodo eccelso
ch'io stesso ricercai, l'alma prepara,
e di tal sorte a farti degno impara.
FARNACE
Signor...
MITRIDATE
Ai regi tetti,
dove in breve io ti seguo, o principessa,
e Sifare, e Farnace
scorgano i passi tuoi. Meco soltanto
rimanga Arbate.
ISMENE
Io ti precedo, o sire,
ma porto meco in seno
un segreto timor, che mi predice
quanto poco il mio cor sarà felice.
[N. 8 - Aria]
Allegro (si bemolle maggiore)
Archi.
In faccia all'oggetto,
che m'arde d'amore,
dovrei sol diletto
sentirmi nel core,
ma sento un tormento,
che intender non so.
Quel labbro, che tace,
quel torbido ciglio
la cara mia pace
già mette in periglio,
già dice, che solo
penare dovrò.
(parte, ed entra nella città con Sifare, e Farnace, seguita dai parti)
Mitridate, Arbate, Guardie reali, ed Esercito schierato.
Recitativo
MITRIDATE
Teme Ismene a ragion: ma più di lei
teme il mio cor, sappilo, Arbate
dopo il fatal conflitto
la fama di mia morte
confermar tra voi feci, acciò che poi
nel giungere improvviso
non fossero gli oltraggi a me celati,
che soffro, oh dio! da due miei figli ingrati.
ARBATE
Da due tuoi figli?
MITRIDATE
Ascolta; in mezzo all'ira
Sifare da Farnace
giusto è ben, ch'io distingua.
Ma qui che si facea? Forse hanno entrambi
preteso amor dalla regina? A quale
di lor sembra, che Aspasia
dia più facile orecchio? Io stesso a lei
in quale aspetto ho da mostrarmi? Ah parla,
e quanto mai vedesti, e quanto sai.
Fa', che sia noto a Mitridate ormai.
ARBATE
Signor, Farnace appena
entrò nella città, che impaziente
corse a parlar d'amore alla regina,
a lei di Ponto il trono
colla destra di sposo offrendo in dono.
MITRIDATE
Empio! Senza lasciarle
tempo a spargere almeno
le lagrime dovute al cener mio!
E Sifare?
ARBATE
Finora
segno d'amore in lui non vidi, e sembra,
che degno figlio a Mitridate ei volga
sol di guerra pensieri, e di vendetta.
MITRIDATE
Ma pur quale a Ninfea
disegno l'affrettò?
ARBATE
Quel di serbarsi
colla forza dell'armi, e col coraggio
ciò, che parte ei credea del suo retaggio.
MITRIDATE
Ah questo è il minor premio,
che un figlio tal propor si deve. A lui
vanne, Arbate, e lo accerta
del paterno amor mio. Farnace intanto
cautamente si osservi.
ARBATE
Il real cenno
io volo ubbidiente
ad eseguir. (Che mai rivolge in mente!)
(parte)
Mitridate, Guardie reali ed Esercito schierato.
MITRIDATE
Respira alfin, respira,
o cor di Mitridate. Il più crudele
de' tuoi timori ecco svanì. Quel figlio
sì caro a te fido ritrovi, e in lui
non ti vedrai costretto
a punire un rival troppo diletto.
M'offenda pur Farnace:
egli non offre al mio furor geloso,
che un odiato figlio, a me nemico,
e de' Romani ammiratore antico.
Ah se mai l'ama Aspasia,
se un affetto ei mi toglie a me dovuto,
non speri il traditor da me perdono:
per lui mi scordo già che padre io sono.
[N. 9 - Aria]
Allegro (re maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni.
Quel ribelle, e quell'ingrato
vuò che al piè mi cada esangue,
e saprò nell'empio sangue
più d'un fallo vendicar.
Non è figlio un traditore
congiurato a' danni miei,
che la sposa al genitore
fin s'avanza a contrastar.
(parte co' le sue guardie verso la città, e l'esercito si ritira)
Appartamenti.
Ismene, e Farnace.
Recitativo
ISMENE
Questo è l'amor, Farnace,
questa è la fé, che mi giurasti? E quando
varco province, e regni, e al mar m'affido
sol per unirmi teco,
sol per stringere un nodo,
da cui d'Asia la sorte
da cui la mia felicità dipende,
di conoscermi appena
tu mostri, ingrato, ed io schernita amante
ti trovo adorator d'altro sembiante?
FARNACE
Che vuoi, ch'io dica, o principessa? È vero
che un tempo t'adorai,
ma forse il mio
più che stabile affetto
fu genio passegger.
Da te lontano
venne l'ardor scemando a poco a poco,
si estinse alfin, e a un nuovo amor diè loco.
ISMENE
Anch'io da te lontana
vissi finora, e pur...
FARNACE
Questi d'amore
sono i soliti scherzi, e tu più saggia
senza dolerti tanto
de' tradimenti miei,
sprezzarmi infido, e consolar ti déi.
ISMENE
Inver deve assai poco
la perdita costar d'un simil bene:
ma nata al soglio Ismene
deve un altro dovere aver presente.
Non basta alle mie pari
chi le disprezza il disprezzar. Richiede
o riparo, o vendetta
quell'oltraggio ch'io soffro, e a Mitridate
saprò chiederla io stessa.
FARNACE
Ad irritarlo
contro un figlio aborrito
poca fatica hai da durar: ma intanto
non sperar, no, che possa il suo rigore
dar nuova vita ad un estinto amore.
[N. 10 - Aria]
Allegro (sol maggiore)
Archi, 2 corni.
Va', l'error mio palesa,
e la mia pena affretta,
ma cara la vendetta
forse ti costerà.
Quando sì lieve offesa
punita in me vedrai,
te stessa accuserai
di troppa crudeltà.
(parte)
Ismene, e Mitridate con Séguito, che le viene all'incontro.
Recitativo
ISMENE
Perfido, ascolta... Ah Mitridate!
MITRIDATE
In volto
abbastanza io ti leggo, o principessa,
ciò, che vuoi dir, ciò che tu brami. Avrai
di Farnace vendetta. Egli del pari
te offende, e il genitor,
solo una prova
mi basta ancor de' suoi delitti, e poi
decisa è la sua sorte,
né l'esser figlio il salverà da morte.
ISMENE
Parli di morte? Ah sire,
perdona: il vuo' pentito,
ma non estinto.
MITRIDATE
E un pentimento attendi
da sì protervo cor?
Vanne, e comincia
a scordarti di lui. Più degno sposo
forse in Sifare avrai.
ISMENE
Ma quello non sarà, che tanto amai.
(si ritira)
Aspasia, e Mitridate.
ASPASIA
Eccomi a' cenni tuoi.
MITRIDATE
Diletta Aspasia,
no, non credea, che tanto il dì bramato
d'un felice imeneo
si avesse a dilungar, né ch'io dovessi
per colpa del mio fato empio, incostante
misero a te sembrar prima che amante.
Pur Quest'amore, o cara,
fra tanti asili a me cercar non lascia,
che il luogo, in cui tu sei, e a te da presso
le sventure maggiori
saran dolci per me, se pur ventura
per te non fosse il mio ritorno. Assai
mi son teco spiegato, e il pegno illustre
che porti di mia fé, quanto mi devi,
ti rammenta abbastanza. Oggi nel tempio
anche la tua mi si assicuri: altrove
la mia gloria ne chiama, ed io ritorno
farò teco alle navi al nuovo giorno.
ASPASIA
Signor, tutto tu puoi: chi mi diè vita,
del tuo voler schiava mi rese, e sia
sol l'ubbidirti la risposta mia.
MITRIDATE
Di vittima costretta in guisa adunque
meco all'ara verrai, ed io tiranno
forse d'un cor, che m'aborrisce, allora
che mia sposa ti rendo,
a te nulla dovrò? Barbara, intendo:
tu sdegni un infelice.
ASPASIA
Io, signor? E perché? Quando al tuo cenno
Aspasia non contrasta,
bastar forse non dée?
MITRIDATE
No, che non basta:
più che non credi io ti comprendo e vedo,
che il ver pur troppo a me fu detto. Un figlio
qui ti seduce, e tu l'ascolti, ingrata.
Ma di quel pianto infido
poco ei godrà. Custodi,
Sifare a me.
(escono due guardie, che ricevuto l'ordine si ritirano)
ASPASIA
Che far pretendi? Ah sire.
Sifare...
MITRIDATE
Il so, m'è fido, e forse meno
arrossirei, se d'un malnato affetto
potesse un figlio tal esser l'oggetto.
Ma che tenti Farnace
sin rapirmi la sposa, e che tu adori
un empio, ed un audace,
che privo di virtù, senza rossore...
vieni, o figlio, è tradito il genitore.
(a Sifare, che giunge)
Sifare, e i suddetti.
ASPASIA
(Respiro, o dèi!)
SIFARE
Signor, che avvenne?
MITRIDATE
Amante?
È il tuo german d'Aspasia, essa di lui.
Tu, la cui fé non scuote
d'un german d'una madre il vile esempio,
dalle trame d'un empio
libera Mitridate, a quest'ingrata
rammenta il suo dover, dille, che tema
d'irritar l'ire mie, che amor sprezzato
può diventar furore in un momento,
e che tardo sarebbe il pentimento.
[N. 11 - Aria]
Adagio (si bemolle maggiore) / Allegro / Adagio / Allegro
Archi, 2 oboe, 2 corni.
(a Sifare)
Tu, che fedel mi sei,
serbami, oh dio! quel core;
(ad Aspasia)
tu, ingrata, i sdegni miei
lascia di cimentar.
Per poco ancor sospendo
pietoso il mio furore;
ma se crudel mi rendo,
di me non ti lagnar.
(parte)
Sifare, ed Aspasia.
Recitativo
SIFARE
Che dirò? Che ascoltai? Numi! E sia vero,
che sia di tanto sdegno
sol Farnace cagion, perché a te caro?
ASPASIA
A me caro Farnace? A Mitridate,
che del mio cor non penetrò l'arcano,
perdono un tal sospetto,
non a Sifare, no.
SIFARE
Scusa, o regina,
chi né sperar, né vendicarsi ardisce.
Ma dall'ire paterne
che posso argomentar? Che alle sue brame
un altro amor s'oppone
Mitridate si lagna. Or qual è mai
il rival fortunato?
ASPASIA
Ancor no 'l sai?
Dubiti ancor? Di', chi pregai poc'anzi
perché mi fosse scudo
contro un'ingiusta forza? E chi finora
senza movermi a sdegno
di parlarmi d'amor, dimmi, fu degno?
SIFARE
Che intendo! Io dunque sono
l'avventuroso reo?
ASPASIA
Purtroppo, o prence,
mi seducesti, e mio malgrado ancora
sento, che questo cor sempre t'adora.
Da una legge tiranna
costretta io te 'l celai; ma alfine... Oh dèi!
Che reca Arbate?
Arbate, e detti.
ARBATE
Alla tua fede il padre,
Sifare applaude, e trattenendo il colpo
che Farnace opprimea, nel campo entrambi
chiama i figli, ed Aspasia, ivi sua sposa
vuol, che si renda alfin chi di reina
già porta il nome, e vuol, che nota ai prenci
sia l'alta idea, ch'egli matura in mente.
Anche Ismene presente,
spettatrice non vana a quel ch'io credo,
si brama al gran congresso. Il cenno è questo:
recato io l'ho: da voi s'adempia il resto.
(parte)
Sifare, ed Aspasia.
ASPASIA
Oh giorno di dolore!
SIFARE
Oh momento fatale,
che mi fa de' viventi il più felice,
e 'l più misero ancor? Che non tacesti,
adorata regina? Io t'avrei forse
con più costanza in braccio
mirata al genitor.
ASPASIA
Deh non cerchiamo
d'indebolirci inutilmente. Io tutto
ciò, che m'impone il mio dover, comprendo,
ma di tua fede anche una prova attendo.
SIFARE
Che puoi bramar?
ASPASIA
Dagli occhi miei t'invola,
non vedermi mai più.
SIFARE
Crudel comando!
ASPASIA
Necessario però. Troppo m'è nota
la debolezza mia; forse maggiore
di lei non è la mia virtù: potrebbe
nel vederti talor fuggir dal seno
un indegno sospiro, e l'alma poi
verso l'unico, e solo
suo ben, da cui la vuol divisa il cielo,
prender così furtivamente il volo.
Misera, qual orrore
sarebbe il mio! Quale rimorso! E come
potrei lavar macchia sì rea giammai,
se non col sangue mio! Deh se fu pura
la fiamma tua, da un tal cimento, o caro,
libera la mia gloria. Il duro passo
ti costa, il so, ma questo passo oh quanto
anche a me costerà d'affanno, e pianto!
SIFARE
Non più, regina, oh dio! Non più. Se vuoi
Sifare ubbidiente, a questo segno
tenera almen non dimostrarti a lui.
Delle sventure altrui, del tuo cordoglio
l'empia cagione io fui
svelandoti il mio cor, portando al soglio
del caro genitore
l'insana smania d'un ingiusto amore.
Ah perché sul mio labbro, o sommi dèi,
con fulmine improvviso
annientar non sapeste i detti miei!
Innocente morrei...
ASPASIA
Sifare, e dove
impeto sconsigliato ti trasporta?
Che di più vuoi da me? Ritorna, oh dio!
alla ragion, se pur non mi vuoi morta.
SIFARE
Ah no; perdon, errai. Ti lascio in seno
all'innocenza tua. Da te m'involo,
perché tu vuoi così, perché lo chiede
la fede, il dover mio,
la pace del tuo cor... Aspasia, addio.
[N. 12 - Aria]
Adagio cantabile (re maggiore) / Allegretto / Adagio
Archi, corno, 2 oboe, 2 corni.
Lungi da te, mio bene,
se vuoi, ch'io porti il piede,
non rammentar le pene,
che provi, o cara, in te.
Parto, mia bella, addio,
che se con te più resto
ogni dovere oblio,
mi scordo ancor di me.
(si ritira)
Aspasia.
Recitativo
Grazie ai numi partì. Ma tu qual resti,
sventurato mio cor! Ah giacché fosti
di pronunziar capace
la sentenza crudel, segui l'impresa,
che ti dettò virtù. Scorda un oggetto
per te fatal, rifletti alla tua gloria.
E assicura così la tua vittoria.
Ingannata ch'io son! Come scordarlo,
se più amabile sempre
ad onta del volere alla mia mente
il ribelle pensier l'offre presente?
No, che tanto valore
io non mi sento in sen. Tentar lo posso,
e il tenterò, poiché 'l prescrive, ahi lassa
tanto giusto il dover, quanto inumano;
ma lo sperar di conseguirlo è vano.
[N. 13 - Aria]
Adagio (fa maggiore) / Allegro / Adagio / Allegro
Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 corni.
Nel grave tormento,
che il seno m'opprime,
mancare già sento
la pace del cor.
Al fiero contrasto
resister non basto,
e strazia quest'alma
dovere, ed amor.
Nel grave tormento,
che il seno m'opprime,
mancare già sento
la pace del cor.
Campo di Mitridate. Alla destra del teatro, e sul davanti gran padiglione reale con sedili. Indietro folta selva, ed esercito schierato ecc.
Mitridate, Ismene, ed Arbate, Guardie reali vicino al padiglione, e Soldati parti in faccia al medesimo.
Recitativo
MITRIDATE
Qui, dove la vendetta
si prepara dell'Asia, o principessa,
meco seder ti piaccia.
(siedono Mitridate, ed Ismene)
ISMENE
A' cenni tuoi
pronta ubbidisco. Ma Farnace?
MITRIDATE
Ancora,
mercé di tue preghiere,
pende indeciso il suo destino. Al cielo
piacesse almen, ch'oltre un rivale in lui
non ritrovassi un traditore!
ISMENE
Che dici!
MITRIDATE
Forse purtroppo il ver. De' miei nemici
ei mendica il favore
per quel che intendo, ed ha romano il cuore.
ISMENE
Che possa, oh dèi! Farnace
d'attentato sì vil esser capace?
MITRIDATE
Tosto lo scorgerò. Vengano, Arbate,
i figli a me.
ARBATE
Già gli hai presenti, o sire.
Farnace, Sifare, e detti.
MITRIDATE
Sedete, o prenci; e m'ascoltate.
(siedono Sifare, e Farnace)
MITRIDATE
È troppo
noto a voi Mitridate,
per creder, ch'egli possa in ozio vile
passar più giorni, ed aspettar, che venga
qui di nuovo a cercarlo il ferro ostile.
Il terribil acciaro
riprendo, o figli, e da quest'erme arene
cinto d'armi, e di gloria
l'onor m'affretto a vendicar del soglio,
ma non già su Pompeo, sul Campidoglio.
SIFARE
Sul Campidoglio?
FARNACE
(Oh van consiglio!)
MITRIDATE
Ah forse
cinta da inaccessibili difese
Roma credete, o vi spaventa il lungo
disastroso sentiero?
Di trionfar la via
Annibale ne insegna, e a Roma in seno
Roma è facil vittoria. All'Asia
non manchi un Mitridate, ed essa il trovi,
Farnace, in te. Sposo ad Imene i regni
difendi, e i doni suoi: passa l'Eufrate,
combatti, e là sui sette colli, ov'io
eretto avrò felicemente il trono,
di tue vittorie a me poi giunga il suono.
FARNACE
Ahi qual nemico nume
sì forsennata impresa
può dettarti, o signor? Dunque vorrai
implacabil nell'odio
lottar sempre co' fati, e come avesse
tutto già tolto a te l'altrui vittoria,
non cercherai che di perir con gloria?
A tal estremo ancora
giunto non sei. Vinto ha Pompeo no 'l nego,
ma quanta de' tuoi regni
parte illesa riman! Questa piuttosto
sia tua cura serbar. Se t'allontani,
chi fido resterà? Chi m'assicura
del volubil parto, e come...
SIFARE
Eh, chiudi
le ardite labbra, o più rispetto almeno
trovi il padre in un figlio. Al gran disegno
degno del cor di Mitridate, o sire,
Sifare applaude. È giusto,
che là, donde le offese
vengono a noi, della vendetta il peso
tutto vada a cader. Solo ti piaccia
a men canuta etade
affidarne la cura, e mentre in Asia
la viltà di Farnace
ti costringe a restar, cedi l'onore
di trionfar sul Tebro al mio valore.
FARNACE
Vana speranza. A Roma
siamo indarno nemici. Al tempo, o padre,
con prudenza si serva, e se ti piace,
si accetti, il dirò pur, l'offerta pace.
MITRIDATE
(Brami, Ismene, di più? L'empio già quasi
da sé stesso si scopre.) E chi di questa
è il lieto apportator?
Marzio, e detti.
MARZIO
Signor, son io.
MITRIDATE
Cieli! Un roman nel campo?
(s'alza impetuosamente da sedere, e seco si alzano tutti)
SIFARE
Ei con Farnace
venne in Ninfea.
MITRIDATE
Ed io l'ignoro! Arbate,
si disarmi Farnace, e nel profondo
della torre maggior la pena attenda
dovuta a' suoi delitti.
(Arbate si fa consegnare la spada da Farnace)
MARZIO
Almen...
MITRIDATE
Non odo
chi un figlio mi sedusse. Onde venisti,
temerario, ritorna: il tuo supplizio
sospendo sol, perché narrar tu possa
ciò, che udisti, e vedesti alla tua Roma.
MARZIO
Io partirò: ma tuo malgrado in breve
colei, che sordo sprezzi, e che m'invia,
ritroverà di farsi udir la via.
(parte)
Mitridate, Ismene, Sifare, Farnace, Arbate, Guardie reali, eccetera.
MITRIDATE
Inclita Ismene, oh quanto
arrossisco per te!
ISMENE
Lascia il rossore
a chi nel concepir sì reo disegno
d'un tanto genitor si rese indegno.
[N. 14 - Aria]
Allegro (la maggiore) / Andante / Allegro
Archi.
So quanto a te dispiace
l'error d'un figlio ingrato:
ma pensa alla tua pace,
questa tu déi serbar.
Spettacolo novello
non è, se un arboscello
dal tronco, donde è nato,
si vede tralignar.
(parte seguita da' suoi parti)
Mitridate, Farnace, Sifare, Arbate, eccetera.
Recitativo
FARNACE
Ah giacché son tradito,
tutto si sveli omai. Per quel sembiante,
che fa purtroppo il mio maggior delitto,
ad oltraggiarti, o padre,
sappi, che non fui solo. È a te rivale
Sifare ancor, ma più fatal: che dove
ripulse io sol trovai, sprezzi e rigore,
ei di me più gradito ottenne amore.
[N. 15 - Aria]
Adagio maestoso (re maggiore) / Allegro / Adagio maestoso / Allegro
Archi, 2 oboe, 2 corni.
(a Mitridate)
Son reo; l'error confesso
e degno ~ del tuo sdegno
non chiedo a te pietà.
Ma reo di me peggiore
il tuo rivale è questo,
(accennando a Sifare)
che meritò l'amore
della fatal beltà.
Nel mio dolor funesto
gemere ancor tu déi;
(a Sifare)
ridere a danni miei
Sifare non potrà.
(parte condotto via da Arbate, e dalle guardie reali)
Mitridate, Sifare, e quindi Aspasia, eccetera.
Recitativo
SIFARE
E crederai, signore...
MITRIDATE
Saprò fra poco
quanto creder degg'io. Colà in disparte
ad Aspasia, che viene,
celati, e taci. Violato il cenno
ambi vi renderà degni di morte.
Udisti?
SIFARE
Udii. (Deh non tradirmi, o sorte.)
(si nasconde dietro al padiglione)
MITRIDATE
(Ecco l'ingrata. Ah seco
l'arte si adopri, e dal suo labbro il vero
con l'inganno si tragga.) Alfin, regina,
torno in me stesso, e con rossor ravviso,
che il volerti mia sposa
al mio stato, ed al tuo troppo disdice.
Grave d'anni, infelice,
fuggitivo, e ramingo io più non sono
che un oggetto funesto, e tu saresti
congiunta a Mitridate
sventurata per sempre. Ingiusto meno
egli sia teco, e quando guerra, e morte
parte a cercar, con un miglior consiglio
per isposo ad Aspasia offra un suo figlio.
SIFARE
(Che intesi!)
ASPASIA
(Oh ciel!)
MITRIDATE
Non è Farnace: invano
vorresti unirti a quell'indegno, e questa
destra, che tanto amai per mio tormento,
solo a Sifare io cedo.
SIFARE
(Oh tradimento!)
ASPASIA
Eh lascia
di più affliggermi, o sire. A Mitridate
so, che fui destinata, e so, ch'entrambi
siamo in questo momento all'ara attesi.
Vieni.
MITRIDATE
Lo veggo, Aspasia: a mio dispetto
vuoi serbar per Farnace
tutti gli affetti del tuo core ingrato.
E già l'odio, e il disprezzo
passò dal padre al figlio sventurato.
ASPASIA
Io sprezzarlo, signor?
MITRIDATE
Più non m'oppongo.
La vergognosa fiamma
segui a nutrir; e mentre illustre morte
in qualche del mondo angolo estremo
vo col figlio a cercar, col tuo Farnace
tu qui servi ai romani. Andiamo, io voglio
di tanti tuoi rifiuti
vendicarmi sul campo
col darti io stesso in braccio a un vil ribelle.
SIFARE
(Ah, seguisse a tacer, barbare stelle!)
ASPASIA
Pria morirò.
MITRIDATE
Tu fingi invano.
ASPASIA
Io, sire?
Mal mi conosci, e poiché alfin non credo,
che ingannarmi tu voglia...
SIFARE
(Oh incauta!)
ASPASIA
Apprendi,
che per Farnace mai
non s'accese il mio cor, che prima ancora
di meritar l'onor d'un regio sguardo
quel tuo figlio fedel, quello, che tanto,
perché è simile al padre, e a te diletto...
MITRIDATE
L'amasti? Ed ei t'amava?
ASPASIA
Ah fu l'affetto
reciproco, o signor... Ma che? Nel volto
ti cangi di color?
MITRIDATE
Sifare...
ASPASIA
(Oh dio!
Sifare è qui?)
SIFARE
(facendosi avanti)
Tutto è perduto.
ASPASIA
(a Mitridate)
Io dunque
fui tradita, o crudel?
MITRIDATE
Io solo, io solo
son finora il tradito
voi nella reggia, indegni,
fra breve attendo, Ivi la mia vendetta
render pria di partir saprò famosa
colla strage de' figli, e della sposa.
[N. 16 - Aria]
Allegro (do maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni.
Già di pietà mi spoglio,
anime ingrate, il seno:
per voi già sciolgo il freno,
perfidi, al mio furor.
Padre, ed amante offeso
voglio vendetta, e voglio,
che opprima entrambi il peso
del giusto mio rigor.
(parte)
Sifare, ed Aspasia.
Recitativo
ASPASIA
Sifare, per pietà stringi l'acciaro,
e in me de' mali tuoi
punisci di tua man la rea sorgente.
SIFARE
Che dici, anima mia? N'è reo quel fato,
che ingiusto mi persegue. Egli m'ha posto
in ira al padre, ei mio rival lo rese,
ed or l'indegna via
di penetrar nell'altrui cor gli apprese.
ASPASIA
Ah se innocente, o caro
mi ti mostra il tuo amor, non lascia almeno
d'esser meco pietoso. Eccoti il petto,
ferisci omai. Di Mitridate, oh dio!
Si prevenga il furor.
SIFARE
Col sangue mio,
sol che Aspasia lo voglia,
tutto si sazierà. Ah mia regina,
sappiti consigliare: a compiacerlo
renditi pronta, o almen ti fingi: alfine
pensa, ch'egli m'è padre; a lui giurando
eterna fede ascendi il trono, e lascia,
che nella sorte sua barbara tanto
Sifare non ti costi altro, che pianto...
ASPASIA
Io sposa di quel mostro,
il cui spietato amore
ci divide per sempre?
SIFARE
E pur poc'anzi
non parlavi così.
ASPASIA
Tutta non m'era
la sua barbarie ancor ben nota. Or come
un tale sposo all'ara
potrei seguir
come accoppiar la destra
a una destra potrei tuttor fumante
del sangue, ahimè, del trucidato amante?
No, Sifare, perdona,
io più no 'l posso, e invan me 'l chiedi.
SIFARE
E vuoi...
ASPASIA
Sì, precederti a Dite. A me non manca
per valicar quel passo
e coraggio, ed ardir; ma non l'avrei
per mirar del mio ben le angosce estreme.
SIFARE
No, mio bel cor, noi moriremo insieme.
[N. 17 - Duetto]
Adagio (la maggiore) / Allegro
Archi, 2 oboe, 4 corni.
Se viver non degg'io,
se tu morir pur déi,
lascia, bell'idol mio,
ch'io mora almen con te.
ASPASIA
Con questi accenti, oh dio!
Cresci gli affanni miei;
troppo tu vuoi, ben mio,
troppo tu chiedi a me.
SIFARE
Dunque...
ASPASIA
Deh taci.
SIFARE
Oh dèi!
Ah che tu sola sei,
ASPASIA
Ah, che tu sol, tu sei...
ASPASIA E SIFARE
Che mi dividi il cor.
Barbare stelle ingrate,
ah m'uccidesse adesso
l'eccesso del dolor!
Orti pensili.
Mitridate con Guardie, e poi Aspasia con le bende del real diadema squarciate in mano, seguita da Ismene.
Recitativo
MITRIDATE
Pera omai chi m'oltraggia, ed il mio sdegno
più l'un figlio dall'altro
di distinguer non curi. Entrambi rei,
sebben non egualmente,
la cervice insolente
lascin sotto la scure, e serva poi
il crudel sacrifizio
a rendermi al tragitto il ciel propizio.
Vadasi, e a cader sia
Sifare il primo... Ahi, qual incontro!
ASPASIA
(gettando via dispettosamente le bende suddette)
A terra,
vani impacci del capo. Alla mia morte
di strumento funesto
giacché nemmen servite, io vi calpesto.
MITRIDATE
Qual furor?
ISMENE
Degno, o sire,
di chi libera nacque. I doni tuoi
di rendersi fatali
disperata tentò; ma i numi il laccio
infransero pietosi. Ah se t'è cara
la vita sua, se ancor tu serbi in seno
qualche d'amor scintilla, un'ira affrena,
che forse troppo eccede, e ciò, che invano
per le vie del rigor tenti ottenere,
l'ottenga la clemenza.
MITRIDATE
E che non feci,
principessa, finor?
ISMENE
Nell'ardua impresa
non stancarti sì presto.
Un cor, che a forza
si dava a te, mal si esacerba. A lui
si rinnovin gli assalti,
ma più soavi, e nelle tue premure
fa', che il cupido amante
si ravvisi da lei, non il regnante.
MITRIDATE
Quanto mi costa, o dio,
l'avvilirmi di nuovo!
Ma il vuoi? Si faccia.
ISMENE
Ah sì: d'esempio Ismene,
signor, ti serva. Io quell'oltraggio istesso
soffro, che tu pur soffri, e non pretendo
con eccesso peggiore
di vendicare il mio tradito amore.
[N. 18 - Aria]
Allegro (sol maggiore)
Archi.
Tu sai per chi m'accese
quanto sopporto anch'io,
e pur l'affanno mio
non cangiasi in furor.
Potrei punirlo, è vero,
ma tollero le offese,
e ancora non dispero
di vincere quel cor.
(parte)
Mitridate, ed Aspasia, e Guardie.
Recitativo
ASPASIA
Re crudel, re spietato, ah lascia almeno,
ch'io ti scorga una volta
sul labbro il ver. Non ingannarmi, e parla:
di Sifare che fu? Vittima forse
del geloso tuo sdegno
ei già spirò?
MITRIDATE
No, vive ancora, e puoi
assicurar, se 'l brami, i giorni suoi.
ASPASIA
Come?
MITRIDATE
Non abusando
della mia sofferenza, alle mie brame
mostrandoti cortese, e nel tuo core
quel ben che mi si deve, a me rendendo.
A tal patto io sospendo
il corso all'ire mie. Del tutto, Aspasia,
col don della tua destra
deh vieni a disarmarle.
ASPASIA
Invan tu speri,
ch'io mi cangi, o signor. Prieghi non curo,
e minacce non temo. Appien comprendo
qual sarà il mio destin; ma no 'l paventa
chi d'affrettarlo ardì.
MITRIDATE
Pensaci: ancora
un momento a pentirti
t'offre la mia pietà.
ASPASIA
Di questa, o sire,
che inutile è per me, provi gli effetti
l'innocente tuo figlio. Io sola, io sola
ti son ribelle, e no 'l farei, se i voti
secondar ne potessi,
seguitarne i consigli. Il tuo furore
di me quanto gli aggrada omai risolva,
ma perdendo chi è rea Sifare assolva.
MITRIDATE
Sifare? Ah scellerata! E vuoi, ch'io creda
fido a me chi ti piacque, e chi tuttora
occupa il tuo pensier? No, lo condanna
la tua stessa pietà. Di mia vendetta
teco vittima ei sia.
Arbate, e detti.
ARBATE
Mio re, t'affretta
o a salvarti, o a pugnar. Scesa sul lido
l'oste romana in un momento in fuga
le tue schiere ha rivolte, e a queste mura
già reca orrido assalto.
MITRIDATE
Avete, o numi,
più fulmini per me? Ma non si perda
a fronte de' perigli il cor del forte.
Qualunque sia la sorte,
che mi prepara il cielo, alla difesa
corrasi, Arbate. Del disastro mio
tu non godrai, donna infedele: addio.
[N. 19 - Aria]
Allegro (fa maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni.
Vado incontro al fato estremo,
crudo ciel, sorte spietata;
ma frattanto un'alma ingrata
l'ombra mia precederà.
Vuo', che almeno altrui non giovi
il rigor della mia stella;
vuo', che alfin crudel mi trovi
chi sprezzò la mia pietà.
(parte seguito da Arbate, e dalle guardie reali)
Aspasia.
Recitativo
Lagrime intempestive, a che dal ciglio
malgrado mi scendete
ad inondarmi il sen? Di debolezza
tempo or non è. Con più coraggio attenda
il termine de' mali un'infelice:
già quell'ultimo addio tutto mi dice.
(viene un moro, il quale presenta ad Aspasia sopra una sottocoppa la tazza del veleno)
Recitativo accompagnato
Allegro
Basso continuo.
Ah ben ne fui presaga! Il dono estremo
di Mitridate ecco recato. O destra,
temerai d'appressarti
al fatal nappo tu, che ardita al collo
mi porgesti le funi? Eh no, si prenda.
(Aspasia prende in mano la tazza, ed il moro si ritira)
E si ringrazi il donator. Per lui
ritorno in libertà; per lui poss'io
dispor della mia sorte, e nella tomba
col fin della mia vita
quella pace trovar, che m'è rapita.
Cavatina
Andante (mi bemolle maggiore) / Allegro
Archi.
Pallid'ombre, che scorgete
dagli elisi i mali miei,
deh pietose a me rendete
tutto il ben, che già perdei.
Recitativo accompagnato
Allegro
Basso continuo.
Bevasi... Ahimè, qual gelo
trattien la man?... Qual barbara conturba
idea la mente? In questo punto ah forse
beve la morte sua, Sifare ancora.
Oh timor, che mi accora!
Oh immagine funesta!
Fia dunque ver? No, l'innocenza i numi
ha sempre in suo favor. D'eroe sì grande
veglian tutti in difesa, e se v'è in cielo
chi pur s'armi in suo danno,
l'ire n'estinguerà questo, che in seno
sacro a Nemesi or verso atro veleno.
(in atto di bere)
Sifare con séguito di Soldati, e detta.
Recitativo
SIFARE
Che fai, regina?
ASPASIA
Ah, sei pur salvo?
SIFARE
Ismene
franse a tempo i miei ceppi.
(gli toglie di mano la tazza e la getta per terra)
Al suol si spanda
la bevanda letal.
ASPASIA
Non vedi, incauto,
che più lungo penar forse mi rendi,
e nuovamente il genitor offendi?
SIFARE
Serbisi Aspasia in vita, e poi del resto
abbian cura gli dèi. Per sua custodia,
finché dura la pugna,
vengano questi armati; alle tue stanze
sollecita ritorna. Ivi, se tanto
merito d'ottener, attendi in pace,
che della nostra sorte
decidano altri casi.
ASPASIA
E mi lasci così?
SIFARE
Dover più sacro
da te lontano, o cara,
il tuo Sifare or chiama. Ove più ferve
la mischia io volo. A Mitridate accanto
là ruoterò la spada. E dal suo petto
svierò le ferite. Ei benché ingiusto,
ahi pur m'è padre! E se no 'l salvo ancora,
tutto ho perduto, ed ho la vita a sdegno.
ASPASIA
Oh di padre miglior figlio ben degno!
Secondi il ciel pietoso
sì generoso ardore,
ma ti sovvenga amore,
ch'io vivo, o caro, in te.
Nel cimentar te stesso
ti stia nell'alma impresso
quanto tu devi al padre,
e quanto devi a me.
(parte seguita da' soldati suddetti)
Sifare.
Recitativo
Che mi val questa vita,
in cui goder non spero
un momento di bene, in cui degg'io
in eterno contrasto
fra l'amore ondeggiar, e 'l dover mio?
Se ancor me la togliete,
io vi son grato o dèi. Troppo compensa
quei dì, ch'io perdo, il vanto
di morire innocente, e chi in sembianza
può chiudergli d'eroe visse abbastanza.
[N. 20 - Aria]
Allegro agitato (do minore)
Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni.
Se 'l rigor d'ingrata sorte
rende incerta la mia fede,
ah palesi almen la morte
di quest'alma il bel candor.
D'una vita io son già stanco,
che m'espone al mondo in faccia
a dover l'indegna taccia
tollerar di traditor.
(si ritira)
Interno di torre corrispondente alle mura di Ninfea.
Farnace incatenato, e sedente sopra un sasso.
Recitativo
FARNACE
Sorte crudel, stelle inimiche, i frutti
son questi, che raccolgo
da sì belle speranze? Io nobil germe
di regio augusto tralce, io di più regni
primogenito erede
siedo ad un sasso, e in vece
di calcar soglio ho la catena al piede?
Spiriti di Farnace,
ove siete? Che fate? Ah, ch'io vi sento
fremere in questo sen di rabbia, e d'ira,
e il cor feroce alla vendetta aspira.
Oh ciel, qual odo
strepito d'armi...
(vedesi aprire nel muro una gran breccia, per cui entra Marzio seguito da' suoi soldati)
A replicati colpi
qual forza esterna i muri
percosse, ed or gli atterra! È sogno il mio?
O vegliando vaneggio?
Che più temer, che più sperar degg'io?
Marzio con seguito di Romani, e detto.
MARZIO
Teco i patti, o Farnace,
serba la fé romana. Io gli giurai,
e gli adempio or così. Cadano a terra
gl'indegni lacci, e t'armi
ferro vendicator la nobil destra.
(viene sciolto Farnace, e un romano gli porge l'armi)
FARNACE
Ah Marzio, amico, invano
io dunque non sperai...
MARZIO
Dal campo, in cui
del tuo periglio, o prence,
fui spettator, uscito appena un legno
trovo al lido, e v'ascendo. Arride il vento
alle mie brame impazienti. E in breve
fra le navi di Roma
giungo inatteso. Al duce
prima dell'armi, indi a' soldati io narro
il fiero insulto, i rischi tuoi. Ne freme
quel popolo d'eroi, chiede vendetta,
e nel chiederla all'aure
dispiega i lin, l'ancore scioglie, e vola
ver Ninfea furibondo. Invan contrasta
lo sbarco improvviso
d'asiatici guerrieri
disordinata turba, e sotto il ferro
o cade oppressa, o cerca
nella città lo scampo. Ai vincitori
cresce l'ardir l'evento,
come ai vinti il timor, e il primo io sono
la nota torre ad assalir. Fugati
son dai merli i custodi,
e al grave urtar delle ferrate travi
crolla il muro, si fende un varco alfine
m'apron libero a te quelle rovine.
FARNACE
Oh sempre in ogn'impresa
fortunato, ed invitto
genio roman! Ma il padre?
MARZIO
O estinto, o vivo
sarà dall'armi nostre
il più illustre trofeo. Se ancor non cadde,
a momenti ei cadrà. De' tuoi seguaci
lo stuol disperso intanto
salvo ti vegga, e t'accompagni al trono
di cui Roma al suo amico oggi fa dono.
[N. 21 - Aria]
Allegro (sol maggiore)
Archi.
Se di regnar sei vago,
già pago è il tuo desio,
e se vendetta vuoi
di tutti i torti tuoi,
da te dipenderà.
Da chi ti volle oppresso
già la superbia è doma,
mercé il valor di Roma,
mercé quel fato istesso,
che ognor ti seguirà.
(parte col suo seguito)
Farnace.
Recitativo
Vadasi... Oh ciel, ma dove
spingo l'ardito piè! Mi porge, è vero,
Fortuna il crin, ma qual orrendo eccesso
per appagar mie brame,
per vendicar miei torti
mi costringe a compir! Ah vi risento;
o sacre di natura
voci possenti, o fieri
rimorsi del mio cor. Empio a tal segno,
no, ch'io non son, e a questo prezzo, a questo
trono, Aspasia, romani, io vi detesto.
[N. 22 - Aria]
Andante (mi bemolle maggiore) / Allegretto / Andante
Archi, 2 oboe, 2 corni.
Già dagli occhi il velo è tolto,
vili affetti, io v'abbandono:
son pentito, e non ascolto,
che i latrati del mio cor.
Tempo è omai, che al primo impero
la ragione in me ritorni;
già ricalco il bel sentiero
della gloria, e dell'onor.
(parte)
Atrio terreno, corrispondente a gran cortile nella reggia di Ninfea, da cui si scorgono in lontano i navigli romani, che abbruciano sul mare.
Nell'aprirsi della scena preceduto intanto dalle sue guardie, e portato sopra una specie di cocchio formato dall'intreccio di vari scudi si avanza Mitridate ferito. Gli vengono al fianco Sifare, ed Arbate, e lo segue il rimanente delle milizie.
Recitativo
MITRIDATE
Figlio, amico non più. La sorte mia
dall'amor vostro esige altro che pianto.
Quanto al ciel piacque, e quanto
fu in mio poter, l'Asia, ed il mondo oppresso
vendicato ho finor. Nemico a Roma
a un tirannico giogo
il collo non piegai: d'infausti giorni
per me più che per altrui
van ripieni i suoi fasti, e son mie glorie
fin le perdite mie, le sue vittorie,
se morte intempestiva
tronca i disegni miei, se a Mitridate
spirar più non è dato
come bramò, dell'arsa Roma in seno
brando straniero almeno
non ha l'onor del colpo. Ei cade estinto,
ma di sua mano, e vincitor, non vinto.
SIFARE
Perché, avverso destino,
atto sì disperato
prevenir non potei!
MITRIDATE
Per tempo ancora
giungesti, o figlio. Hanno i miei sguardi estremi
la tua fé rimirata, e 'l tuo valore.
Per te prostrate al suolo
giacciono l'aquile altere, a rivi il sangue
per le vie di Ninfea
scorre per te de' miei nemici, e morde
più d'un Roman quella catena istessa,
che a me già minacciò, quella cui tanto
presso a cader poc'anzi
del nemico in poter ebbi in orrore,
che pria morir, che d'incontrarla elessi.
Potessi almen, potessi
egual premi a tant'opre...
Aspasia, e detti.
MITRIDATE
Ah vieni, o dolce
dell'amor mio tenero oggetto, e scopo
di mie furie infelice. Ad esse il cielo
non invan ti sottrasse, e puoi tu sola
scontar gli obblighi miei. Scarsa mercede
sarebbe a un figlio tal scettro, e corona
senza la destra tua. Dal grato padre
l'abbia egli in dono, e possa eterno oblio
frattanto cancellar dai vostri cori
la memoria crudel de' miei furori.
ASPASIA
Vivi, o signor, e ad ambi almen conserva
se felici ne vuoi,
il maggior d'ogni ben ne' giorni tuoi.
MITRIDATE
Già vissi, Aspasia. Omai provvedi, o figlio,
alla tua sicurezza. Invan da tanti,
e sì forti nemici
difenderti presumi. Ancorché vinti.
Di nuovo ad assalirti ira, e dispetto
gli condurrà più baldanzosi. Altrove,
finché a te lo concede
la fuga lor, per riparar tue forze,
la tua vita, il tuo nome
corri a celar. D'ogni dover t'assolvo
richiesto alla mia tomba.
SIFARE
Ah lascia, o padre,
che pria sul reo Farnace
vada a punir...
Ismene con Farnace, che si getta a' piedi di Mitridate, e detti.
ISMENE
Reo non si chiami, o sire,
chi reca illustri prove al regio piede
del pentimento suo, della sua fede.
Opra son di Farnace
quegl'incendi, che miri. Egli di Roma
volse in danno quell'armi,
e quella libertà, ch'ebbe da lei,
né per tornare innanzi
col bel nome di figlio al padre amato
ebbe rossor di diventarle ingrato.
MITRIDATE
Numi, qual nuova è questa
gioia per me! Sorgi, o Farnace, e vieni
agli amplessi paterni.
(si alza Farnace, e bacia al padre la mano)
Or che ritorni
degno di me, per te ritorno anch'io
qual ero un giorno, a' tuoi trascorsi accordo,
generoso il perdon, t'assolvo, e tutta
già rendo a te la tenerezza mia.
Piaccia agli dèi, che sia
costante il pentimento, e che non debba
di Mitridate un figlio
contar fra' suoi nemici
un'altra volta ancor l'Asia tradita.
FARNACE
Finché avrò spirto, e vita,
a te, signor lo giuro,
per la sua libertà, per la sua gloria
combatterò. Se la promessa oblio,
piombi sul capo mio
l'ira del ciel, che m'ode, e a tal mi scorga
di miserie, di mali orrido estremo,
che una mano io non trovi,
che voglia per pietà squarciarmi il seno.
MITRIDATE
Basta così: moro felice appieno.
(vien portato dentro la scena)
[N. 23 - Quintetto]
Allegro (re maggiore)
Archi, 2 corni.
SIFARE, ASPASIA, FARNACE, ISMENE E ARBATE
Non si ceda al Campidoglio,
si resista a quell'orgoglio,
che frenarsi ancor non sa.
Guerra sempre, e non mai pace
da noi abbia un genio altero,
che pretende al mondo intero
d'involar la libertà.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 13/03/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)
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