JONE
Dramma lirico in quattro atti.
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Libretto di Giovanni PERUZZINI.
Musica di Errico PETRELLA.
Prima esecuzione: 26 gennaio 1858, Milano.
Personaggi:
ARBACE egiziano, gran sacerdote d'Iside |
baritono |
JONE |
soprano |
GLAUCO ateniese |
tenore |
NIDIA schiava tessala |
mezzosoprano |
BURBO taverniere, un tempo gladiatore |
basso |
SALLUSTIO giovane patrizio amico di Glauco |
basso |
CLODIO giovane patrizio amico di Glauco |
tenore |
DIRCE schiava di Jone |
mezzosoprano |
Un Sacerdote d'Iside, uno Schiavo etiope.
Giovani Patrizi - Gladiatori - Sacerdoti d'Iside
Schiave di Jone - Schiavi di Arbace
Popolo di Pompei e dei paesi vicini
Edili - Venditori di pesci e di frutta
Fioraie - Guardie del circo - Centurioni - Littori - Soldati
La Scena è in Pompei.
L'anno 79 dell'era volgare.
Al lettore
La favola d'amore su cui si appoggia principalmente il noto romanzo di Bulwer: Gli ultimi giorni di Pompei, mi ha suggerita l'idea del presente dramma lirico.
Ne conservai i personaggi più importanti e, per quanto mi fu possibile, la loro fisonomia caratteristica; fatta eccezione a quello di Nidia, il quale, sebbene eminentemente poetico e interessantissimo nel romanzo, pure, riprodotto tal quale, mi sembrava poco opportuno o almeno troppo pericoloso in un dramma per musica. Lasciato da parte ogni episodio che sarebbe stalo d'inciampo allo sviluppo di un'azione, ristretta in così angusti confini, e che d'altronde nel romanzo si lega ed unifica al soggetto principale, mi trovai nella necessità di discostarmi dall'autore inglese nei vari incidenti che formano l'orditura dell'azione medesima. All'impronta moderna che ho creduto dare ad un argomento di genere classico, mi sieno di giustificazione lo stesso Bulwer, di cui ho seguìto l'esempio, e Gualtiero Scott, il quale nella prefazione all'Ivanhoe, scriveva che: per destare un interesse qualunque, è d'uopo che il soggetto trascelto venga, per così dire, tradotto nelle costumanze, del pari che nella lingua, del secolo io cui viviamo.
L'Autore.
Taverna di Burbo.
Da un'asse confitta nel muro, pendono orci d'olio ed anfore di vino: altre anfore sparse per terra. Sopra una panca stanno gittati alla rinfusa i pallii dei giovani Patrizi, che intorno ad un'altra giuocano ai dadi; mentre, dal lato opposto, alcuni Gladiatori bevono e cianciano fra loro allegramente. È l'alba già inoltrata. Tre o quattro lampade disposte in giro sulla parete dipinta a vivaci colori, mandano un resto di luce.
Fra i giovani Patrizi, Glauco, Clodio e Sallustio: più tardi Burbo che va e viene recando vino od altro.
GLADIATORI
Vuote son l'anfore...
(chiamando)
Burbo!... che fai?
A gola asciutta ci lasci qua?
Se a' nostri stomachi vigor non dài,
con fiacca lena si lotterà.
PATRIZI
(a Glauco)
Su, scuoti il bossolo!... la sorte è varia...
GLAUCO
Per Giove!... il punto sempre peggior!
Bossolo e dadi saltar fo' all'aria.
SALLUSTIO
Chi perde in gioco vince in amor.
CLODIO
Forse il sinistro sguardo d'Arbace
t'ha fatto il caso ieri scontrar?
SALLUSTIO
Ovver di Jone l'occhio vivace?
GLAUCO
Non déi quel nome qui profanar.
CLODIO
Ti metti al serio? Già lo si vede,
non sei più quello de' primi dì.
GLAUCO
Non son più quello?... pazzo chi 'l crede.
Burbo... il falerno...
GLI ALTRI
Bravo!... così!
(Burbo, che poco prima avrà recato da bere ai gladiatori, torna in iscena, depone un'altra anfora sulla tavola dei patrizi e riparte)
GLAUCO
(alzando il calice colmo, prorompe con enfasi)
Su, di pampini, di grappi
m'intrecciate una corona!
Cinto d'anfore e di nappi,
salgo in vetta all'Elicona.
Viva Bacco il re de' numi,
inni a Venere e profumi!
Canti chi vuole d'elmi e corazze,
l'ire e le stragi del dio guerrier;
io fra le belle pugno e le tazze,
ebro, non morto, voglio cader.
Allor che in pugno l'anfora ho stretta,
io non invidio lo scettro ai re...
sacra dell'oro la fame è detta,
sacra è del vino la sete a me.
CORO
Séguita, séguita... bravo!... così!
Or torni il Glauco de' primi dì.
GLAUCO
Per le vene già del nume
sento corrermi l'ebbrezza.
Con la bianca man di piume
vieni, o bella, e m'accarezza.
Voluttà dalle pupille
ch'io ti beva a calde stille...
Vo' del tuo crine baciar le anella,
sulla tua bocca la mia serrar...
meno ritrosa sarai più bella...
ama, fanciulla; vita è l'amar!
TUTTI
Venere e Bacco son nostri numi,
noi della vita cogliamo il fior:
a Bacco e Venere canti e profumi...
viva il falerno... viva l'amor!
NIDIA
(di dentro)
Ahimè!
TUTTI
Qual grido!
GLAUCO
Nidia!
Nidia, indi Burbo e detti.
NIDIA
(gettandosi ai piedi di Glauco)
Soccorso!
Pietà!...
GLAUCO
Chi offenderti, fanciulla, osò?
(vedendo Burbo, che col flagello sollevato sarà rimasto immobile sulla soglia)
GLAUCO
Ah tu, tu, Burbo!... Cerbero, od orso,
l'unghie rapaci ti strapperò.
Qual è il suo fallo?
BURBO
Mia schiava è dessa,
e d'ubbidirmi ricusa ognor.
NIDIA
(arrossendo)
Volea... d'Arbace...
GLAUCO
(a Nidia)
T'intendo... cessa...
povera vittima, sorgi e fa cor.
(a Burbo)
La compro... il prezzo?
BURBO
Cara mi costa...
venti sesterzi...
GLAUCO
(gettandogli una borsa)
Il doppio... a te!
BURBO
Certe ragioni non han risposta...
(raccogliendo da terra la borsa)
È tua!
GLAUCO
Va'... libera, Nidia, tu se'.
PATRIZI, SALLUSTIO, CLODIO E GLADIATORI
Al generoso Glauco sia festa.
NIDIA
(Libera!)
GLAUCO
Nidia, perché sì mesta?
NIDIA
(a Glauco)
Abbandonata, ed orfana
dove trovar ricetto?
Quale per me può fascino
aver la libertà?
Schiava, ma a te da presso
viver mi sia concesso...
Del mio signor il tetto
Eliso a me sarà.
GLAUCO
Lo brami?... sia.
CLODIO E SALLUSTIO
Su, Glauco,
l'alba da un pezzo è desta!...
L'ultima tazza è questa...
evviva Bacco e Amor.
SALLUSTIO
(ai gladiatori)
Bevete... io pago! ~ al solito
fu il giuoco a me propizio.
BURBO E GLADIATORI
Al nobile patrizio
far noi sapremo onor.
GLAUCO
(Immagin cara di Jone mia,
celeste raggio tu brilli a me...
Oh, nel tuo amore redento io sia...
Jone, ch'io possa levarmi a te!)
NIDIA
(La troppa gioia m'opprime il core,
quasi a me stessa creder non so.
Di Glauco schiava!... sogni d'amore,
in voi la vita delizierò!)
BURBO
(Come di gioia le brilla il viso!
Il mio sospetto certezza è già...
per lei di Glauco solo un sorriso
vale una vita di libertà.)
SALLUSTIO, CLODIO E PATRIZI
Venere e Bacco son nostri numi,
noi della vita cogliamo il fior.
A Bacco e Venere canti e profumi,
viva il falerno, viva l'amor!
GLADIATORI
Oggi gagliardo, domani esangue,
del gladiatore quest'è il destin:
pria che del circo nuotar nel sangue,
della taverna nuotiam nel vin.
Glauco parte insieme a Clodio, a Sallustio e agli altri giovani Patrizi, e seguìto da Nidia. Dopo di loro escono i Gladiatori. Burbo, rimasto solo, cava di sotto alla tunica la borsa datagli da Glauco, ne versa il denaro su di un tavolo, e lo sta contemplando con compiacenza.
Burbo indi Arbace.
BURBO
È un giorno di fortuna: generoso
l'ateniese è davver! Questo si chiama
esser ricchi e patrizi! Un mucchio d'oro! ~
E Arbace?... alla colomba
io sciolsi l'ale, e il falco
più ghermirla non può... La sua vendetta
sento ruggir. ~ Astuzia a me non manca...
l'affronterò! Quest'oro intanto è mio.
(accorgendosi d'Arbace, che entrato improvvisamente in iscena, gli batte della mano una spalla)
Ah! Sei tu?
ARBACE
BURBO
È vero.
ARBACE
BURBO
Non è colpa mia:
a preghi, a minacce fu dessa restia.
ARBACE
BURBO
(con espressione maliziosa)
La tessala è bella,
ma... al sole di Jone s'offusca ogni stella.
ARBACE
BURBO
Nulla. ~ Di Nidia nel core
io lessi... per Glauco delira d'amore:
giovarti può forse! Rival fortunata,
è Jone frattanto di Glauco l'amata.
ARBACE
BURBO
Dal Glauco d'un giorno s'è fatto diverso...
gli amici abbandona; sol Jone ha nel cor.
ARBACE
BURBO
A forza l'han tratto, ma quasi non bebbe.
Da un pezzo gli amici si lagnan di lui.
ARBACE
BURBO
La fama ne corre per tutta Pompei.
ARBACE
BURBO
La Saga del monte!
ARBACE
BURBO
In tutto a servirti lo schiavo è disposto.
ARBACE
(si trae dal dito un anello e lo consegna a Burbo)
BURBO
Quale il core fedele ho la lingua,
del mio zelo t'ho date già prove:
me di premio lusinga non move,
l'ubbidirti è una legge per me.
(Quando d'oro la borsa s'impingua,
non il come m'importa e perché!)
(Arbace parte. Burbo raccolto il danaro, si ritira nell'interno della taverna)
Stanza di Jone riccamente addobbata.
Le porte son chiuse da cortine di porpora e le pareti adorne di dipinti: una delle porte mette al giardino.
Jone sola.
Oh, qual la prima volta m'appariva
nel tempio della diva,
l'ho sempre agli occhi miei, sempre dinante
il suo gentil sembiante!
Ed ei?... di pari affetto ei forse m'ama...
svelar non l'osa... e il brama!
Nel sol quand'è più splendido,
il suo sorriso io vedo;
guardo le stelle, e simbolo
degli occhi suoi le credo.
Nel mormorio dell'onda
lo ascolto a me parlar...
l'aura che mi circonda
piena dì lui mi par.
L'amo, l'amo, e la fiamma immortale
tempo, o affanno distrugger non può!
Viva in core, gelosa vestale,
custodir quella fiamma saprò!
Arbace e detta.
ARBACE
JONE
Arbace!...
ARBACE
JONE
Delitto
è forse amor?
ARBACE
JONE
Alcun più vago
più nobile garzon non ha Pompei.
ARBACE
JONE
(con franca ingenuità)
Glauco.
ARBACE
JONE
Che dici mai?
ARBACE
JONE
(Glauco!... il mio Glauco!... misera,
che ascolto!... e sarà vero?
Aver sì vil può l'anima
e il volto onesto e altero?
Quegli occhi a me mentivano,
gli occhi pur casti tanto!
Cinto da vel più santo
mai non fu in terra amor.)
ARBACE
JONE
Non proseguir: soccombere
al troppo duol mi vedi...
ARBACE
Dirce, Nidia e detti.
DIRCE
Una schiava giovinetta
favellar a te desia;
nel vestibolo ella aspetta.
JONE
Una schiava!... e chi l'invia?
DIRCE
Nulla disse: a te soltanto
par che il voglia confidar.
JONE
Venga.
(Dirce parte ed entra Nidia)
ARBACE
NIDIA
(fissando Jone)
(Ahi, bella tanto!)
ARBACE
JONE
(a Nidia)
Puoi libera parlar.
NIDIA
Chi mi manda e chi son io
ti dirà questo papiro.
(porgendo a Jone un foglio ch'essa apre e legge con ansietà)
JONE
(Glauco!)
ARBACE
JONE
(Il ciglio mio
non m'inganna... io non deliro!)
(accostandosi ad Arbace e in tuono di trionfo)
Quella schiava compra or ora,
vedi... in dono egli offre a me:
leggi, Arbace, e dimmi ancora,
dì, se il puoi, che abbietto egli è.
(a Nidia con trasporto)
Cara a Glauco, o mia fanciulla,
come amarti non dovrei?
Poi che Grecia a te fu culla,
più diletta ancor mi sei.
Così ingenua, così bella,
gentil dono ei m'offre in te...
più che schiava, ognor sorella
tu sarai, fanciulla, a me.
ARBACE
JONE
(Mendace il grido ~ non fu d'amor,
essermi infido ~ potea quel cor?...
d'affetto pegno ~ novel mi diè...
oh m'ama, e degno ~ d'amor egli è!)
NIDIA
(Ahi, tanto e come ~ pietosa a me!
di Glauco il nome ~ solo il poté...
fatal mi corse ~ le vene un gel...
l'ama ella forse?... ~ dubbio crudel!)
Arbace parte: Jone si ritira nette stanze attigue. Sulla porta che mette al giardino si affacciano Dirce e le altre Schiave che invitano Nidia a seguirle.
Porticato che dà accesso ai giardini della casa di Jone. Nel centro del giardino, un'elegante fontana, e qua e là bizzarramente disposte, alcune statue di marmo. È presso la sera. Da un lato gli appartamenti internamente illuminati.
Nidia, appoggiata ad una colonna, sta immersa in profonda tristezza, mentre s'ascolta il seguente:
CORO
interno
Sotto le dita eburnee
ti suona amor la lira:
te, nuova musa, il fervido
estro di Saffo ispira.
Di fiori e di corone
offriam tributo a te,
ma vago al par di Jone
fiore in Pompei non è.
NIDIA
A lei plausi ed onori, a lei di Glauco
l'amor! ~ Qual più beata
fanciulla in terra?... esser da Glauco amata!
Ed io, povera schiava, il suo compianto
neppur sperar poss'io, ~ che l'amo tanto!
Atroce pena!... ahi sempre
vederlo a lei da presso, e testimone
esser del foco che lo strugge!... O Jone...
per uno solo de' tuoi gaudi, intera
io la vita darei!
Burbo e detta.
BURBO
(che avrà, udite in disparte le ultime parole di Nidia)
Fa' core e spera.
NIDIA
Burbo!...
BURBO
Ti fo' paura? Or già non sei
più schiava mia. Severo
fui talvolta con te, ma t'ebbi cara
pur sempre!
NIDIA
Qual favella!
BURBO
(misterioso e con simulato interesse)
Sventurata
sei tu.
NIDIA
Chi il dice?
BURBO
Io che so tutto, e or ora
da te l'intesi.
NIDIA
Dèi!... pietà!...
BURBO
Più assai
darti poss'io ~ Di Glauco il cor.
NIDIA
Ti fai
gioco di me?
BURBO
Nella natia Tessaglia
mai non udisti favellar d'arcani
filtri d'amor?
NIDIA
L'udii.
BURBO
D'un di que' filtri
vo' farti don.
(traendo dalla cintura una fiala, che Nidia osserva con ansietà)
Tosto che il beva, amarti
Glauco dovrà...
NIDIA
Fia vero?...
ei m'amerà, dicesti!...
BURBO
D'immenso amor.
NIDIA
Ah, sì!
(sta per prendere dalle mani di Burbo l'ampolla ma si pente, compresa da subito ribrezzo)
BURBO
Perché t'arresti?
NIDIA
Inganno egli è! ~ sollecito
farti di me, tu puoi?
BURBO
Io: perché no? risolviti...
NIDIA
Se quel licor...
BURBO
No 'l vuoi?
Sia: tardi un dì pentirtene
dovrai.
NIDIA
Se a lui fatale...
BURBO
A lui fatal?... Non esserlo
può che alla tua rivale.
Al generoso Glauco
io recar danno? stolta
sei, se lo credi... Sbrigati!
Tempo a gettar non ho.
VOCI
interne
Sia plauso a Jone!...
BURBO
Ascolta.
NIDIA
(E lei tradir potrò?)
(Burbo prende Nidia per mano e la conduce verso gli appartamenti)
BURBO
È là... rapito in estasi
della sua diva ai piedi:
d'amor le parla!... in teneri
sguardi languir lo vedi.
Se il foco più s'avanza,
incendio diverrà;
né, a spegnerlo, possanza
virtù di filtro avrà.
NIDIA
(Da quai gelose furie
mi balza il cor commosso!
È un'agonia terribile
che sopportar non posso.
No, com'io l'amo e quanto
null'altra amar lo può...
pur ella è lieta, e pianto
solo in mercede io n'ho!)
BURBO
Ebben!... Spumanti calici
recan le schiave in giro...
non indugiar.
NIDIA
Propizia
Venere a me sarà!
(con improvvisa risoluzione)
Quel filtro!...
BURBO
(porgendole l'ampolla)
È qui... (Respiro!)
NIDIA
Oh gioia... ei mio sarà!
O primi d'amore fantasmi ridenti,
di luce novella brillatemi in cor!
La povera schiava non ha più lamenti...
delizie le appresta di Glauco l'amor!
BURBO
Oh, vanne, t'affretta!... son ore gl'istanti...
coraggio!... la prova fallir non potrà...
VOCI
interne
Fra gaie canzoni, fra nappi spumanti,
un serto di rose la vita si fa.
Nidia entra frettolosa negli appartamenti. Burbo si avvicina alle vetriate e sta osservando: s'odono ad intervalli gli evviva degli invitati.
La scoperta di Pompei distrasse l'erronea opinione degli antiquari che le finestre coi vetri fossero sconosciute ai Romani. Bulwer.
BURBO
Or sarà pago Arbace!... ~ Insania, o morte
suol quel filtro recar. ~ Oh, come trema
la poveretta, e gli occhi
volge d'intorno sbigottita!... Un nappo
ha fra le man... a Glauco
lo porge... il Greco al laccio è preso... beve!
Ah!... la tazza depon... ~ Nidia è svenuta!...
la sorreggon... rinvien!... Sol pochi sorsi
bevuti egli ha! ~ Se resta il colpo a mezzo,
la mia fatica scaderà di prezzo.
(parte)
Glauco indi Jone.
GLAUCO
(esce dagli appartamenti: il suo folto palesa l'emozione ond'è agitato)
O profani diletti, o vane larve
di voluttà bugiarde, or che mi resta
di voi? Rimorso e pianto... È un'altra ebrezza
che mi sublima l'anima e il pensiero. ~
O primo, unico e vero
amor mio, Jone!... Di tua voce il suono
come ogni fibra mi commove, e quanto
m'è possente de' tuoi sguardi l'incanto!
JONE
(che avrà seguite l'orme di Glauco, gli si appressa, e con dolce rimprovero)
Glauco, fuggi da me?
GLAUCO
Fuggirti? e dove
fuggir poss'io che non ti vegga e ascolti?
JONE
Quai detti!
GLAUCO
L'universo
non sei tutto per me?... della tua vita
non vivo?
JONE
Glauco!
GLAUCO
(animandosi sempre più)
Oh no, no mai sì forte
fu in me desio di vagheggiarti appresso...
JONE
Glauco!!
GLAUCO
Di dirti alfin: t'amo... sii mia!
JONE
(Suprema gioia!)
GLAUCO
E udir da' labbri tuoi
un accento dolcissimo d'amore...
dillo!
JONE
(con abbandono)
Su gli occhi non mi leggi il core?
T'amo, t'amo!
GLAUCO
Ah, l'odo alfine
la parola inebriante!
D'una gioia senza fine
veggo il raggio a me dinante.
JONE
Sì d'Imen m'adduci all'ara,
io t'affido e vita e cor.
GLAUCO
Vien: la Grecia a noi prepara
molle un talamo di fior.
Dell'Illisso sulle sponde
ha natura eterno il riso;
là vedrai commosse l'onde
farsi specchio al tuo bel viso.
Di profumi imbalsamate
verran l'aure a carezzarti,
suoni d'arpe innamorate
saran l'eco del mio cor...
tutto, ah tutto per amarti
del mio cielo avrò l'ardor!
JONE
Del mio core ogni speranza
quest'istante appien corona,
a ineffabile esultanza
l'alma assorta s'abbandona.
Come nuvola dorata
il tuo fascino mi cinge,
in un'estasi beata
l'avvenir precorro già...
il destino a te mi stringe,
patria mia la tua sarà.
Te contendermi d'Arbace
il rigor non può...
GLAUCO
Che ascolto!
Lui nomasti?...
(la sua esaltazione cresce: la fronte gli arde, gli occhi errano d'intorno spalancati: il delirio va sviluppandosi)
Ov'è l'audace?...
Oh, nascondimi quel volto!
JONE
Che mai dici?
GLAUCO
Acuti dardi
qui nel cor!... che sete ardente!
Mi scintillano gli sguardi...
JONE
Deh, ti calma!...
GLAUCO
Arbace?... ei mente!...
oh non vedi! è cheto il mare...
Vieni, vien... la nave è presta...
vele ai venti... un lido appare...
va mia Grecia, oh gioia... è questa!
JONE
Tu vaneggi?...
GLAUCO
De' tuoi baci
fa ch'io sugga la dolcezza...
JONE
T'allontana!...
GLAUCO
Perché taci?...
vieni, o bella, e m'accarezza;
voluttà delle pupille
ch'io ti beva a calde stille!
JONE
Numi!
GLAUCO
(il suo delirio è al colmo)
Burbo... qua il falerno!...
vuoto l'anfore d'un sorso...
tazze, dadi, io più non scerno...
JONE
(chiamando)
Ah, soccorso!... Ahimè soccorso!
Invitate, Schiave fra le quali Nidia, Dirce e detti, indi Arbace.
CORO
Delirante egli è... correte!
Glauco, Glauco, oh torna in te!
NIDIA
(Che mai veggo!)
GLAUCO
Voi... chi siete?
Qua il falerno, i dadi a me.
GLAUCO
Canti chi vuole d'elmi e corazze,
l'ire e le stragi del dio guerrier...
io fra le belle pugno e le tazze...
ebro, non morto, voglio cader.
(abbracciando or l'una, or l'altra delle schiave, quasi in frenesia d'amore)
Vo' del tuo crine baciar le anella,
sulla tua bocca la mia serrar...
meno ritrosa sarai più bella...
ama, fanciulla... vita è l'amar!
ARBACE
JONE
(Più non mi vede, più non m'ascolta...
in turpi immagini travolto ha il cor.
Ed io l'amava! delusa e stolta,
io l'ho creduto degno d'amor!)
NIDIA
(Quel filtro!... ah Burbo, m'hai tu tradita?
Doveva io cieca prestarti fé?
Celeste Venere, lo serba in vita;
l'ira tua vindice piombi su me.)
INVITATE
(Come quel volto dianzi sereno,
or di baccante l'immagin dà!
SCHIAVE
Ristoro al foco che gli arde in seno
l'aura notturna forse sarà.
JONE
(ad Arbace)
Consiglio, aita deh tu mi presta,
o mio secondo padre d'amor!
ARBACE
JONE
Quando?...
ARBACE
JONE
Coraggio avrò?
Sola... fra l'ombre...
ARBACE
JONE
(risoluta)
Verrò.
Durante il breve dialogo fra Jone ed Arbace, Glauco, vinto dalla stanchezza, si appoggia seduto per terra, al piedestallo di una colonna. Gl'Invitati e le Schiave lo circondano.
GLAUCO
Canti chi vuole... le stragi...
CORO E NIDIA
Affranto
par che s'addorma...
GLAUCO
Del dio guerrier...
io fra le belle...
CORO E NIDIA
Restiamgli accanto.
GLAUCO
Ebro, non morto... voglio... cader!
Arbace parte, Jone retrocede inorridita, alla vista di Glauco sdraiato nel più licenzioso abbandono: Nidia è in ginocchio supplichevole vicina a lui. Cala il sipario.
Piazza in Pompei; da un lato la casa d'Arbace dinanzi al cui maestoso vestibolo si levano due enormi sfingi: attiguo alla medesima, il tempio d'Iside.
È notte; il cielo sereno e stellato; il mercato è ancora popolato e vivace.
Sotto piccole tende stanno i Venditori di pesce e di frutta, le di cui voci si alternano a quelle delle Fioraie.
CORO
~ Chi vuol pistacchi e datteri!...
aranci chi ne vuole!... ~
~ Garofani, viole,
rose, chi vuol comprar. ~
~ D'ogni gusto, d'ogni odor,
qui son frutta, qui son fior. ~
~ Murene di vivaio,
ostriche di scogliera! ~
~ Tarda si fa la sera...
presto... chi vuol comprar. ~
~ N'ho di lago, n'ho di mar...
chi il mio pesce vuol comprar!
(il cielo si oscura: rumore sotterraneo)
I°
Come l'aria sa di zolfo!...
II°
È presagio di sventura.
Par che s'alzi là dal golfo
una nebbia scura, scura.
I°
Da tre giorni, o molto, o poco,
il Vesuvio manda foco...
II°
Sedici anni restò zitto...
che si desti è da temer.
Nell'anno 63 un terribile terremoto scosse il suolo della Campania, e Pompei molto ne fu danneggiato.
Una scossa s'è sentita...
ahi spavento!... un'altra ancora...
È in pericolo la vita...
via di qua senza dimora.
È castigo degli dèi
pei delitti di Pompei...
Il gran mago dell'Egitto
di salvarci avrà poter.
(si disperdono)
Arbace esce dalla propria casa. Un Sacerdote d'Iside che lo ha seguìto, si trattiene in disparte in attitudine rispettosa.
ARBACE
Jone e Nidia.
JONE
Ecco la sua magion.
(porgendo la mano a Nidia)
Addio: di gelo
è la tua man... tremi per me?
NIDIA
(La voce
mi manca...)
JONE
Addio... veglia su lui... Dal core
perché no 'l posso cancellar?... O amore!
Possente diva, tu di quest'alma
l'atroce affanno tutto comprendi:
come a sicuro porto di calma,
diva possente, mi volgo a te.
O del mio core ~ lui degno rendi,
o quest'amore ~ distruggi in me!
Sale al vestibolo; la porta si apre dinanzi ad essa, che, abbracciata Nidia, entra nel palazzo.
Nidia, rimasta sola, trasalisce: e quasi forsennata si slancia alla porta sforzandosi inutilmente dì riaprirla.
NIDIA
Jone!... non m'ode... Ell'è perduta! ed io
trarla poteva dall'abisso!... complice
mi farò d'un misfatto?... Ah no... si salvi!
Glauco dai suo delirio
rinvenne già... tutto egli sappia!... o dèi,
pietà, pietà!... Glauco salvate in lei!
(parte precipitosa)
Magnifica sala nella casa d'Arbace. Alcune lampade di stupendo lavoro pendenti dal soffitto, mandano una luce pallida e misteriosa. Preziosi dipinti ne adornano le pareti, e greche sculture stanno disposte all'ingiro su piedestalli di granito. Nel fondo il simulacro d'Iside, dietro al quale si distende una cortina di porpora. Porte laterali.
Arbace solo, indi lo Schiavo etiope e Jone.
ARBACE
(lo schiavo etiope si presenta ad una delle porte, e si ritira ad un cenno d'Arbace)
(va incontro a Jone che conduce per mano sul dinanzi della scena)
JONE
Di riverenza
compresa io son.
ARBACE
JONE
(osservando con meraviglia all'intorno)
Quante
dovizie d'arte e di natura!
ARBACE
JONE
Io sol la pace
cerco del cor.
ARBACE
JONE
Lo bramo, e il temo.
ARBACE
(la scena s'abbuia: il simulacro della dèa sembra animarsi, e i suoi occhi brillano d'una fiamma turchina e scintillante)
JONE
Che fu?...
ARBACE
VOCI
(di sotterra)
A que' fiori, o giovinetta,
la tua man non appressar;
il profumo che t'alletta,
in velen si può cangiar:
sotto il verde delle fronde
il serpente si nasconde.
ARBACE
JONE
Sventurata!...
ARBACE
JONE
Quale incanto!... in un'arcana
voluttà mi sento avvolta.
Di melòde non umana
odo il suono a me venir...
ARBACE
Una luce improvvisa e vivissima avrà rischiarata la scena; la cortina sparisce e lascia scorgere un ridente giardino, chiuso nel fondo da elegante tempietto. Gli alberi sparsi qua e là saranno congiunti da festoni di fiori. Giovani Ninfe intrecciano allegre danze al suono di musica voluttuosa. Voci dall'alto intonano il seguente:
Un core per comprenderti
cerca, fanciulla, ed ama:
o vaga fra le vergini,
tutto ad amar ti chiama.
Di gemme, a te conserto
offre il destino un serto...
fugge la vita rapida,
l'ara d'Imen t'attende...
l'uom che la man ti stende,
sol di te degno egli è.
Verso la fine del coro si sarà schiuso il tempietto nel cui mezzo sta un'ara adorna di rose. Da un lato dell'ara appare una figura di donna che ha le sembianze di Jone: dall'altro lato un Fantasma, coperto dalla testa ai piedi d'un manto di porpora, sta genuflesso dinanzi ad essa, in atto di presentarle una regale corona.
JONE
(Dèi! che sarà!...)
ARBACE
JONE
No, gli occhi non m'ingannano...
quella è la mia sembianza.
ARBACE
JONE
Ah, sì!... lo bramo.
ARBACE
(egli solleva una mano, cade il manto che nascondeva le forme del fantasma e Jone mette un grido riconoscendo in esso le sembianze dell'egiziano)
JONE
Sogno, delirio è il mio?...
ARBACE
JONE
Dèi, che ascolto!
ARBACE
JONE
Tu deliri!
ARBACE
JONE
(Lassa! e fede in lui nutriva?...)
ARBACE
JONE
Ah pria morrò.
(svincolandosi dalle braccia di Arbace corre al simulacro d'Iside quasi per farsene scudo)
ARBACE
JONE
No, giammai!... ti scosta!...
ARBACE
Glauco seguìto da Nidia e da alcuni suoi amici, fra' quali Sallustio, Dirce e Schiave di Jone, Sacerdoti, Schiavi di Arbace fra i quali l'Etiope, Burbo e detti.
GLAUCO
(irrompendo con impeto in iscena, si presenta minaccioso a fronte di Arbace)
Io lo posso.
JONE
(con gioia e sorpresa)
Glauco!
ARBACE
(escono dalla cortina i Sacerdoti d'Iside, mentre dalle porte irrompono gli schiavi armati)
GLAUCO
Tu sol, tu sol sacrilega
su lei la man levasti,
tu che quel fior sì candido
contaminar tentasti.
Dell'are vituperio
e non ministro sei...
renderla a me tu déi,
sacra al mio cor ell'è.
ARBACE
ARBACE E SACERDOTI
(a Glauco)
Empio, t'arresta: ad Iside
rapirla invan presumi...
profanator de' numi,
anatema su te!
JONE
Qual nera benda orribile
si toglie agli occhi miei!
Un dio ti guida, o Glauco;
mio salvator tu sei.
La fronte tua sorridermi
non vidi mai più pura,
egida in te sicura
il mio candor avrà.
NIDIA
(Salva... e per me!... più libero
batter mi sento il core...
fonte mi sia di lagrime,
non di rimorsi, amore.
Se eternamente misera
vuole il destin ch'io sia,
della sventura mia
non ei soffrir dovrà.)
GLAUCO
(a Jone)
L'ansia deh frena e i palpiti,
non paventar periglio
presso io ti sono: incolume
è tua purezza, o giglio.
Di sua tremenda folgore
m'armò la destra un dio...
del tuo soffrir, del mio
vendicator qui sto.
BURBO
(Fu passegger delirio
che gli turbò la mente,
sol di gelose furie
or l'anima ha fremente:
quale, in vederlo, insolito
senso nel cor m'è corso?...
Che sia pietà?... rimorso?...
crederlo a me non so.)
SCHIAVI DI ARBACE
Da queste sacre soglie
noi scaccerem l'audace:
parla, e se il brami, esanime
per nostra man cadrà.
DIRCE, SCHIAVE E AMICI DI GLAUCO
(A lei sì turpe insidia
tramar poteva Arbace?
D'un'innocente vittima,
ti prenda, o dèa, pietà.)
ARBACE
GLAUCO
Infame, a te prima... a te morte!
(cieco dall'ira, sguainato il pugnale, si scaglia su Arbace, ma è trattenuto dagli schiavi che lo disarmano)
JONE
Ah!...
NIDIA E BURBO
Che festi?...
SACERDOTI
Anatema, anatema!
GLAUCO
(Rabbia!)
ARBACE
SACERDOTI E SCHIAVI
Alle belve sia tratto!
JONE
Pietà!!...
GLAUCO
Jone, non pianger... sii forte!
JONE, NIDIA, BURBO, SCHIAVE E AMICI DI GLAUCO
Infelice, l'amor lo perdé!
Glauco è trascinato a forza dagli Schiavi fuori del tempio, mentre Arbace e i Sacerdoti scagliano nuovamente su di lui il grido di anatema: Jone, in preda alla sua disperazione si getta fra le braccia di Nidia, circondata dalle Schiave.
Ampia strada di Pompei: da un lato l'esterno dell'anfiteatro: dall'altro, in qualche distanza, il mare. Cittadini riccamente vestiti, alcuni dei quali con séguito di Schiavi: popolani di Pompei e de' paesi vicini ingombrano la scena dirigendosi all'anfiteatro, le di cui porte sono aperte. Vari fra i Popolani trattengono Burbo, e si stringono con esso in colloquio.
POPOLANO
I°
Delle arene, tu antico campione,
oggi al circo mancar non vorrai.
BURBO
Per Polluce!... sì ghiotto boccone
io lasciar non fui solito mai.
CORO
Gladiatori di Gallia e di Roma
cresceranno alla festa splendor.
Se men grigia tu avessi la chioma,
a lottar scenderesti con lor.
BURBO
Il crin l'età m'imbianca,
ma non l'ardir mi manca,
né alle braccia vigor.
POPOLANO
I°
Nessun l'ignora.
II°
Facil vittoria non saresti ancora.
I°
Pur men gaio del solito ti mostri!
II°
Dell'ateniese forse
il destin ti dà pena?
BURBO
A tutti caro
era in Pompei: sì giovine, sì bello...
POPOLANO
I°
E ricco tanto!...
II°
Ei d'Iside il ministro
trucidar non tentò?...
I°
Di gelosia
fu un insano furor...
II°
Altri più reo
esser di lui potria...
I° (a Burbo)
Tu, sì loquace,
or stai lì muto?...
II°
È suo cliente Arbace.
(squilli lenti di trombe)
I°
Qual suon!
II°
Ecco il ferale
corteo s'avanza.
BURBO
È lui!
POPOLANO
I°
Pallor mortale
sul volto egli ha, ma il piede
franco e sicuro incede.
Al suono di funebre marcia, preceduto e seguìto da Soldati, da Guardie, ecc., e circondato da Littori, Glauco attraversa la scena dirigendosi verso l'anfiteatro. Giunto a pochi passi da esso, si arresta. Burbo e i Popolani, insieme ad altri sopraggiunti, si tengono in disparte.
Glauco, Littori, Soldati, ecc., altri Popolani e detti.
GLAUCO
Un istante vi chieggo!... Un solo istante
di questo liber aere
la voluttà ch'io spiri! ~ E tu m'ascolta,
o popolo. ~ Non mente
chi vicino è a morir... Sono innocente! ~
Un dì squarciato il velo
fia d'un mistero infame: il nome mio
or d'onta ricoperto, immacolato
risorgerà! ~ Dopo la tomba ancora
ha la vittima un grido... ~
Popolo, a te le mie vendette affido.
O Jone! ~ O di quest'anima
desio supremo e santo,
non è il morir, ma il perderti
che m'addolora or tanto.
Ah! di me priva, o misera,
qual più ti resta aita?
Lunga agonia di spasimi
per te sarà la vita...
Ma no! ~ conforto siati
la mia memoria, o cara:
d'amor eterna un'ara
per noi l'Eliso avrà.
ALCUNE VOCI
Vieni!
GLAUCO
(con tutto il trasporto)
Il tuo Glauco, l'ultimo
in terra addio ti dà!
(s'incammina al circo: dopo il corteggio, v'entrano i popolani con Burbo, mormorando fra loro:)
POPOLANO
I°
Non è, non è colpevole,
il suo sembiante il dice.
II°
Andiamo: a noi non lice
che fremere e tacer.
BURBO
Andiam: (se n'esco incolume,
miracolo è davver!)
Sallustio e Nidia.
SALLUSTIO
Ben t'affidasti a me: più vero amico
non ha Glauco in Pompei.
Vieni... lo salverem.
NIDIA
Burbo smentirmi
non oserà.
SALLUSTIO
Se pur l'osasse, fede
trovar potria?... Nel popolo
autorevole ho voce.
Vieni... giustizia avremo.
NIDIA
(Oh questa gioia
concedetemi, o numi, e poi... ch'io muoia!)
(entrano nel circo)
Jone, indi Arbace.
JONE
(si avanza a passi concitati: ha il volto pallido, la chioma scarmigliata, le vesti discinte: tutto palesa il delirio ond'è agitata)
Glauco, ove sei?... d'intorno a me non sento
spirar l'ambrosia, indizio
della presenza tua... T'affretta! L'ara
d'Imen ci attende: un talamo di fiori
la Grecia a noi prepara... oh vien! d'amarmi
dicevi tanto, e puoi così lasciarmi? ~
Dèi, qual truce fantasma!... l'infocato
sguardo fissa su me... m'insegue... Scampo
dove trovar?... ~ Il lampo
mi brilla d'un pugnal... Ah Glauco!... desso! ~
D'un anatema orribile
il grido ascolto... avvinto
l'han di ritorte... al circo è tratto!... ~ II mio
Glauco salvar or chi può mai!
ARBACE
JONE
Tu?!... ~ ti conosco al fremito
che nel mio sen ridesti...
Arbace sei! tu irridere
al mio dolor vorresti.
ARBACE
JONE
Io?... tu m'inganni.
ARBACE
JONE
Oh, ti comprendo!... scostati!
Rabbrividir mi fai.
ARBACE
JONE
No, mai!
ARBACE
JONE
Più rio supplizio
l'aspetto tuo mi dà...
Tutto a soffrir io basto,
tranne l'infamia... va!
ARBACE
JONE
Godi, insulta a mia sventura,
va' superbo del mio pianto;
vitupero di natura,
per te nulla al mondo è santo.
Come folgor mi percuote
quel sorriso tuo beffardo:
vanne... togliti al mio sguardo,
altro chiederti non so...
Delle furie sacerdote,
te l'Averno scatenò!
(squillo di trombe dal circo)
JONE
(con grido disperato)
Ah!
ARBACE
JONE
Dèi, pietà! pietà!
ARBACE
JONE
No!
No!...
ARBACE
JONE
Oh, perdonami! Tua schiava
ecco io cado a' tuoi ginocchi...
il dolor in me parlava...
Deh pietà di lui ti tocchi!
Se mercede non poss'io
a te rendere d'amor,
come un padre, come un dio
t'avrò sempre nel mio cor.
ARBACE
(entra nel circo. Jone lo segue, anelante: ad un tratto indietreggia come colpita da ribrezzo)
Jone sola.
JONE
No, non mi regge il cor!... di me più forte
è l'angoscia del duol.
VOCI
dal circo
Grazia!
JONE
Qual grido!
VOCI
dal circo
Arbace a morte!...
JONE
Non è sogno il mio...
sperar ancora e non morir poss'io!
Tuono sotterraneo.
JONE
Ahimè!... vacilla il suol... Tuona de' numi
minacciosa la voce...
VOCI
dal circo
Il tremuoto! ~
Alle case! ~ Fuggiam! ~
JONE
Nuovo m'invade
terror... che fia! ~ Dal circo
il popolo si versa...
Cittadini, Popolani d'ambo i sessi, confusi a' Patrizi, a' Schiavi e Gladiatori escono, ecc. dall'anfiteatro urlandosi e accalcandosi gli uni sugli altri, e dirigendosi a parti diverse.
Oh, chi novella
del mio Glauco mi dà! Ruini il mondo
ma ch'io lo vegga un'altra volta!
(si precipita tra la folla. Glauco esce dal circo insieme a Nidia e Sallustio; Jone manda un grido di gioia)
È desso!
Glauco, Nidia, Sallustio e detta e Popolo.
GLAUCO E JONE
(avanzandosi, e con tutto l'entusiasmo)
Sento intera la vita in quest'amplesso!
Sì, m'abbraccia! oh gioia immensa
che uman labbro non esprime!
Un istante ci compensa
giorni e giorni di dolor.
In quest'estasi sublime
duri eterno il nostro amor.
NIDIA
Nulla in terra or più mi resta,
consumato ho l'olocausto...
quella gioia a me funesta
io non valgo a sostener.
SALLUSTIO
D'avvenir ognor più fausto
questo dì vi sia forier.
JONE
(a Glauco)
Ma chi t'ha salvo?... narrami...
GLAUCO
Vedi...
(accennando Sallustio e Nidia)
SALLUSTIO
Non io, fu dessa.
JONE E GLAUCO
Tu, Nidia!...
SALLUSTIO
Il troppo giubilo
muta la fa...
JONE
(con tenerezza)
Tu stessa!
SALLUSTIO
Ella al pretor le perfide
frodi svelò d'Arbace...
JONE
Di me, di me tu, Nidia,
più fortunata e audace!
Nuova detonazione: colonne di denso e nero fumo s'innalzano per l'aria.
GLAUCO E SALLUSTIO
Ah!...
SALLUSTIO
D'infocata cenere
un turbo ci circonda...
GLAUCO
Trema la terra... addensasi
notte su noi profonda.
(tratto, tratto, torme di fuggiaschi d'ogni età e d'ambo i sessi, traversano la scena: alcuni di essi, recano urne e oggetti preziosi)
CORO
Fuggiamo!... Al mar!...
SALLUSTIO
Avrà una nave il lido...
(si allontana rapidamente)
JONE
Stretta al tuo seno, o Glauco,
ogni periglio io sfido.
Il tuo destino è il mio.
GLAUCO
Vieni!...
(a Nidia che resta immobile e pensierosa)
NIDIA
Restar degg'io...
GLAUCO
Vieni, la Grecia ~ tu rivedrai.
JONE
In me una tenera ~ sorella avrai.
Se a noi sorriso ~ la vita appresta,
ognor diviso ~ con te sarà.
GLAUCO
Deh, vieni, o Nidia! ~
NIDIA
No, qui m'arresta
una terribile ~ necessità.
JONE
Di gemme splendide ~ ti farò dono,
di schiave e porpore ~
NIDIA
Per me che sono?
GLAUCO
Oh non è vero ~ che ci ami tanto!
JONE
A questo pianto ~ resisti ancor?
GLAUCO
Grave nell'anima ~ chiudi un mistero...
NIDIA
(Codarda! ed esito?... ~ O Grecia, o amor!)
Nuova e più terribile detonazione, cui s'aggiunge il rumore lontano del Vesuvio e del mare agitato: un negro nembo involge d'improvviso l'aria e la terra.
JONE E GLAUCO
Non vedi?... perderci ~ vuoi teco?... vieni!
NIDIA
Giorni v'arridano ~ sempre sereni.
Addio... qui resto. ~
GLAUCO
Sì ingrata sei!
NIDIA
(disperatamente)
D'amor funesto ~ ardo per te!...
GLAUCO E JONE
Tu!... tu!...
NIDIA
(a Jone)
Perdonami. ~
(a Glauco)
Serbati a lei...
del mar i vortici ~ sien tomba a me.
(fugge rapidamente e sparisce nelle tenebre)
JONE
Che intesi!...
GLAUCO
Ahi misera!... ~
JONE
Dov'è?... disparve.
GLAUCO
Veder là un candido ~ velo mi parve...
è dessa!...
JONE
Salvisi... ~
GLAUCO
Vana è l'aita!
SALLUSTIO
(dal fondo)
O Glauco, Glauco ~ t'affretta... vien!
JONE E GLAUCO
Se a noi la sorte ~ lo vieta in vita,
congiunti in morte ~ saremo almen!
CORO
Ardenti corrono ~ le lave a fiumi,
le mura crollano, ~ l'are de' numi:
a noi l'estremo ~ fato sovrasta...
Voragin vasta ~ Pompei si fa.
Nel mar rifugio ~ trovar potremo...
al mar!... la patria ~ con noi verrà!
Glauco e Jone corrono abbracciati verso il mare confusi alla Folla che si accalca da ogni parte nell'estremo della disperazione. Fra le grida di spavento e il fracasso de' crollanti edifizi, cala la tela.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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