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Jone

JONE

Dramma lirico in quattro atti.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giovanni PERUZZINI.
Musica di Errico PETRELLA.

Prima esecuzione: 26 gennaio 1858, Milano.


Personaggi:

ARBACE egiziano, gran sacerdote d'Iside

baritono

JONE

soprano

GLAUCO ateniese

tenore

NIDIA schiava tessala

mezzosoprano

BURBO taverniere, un tempo gladiatore

basso

SALLUSTIO giovane patrizio amico di Glauco

basso

CLODIO giovane patrizio amico di Glauco

tenore

DIRCE schiava di Jone

mezzosoprano


Un Sacerdote d'Iside, uno Schiavo etiope. Giovani Patrizi - Gladiatori - Sacerdoti d'Iside Schiave di Jone - Schiavi di Arbace Popolo di Pompei e dei paesi vicini Edili - Venditori di pesci e di frutta Fioraie - Guardie del circo - Centurioni - Littori - Soldati

La Scena è in Pompei. L'anno 79 dell'era volgare.

Al lettore

La favola d'amore su cui si appoggia principalmente il noto romanzo di Bulwer: Gli ultimi giorni di Pompei, mi ha suggerita l'idea del presente dramma lirico.

Ne conservai i personaggi più importanti e, per quanto mi fu possibile, la loro fisonomia caratteristica; fatta eccezione a quello di Nidia, il quale, sebbene eminentemente poetico e interessantissimo nel romanzo, pure, riprodotto tal quale, mi sembrava poco opportuno o almeno troppo pericoloso in un dramma per musica. Lasciato da parte ogni episodio che sarebbe stalo d'inciampo allo sviluppo di un'azione, ristretta in così angusti confini, e che d'altronde nel romanzo si lega ed unifica al soggetto principale, mi trovai nella necessità di discostarmi dall'autore inglese nei vari incidenti che formano l'orditura dell'azione medesima. All'impronta moderna che ho creduto dare ad un argomento di genere classico, mi sieno di giustificazione lo stesso Bulwer, di cui ho seguìto l'esempio, e Gualtiero Scott, il quale nella prefazione all'Ivanhoe, scriveva che: per destare un interesse qualunque, è d'uopo che il soggetto trascelto venga, per così dire, tradotto nelle costumanze, del pari che nella lingua, del secolo io cui viviamo.

L'Autore.

Atto primo
Scena prima

Taverna di Burbo.
Da un'asse confitta nel muro, pendono orci d'olio ed anfore di vino: altre anfore sparse per terra. Sopra una panca stanno gittati alla rinfusa i pallii dei giovani Patrizi, che intorno ad un'altra giuocano ai dadi; mentre, dal lato opposto, alcuni Gladiatori bevono e cianciano fra loro allegramente. È l'alba già inoltrata. Tre o quattro lampade disposte in giro sulla parete dipinta a vivaci colori, mandano un resto di luce.
Fra i giovani Patrizi, Glauco, Clodio e Sallustio: più tardi Burbo che va e viene recando vino od altro.

GLADIATORI

Vuote son l'anfore...

(chiamando)

Burbo!... che fai?

A gola asciutta ci lasci qua?

Se a' nostri stomachi vigor non dài,

con fiacca lena si lotterà.

PATRIZI

(a Glauco)

Su, scuoti il bossolo!... la sorte è varia...

GLAUCO

Per Giove!... il punto sempre peggior!

Bossolo e dadi saltar fo' all'aria.

SALLUSTIO

Chi perde in gioco vince in amor.

CLODIO

Forse il sinistro sguardo d'Arbace

t'ha fatto il caso ieri scontrar?

SALLUSTIO

Ovver di Jone l'occhio vivace?

GLAUCO

Non déi quel nome qui profanar.

CLODIO

Ti metti al serio? Già lo si vede,

non sei più quello de' primi dì.

GLAUCO

Non son più quello?... pazzo chi 'l crede.

Burbo... il falerno...

GLI ALTRI

Bravo!... così!

(Burbo, che poco prima avrà recato da bere ai gladiatori, torna in iscena, depone un'altra anfora sulla tavola dei patrizi e riparte)

GLAUCO

(alzando il calice colmo, prorompe con enfasi)

Su, di pampini, di grappi

m'intrecciate una corona!

Cinto d'anfore e di nappi,

salgo in vetta all'Elicona.

Viva Bacco il re de' numi,

inni a Venere e profumi!

Canti chi vuole d'elmi e corazze,

l'ire e le stragi del dio guerrier;

io fra le belle pugno e le tazze,

ebro, non morto, voglio cader.

Allor che in pugno l'anfora ho stretta,

io non invidio lo scettro ai re...

sacra dell'oro la fame è detta,

sacra è del vino la sete a me.

CORO

Séguita, séguita... bravo!... così!

Or torni il Glauco de' primi dì.

GLAUCO

Per le vene già del nume

sento corrermi l'ebbrezza.

Con la bianca man di piume

vieni, o bella, e m'accarezza.

Voluttà dalle pupille

ch'io ti beva a calde stille...

Vo' del tuo crine baciar le anella,

sulla tua bocca la mia serrar...

meno ritrosa sarai più bella...

ama, fanciulla; vita è l'amar!

TUTTI

Venere e Bacco son nostri numi,

noi della vita cogliamo il fior:

a Bacco e Venere canti e profumi...

viva il falerno... viva l'amor!

NIDIA

(di dentro)

Ahimè!

TUTTI

Qual grido!

GLAUCO

Nidia!

Scena seconda

Nidia, indi Burbo e detti.

NIDIA

(gettandosi ai piedi di Glauco)

Soccorso!

Pietà!...

GLAUCO

Chi offenderti, fanciulla, osò?

(vedendo Burbo, che col flagello sollevato sarà rimasto immobile sulla soglia)

GLAUCO

Ah tu, tu, Burbo!... Cerbero, od orso,

l'unghie rapaci ti strapperò.

Qual è il suo fallo?

BURBO

Mia schiava è dessa,

e d'ubbidirmi ricusa ognor.

NIDIA

(arrossendo)

Volea... d'Arbace...

GLAUCO

(a Nidia)

T'intendo... cessa...

povera vittima, sorgi e fa cor.

(a Burbo)

La compro... il prezzo?

BURBO

Cara mi costa...

venti sesterzi...

GLAUCO

(gettandogli una borsa)

Il doppio... a te!

BURBO

Certe ragioni non han risposta...

(raccogliendo da terra la borsa)

È tua!

GLAUCO

Va'... libera, Nidia, tu se'.

PATRIZI, SALLUSTIO, CLODIO E GLADIATORI

Al generoso Glauco sia festa.

NIDIA

(Libera!)

GLAUCO

Nidia, perché sì mesta?

NIDIA

(a Glauco)

Abbandonata, ed orfana

dove trovar ricetto?

Quale per me può fascino

aver la libertà?

Schiava, ma a te da presso

viver mi sia concesso...

Del mio signor il tetto

Eliso a me sarà.

GLAUCO

Lo brami?... sia.

CLODIO E SALLUSTIO

Su, Glauco,

l'alba da un pezzo è desta!...

L'ultima tazza è questa...

evviva Bacco e Amor.

SALLUSTIO

(ai gladiatori)

Bevete... io pago! ~ al solito

fu il giuoco a me propizio.

BURBO E GLADIATORI

Al nobile patrizio

far noi sapremo onor.

GLAUCO

(Immagin cara di Jone mia,

celeste raggio tu brilli a me...

Oh, nel tuo amore redento io sia...

Jone, ch'io possa levarmi a te!)

NIDIA

(La troppa gioia m'opprime il core,

quasi a me stessa creder non so.

Di Glauco schiava!... sogni d'amore,

in voi la vita delizierò!)

BURBO

(Come di gioia le brilla il viso!

Il mio sospetto certezza è già...

per lei di Glauco solo un sorriso

vale una vita di libertà.)

SALLUSTIO, CLODIO E PATRIZI

Venere e Bacco son nostri numi,

noi della vita cogliamo il fior.

A Bacco e Venere canti e profumi,

viva il falerno, viva l'amor!

GLADIATORI

Oggi gagliardo, domani esangue,

del gladiatore quest'è il destin:

pria che del circo nuotar nel sangue,

della taverna nuotiam nel vin.

Glauco parte insieme a Clodio, a Sallustio e agli altri giovani Patrizi, e seguìto da Nidia. Dopo di loro escono i Gladiatori. Burbo, rimasto solo, cava di sotto alla tunica la borsa datagli da Glauco, ne versa il denaro su di un tavolo, e lo sta contemplando con compiacenza.

Scena terza

Burbo indi Arbace.

BURBO

È un giorno di fortuna: generoso

l'ateniese è davver! Questo si chiama

esser ricchi e patrizi! Un mucchio d'oro! ~

E Arbace?... alla colomba

io sciolsi l'ale, e il falco

più ghermirla non può... La sua vendetta

sento ruggir. ~ Astuzia a me non manca...

l'affronterò! Quest'oro intanto è mio.

(accorgendosi d'Arbace, che entrato improvvisamente in iscena, gli batte della mano una spalla)

Ah! Sei tu?

ARBACE

Sì, son io.

E Nidia?... ~ venduta poc'anzi tu l'hai...

BURBO

È vero.

ARBACE

Stamane l'attesi... lo sai...

così m'ubbidivi?

BURBO

Non è colpa mia:

a preghi, a minacce fu dessa restia.

ARBACE

Tu mendichi scuse.

BURBO

(con espressione maliziosa)

La tessala è bella,

ma... al sole di Jone s'offusca ogni stella.

ARBACE

Che dici tu?

BURBO

Nulla. ~ Di Nidia nel core

io lessi... per Glauco delira d'amore:

giovarti può forse! Rival fortunata,

è Jone frattanto di Glauco l'amata.

ARBACE

Menzogna!... Di Bacco nell'orgie sommerso,

nel lezzo s'avvolge d'ignobili amor.

BURBO

Dal Glauco d'un giorno s'è fatto diverso...

gli amici abbandona; sol Jone ha nel cor.

ARBACE

In orge la notte vegliata non ebbe?

BURBO

A forza l'han tratto, ma quasi non bebbe.

Da un pezzo gli amici si lagnan di lui.

ARBACE

(Barriera a' miei voti può farsi colui.)

BURBO

La fama ne corre per tutta Pompei.

ARBACE

(Progenie di regi soffrirlo io potrei?

No... mai!)

(a Burbo dopo un momento di pausa)

Del Vesuvio fra i massi s'interna

temuta dal volgo profonda caverna:

dimora è quell'antro d'antica sibilla,

che magici filtri dall'erbe distilla.

BURBO

La Saga del monte!

ARBACE

Là recati tosto,

e il solito filtro le chiedi per me.

BURBO

In tutto a servirti lo schiavo è disposto.

ARBACE

A questa mia gemma prestar dovrà fé!

(si trae dal dito un anello e lo consegna a Burbo)

Vanne, e serba geloso l'arcano,

il mio sguardo per tutto ti vede:

ho dell'oro per darti mercede,

ho un pugnal per poterti punir.

Io la mente, sarai tu la mano:

altri cenni t'appresta a compir.

BURBO

Quale il core fedele ho la lingua,

del mio zelo t'ho date già prove:

me di premio lusinga non move,

l'ubbidirti è una legge per me.

(Quando d'oro la borsa s'impingua,

non il come m'importa e perché!)

(Arbace parte. Burbo raccolto il danaro, si ritira nell'interno della taverna)

Scena quarta

Stanza di Jone riccamente addobbata.
Le porte son chiuse da cortine di porpora e le pareti adorne di dipinti: una delle porte mette al giardino.
Jone sola.

Oh, qual la prima volta m'appariva

nel tempio della diva,

l'ho sempre agli occhi miei, sempre dinante

il suo gentil sembiante!

Ed ei?... di pari affetto ei forse m'ama...

svelar non l'osa... e il brama!

Nel sol quand'è più splendido,

il suo sorriso io vedo;

guardo le stelle, e simbolo

degli occhi suoi le credo.

Nel mormorio dell'onda

lo ascolto a me parlar...

l'aura che mi circonda

piena dì lui mi par.

L'amo, l'amo, e la fiamma immortale

tempo, o affanno distrugger non può!

Viva in core, gelosa vestale,

custodir quella fiamma saprò!

Scena quinta

Arbace e detta.

ARBACE

Godo in trovarti lieta.

JONE

Arbace!...

ARBACE

A me secreta

della tua gioia la cagion terrai? ~

Io che col guardo penetro ne' cieli,

io so leggerti in cor... Ami!

JONE

Delitto

è forse amor?

ARBACE

Se l'anima sublima,

degno è de' numi. ~ Di saper ho dritto

chi tal fiamma t'accese.

JONE

Alcun più vago

più nobile garzon non ha Pompei.

ARBACE

Nomalo.

JONE

(con franca ingenuità)

Glauco.

ARBACE

Desso!... ah tu, non sai...

ingannata sei tu!

JONE

Che dici mai?

ARBACE

Fra danze oscene ed orge,

fra schiave invereconde,

nell'abbrutir dell'anima

notti e tesor profonde.

In te de' numi s'agita

eterna la scintilla;

contaminata argilla,

egli ha di fango il cor.

JONE

(Glauco!... il mio Glauco!... misera,

che ascolto!... e sarà vero?

Aver sì vil può l'anima

e il volto onesto e altero?

Quegli occhi a me mentivano,

gli occhi pur casti tanto!

Cinto da vel più santo

mai non fu in terra amor.)

ARBACE

Anche stanotte in laide

gioie trascorse ha l'ore.

Compra ha una schiava: inebriasi

or forse al nuovo amore.

JONE

Non proseguir: soccombere

al troppo duol mi vedi...

ARBACE

(con ironia)

Se di te degno il credi,

amalo, o Jone, ancor.

Scena sesta

Dirce, Nidia e detti.

DIRCE

Una schiava giovinetta

favellar a te desia;

nel vestibolo ella aspetta.

JONE

Una schiava!... e chi l'invia?

DIRCE

Nulla disse: a te soltanto

par che il voglia confidar.

JONE

Venga.

(Dirce parte ed entra Nidia)

ARBACE

(con sorpresa)

(Nidia!)

NIDIA

(fissando Jone)

(Ahi, bella tanto!)

ARBACE

(come sopra)

(Qui?...)

JONE

(a Nidia)

Puoi libera parlar.

NIDIA

Chi mi manda e chi son io

ti dirà questo papiro.

(porgendo a Jone un foglio ch'essa apre e legge con ansietà)

JONE

(Glauco!)

ARBACE

(Glauco!)

JONE

(Il ciglio mio

non m'inganna... io non deliro!)

(accostandosi ad Arbace e in tuono di trionfo)

Quella schiava compra or ora,

vedi... in dono egli offre a me:

leggi, Arbace, e dimmi ancora,

dì, se il puoi, che abbietto egli è.

(a Nidia con trasporto)

Cara a Glauco, o mia fanciulla,

come amarti non dovrei?

Poi che Grecia a te fu culla,

più diletta ancor mi sei.

Così ingenua, così bella,

gentil dono ei m'offre in te...

più che schiava, ognor sorella

tu sarai, fanciulla, a me.

ARBACE

(a Jone, nascondendo a stento lo sdegno ond'è compreso)

Non lusingarti, ~ t'illude amor...

non sai tu l'arti ~ d'un seduttor.

Ei tradimento ~ più vil t'ordì...

del pentimento ~ paventa il dì!

JONE

(Mendace il grido ~ non fu d'amor,

essermi infido ~ potea quel cor?...

d'affetto pegno ~ novel mi diè...

oh m'ama, e degno ~ d'amor egli è!)

NIDIA

(Ahi, tanto e come ~ pietosa a me!

di Glauco il nome ~ solo il poté...

fatal mi corse ~ le vene un gel...

l'ama ella forse?... ~ dubbio crudel!)

Arbace parte: Jone si ritira nette stanze attigue. Sulla porta che mette al giardino si affacciano Dirce e le altre Schiave che invitano Nidia a seguirle.

Atto secondo
Scena prima

Porticato che dà accesso ai giardini della casa di Jone. Nel centro del giardino, un'elegante fontana, e qua e là bizzarramente disposte, alcune statue di marmo. È presso la sera. Da un lato gli appartamenti internamente illuminati.
Nidia, appoggiata ad una colonna, sta immersa in profonda tristezza, mentre s'ascolta il seguente:

CORO

interno

Sotto le dita eburnee

ti suona amor la lira:

te, nuova musa, il fervido

estro di Saffo ispira.

Di fiori e di corone

offriam tributo a te,

ma vago al par di Jone

fiore in Pompei non è.

NIDIA

A lei plausi ed onori, a lei di Glauco

l'amor! ~ Qual più beata

fanciulla in terra?... esser da Glauco amata!

Ed io, povera schiava, il suo compianto

neppur sperar poss'io, ~ che l'amo tanto!

Atroce pena!... ahi sempre

vederlo a lei da presso, e testimone

esser del foco che lo strugge!... O Jone...

per uno solo de' tuoi gaudi, intera

io la vita darei!

Scena seconda

Burbo e detta.

BURBO

(che avrà, udite in disparte le ultime parole di Nidia)

Fa' core e spera.

NIDIA

Burbo!...

BURBO

Ti fo' paura? Or già non sei

più schiava mia. Severo

fui talvolta con te, ma t'ebbi cara

pur sempre!

NIDIA

Qual favella!

BURBO

(misterioso e con simulato interesse)

Sventurata

sei tu.

NIDIA

Chi il dice?

BURBO

Io che so tutto, e or ora

da te l'intesi.

NIDIA

Dèi!... pietà!...

BURBO

Più assai

darti poss'io ~ Di Glauco il cor.

NIDIA

Ti fai

gioco di me?

BURBO

Nella natia Tessaglia

mai non udisti favellar d'arcani

filtri d'amor?

NIDIA

L'udii.

BURBO

D'un di que' filtri

vo' farti don.

(traendo dalla cintura una fiala, che Nidia osserva con ansietà)

Tosto che il beva, amarti

Glauco dovrà...

NIDIA

Fia vero?...

ei m'amerà, dicesti!...

BURBO

D'immenso amor.

NIDIA

Ah, sì!

(sta per prendere dalle mani di Burbo l'ampolla ma si pente, compresa da subito ribrezzo)

BURBO

Perché t'arresti?

NIDIA

Inganno egli è! ~ sollecito

farti di me, tu puoi?

BURBO

Io: perché no? risolviti...

NIDIA

Se quel licor...

BURBO

No 'l vuoi?

Sia: tardi un dì pentirtene

dovrai.

NIDIA

Se a lui fatale...

BURBO

A lui fatal?... Non esserlo

può che alla tua rivale.

Al generoso Glauco

io recar danno? stolta

sei, se lo credi... Sbrigati!

Tempo a gettar non ho.

VOCI

interne

Sia plauso a Jone!...

BURBO

Ascolta.

NIDIA

(E lei tradir potrò?)

(Burbo prende Nidia per mano e la conduce verso gli appartamenti)

BURBO

È là... rapito in estasi

della sua diva ai piedi:

d'amor le parla!... in teneri

sguardi languir lo vedi.

Se il foco più s'avanza,

incendio diverrà;

né, a spegnerlo, possanza

virtù di filtro avrà.

NIDIA

(Da quai gelose furie

mi balza il cor commosso!

È un'agonia terribile

che sopportar non posso.

No, com'io l'amo e quanto

null'altra amar lo può...

pur ella è lieta, e pianto

solo in mercede io n'ho!)

BURBO

Ebben!... Spumanti calici

recan le schiave in giro...

non indugiar.

NIDIA

Propizia

Venere a me sarà!

(con improvvisa risoluzione)

Quel filtro!...

BURBO

(porgendole l'ampolla)

È qui... (Respiro!)

NIDIA

Oh gioia... ei mio sarà!

O primi d'amore fantasmi ridenti,

di luce novella brillatemi in cor!

La povera schiava non ha più lamenti...

delizie le appresta di Glauco l'amor!

BURBO

Oh, vanne, t'affretta!... son ore gl'istanti...

coraggio!... la prova fallir non potrà...

VOCI

interne

Fra gaie canzoni, fra nappi spumanti,

un serto di rose la vita si fa.

Nidia entra frettolosa negli appartamenti. Burbo si avvicina alle vetriate e sta osservando: s'odono ad intervalli gli evviva degli invitati.

La scoperta di Pompei distrasse l'erronea opinione degli antiquari che le finestre coi vetri fossero sconosciute ai Romani. Bulwer.

BURBO

Or sarà pago Arbace!... ~ Insania, o morte

suol quel filtro recar. ~ Oh, come trema

la poveretta, e gli occhi

volge d'intorno sbigottita!... Un nappo

ha fra le man... a Glauco

lo porge... il Greco al laccio è preso... beve!

Ah!... la tazza depon... ~ Nidia è svenuta!...

la sorreggon... rinvien!... Sol pochi sorsi

bevuti egli ha! ~ Se resta il colpo a mezzo,

la mia fatica scaderà di prezzo.

(parte)

Scena terza

Glauco indi Jone.

GLAUCO

(esce dagli appartamenti: il suo folto palesa l'emozione ond'è agitato)

O profani diletti, o vane larve

di voluttà bugiarde, or che mi resta

di voi? Rimorso e pianto... È un'altra ebrezza

che mi sublima l'anima e il pensiero. ~

O primo, unico e vero

amor mio, Jone!... Di tua voce il suono

come ogni fibra mi commove, e quanto

m'è possente de' tuoi sguardi l'incanto!

JONE

(che avrà seguite l'orme di Glauco, gli si appressa, e con dolce rimprovero)

Glauco, fuggi da me?

GLAUCO

Fuggirti? e dove

fuggir poss'io che non ti vegga e ascolti?

JONE

Quai detti!

GLAUCO

L'universo

non sei tutto per me?... della tua vita

non vivo?

JONE

Glauco!

GLAUCO

(animandosi sempre più)

Oh no, no mai sì forte

fu in me desio di vagheggiarti appresso...

JONE

Glauco!!

GLAUCO

Di dirti alfin: t'amo... sii mia!

JONE

(Suprema gioia!)

GLAUCO

E udir da' labbri tuoi

un accento dolcissimo d'amore...

dillo!

JONE

(con abbandono)

Su gli occhi non mi leggi il core?

T'amo, t'amo!

GLAUCO

Ah, l'odo alfine

la parola inebriante!

D'una gioia senza fine

veggo il raggio a me dinante.

JONE

Sì d'Imen m'adduci all'ara,

io t'affido e vita e cor.

GLAUCO

Vien: la Grecia a noi prepara

molle un talamo di fior.

Dell'Illisso sulle sponde

ha natura eterno il riso;

là vedrai commosse l'onde

farsi specchio al tuo bel viso.

Di profumi imbalsamate

verran l'aure a carezzarti,

suoni d'arpe innamorate

saran l'eco del mio cor...

tutto, ah tutto per amarti

del mio cielo avrò l'ardor!

JONE

Del mio core ogni speranza

quest'istante appien corona,

a ineffabile esultanza

l'alma assorta s'abbandona.

Come nuvola dorata

il tuo fascino mi cinge,

in un'estasi beata

l'avvenir precorro già...

il destino a te mi stringe,

patria mia la tua sarà.

Te contendermi d'Arbace

il rigor non può...

GLAUCO

Che ascolto!

Lui nomasti?...

(la sua esaltazione cresce: la fronte gli arde, gli occhi errano d'intorno spalancati: il delirio va sviluppandosi)

Ov'è l'audace?...

Oh, nascondimi quel volto!

JONE

Che mai dici?

GLAUCO

Acuti dardi

qui nel cor!... che sete ardente!

Mi scintillano gli sguardi...

JONE

Deh, ti calma!...

GLAUCO

Arbace?... ei mente!...

oh non vedi! è cheto il mare...

Vieni, vien... la nave è presta...

vele ai venti... un lido appare...

va mia Grecia, oh gioia... è questa!

JONE

Tu vaneggi?...

GLAUCO

De' tuoi baci

fa ch'io sugga la dolcezza...

JONE

T'allontana!...

GLAUCO

Perché taci?...

vieni, o bella, e m'accarezza;

voluttà delle pupille

ch'io ti beva a calde stille!

JONE

Numi!

GLAUCO

(il suo delirio è al colmo)

Burbo... qua il falerno!...

vuoto l'anfore d'un sorso...

tazze, dadi, io più non scerno...

JONE

(chiamando)

Ah, soccorso!... Ahimè soccorso!

Scena quarta

Invitate, Schiave fra le quali Nidia, Dirce e detti, indi Arbace.

CORO

Delirante egli è... correte!

Glauco, Glauco, oh torna in te!

NIDIA

(Che mai veggo!)

GLAUCO

Voi... chi siete?

Qua il falerno, i dadi a me.

GLAUCO

Canti chi vuole d'elmi e corazze,

l'ire e le stragi del dio guerrier...

io fra le belle pugno e le tazze...

ebro, non morto, voglio cader.

(abbracciando or l'una, or l'altra delle schiave, quasi in frenesia d'amore)

Vo' del tuo crine baciar le anella,

sulla tua bocca la mia serrar...

meno ritrosa sarai più bella...

ama, fanciulla... vita è l'amar!

ARBACE

(che da alcuni istanti sarà, comparso in iscena tenendosi in disparte, si avanza verso Jone e le dice:)

Vedi in qual core posto hai l'affetto,

vedi se Arbace mentiva a te.

Nato alla polve, rettile abbietto,

di calpestarlo, sdegni il tuo piè.

JONE

(Più non mi vede, più non m'ascolta...

in turpi immagini travolto ha il cor.

Ed io l'amava! delusa e stolta,

io l'ho creduto degno d'amor!)

NIDIA

(Quel filtro!... ah Burbo, m'hai tu tradita?

Doveva io cieca prestarti fé?

Celeste Venere, lo serba in vita;

l'ira tua vindice piombi su me.)

INVITATE

(Come quel volto dianzi sereno,

or di baccante l'immagin dà!

SCHIAVE

Ristoro al foco che gli arde in seno

l'aura notturna forse sarà.

JONE

(ad Arbace)

Consiglio, aita deh tu mi presta,

o mio secondo padre d'amor!

ARBACE

Può del tuo core sol la tempesta

la voce d'Iside far muta ancor.

A consultarla da me verrai?

JONE

Quando?...

ARBACE

Fra un'ora.

JONE

Coraggio avrò?

Sola... fra l'ombre...

ARBACE

Che temi mai?

Io su te veglio... verrai?

JONE

(risoluta)

Verrò.

Durante il breve dialogo fra Jone ed Arbace, Glauco, vinto dalla stanchezza, si appoggia seduto per terra, al piedestallo di una colonna. Gl'Invitati e le Schiave lo circondano.

GLAUCO

Canti chi vuole... le stragi...

CORO E NIDIA

Affranto

par che s'addorma...

GLAUCO

Del dio guerrier...

io fra le belle...

CORO E NIDIA

Restiamgli accanto.

GLAUCO

Ebro, non morto... voglio... cader!

Arbace parte, Jone retrocede inorridita, alla vista di Glauco sdraiato nel più licenzioso abbandono: Nidia è in ginocchio supplichevole vicina a lui. Cala il sipario.

Atto terzo
Scena prima

Piazza in Pompei; da un lato la casa d'Arbace dinanzi al cui maestoso vestibolo si levano due enormi sfingi: attiguo alla medesima, il tempio d'Iside.
È notte; il cielo sereno e stellato; il mercato è ancora popolato e vivace.
Sotto piccole tende stanno i Venditori di pesce e di frutta, le di cui voci si alternano a quelle delle Fioraie.

CORO

~ Chi vuol pistacchi e datteri!...

aranci chi ne vuole!... ~

~ Garofani, viole,

rose, chi vuol comprar. ~

~ D'ogni gusto, d'ogni odor,

qui son frutta, qui son fior. ~

~ Murene di vivaio,

ostriche di scogliera! ~

~ Tarda si fa la sera...

presto... chi vuol comprar. ~

~ N'ho di lago, n'ho di mar...

chi il mio pesce vuol comprar!

(il cielo si oscura: rumore sotterraneo)

Come l'aria sa di zolfo!...

II°

È presagio di sventura.

Par che s'alzi là dal golfo

una nebbia scura, scura.

Da tre giorni, o molto, o poco,

il Vesuvio manda foco...

II°

Sedici anni restò zitto...

che si desti è da temer.

Nell'anno 63 un terribile terremoto scosse il suolo della Campania, e Pompei molto ne fu danneggiato.

Una scossa s'è sentita...

ahi spavento!... un'altra ancora...

È in pericolo la vita...

via di qua senza dimora.

È castigo degli dèi

pei delitti di Pompei...

Il gran mago dell'Egitto

di salvarci avrà poter.

(si disperdono)

Scena seconda

Arbace esce dalla propria casa. Un Sacerdote d'Iside che lo ha seguìto, si trattiene in disparte in attitudine rispettosa.

ARBACE

Inutil peso della terra, umane

larve cui basta un fremito di vento

a sgominar, dinanzi a me che siete? ~

Su voi, schernendo, il saggio

dominator procede, e col suo raggio

vi dà luce e v'accieca... ~ Invano il fato

a me di Nino contendeva il trono...

più possente d'un re fors'io non sono?

Della corona egizia

Roma s'ornò fastosa;

balda sulle piramidi

or l'aquila si posa:

ma se degli anni il turbine

quella corona ha sperso,

per tutto l'universo

sudditi Arbace avrà.

Cadon cittadi e popoli,

ma il saggio regna e sta.

(momento di pausa)

Sinistro è il ciel: malefici

astri sol veggo... Il mio

luce ha di sangue! prossimo

forse a morir son io?...

Sia pur: tramonto splendido

l'astro d'Arbace avrà.

(al Sacerdote che s'inchina e tosto parte)

Presso è l'istante... affrettati...

tutto disponi... va'!

D'amor piena ed ineffabile

sia la gioia a me largita,

e nel lampo di quell'estasi

si dilegui la mia vita.

Oh se fervide le impronte

d'un suo bacio io recherò,

alle rive d'Acheronte,

ombra lieta scenderò!

(entra nel palazzo la cui porta si chiude dietro a lui)

Scena terza

Jone e Nidia.

JONE

Ecco la sua magion.

(porgendo la mano a Nidia)

Addio: di gelo

è la tua man... tremi per me?

NIDIA

(La voce

mi manca...)

JONE

Addio... veglia su lui... Dal core

perché no 'l posso cancellar?... O amore!

Possente diva, tu di quest'alma

l'atroce affanno tutto comprendi:

come a sicuro porto di calma,

diva possente, mi volgo a te.

O del mio core ~ lui degno rendi,

o quest'amore ~ distruggi in me!

Sale al vestibolo; la porta si apre dinanzi ad essa, che, abbracciata Nidia, entra nel palazzo.

Nidia, rimasta sola, trasalisce: e quasi forsennata si slancia alla porta sforzandosi inutilmente dì riaprirla.

NIDIA

Jone!... non m'ode... Ell'è perduta! ed io

trarla poteva dall'abisso!... complice

mi farò d'un misfatto?... Ah no... si salvi!

Glauco dai suo delirio

rinvenne già... tutto egli sappia!... o dèi,

pietà, pietà!... Glauco salvate in lei!

(parte precipitosa)

Scena quarta

Magnifica sala nella casa d'Arbace. Alcune lampade di stupendo lavoro pendenti dal soffitto, mandano una luce pallida e misteriosa. Preziosi dipinti ne adornano le pareti, e greche sculture stanno disposte all'ingiro su piedestalli di granito. Nel fondo il simulacro d'Iside, dietro al quale si distende una cortina di porpora. Porte laterali.
Arbace solo, indi lo Schiavo etiope e Jone.

ARBACE

Come mi balza impaziente il core!

(lo schiavo etiope si presenta ad una delle porte, e si ritira ad un cenno d'Arbace)

Ah!... venga.

(va incontro a Jone che conduce per mano sul dinanzi della scena)

A che lo sguardo

abbassi al suol?... del tuo secondo padre

temi il volto fissar?

JONE

Di riverenza

compresa io son.

ARBACE

La prima volta è questa

che tu d'Arbace il tetto onori.

JONE

(osservando con meraviglia all'intorno)

Quante

dovizie d'arte e di natura!

ARBACE

Oh, tutte

fonderle potess'io per farne un serto

al tuo fronte di neve!

JONE

Io sol la pace

cerco del cor.

ARBACE

Interrogar ti piace

l'onniveggente dèa?

JONE

Lo bramo, e il temo.

ARBACE

Sicura il puoi: ridenti

a te destini la tua stella adduce...

(la scena s'abbuia: il simulacro della dèa sembra animarsi, e i suoi occhi brillano d'una fiamma turchina e scintillante)

JONE

Che fu?...

ARBACE

Fra poco tornerà la luce.

VOCI

(di sotterra)

A que' fiori, o giovinetta,

la tua man non appressar;

il profumo che t'alletta,

in velen si può cangiar:

sotto il verde delle fronde

il serpente si nasconde.

ARBACE

(marcato)

Odi e apprendi!

JONE

Sventurata!...

ARBACE

Ti rincuora, o Jone... vedi!

Or di luce circondata,

gigli spuntano a' tuoi piedi.

JONE

Quale incanto!... in un'arcana

voluttà mi sento avvolta.

Di melòde non umana

odo il suono a me venir...

ARBACE

O mia Jone, esulta... e ascolta...

a te s'apre l'avvenir.

Una luce improvvisa e vivissima avrà rischiarata la scena; la cortina sparisce e lascia scorgere un ridente giardino, chiuso nel fondo da elegante tempietto. Gli alberi sparsi qua e là saranno congiunti da festoni di fiori. Giovani Ninfe intrecciano allegre danze al suono di musica voluttuosa. Voci dall'alto intonano il seguente:

Un core per comprenderti

cerca, fanciulla, ed ama:

o vaga fra le vergini,

tutto ad amar ti chiama.

Di gemme, a te conserto

offre il destino un serto...

fugge la vita rapida,

l'ara d'Imen t'attende...

l'uom che la man ti stende,

sol di te degno egli è.

Verso la fine del coro si sarà schiuso il tempietto nel cui mezzo sta un'ara adorna di rose. Da un lato dell'ara appare una figura di donna che ha le sembianze di Jone: dall'altro lato un Fantasma, coperto dalla testa ai piedi d'un manto di porpora, sta genuflesso dinanzi ad essa, in atto di presentarle una regale corona.

JONE

(Dèi! che sarà!...)

ARBACE

(Qual l'agita

or tema ed or speranza!)

JONE

No, gli occhi non m'ingannano...

quella è la mia sembianza.

ARBACE

Svelar a' sguardi tuoi

posso quel uom, se 'l vuoi.

JONE

Ah, sì!... lo bramo.

ARBACE

Miralo!

(egli solleva una mano, cade il manto che nascondeva le forme del fantasma e Jone mette un grido riconoscendo in esso le sembianze dell'egiziano)

JONE

Sogno, delirio è il mio?...

ARBACE

Diva del cor... son io...

ch'ardo d'amor per te.

Sì, d'amor sublime, ardente

t'amo, o Jone!...

JONE

Dèi, che ascolto!

ARBACE

Questa fiamma onnipotente

lungo tempo ho in cor sepolto...

JONE

Tu deliri!

ARBACE

Agli occhi miei

nume, eliso è il tuo sembiante.

Io che il mondo al piè vorrei,

io mi prostro a te dinante.

Un accento, un guardo solo

di speranza almen mi dona...

Spoglierò di gemme il suolo

onde farne a te corona;

un altar siccome a diva

d'oro e luce io t'alzerò.

JONE

(Lassa! e fede in lui nutriva?...)

ARBACE

Cedi, cedi!

JONE

Ah pria morrò.

(svincolandosi dalle braccia di Arbace corre al simulacro d'Iside quasi per farsene scudo)

ARBACE

Fuggi invano... tu se' mia!...

JONE

No, giammai!... ti scosta!...

ARBACE

Audace!

Né mortal, né un dio potria

or contenderti ad Arbace.

Scena quinta

Glauco seguìto da Nidia e da alcuni suoi amici, fra' quali Sallustio, Dirce e Schiave di Jone, Sacerdoti, Schiavi di Arbace fra i quali l'Etiope, Burbo e detti.

GLAUCO

(irrompendo con impeto in iscena, si presenta minaccioso a fronte di Arbace)

Io lo posso.

JONE

(con gioia e sorpresa)

Glauco!

ARBACE

Insano!

Osi tu?... ~ Ministri... olà!...

(escono dalla cortina i Sacerdoti d'Iside, mentre dalle porte irrompono gli schiavi armati)

La sacrilega tua mano

su costei non s'alzerà.

GLAUCO

Tu sol, tu sol sacrilega

su lei la man levasti,

tu che quel fior sì candido

contaminar tentasti.

Dell'are vituperio

e non ministro sei...

renderla a me tu déi,

sacra al mio cor ell'è.

ARBACE

Egli bestemmia!... uditelo...

ebro di Bacco è desso.

Di sue nequizie al cumulo

nuovo ora aggiunge eccesso.

ARBACE E SACERDOTI

(a Glauco)

Empio, t'arresta: ad Iside

rapirla invan presumi...

profanator de' numi,

anatema su te!

JONE

Qual nera benda orribile

si toglie agli occhi miei!

Un dio ti guida, o Glauco;

mio salvator tu sei.

La fronte tua sorridermi

non vidi mai più pura,

egida in te sicura

il mio candor avrà.

NIDIA

(Salva... e per me!... più libero

batter mi sento il core...

fonte mi sia di lagrime,

non di rimorsi, amore.

Se eternamente misera

vuole il destin ch'io sia,

della sventura mia

non ei soffrir dovrà.)

GLAUCO

(a Jone)

L'ansia deh frena e i palpiti,

non paventar periglio

presso io ti sono: incolume

è tua purezza, o giglio.

Di sua tremenda folgore

m'armò la destra un dio...

del tuo soffrir, del mio

vendicator qui sto.

BURBO

(Fu passegger delirio

che gli turbò la mente,

sol di gelose furie

or l'anima ha fremente:

quale, in vederlo, insolito

senso nel cor m'è corso?...

Che sia pietà?... rimorso?...

crederlo a me non so.)

SCHIAVI DI ARBACE

Da queste sacre soglie

noi scaccerem l'audace:

parla, e se il brami, esanime

per nostra man cadrà.

DIRCE, SCHIAVE E AMICI DI GLAUCO

(A lei sì turpe insidia

tramar poteva Arbace?

D'un'innocente vittima,

ti prenda, o dèa, pietà.)

ARBACE

Forsennato, allontanati... o trema!...

Vedi!...

(in atto di ferire Jone)

GLAUCO

Infame, a te prima... a te morte!

(cieco dall'ira, sguainato il pugnale, si scaglia su Arbace, ma è trattenuto dagli schiavi che lo disarmano)

JONE

Ah!...

NIDIA E BURBO

Che festi?...

SACERDOTI

Anatema, anatema!

GLAUCO

(Rabbia!)

ARBACE

I numi son egida a me. ~

Testimoni del turpe misfatto

foste tutti...

SACERDOTI E SCHIAVI

Alle belve sia tratto!

JONE

Pietà!!...

GLAUCO

Jone, non pianger... sii forte!

JONE, NIDIA, BURBO, SCHIAVE E AMICI DI GLAUCO

Infelice, l'amor lo perdé!

Glauco è trascinato a forza dagli Schiavi fuori del tempio, mentre Arbace e i Sacerdoti scagliano nuovamente su di lui il grido di anatema: Jone, in preda alla sua disperazione si getta fra le braccia di Nidia, circondata dalle Schiave.

Atto quarto
Scena prima

Ampia strada di Pompei: da un lato l'esterno dell'anfiteatro: dall'altro, in qualche distanza, il mare. Cittadini riccamente vestiti, alcuni dei quali con séguito di Schiavi: popolani di Pompei e de' paesi vicini ingombrano la scena dirigendosi all'anfiteatro, le di cui porte sono aperte. Vari fra i Popolani trattengono Burbo, e si stringono con esso in colloquio.

POPOLANO

Delle arene, tu antico campione,

oggi al circo mancar non vorrai.

BURBO

Per Polluce!... sì ghiotto boccone

io lasciar non fui solito mai.

CORO

Gladiatori di Gallia e di Roma

cresceranno alla festa splendor.

Se men grigia tu avessi la chioma,

a lottar scenderesti con lor.

BURBO

Il crin l'età m'imbianca,

ma non l'ardir mi manca,

né alle braccia vigor.

POPOLANO

Nessun l'ignora.

II°

Facil vittoria non saresti ancora.

Pur men gaio del solito ti mostri!

II°

Dell'ateniese forse

il destin ti dà pena?

BURBO

A tutti caro

era in Pompei: sì giovine, sì bello...

POPOLANO

E ricco tanto!...

II°

Ei d'Iside il ministro

trucidar non tentò?...

Di gelosia

fu un insano furor...

II°

Altri più reo

esser di lui potria...

I° (a Burbo)

Tu, sì loquace,

or stai lì muto?...

II°

È suo cliente Arbace.

(squilli lenti di trombe)

Qual suon!

II°

Ecco il ferale

corteo s'avanza.

BURBO

È lui!

POPOLANO

Pallor mortale

sul volto egli ha, ma il piede

franco e sicuro incede.

Al suono di funebre marcia, preceduto e seguìto da Soldati, da Guardie, ecc., e circondato da Littori, Glauco attraversa la scena dirigendosi verso l'anfiteatro. Giunto a pochi passi da esso, si arresta. Burbo e i Popolani, insieme ad altri sopraggiunti, si tengono in disparte.

Scena seconda

Glauco, Littori, Soldati, ecc., altri Popolani e detti.

GLAUCO

Un istante vi chieggo!... Un solo istante

di questo liber aere

la voluttà ch'io spiri! ~ E tu m'ascolta,

o popolo. ~ Non mente

chi vicino è a morir... Sono innocente! ~

Un dì squarciato il velo

fia d'un mistero infame: il nome mio

or d'onta ricoperto, immacolato

risorgerà! ~ Dopo la tomba ancora

ha la vittima un grido... ~

Popolo, a te le mie vendette affido.

O Jone! ~ O di quest'anima

desio supremo e santo,

non è il morir, ma il perderti

che m'addolora or tanto.

Ah! di me priva, o misera,

qual più ti resta aita?

Lunga agonia di spasimi

per te sarà la vita...

Ma no! ~ conforto siati

la mia memoria, o cara:

d'amor eterna un'ara

per noi l'Eliso avrà.

ALCUNE VOCI

Vieni!

GLAUCO

(con tutto il trasporto)

Il tuo Glauco, l'ultimo

in terra addio ti dà!

(s'incammina al circo: dopo il corteggio, v'entrano i popolani con Burbo, mormorando fra loro:)

POPOLANO

Non è, non è colpevole,

il suo sembiante il dice.

II°

Andiamo: a noi non lice

che fremere e tacer.

BURBO

Andiam: (se n'esco incolume,

miracolo è davver!)

Scena terza

Sallustio e Nidia.

SALLUSTIO

Ben t'affidasti a me: più vero amico

non ha Glauco in Pompei.

Vieni... lo salverem.

NIDIA

Burbo smentirmi

non oserà.

SALLUSTIO

Se pur l'osasse, fede

trovar potria?... Nel popolo

autorevole ho voce.

Vieni... giustizia avremo.

NIDIA

(Oh questa gioia

concedetemi, o numi, e poi... ch'io muoia!)

(entrano nel circo)

Scena quarta

Jone, indi Arbace.

JONE

(si avanza a passi concitati: ha il volto pallido, la chioma scarmigliata, le vesti discinte: tutto palesa il delirio ond'è agitata)

Glauco, ove sei?... d'intorno a me non sento

spirar l'ambrosia, indizio

della presenza tua... T'affretta! L'ara

d'Imen ci attende: un talamo di fiori

la Grecia a noi prepara... oh vien! d'amarmi

dicevi tanto, e puoi così lasciarmi? ~

Dèi, qual truce fantasma!... l'infocato

sguardo fissa su me... m'insegue... Scampo

dove trovar?... ~ Il lampo

mi brilla d'un pugnal... Ah Glauco!... desso! ~

D'un anatema orribile

il grido ascolto... avvinto

l'han di ritorte... al circo è tratto!... ~ II mio

Glauco salvar or chi può mai!

ARBACE

Sol io!

JONE

Tu?!... ~ ti conosco al fremito

che nel mio sen ridesti...

Arbace sei! tu irridere

al mio dolor vorresti.

ARBACE

Salvarlo io posso. ~ L'arbitra

del suo destin sei sola.

JONE

Io?... tu m'inganni.

ARBACE

Un'unica

chieggo da te parola...

JONE

Oh, ti comprendo!... scostati!

Rabbrividir mi fai.

ARBACE

D'un lungo amore e fervido

dammi mercé...

JONE

No, mai!

ARBACE

(con amaro sarcasmo)

Così leggiadro, ei vittima

fia d'una belva e pasto...

Pensa!

JONE

Più rio supplizio

l'aspetto tuo mi dà...

Tutto a soffrir io basto,

tranne l'infamia... va!

ARBACE

(come sopra)

L'ami tanto e l'abbandoni,

a sì crudo, atroce fato?...

Questo è il premio che gli doni,

della fé ch'ei t'ha serbato!

Vieni, oh vieni di sua morte

impassibil spettatrice,

a te piangere non lice,

debol senso è la pietà...

Vien, gli apprendi ad esser forte...

di te degno ei morirà.

JONE

Godi, insulta a mia sventura,

va' superbo del mio pianto;

vitupero di natura,

per te nulla al mondo è santo.

Come folgor mi percuote

quel sorriso tuo beffardo:

vanne... togliti al mio sguardo,

altro chiederti non so...

Delle furie sacerdote,

te l'Averno scatenò!

(squillo di trombe dal circo)

JONE

(con grido disperato)

Ah!

ARBACE

Tremar ti veggo!... Impreca

a me ancor nell'ira cieca.

JONE

Dèi, pietà! pietà!

ARBACE

Tu pria

di me l'abbi... ~ Sarai mia?

Un accento!... hai tempo ancora...

mia sarai?... rispondi...

JONE

No!

No!...

ARBACE

Il volesti... ebben, ch'ei mora!

Vendicato almen sarò!

JONE

Oh, perdonami! Tua schiava

ecco io cado a' tuoi ginocchi...

il dolor in me parlava...

Deh pietà di lui ti tocchi!

Se mercede non poss'io

a te rendere d'amor,

come un padre, come un dio

t'avrò sempre nel mio cor.

ARBACE

A' miei piedi supplicante,

avvilita alfin ti veggo...

me sprezzar volesti amante,

altri affetti a te non chieggo.

Preghi invano: or t'odio tanto

quanto amato t'ho finor...

Del suo sangue, e del tuo pianto

sitibondo ho solo il cor!

(entra nel circo. Jone lo segue, anelante: ad un tratto indietreggia come colpita da ribrezzo)

Scena quinta

Jone sola.

JONE

No, non mi regge il cor!... di me più forte

è l'angoscia del duol.

VOCI

dal circo

Grazia!

JONE

Qual grido!

VOCI

dal circo

Arbace a morte!...

JONE

Non è sogno il mio...

sperar ancora e non morir poss'io!

Tuono sotterraneo.

JONE

Ahimè!... vacilla il suol... Tuona de' numi

minacciosa la voce...

VOCI

dal circo

Il tremuoto! ~

Alle case! ~ Fuggiam! ~

JONE

Nuovo m'invade

terror... che fia! ~ Dal circo

il popolo si versa...

Cittadini, Popolani d'ambo i sessi, confusi a' Patrizi, a' Schiavi e Gladiatori escono, ecc. dall'anfiteatro urlandosi e accalcandosi gli uni sugli altri, e dirigendosi a parti diverse.

Oh, chi novella

del mio Glauco mi dà! Ruini il mondo

ma ch'io lo vegga un'altra volta!

(si precipita tra la folla. Glauco esce dal circo insieme a Nidia e Sallustio; Jone manda un grido di gioia)

È desso!

Scena sesta

Glauco, Nidia, Sallustio e detta e Popolo.

GLAUCO E JONE

(avanzandosi, e con tutto l'entusiasmo)

Sento intera la vita in quest'amplesso!

Sì, m'abbraccia! oh gioia immensa

che uman labbro non esprime!

Un istante ci compensa

giorni e giorni di dolor.

In quest'estasi sublime

duri eterno il nostro amor.

NIDIA

Nulla in terra or più mi resta,

consumato ho l'olocausto...

quella gioia a me funesta

io non valgo a sostener.

SALLUSTIO

D'avvenir ognor più fausto

questo dì vi sia forier.

JONE

(a Glauco)

Ma chi t'ha salvo?... narrami...

GLAUCO

Vedi...

(accennando Sallustio e Nidia)

SALLUSTIO

Non io, fu dessa.

JONE E GLAUCO

Tu, Nidia!...

SALLUSTIO

Il troppo giubilo

muta la fa...

JONE

(con tenerezza)

Tu stessa!

SALLUSTIO

Ella al pretor le perfide

frodi svelò d'Arbace...

JONE

Di me, di me tu, Nidia,

più fortunata e audace!

Nuova detonazione: colonne di denso e nero fumo s'innalzano per l'aria.

GLAUCO E SALLUSTIO

Ah!...

SALLUSTIO

D'infocata cenere

un turbo ci circonda...

GLAUCO

Trema la terra... addensasi

notte su noi profonda.

(tratto, tratto, torme di fuggiaschi d'ogni età e d'ambo i sessi, traversano la scena: alcuni di essi, recano urne e oggetti preziosi)

CORO

Fuggiamo!... Al mar!...

SALLUSTIO

Avrà una nave il lido...

(si allontana rapidamente)

JONE

Stretta al tuo seno, o Glauco,

ogni periglio io sfido.

Il tuo destino è il mio.

GLAUCO

Vieni!...

(a Nidia che resta immobile e pensierosa)

NIDIA

Restar degg'io...

GLAUCO

Vieni, la Grecia ~ tu rivedrai.

JONE

In me una tenera ~ sorella avrai.

Se a noi sorriso ~ la vita appresta,

ognor diviso ~ con te sarà.

GLAUCO

Deh, vieni, o Nidia! ~

NIDIA

No, qui m'arresta

una terribile ~ necessità.

JONE

Di gemme splendide ~ ti farò dono,

di schiave e porpore ~

NIDIA

Per me che sono?

GLAUCO

Oh non è vero ~ che ci ami tanto!

JONE

A questo pianto ~ resisti ancor?

GLAUCO

Grave nell'anima ~ chiudi un mistero...

NIDIA

(Codarda! ed esito?... ~ O Grecia, o amor!)

Nuova e più terribile detonazione, cui s'aggiunge il rumore lontano del Vesuvio e del mare agitato: un negro nembo involge d'improvviso l'aria e la terra.

JONE E GLAUCO

Non vedi?... perderci ~ vuoi teco?... vieni!

NIDIA

Giorni v'arridano ~ sempre sereni.

Addio... qui resto. ~

GLAUCO

Sì ingrata sei!

NIDIA

(disperatamente)

D'amor funesto ~ ardo per te!...

GLAUCO E JONE

Tu!... tu!...

NIDIA

(a Jone)

Perdonami. ~

(a Glauco)

Serbati a lei...

del mar i vortici ~ sien tomba a me.

(fugge rapidamente e sparisce nelle tenebre)

JONE

Che intesi!...

GLAUCO

Ahi misera!... ~

JONE

Dov'è?... disparve.

GLAUCO

Veder là un candido ~ velo mi parve...

è dessa!...

JONE

Salvisi... ~

GLAUCO

Vana è l'aita!

SALLUSTIO

(dal fondo)

O Glauco, Glauco ~ t'affretta... vien!

JONE E GLAUCO

Se a noi la sorte ~ lo vieta in vita,

congiunti in morte ~ saremo almen!

CORO

Ardenti corrono ~ le lave a fiumi,

le mura crollano, ~ l'are de' numi:

a noi l'estremo ~ fato sovrasta...

Voragin vasta ~ Pompei si fa.

Nel mar rifugio ~ trovar potremo...

al mar!... la patria ~ con noi verrà!

Glauco e Jone corrono abbracciati verso il mare confusi alla Folla che si accalca da ogni parte nell'estremo della disperazione. Fra le grida di spavento e il fracasso de' crollanti edifizi, cala la tela.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta