MAOMETTO II
Dramma per musica in due atti.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.
Codice QR per arrivare a questa pagina:
Libretto di Cesare DELLA VALLE.
Musica di Gioachino ROSSINI.
Prima esecuzione: 3 dicembre 1820, Napoli.
Personaggi:
Paolo ERISSO provveditore de' Veneziani in Negroponte |
tenore |
ANNA figlia di Paolo Erisso |
soprano |
CALBO generale veneziano |
contralto |
CONDULMIERO generale veneziano |
tenore |
MAOMETTO II |
basso |
SELIMO confidente di Maometto II |
tenore |
Coro di Donne di Negroponte e Guerrieri musulmani, Donzelle musulmane, Soldati veneziani, Soldati musulmani.
La scena è in Negroponte.
Sala nel palazzo, illuminata da varie lampade.
Il provveditore Paolo Erisso siede taciturno presso una tavola.
Altri Capitani gli siedono intorno. Calbo e Condulmiero chiudono il circolo, sedendo l'uno incontro all'altro.
[N. 1 - Introduzione]
Breve silenzio.
CORO DE' DUCI
Al tuo cenno, Erisso, accolti
qui già vedi i tuoi guerrieri.
Ma... tu taci, e non ascolti?
(Mille torbidi pensieri
gli vegg'io scolpiti in fronte.
Giusto ciel! di Negroponte
il destin qual mai sarà?)
ERISSO
Volgon due lune or già, veneti eroi,
che di Bizanzio il vincitor superbo
d'oste infinita e fera
queste mura circonda.
Noi noverar co' giorni
i cimenti e i trionfi ancor possiamo.
Ma... l'avvenir qual fia?
Spento de' nostri il più bel fior già cadde,
crollan le mura al tempestar de' bronzi:
il morbo struggitor, la dira fame
mietono a gara il popolo innocente;
e Maometto minaccia incendio e morte,
se schiuse al novo dì non fien le porte.
Io veggo in sì rio stato egual periglio
se all'onor chieggo o alla pietà consiglio.
Risolversi che deggia
ognun libero esponga, ed il pensiero
del numero maggior per me fia legge.
CORO DE' DUCI
Risponda a te primiero
il prode Condulmiero,
che pari ha nel periglio
il braccio ed il consiglio.
CONDULMIERO
Quando ogni speme è tolta,
allor l'audacia è stolta,
ed il men reo consiglio
sta nel minor periglio.
Il folle e non il forte
va cieco incontro a morte.
Cedasi in tal momento.
A più feral cimento
serbiam le spade e il sangue:
io primo allora esangue,
io prima allor cadrò...
CALBO
(sorgendo)
Guerriero, che parli?
Estremo consiglio
del forte è la spada.
Non temo il periglio:
si pugni, si cada
nell'arduo cimento;
e covran mia fossa
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.
Impari il superbo
che duro, che acerbo
è il vincer pugnando
contro italo brando.
Al nobile esempio,
all'orrido scempio
si accresca con l'ire
il veneto ardire;
e a tanta costanza,
depressa, avvilita
del barbaro scita
sia l'empia baldanza.
ERISSO
A tanta costanza,
ai forti suoi detti
ribolle ne' petti
l'antica baldanza.
CALBO
Si pugni, si cada,
ruotando la spada
nell'arduo cimento.
Poi covran mia fossa
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.
CORO DE' DUCI
A tanta costanza,
ai forti suoi detti
ribolle ne' petti
l'antica baldanza.
CONDULMIERO E CORO DE' DUCI
Si pugni, si cada,
ruotando la spada
nell'arduo cimento.
Poi covran mia fossa
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.
ERISSO
Basta, non più. V'intesi, o prodi, o veri
cittadini e guerrieri.
Udir da' labri vostri il generoso
consiglio io sol bramava, e tanto ottenni.
Dunque giuriam su' brandi
per la patria, per l'are
pugnar fin che di sangue
stilla ci avanza in petto;
ché nel bivio crudel d'infamia o morte,
dubbio non è qual via trasceglie il forte.
(snuda la spada e la presenta ai duci, che lo imitano e giurano, toccando con le loro spade quella di Erisso)
TUTTI
Sì, giuriam sugl'itali brandi,
degl'infidi nel sangue già tinti,
che trafitti, non supplici o vinti,
Maometto al suo piè ci vedrà.
Sì, giuriamo su' veneti brandi.
Se non cangia la sorte severa,
Negroponte alla veneta schiera
monumento e sepolcro sarà.
ERISSO
Or partite, guerrieri. Al dì novello
l'ultimo assalto il musulman minaccia;
nuovo vigor quindi a voi porga il sonno.
Allo spuntar del giorno
pugnerete da forti a me d'intorno.
E al numero il valor se fia che ceda,
e abbandonar l'ampia città si debba,
ratto allor nella rocca
al novello cimento
ritraggasi chi ancor non fu qui spento.
Tutti partono, fuorché Calbo trattenuto da Erisso.
ERISSO
Calbo, tu m'odi. Il mio dover compiuto
di duce e cittadin, dover diverso
né men sacro or si compia. Ahimè! son padre
di tenera, leggiadra unica figlia.
Appien tu la conosci,
e al par di me tu l'ami.
Or pensa il suo periglio
come tremar, come agghiacciar mi faccia.
CALBO
Com'io pur tremo e agghiaccio.
ERISSO
Sieguimi or dunque.
CALBO
E che far vuoi?
ERISSO
Mi siegui.
Presso alla figlia mia
del padre il voto ascolterai qual sia.
Gabinetto di Anna Erisso; una lampada lo rischiara.
Anna, poi Erisso e Calbo.
[N. 2 - Cavatina]
ANNA
Ah! che invan sul mesto ciglio
chiamo il dolce oblio de' mali.
Non ho pace al rio periglio
in cui veggo il genitor.
E il timor se tace appena,
son d'amor gli occulti strali...
Onde ognor di pena in pena
palpitante ondeggia il cor.
[N. 3 - Scena e terzettone]
ANNA
Pietoso ciel...
ERISSO
Figlia...
ANNA
Che vegg'io!... padre!
Qual grave cura a me nell'alta notte
sollecito ti guida?
ERISSO
Il tuo periglio.
ANNA
Il mio periglio!... ahimè!
ERISSO
M'abbraccia, e ascolta.
Or che ad estremo, disperato assalto
il nemico s'appresta, io pe' tuoi giorni,
Anna, pavento. Io sol finora, io fui
di tua virtù, dell'innocenza tua
il consiglio e lo scudo.
Or più non basto io solo, or che un istante,
un trar di spada può troncar mia vita.
ANNA
Misera me!... Che dici?
ERISSO
Addoppiar le difese a te d'intorno
amor mi suggerisce, e un altro braccio
a tuo schermo apprestar, che compier possa
teco mie veci, ov'io cadessi.
ANNA
Ahi, padre!
ERISSO
Il tuo secondo difensor... fia Calbo.
Egli, gran tempo è già, t'ama, e no 'l disse
che al padre suo. Sposa ti chiede...
ANNA
(Lassa!)
ERISSO
E più degno consorte aver giammai,
non, non potresti, o figlia. Or vieni al tempio.
Là dove il sacro cenere riposa
della spenta tua madre,
stringer mi lascia un sì bel nodo, o cara,
e il mio timor sia spento appiè dell'ara.
CALBO
(Che sento!)
ANNA
(Io son perduta.)
ERISSO
A che t'arresti?
CALBO
Anna... tu taci? Alto stupor ti leggo
sul volto espresso. Il tuo bel cor dischiudi
al padre ed all'amico; e se pur fia
che tal nodo tu aborri, il tuo pensiero
libera esponi, e me primiero udrai
a tua difesa ragionar.
ERISSO
Che veggio!...
Figlia... tu piangi? Oh, qual crudel sospetto
in me tu desti!
ANNA
No, tacer non deggio
più il vero omai. Tradirvi
non posso entrambi... né immolar me stessa.
Già d'altra fiamma accesa...
ERISSO
Oh, mio rossor! Prosiegui...
ANNA
Indegno, credi,
non è d'Erisso l'amator mio primo.
ERISSO
Chi è costui?... favella.
ANNA
Il sir di Mitilene, il prode Uberto.
ERISSO
Uberto!... E quando il conoscesti?
ANNA
Allora
che tu in Vinegia, per due lune e due,
ed oro ed armi a dimandar restavi,
me lasciando in Corinto.
ERISSO
Allor?... Che ascolto!...
ANNA
Prosiegui... ahimè!
ERISSO
Meco in Vinegia Uberto
venia sul legno istesso; e vi rimase
quando a te fei ritorno.
ANNA
Misera! il ver tu dici?
Chi dunque, ahi! meco il nome
volle mentir d'Uberto?
ERISSO
Chi sia non so; ma un mentitor fu certo.
ANNA, CALBO E ERISSO
(Ohimè! qual fulmine
per me fu questo!
Ahi, qual terribile
colpo funesto!)
Insieme
ANNA
(Conquisa l'anima
dal vile inganno,
prorompe in lagrime
l'interno affanno;
e il guardo, ahi, misera
nel mio rossor
non so più volgere
al genitor.)
ERISSO
(Conquisa l'anima
dal vile inganno,
il cor mi squarciano
ira ed affanno.
Ma pur la misera
col suo dolor
raffrena gl'impeti
del mio furor.)
CALBO
(Conquisa l'anima
dal tristo inganno,
il cor mi squarciano
ira ed affanno.
Non sa la misera
nel suo rossor
più il guardo volgere
al genitor.)
ERISSO
Dal cor l'iniquo affetto
sveller t'è forza, o figlia:
tanto l'onor consiglia.
ANNA
Figlia mi chiami ancor?
Sì, svellermi dal petto
il cor saprò se...
Un lontano colpo di cannone interrompe il colloquio.
- Tutti restano immobili e sorpresi. Breve silenzio. -
Un grido di allarme si sente poco dopo. Erisso e Calbo pongono mano alle spade e partono precipitosamente senza far motto. Anna li siegue per pochi passi, indi ritorna indietro agitatissima.
ANNA
Che avvenne? oh dio! Lo strepito
della battaglia ascoltasi.
Ahi, forse un tradimento
nel notturno cimento...
Io gelo... oh duol! Nel tempio
del ciel si vada ad implorar l'aita
che salvi almen del padre mio la vita.
(parte precipitosamente)
La piazza della città di Negroponte. A dritta dello spettatore un tempio: in fondo una larga via, che sarà disposta obliquamente in guisa che il principio della medesima si nasconde all'occhio dello spettatore sulla sua sinistra.
La musica da questo momento, finché non giunge Erisso sulla scena, deve sempre indicare il lontano tumulto della battaglia. Di tratto in tratto si odono de' colpi di cannone e delle scariche di moschetti.
Alcune Donne accorrono allo strepito, incerte ed atterrite, aggirandosi per la scena.
CORO DI DONNE
Misere! or dove... ahimè!
volger l'incerto piè.
Dell'armi il rimbombar,
de' bronzi il fulminar,
tutto tremar ci fa...
Che mai... che mai sarà!
ANNA
(accorrendo anch'essa tremante e sbigottita)
Donne, che sì piangete,
che avvenne? Rispondete.
CORO DI DONNE
Al musulman le porte
dischiuse un traditor:
tutto già intorno è orror,
incendio e morte.
(sempre più spaventata, corre ad inginocchiarsi avanti il tempio)
ANNA
Giusto ciel, in tal periglio
più consiglio
più speranza,
non avanza,
che piangendo,
che gemendo,
implorar la tua pietà.
CORO DI DONNE
(inginocchiandosi pur esse)
Giusto ciel, in tal periglio
più speranza
non avanza
che implorar la tua pietà.
Sul finir di questa breve preghiera si sente un tamburo, che si accosta.
Incomincia a sfilare una parte della Guarnigione, attraversando la scena sollecitamente da dritta a manca.
Anna ed il coro, vedendo i Soldati, sospendono la loro preghiera, ed accorrono verso di quelli. Erisso e Calbo sopraggiungono con le spade ignude.
ANNA
Ahi, padre!
ERISSO
(Oh vista!)
ANNA
Ad abbracciarti torno.
Narra...
ERISSO
Fuorché l'onor, tutto è perduto.
Ogni speranza un traditor c'invola.
Sulle mura è il nemico, e grazie al cielo
or io sol porgo, che d'occulti inganni
temendo Maometto, il corso arresta
di sua vittoria e attender vuole il giorno.
Or, miei fidi, alla rocca.
ANNA
Oh, padre mio,
fermati... ascolta.
ERISSO
Udir non posso. Addio.
ERISSO
Figlia... mi lascia. Io volo
ove il dover m'invita...
Dal pianto tuo tradita
la patria non sarà.
ANNA
E in tal periglio e duolo
lasciar tu puoi la figlia?
Qual nume a te consiglia
cotanta crudeltà?
Teco venir...
ERISSO
T'arresta:
seguir non déi tu 'l padre.
ANNA E CORO
Qual dura legge è questa!
ERISSO
Sol le raccolte squadre
sull'alta rocca andranno
a far le prove estreme
d'intrepido valor.
ANNA E CORO
E noi qui fuor di speme,
lascia un dover tiranno
dell'onta al nuovo orror?
CALBO
Mira, signor, quel pianto,
e cangia il tuo consiglio;
le invola a tal periglio:
parli al tuo cor pietà.
ANNA
Vedrai su quelle mura
pur noi pugnar da forti,
vibrar pur noi le morti;
far siepe i nostri petti
a' tuoi guerrieri eletti,
e in essi il nostro esempio
valore accrescerà.
Padre, ti muova il pianto
a men crudel consiglio.
C'invola al rio periglio,
parli al tuo cor pietà.
ERISSO
Le voci di natura
tutte nel cor già sento;
ma in sì crudel momento
delitto è la pietà.
Indarno or voi piangete:
donne, al destin cedete.
Se i voti vostri ascolta
la cieca mia pietà,
con voi la fama, accolta
da' miei guerrier sarà.
Pietà sì dura e stolta
chi a me consiglierà?
CORO DI DONNE
C'invola al rio periglio,
parli al tuo cor pietà.
ERISSO
Partiam, guerrieri... Addio.
ANNA
Ahi padre! ah padre mio;
de' barbari all'oltraggio
così lasciarmi?
ERISSO
O cara,
prendi il pugnal. Retaggio
paterno a te fia questo
in giorno sì funesto.
Va': corri appiè dell'ara;
e pria che in te la mano
distenda il musulmano...
Figlia...
ANNA
Prosiegui...
ERISSO
Addio.
ANNA
Dicesti assai. T'intendo.
ANNA
Vedrai che appien somiglia
al genitor la figlia,
e pria che in me la mano
distenda il musulmano,
questo pugnal da forte
nel cor m'immergerò.
ERISSO
(In sì crudel momento
squarciarmi a brano a brano,
misero, il cor mi sento.
O patria, a te qual figlia
vittima immolerò!)
CALBO
(In sì crudel momento
squarciarmi a brano a brano
in petto il cor mi sento.
Misero, ahi, qual consorte
il fato m'involò!)
CORO
(A sì funesta scena
attonita, gemente,
fra meraviglia e pena
mancarmi il cor mi sento.
Ahi, per qual empia sorte,
dal figlio, dal consorte
dividermi dovrò!)
La musica ed il canto cesseranno ad un tratto.
Erisso ed Anna si abbracciano teneramente. Calbo cade appiè di Anna, che gli porge la mano. Intanto alcune delle Donne del coro corrono ad abbracciare taluni fra' Soldati, in attitudine di madri o di spose. Ricominciando la musica tutti si separeranno, dandosi a vicenda l'ultimo doloroso addio. Erisso e Calbo partono per la rocca.
Anna, seguita dalle altre Donne, si ritira nel tempio.
Giorno.
Una schiera di Cavalieri musulmani sopraggiunge entrando dalla dritta dello spettatore: si arresta alquanto per riconoscer qual via debba trascegliere per inseguire i fuggiaschi. Indi al segnale del Comandante si avvierà per la via grande che mette capo in fondo del teatro. Incominciasi ad ascoltare da lontano il suono delle bande turche. Dopo un istante la schiera di Cavalleria ritornerà, girando a sinistra dello spettatore, sulle tracce di Erisso. Sopraggiunge buon numero di Soldati turchi, alla rinfusa ed armati di faci.
[N. 4 - Coro e cavatina]
CORO
Dal ferro, dal foco
nel sangue sommersa
l'avversa città
al mondo suo scempio
esempio sarà.
Che all'urto invincibile
del nostro valor
periglio è resistere
con cieco furor.
Verso la fine del Coro sopraggiunge Maometto alla testa delle sue Truppe, e circondato da tutta la pompa militare ed asiatica. Alcuni de' suoi Soldati fanno sembiante di voler appiccare il fuoco agli edifizi ed al tempio. Maometto con un cenno gli arresta. Egli pone piede a terra, seguìto dal suo visir Selimo e dagli altri Generali. Tutti si prostrano, attendendo i suo ordini.
MAOMETTO
Sorgete: in sì bel giorno,
o prodi miei guerrieri,
a Maometto intorno
venite ad esultar.
Duce di tanti eroi
crollar farò gl'imperi,
e volerò con voi
del mondo a trionfar.
CORO
Del mondo al vincitor
eterno plauso e onor.
[N. 5 - Scena, coro, terzetto e finale I]
MAOMETTO
Compiuta ancor del tutto
la vittoria non è. La tua falange,
Acmet, conduci ad assalir la rocca
dall'oriental pendice, ov'è men forte.
Con l'altre schiere intanto
starommi io qui della città nel centro
ad ogni uopo ed evento.
Acmet parte con alcuni Soldati.
De' fuggenti nemici Omar sull'orme,
per obliqui sentieri,
corse già ratto co' suoi mille arcieri,
ed ampia strage egli faranne al certo.
SELIMO
Signor! Di Negroponte
le vie pur anco a te son note? E come?
Il ciel t'inspira, o qui stranier non sei?
MAOMETTO
La conquista di Grecia, è a te ben noto
che il mio gran padre ei pur rivolse in mente,
quindi in mentite spoglie
ad esplorarne i lidi
i più scaltri inviò fra' suoi più fidi;
e me fra quelli, ed Argo e Negroponte
e... Corinto percorsi... ah!
SELIMO
Tu sospiri!
MAOMETTO
Sospiro io, sì, nel rammentar Corinto.
SELIMO
Forse...
MAOMETTO
Non più. Ma qual tumulto è questo?
Alcuni Guerrieri ritornano in fretta dalla sinistra dello spettatore, e cantano il seguente:
Signor, di liete nuove
nunzi noi siamo a te.
I nemici fuggenti,
sorpresi, avviluppati
caddero in parte estinti:
e in duri ceppi avvinti
or fieno a te guidati
i duci invan frementi.
Il prode Omar già muove
ad incontrarti il piè.
MAOMETTO
Oh gioia! Alfin vi tengo
veneti alteri, audaci e sempre infidi.
Vi tengo alfin. Compiuto è il mio trionfo.
Come in Bizanzio, il mio destrier qui ancora
nuotar nel sangue cristiano io vidi.
Or colle fronti nella polve immerse
vedrò pur voi, duci orgogliosi... e vinti.
Ciò fia più grato che il mirarvi estinti.
CORO
Il prode Omar già muove
ad incontrarti il piè.
Omar seguìto da' suoi Soldati, conduce incatenati Calbo ed Erisso, i quali si presentano con dignitoso contegno.
MAOMETTO
(con ironia)
Appressatevi, o prodi.
Ammirarvi d'appresso alfin m'è dato.
Del veneto valor la fama antica
per voi s'accrebbe, e a queste mura intorno
ne fan tacita fede
de' miei guerrier ben dieci mille uccisi.
Compiuto e il dover vostro... il mio comincia.
Un esempio tremendo in voi dar voglio
a chi, senza sperar soccorso o scampo,
ogni patto ricusa
per sol diletto di versar più sangue.
Atroce, inaudito
supplizio fia mercé del vostro ardire.
ERISSO
Quest'ultimo tuo detto
m'accerta alfin che parla Maometto.
Or la risposta ascolterai d'Erisso.
MAOMETTO
Erisso!... (oh ciel!) sei forse tu l'istesso
che già duce in Corinto...
ERISSO
Io son quel desso.
Ed in Corinto e in Negroponte, e ovunque
il tuo furor ti tragga, infin ch'io viva,
mi scorgerai tu sempre
starti intrepido a fronte
con la morte sul brando;
e se convien ch'io pera,
fra' più fieri tormenti,
intrepido del pari
a' Veneti pur sempre
porger di fede e di fortezza esempio.
MAOMETTO
Sta ben... Ma dimmi, Erisso... Non sei padre?
ERISSO
(Che ascolto!) E come, e donde
il sai?
MAOMETTO
Te 'l chieggo.
ERISSO
Cittadin son io,
sol cittadino in questo istante. (Ahi, Calbo!
(abbracciandolo)
mi ricorda il suo dir l'amata figlia.)
Costanza, o cor.
MAOMETTO
Benché nemico, Erisso,
d'assai miglior destino
degno tu sei; lo veggo... ed io te l'offro.
Un accento e sei salvo, e teco il prode,
che stringi or fra le braccia. Odi e risolvi,
riedi appiè della rocca:
parla a' guerrieri, che son chiusi in quella;
la stoltezza e il periglio
d'inutile difesa ad essi esponi,
e che mi schiudan quelle porte imponi.
Tutti fien salvi, il giuro. E se a te piace
la patria riveder potrai con essi,
e rieder lieto a' filiali amplessi.
ERISSO
(Giusto ciel, che strazio è questo!
Nel propormi un tradimento
sempre i figli a me rammenta,
trafiggendomi nel cor.
Ah! in momento sì funesto,
Calbo or, deh, per me rispondi,
ed a lui quel pianto ascondi
che or tradisce il genitor.)
CALBO
Alla rocca andrem, se il vuoi:
parlerem con quegli eroi,
ma direm che presso a morte
noi serbiam pur l'alma forte.
La risposta, intendi, è questa:
se or ti piace, il rogo appresta
ed appaga il tuo furor.
ERISSO
(Dolce figlia, ove t'aggiri?
Ah, chi sa se ancor respiri,
se abbracciarti io posso ancor?)
MAOMETTO
Sconsigliato, a che non taci?
Frena, o stolto, i detti audaci.
Con chi parli non rammenti,
e il mio sdegno non paventi?...
Tu rispondi, Erisso, e trema,
questa fu la volta estrema
che parlommi al cor pietà.
ERISSO
Già tacendo a te risposi
co' suoi detti generosi.
CALBO E ERISSO
È lo stesso in ogni core
il consiglio dell'onore;
e non v'ha che un sol linguaggio
per il forte e per il saggio,
e tal sempre il mio sarà.
MAOMETTO
(Io mi sento dal dispetto
lacerato il cor nel petto.
De' supplizi al fero aspetto
forse un tanto ardir cadrà.)
(ad Erisso)
Decidesti?
ERISSO
Io già risposi.
MAOMETTO
Tu m'insulti, indegno, e l'osi?
ERISSO
No, non v'ha che un sol linguaggio
per il forte e per il saggio;
e tal sempre il mio sarà.
CALBO
È lo stesso in ogni core
il consiglio dell'onore;
e tal sempre il mio sarà.
MAOMETTO
De' supplizi al fero aspetto
forse un tanto ardir cadrà.
Guardie, olà, costor si traggano
a supplizio infame, atroce.
Obbedite...
Le Guardie circondano Erisso e Calbo e li trascinano. Anna si precipita dal tempio, su' passi loro, dando un grido di dolore.
Le altre Donne la sieguono.
ANNA
Ah, no!
MAOMETTO
Qual voce!
ANNA
Padre mio!...
ERISSO
Figlia...
MAOMETTO
Chi vegg'io!
ANNA
(accorrendo verso Maometto)
Al tuo piede... oh ciel, vaneggio!
MAOMETTO
Anna!...
ANNA
Uberto!... oh rossor!
ERISSO
Che colpo è questo!
Tutti rimangono attoniti e muti nell'atteggiamento della sorpresa, della vergogna o del dolore, secondo la circostanza di ciascuno.
Insieme
ANNA
(Ritrovo l'amante
nel crudo nemico...
Qual barbaro istante!
Che penso? che dico?
Oh morte, te imploro:
rimedio, ristoro
a tanto dolor.)
ERISSO
(Amante la figlia
del crudo tiranno!
Deh chi mi consiglia!
Qual barbaro affanno!
Oh morte, te imploro:
rimedio, ristoro
a tanto dolor!)
MAOMETTO
(Risento nel petto
all'alma sembianza
d'un tenero affetto
l'antica possanza...
Qual magico incanto
quel ciglio, quel pianto,
quel muto dolor!)
CALBO E CORO DI DONNE
(Il padre fra l'ira
ondeggia e l'affanno,
la figlia delira
pe 'l barbaro inganno...
Oh cielo, te imploro:
tu porgi ristoro
a tanto dolor.)
CORO DI MUSULMANI
(Il duce all'aspetto
d'inerme beltà,
risente nel petto
la spenta pietà!
Qual magico incanto,
quel ciglio, quel pianto
ha sul vincitor!)
ANNA
(a Maometto)
Rendimi il padre, o barbaro...
Il mio... fratel, deh rendimi...
o ch'io saprò trafiggermi
con questo ferro il cor.
(cavando fuori il pugnale)
CALBO
(Fratel mi chiama! oh tenera!
Oh dolce amica!)
ANNA
(a Maometto)
E tacito
ancor mi guati?
(fa cenno di uccidersi)
MAOMETTO
Arrestati:
dilegua il tuo timor.
(scioglie egli stesso le catene d'Erisso e di Calbo)
Padre e fratel ti rendo.
Comprendi a sì gran dono
che un barbaro non sono,
ma fido amante ognor.
ERISSO
Que' ceppi a me rendete,
la morte io solo attendo:
pietosi mi togliete
a tanto mio rossor.
ANNA
Padre...
ERISSO
Da me t'invola.
ANNA
M'ascolta...
CALBO
Ti consola:
misera ella è, non rea.
ANNA E CALBO
Chi preveder potea
inganno sì crudel!
MAOMETTO
(ad Anna)
Fra l'armi in campo io torno,
cara, ma al mio ritorno
altera e lieta omai,
al fianco mio vivrai,
se ancor mi sei fedel.
Insieme
ANNA
(Ah! perché fra le spade nemiche
a perir disperata non corsi!
Or da quanti tormenti e rimorsi
strazïata quest'alma sarà.)
ERISSO E CALBO
(Ah perché fra le spade nemiche
non mi trassi a perir disperato;
trionfando del barbaro fato,
involandomi a tanta viltà.)
MAOMETTO
(Agitata, confusa, tremante,
non risponde... qual dubbio! qual lampo!
Forse infida... Di sdegno già avvampo...
Ma svelato l'arcano sarà.)
CORO DI DONNE
(Agitata, confusa, tremante
non risponde: mirarlo non osa.
Fra l'amante ed il padre dubbiosa
fra l'inferno ed il cielo si sta.)
CORO DI MUSULMANI
(Agitata, confusa, tremante
non risponde: mirarlo non osa.
Fra l'amante ed il padre dubbiosa
all'evento improvviso si sta.)
Ricchissimo padiglione di Maometto nel quale si veggono riuniti tutti gli oggetti del lusso orientale.
Anna seduta su di un divano, nel massimo dolore e covrendosi con le mani il volto. Una schiera di Donzelle musulmane magnificamente abbigliate la circondano, divise in vari gruppi: alcune sono inginocchiate dinanzi a lei, offrendole ricchi doni di ogni sorta: altre più indietro sostengono de' vasi di profumi, altre finalmente canteranno il seguente coro.
[N. 6 - Coro]
CORO
È follia sul fior degli anni
chiuder l'alma a' molli affetti,
e penar fra' tanti affanni
d'una rigida virtù.
Finché april ci ride in viso
sol d'amor sien caldi i petti,
ché l'amar fra gioia e riso
è una dolce servitù.
Quando poi fia bianco il crine
cangerem, cangiando aspetto:
posto il cielo ha quel confine
fra 'l diletto e la virtù.
[N. 7 - Scena e duetto]
ANNA
(sorgendo sdegnata)
Tacete. ~ Ahimè! quai detti iniqui ascolto!
(aggirandosi sbigottita per la scena)
Anna infelice! ahi dove,
ove gli empi m'han tratta? ove! ~ Involarmi
a forza io vuò da questo infame albergo.
Libero il varco, olà...
Maometto e detta.
MAOMETTO
T'arresta, e ascolta...
(ad un cenno di Maometto si ritirano tutte le donzelle)
Donna, fra l'armi il mio parlar fia breve.
Uberto amasti: ed or cangiato il vedi
in Maometto, nel crudel nemico
di Vinegia e de' tuoi. Fero contrasto
quindi in te sorge fra discordi affetti:
né in ciò ti biasmo, anzi laudarti il voglio.
Or di cangiar consiglio il tempo è giunto.
Io t'amo ancor: t'offro la destra... e il soglio.
Farti regina, e insiem felice io voglio.
Sì, d'Italia regina
tu meco sederai, ché tanto acquisto
già nella mente, e non indarno, il volgo.
Germano e genitor teco felici
vivran pur essi e al fianco mio possenti:
or tu del tuo, del mio destin decidi.
Pensa però che sei già mia conquista,
e ch'io non trovo ancor chi a me resista.
ANNA
Oggi il ritrovi alfin... quella son io.
Amava Uberto... un mentitor detesto:
ricuso il soglio... la tua destra aborro.
Teco felice! Io! Regina io teco?
Della mia patria a danno? Ad onta eterna
del padre e mia? Ma a consacrar tal nodo
quel nume invocherai, se siam nemici
anco appiè degli altari?
(alquanto commossa)
A separarci... l'universo insorge.
(prorompe in pianto)
MAOMETTO
E Maometto adunque
dell'universo a trionfar già sorge.
Anna... tu piangi? Il pianto
pur non è d'odio un segno:
non di superbo sdegno,
ma di pena... o d'amor.
ANNA
(con l'accento della disperazione)
Sì: non t'inganni... Ah, tanto
la pena mi s'addoppia,
che in petto or or mi scoppia
pe 'l fero strazio il cor.
(poi, vaneggiando)
(Lieta, innocente, un giorno
del padre accanto io vissi:
ma poi mi venne intorno
forse da' cupi abissi,
in lusinghiero aspetto
un più tenero affetto.
L'accolsi, incauta, in seno
contra il voler paterno...
Era feral veleno
che a me porgea l'inferno...
Solo or morir mi resta...
la mia speranza è questa.)
MAOMETTO
(osservandola)
(A vaneggiar la misera
dal suo dolore è spinta;
e da' suoi mesti gemiti
la mia fierezza è vinta.
Quel pianto ignoro io solo
se è duolo o infedeltà.)
Anna, rispondi almeno:
se Uberto avessi accanto,
lo stringeresti al seno?
ANNA
Per me risponde il pianto.
MAOMETTO
Basta.
ANNA
Che dissi!
MAOMETTO
Assai.
Tu m'ami e mia sarai.
ANNA
Signor... t'inganni... (Io gelo.)
MAOMETTO
Vieni.
(vuole stringerla fra le braccia)
ANNA
Ti scosta... (Oh cielo.
Non tanta crudeltà.)
Insieme
ANNA
Gli estremi sensi ascolta
d'un lacerato cor:
amo... ma pria sepolta
che cedere all'amor.
Trionfan questa volta
il cielo e il genitor.
La voce estrema è questa
d'un lacerato cor.
MAOMETTO
Gli accenti estremi ascolta
d'un disperato amor:
tu non sarai più tolta
del mondo al vincitor;
o pur cadrai tu, o stolta,
vittima al mio furor.
La voce estrema è questa
d'un disperato amor.
(al finir del duetto la musica indicherà un lontano crescente tumulto)
[N. 8 - Scena, aria e coro]
MAOMETTO
Ma... qual tumulto ascolto? Olà!
Entrano alcune Guardie con Selimo.
Che avvenne?
SELIMO
Signor, non liete nuove io reco.
MAOMETTO
Oh rabbia!
Parla; che fu?
SELIMO
Dalla rocca respinto
Acmet si vide, e in fuga vil rivolta
la sua falange. Un veneto drappello
s'inoltra audace, e all'apparir suo primo,
al primo grido, da ben cento ignoti
asili balzan fuori, rotando il ferro
con disperato ardir, gli ascosi avanzi
de' già vinti nemici. I lor compagni
raggiungono veloci, ed alla rocca
si traggon salvi; lungo stuol de' nostri
lasciando sul sentier morti, o mal vivi.
Al triste evento con feroci strida
corre all'armi l'esercito, e si sparge
per le vie furibondo; ed ogni ostello
esplorano col ferro...
ANNA
(Ahi padre!)
SELIMO
Indarno
si frappongono i duci: ampia è la strage,
il disordine estremo; ognun dimanda
d'Erisso il sangue, quasi autor primiero
dell'improvviso assalto, e ingiurie acerbe
scaglian pur contra te per la tua troppa
ed incauta pietà...
ANNA
(prostrandosi a Maometto)
Signor!
MAOMETTO
T'accheta.
(snuda furiosamente il ferro)
Schiudansi quelle tende.
Il fondo del padiglione si apre, e si scuopre la piazza della città, già veduta nel primo atto, ingombra di Soldati che si aggirano in disordine con le spade ignude.
Fermate, indegni.
(avanzandosi fra' soldati, i quali alla sua voce rimangono immobili e sbigottiti)
Se desio di sangue
anco in voi ferve, negl'inermi petti
ad appagarlo qual viltà vi tragge?
Dalla rocca fuggiste... e qui pugnate?
Il mondo conquistar così sperate?
Alla rocca, codardi, ed io primiero
indicarne saprò l'arduo sentiero.
All'armi.
CORO
(di fuori)
All'armi...
(di dentro)
All'armi...
Si ascolta da diversi luoghi un crescente battere di tamburi che chiamano i Soldati, i quali si schierano in fretta.
MAOMETTO
E tu donna, fa cor. Finché m'avanza
di possederti ancor l'alta speranza,
il padre tuo securo
ognor vivrà, lo giuro.
ANNA
Tu parti, ahi lassa! intanto. E mal represso
ancor mi sembra il soldatesco sdegno...
Lasciami almen di securtade un pegno.
MAOMETTO
Bastò finora a Maometto... un cenno...
Pur... farti paga io voglio.
L'imperial suggello, ecco, t'affido.
Del mio poter con questo ad altri io soglio
commetter parte; e non indarno... mai,
arbitra or tu del genitor sarai
e del fratel pur anco: e obbedienti
guerrieri e duci ad ogni cenno avrai.
D'amor l'ultima prova,
Anna, il vedi, io ti porgo.
Trema però se al rieder mio non cangi
il disperato tuo consiglio... trema...
Non io più allor... ma parlerebbe il brando.
Entrano nel padiglione i Duci musulmani, ed annunciano a Maometto che l'esercito è in ordine.
CORO
A che più tardi ancor?
Frementi ~ impazienti
le schiere or solo attendono
il cenno tuo, signor.
MAOMETTO
All'invito generoso
riconosco i miei guerrieri
che si sdegnan del riposo
e lo chiamano viltà.
Dunque il piè volgiamo al campo
della gloria su' sentieri.
Delle nostre spade il lampo
la vittoria desterà.
Dell'onta l'impronta fugace
nel veneto sangue
impavido, audace,
appien laverò.
O esangue sul brando, sfidando
la morte, da forte cadrò.
Incomincia il suono delle musiche militari e l'esercito s'incammina.
(al guerriero che tiene lo stendardo)
L'invitto vessillo
mi porgi, guerriero.
Slanciarmi fra l'armi
io primo saprò.
(l'esercito prosiegue a sfilare fra canti guerrieri, e lo strepito delle musiche militari)
CORO
Dell'araba tromba
già intorno rimbomba
lo squillo foriero
di stragi e d'orror.
ANNA
(Qual voce celeste
al cor mi ragiona?
Qual foco m'investe
e a compier mi sprona
bell'opra d'onor.)
(parte sollecitamente)
Ampio sotterraneo del tempio, tutto sparso di sepolcri, fra' quali sarà notabile a dritta dello spettatore quello della moglie di Paolo Erisso.
Erisso e Calbo. All'alzarsi della tela Erisso e Calbo si scorgeranno sugli ultimi gradini della scala, e s'inoltreranno lentamente.
[N. 9 - Scena ed aria]
ERISSO
Seguimi, o Calbo. Fra' muti sepolcri
de' barbari al furor per poco almeno
involarci potrem. Non ch'io paventi
quella morte, che sfido.
Ma finché speme di vendetta avanza
amar lice la vita: ed io la serbo,
la serbo ancor questa speranza estrema.
Gli avidi sguardi a quella rocca io sempre
volgo e sospiro... Oh se potessi in quella
volar sull'ale de' pietosi venti,
e rivestir l'usbergo... e a questa mano,
render quel brando, che le tolse il fato!
Tu taci?
CALBO
Io taccio, e fremo.
ERISSO
(si volge, e vede la tomba dell'estinta consorte)
Ahimè! qual tomba io veggo!
Della mia sposa il cenere s'asconde
in quella, o Calbo. Ahi, duol!
(s'inginocchia innanzi la tomba)
Tenera sposa!
In ciel riposi or tu. Così seguìto
pur io t'avessi! D'una iniqua figlia
or non vedrei gli scelerati ardori...
CALBO
Lasso! che dici! E di qual colpa è rea
la misera tua figlia?
Uberto amar credea: né fu mai colpa
l'esser credulo troppo.
ERISSO
Ed or non siede
di Maometto al fianco?
CALBO
Tratta a forza vi fu. La vidi io stesso
divincolarsi da' feroci sgherri
per ben tre fiate: e vinta alfin, le palme
ergere al cielo quasi fuor di senno;
e mille volte profferia tuo nome;
e pur da lunge ripeteami... addio!
ERISSO
Vedesti? udisti? Ma chi sa se poi
non cangiò di consiglio
all'aspetto d'un trono e del periglio?
(rimane in sommo abbattimento assiso sulla tomba della sposa sua)
CALBO
Non temer: d'un basso affetto
non fu mai quel cor capace.
Né saprebbe la sua pace
mai comprar con la viltà.
Del periglio al fiero aspetto
ella intrepida già parmi
impugnar lo scudo e l'armi
d'una bella fedeltà.
E d'un trono alla speranza
dir, con placida sembianza,
basso affetto ~ nel mio petto
nido aver non mai potrà.
[N. 10 - Scena e terzetto]
ERISSO
Oh, come al cor soavi
mi giungono i tuoi detti!
Voglia propizio il ciel che sien veraci.
Oh figlia! ahi dolce figlia! E a me per sempre
i barbari t'han tolta?
CALBO
Ah! ti conforta.
ERISSO
Confortarmi potrò quando fia morta.
Anna, Erisso, Calbo.
Anna discende precipitosamente nel sotterraneo, seguita da un Servo che reca due turbanti e due mantelli turchi.
ANNA
Padre...
ERISSO
Qual voce!
CALBO
Chi vegg'io!
ANNA
(correndo al padre)
M'abbraccia.
ERISSO
Scostati.
ANNA
Ahimè!
ERISSO
Tu sei? sogno o son desto!
ANNA
Mi discacci! E perché?
ERISSO
Pria che risponda,
dimmi, torni mia figlia o mia nemica?
ANNA
Questa impavida fronte a te lo dica.
ERISSO
Di quella tomba appiè dunque lo giura.
ANNA
(prostrandosi alla tomba)
Madre... dal cielo in questo cor tu leggi.
ERISSO
(intenerito corre ad abbracciar la figlia)
Crederti voglio.
ANNA
E il ver tu credi, o padre,
e a darne prova alta solenne io vengo.
Questo mirate imperial suggello
che or or mi porse Maometto, ond'io
schermo a voi ne facessi, ov'uopo il chiegga.
E ben già vidi quanto in essa è posta
quasi arcana possanza. Egli la rocca
si volse intanto ad assalir, traendo
oste immensa a tal pugna. Or se v'accende
desio d'onor... tenete.
(offre l'anello al padre)
Al fuggir vostro
non fia chi opporsi ardisca.
ERISSO
Intendo: oh figlia!
Oh immensa gioia! Porgi.
(prende l'anello)
ANNA
Un dio m'ispira,
e maggior di me stessa oggi m'ha fatta.
CALBO
E tu a perir qui resti? Oh duol!
ANNA
Costanza,
o Calbo. Il suo dover compia ciascuno.
CALBO
Seguirci è forza.
ANNA
Ahimè! No 'l posso.
CALBO
E come?
ANNA
Avvi lassù nel tempio alcun che veglia
su' miei passi severo. Ignoto è ad esso
che ambi qui siate; e in quelle spoglie ascosi
ingannarlo fia lieve.
Ma noto il mio sembiante,
oh ciel! già troppo a' Musulmani è fatto.
La patria io servo con salvar due prodi;
se me salvar procuro, io la tradisco.
Morir m'è forza: ed io morrò...
(a Calbo)
Ma tua.
CALBO
Che parli?
ANNA
Odimi, o padre:
a lui consorte or dianzi
me destinavi, e, lassa!
la prima volta il voler tuo m'increbbe.
Or chieggo, e prego, e imploro
che il tuo desio pria di partir tu compia.
Ara non v'ha, né sacerdote in questo
muto albergo di morte;
ma sacro è un genitor d'innanzi al cielo:
ara pe' figli è la materna tomba
e i decreti d'un padre iddio conferma.
Vieni, non più dimore:
degna almeno di te morir vogl'io.
(spingendolo dolcemente verso la tomba)
ERISSO
(Parlar non posso... ché m'affoga il pianto.)
ANNA
Calbo, ti stringi al genitor d'accanto.
Erisso immerso nel pianto, né potendo profferir parola per la commozione, stringe insieme le destre di Anna e di Calbo, poi le accosta al suo cuore, appoggiandosi sulla tomba ed ergendo gli sguardi al cielo.
Durante questa breve azione, la musica darà principio al ritornello del seguente:
ANNA, CALBO E ERISSO
In questi estremi istanti
è tanto acerbo e nuovo
l'affanno, il duol ch'io provo,
ch'esprimerlo non so.
ANNA
(facendo cenno che partano al padre ed allo sposo)
Coraggio.
ERISSO
Io tremo.
CALBO
(Io gelo.)
(al nuovo invito di Anna s'incamminano. Anna è sulla scena: Calbo ed Erisso ascendono la scala)
ERISSO
Ahi figlia!
CALBO
Oh sposa!
ANNA, CALBO E ERISSO
A rivederci... in cielo.
Anna, costernata e taciturna, va a sedere sulla tomba materna. Breve silenzio.
[N. 11 - Scena e finale II]
ANNA
Alfin compiuta è una metà dell'opra.
L'altra a compier ne resta:
un sacrificio è questa,
e la vittima... io son. L'ultimo sfogo
t'abbi or nel pianto, o debole natura.
Ora verrà, che fia viltade il pianto.
Ecco del mondo che mi resta! Un muto,
un gelido sepolcro... e oh me felice
se chiusa in questo con la madre io fossi!
O patria mia, forse avverrà che un giorno
quanto io feci per te saprai tu alfine,
e il mio cenere allor, dovunque ei giaccia,
spontaneo esulterà di esserti sacro.
(sorge e spinge alcuni passi per la scena)
ANNA
Or da me lungi ogni terreno affetto:
o morte, il giugner tuo tranquillo aspetto.
(ascoltasi ad un tratto su nel tempio il seguente:)
CORO DI DONNE
Nume, cui 'l sole è trono,
nume, cui brando è il tuono,
a noi rivolgi il ciglio
nell'ultimo periglio.
ANNA
Pregan nel tempio le mie dolci amiche.
CORO DI DONNE
Il fulmine, deh! accendi;
i figli tuoi difendi:
rivolgi ad essi il ciglio
nell'ultimo periglio.
ANNA
Ferve dunque la pugna... Ah! vinca il padre,
e lieta allor raggiugnerotti, o madre.
Volar nel tempio io pur... No: qui s'attenda
l'ultima ora tremenda.
Mi sento assai più forte
qui fra le tombe ad affrontar la morte.
CORO DI DONNE
Nume, cui 'l sole è trono:
nume, cui brando è il tuono,
il fulmine, deh! accendi:
i figli tuoi difendi.
Rivolgi ad essi il ciglio
nell'ultimo periglio,
e un soffio struggitor
disperda il vincitor.
ANNA
Taccion le preci omai. Chi sa che avvenne?
Chi sa se vinse il genitor? Che parlo,
stolta! Chi sa s'ei prima in salvo
col mio sposo non giunse?
Ahi penosa incertezza, i miei tormenti
tu sol mancavi a render più possenti!
CORO DI DONNE
(dal tempio)
Anna, ove sei?
ANNA
Quai grida?
CORO DI DONNE
Anna, rispondi.
ANNA
Chieggon di me! Che fia?
(alcune del coro appariscono sull'alto della scala dicendo:)
CORO DI DONNE
Dove t'ascondi?
(il coro delle donne discende nel sotterraneo)
Sventurata! fuggir sol ti resta
il furor di vicina tempesta.
Già sul punto di vincer la giostra
sulla rocca Maometto si slancia.
Ecco Erisso improvviso si mostra:
ecco splende di Calbo la lancia.
Odi un grido di gioia fra' vinti:
cadon mille de' barbari estinti,
e al fuggir del superbo signor,
tutto è strage sconfitta ed orror.
Sventurata! fuggir sol ti resta
il furor di vicina tempesta;
ognun chiede, fremendo, tua morte:
a supplizio crudel ti destina,
che per te sol cangiata è la sorte,
per te avvenne cotanta rovina.
Or deh! cedi al pietoso consiglio:
deh! ci siegui, t'invola al periglio;
in noi fida; la nostra pietà
coronata dal cielo sarà.
ANNA
Vinto i Veneti han dunque?
Trionfa il genitor? lo sposo? Oh gioia!
E ch'io fugga chiedete?
Io che la prima gloria
ho di tanta vittoria?
Fuggir? ma dove? E per salvar me sola
espor voi tutte all'ultimo periglio?
A' codardi serbate un tal consiglio.
Quella morte che s'avanza
io sospiro e non pavento,
ché l'uscire di speranza
è il più barbaro tormento,
e dell'unica mia speme
non mi resta che il rossor,
onde in queste angosce estreme
la mia vita è nel dolor.
Il dover compiuto omai
ho di figlia e cittadina;
la mia fronte, o ciel piegai
alla voce tua divina;
ma l'iniquo e dolce affetto
non è spento nel mio cor.
Nella morte il fine aspetto
degli affanni e dell'amor.
CORO DI DONNE
Sarai dunque, ahimè! reciso
vago fior di gioventù?
Vago fior che il paradiso
adornò di sue virtù.
Quai strida orribili!
Le ascolti o misera?
Già qui s'appressano
furenti i barbari.
CORO DI MUSULMANI
(dal tempio)
Invan la perfida
invano ascondesi:
sia pur nell'Erebo
la nostra rabbia,
il suo supplizio
schivar non può.
ANNA
Ed io non pavida
li affronterò.
CORO DI MUSULMANI
(dal tempio)
(che discende nel sotterraneo)
Ecco la perfida...
Su via, trascinisi
fra mille strazi
a spirar l'anima.
(si slanciano furibondi colle spade ignude per trucidarla)
ANNA
Ferite...
(presentando ad essi il petto)
CORO DI DONNE
Ahimè!
CORO DI MUSULMANI
(si arrestano quasi sbigottiti dal di lei contegno)
Qual forza incognita
ci arresta il piè?
E pur quest'empia
diva non è.
ANNA
Sì, ferite: il chieggo, il merto;
quelle spade in me volgete,
ché di gloria il più bel serto
già m'appresta amico il ciel.
Madre, a te che sull'Empiro
siedi in placida quiete,
sacro è l'ultimo sospiro
di quest'anima fedel.
CORO DI DONNE
(A que' detti si pietosi
chi frenar potrebbe il pianto?
Fia d'Italia eterno il vanto
per si bella fedeltà.)
CORO DI MUSULMANI
(A que' detti generosi
lo stupor c'ingombra il petto.
Su que' labbri, in quell'aspetto
qual dolcezza e maestà!)
Maometto, seguìto da Selimo ed altri suoi Capitani, giunge precipitoso nel sotterraneo col furore dipinto sul volto. Si avanza e resta immobile per alcun poco, tenendo gli occhi fissi su di Anna. Ella non ardisce guardarlo.
Silenzio universale.
MAOMETTO
Già fra le tombe? O perfida,
vana è la tua speranza,
di vita assai t'avanza
all'infamia e al dolor.
ANNA
(A prevenirti, o barbaro,
mi resta un ferro ancor.)
MAOMETTO
Ciò ch'io ti porsi or rendimi.
ANNA
Non te 'l rendea fra l'armi
lo sposo e il genitor?
MAOMETTO
Che? Lo sposo! Ad insultarmi?
Lo sposo tuo? Dì, chi è questi?
ANNA
Calbo.
MAOMETTO
Calbo dicesti?
Consorte, e non german!
ANNA
(mostrando il sepolcro della madre)
Sul cenere materno
io porsi a lui la mano,
il cenere materno
abbia il mio sangue ancor.
(si ferisce col pugnale che teneva celato)
MAOMETTO, CORO DI DONNE E CORO DI MUSULMANI
T'arresta! T'arresta!
Che istante orribile,
oh giorno di dolor!
Già muore, oh dio, la misera,
oh giorno di dolor!
Anna cade morta al piè del sepolcro della madre.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)