L'ISOLA DISABITATA
Azione teatrale.
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Libretto di Pietro METASTASIO.
Musica di Franz Joseph HAYDN.
Prima esecuzione: 6 dicembre 1779, Esterháza.
Personaggi:
COSTANZA moglie di Gernando |
soprano |
SILVIA di Costanza sorella minore |
soprano |
ENRICO compagno di Gernando |
basso |
GERNANDO consorte di Costanza |
tenore |
Argomento
Navigava il giovane Gernando co' la sua giovanetta sposa Costanza e con la piccola Silvia ancora infante, di lei sorella, per raggiungere nell'Indie Occidentali il suo genitore, a cui era commesso il governo di una parte di quelle; quando da una lunga e pericolosa tempesta fu costretto a discendere in un'isola disabitata per dar agio alla bambina ed alla sposa di ristorarsi in terra delle agitazioni del mare. Mentre queste placidamente riposavano in una nascosta grotta, che loro offerse comodo ed opportuno ricetto, l'infelice Gernando con alcuni de' suoi seguaci fu sorpreso, rapito e fatto schiavo da una numerosa schiera di pirati barbari, che ivi sventuratamente capitarono. I suoi compagni, che videro dalla nave confusamente il tumulto, e crederono rapite con Gernando la bambina e la sposa, si diedero ad inseguire i predatori; ma, perduta in poco tempo la traccia, ripresero il loro interrotto cammino. Desta la sventurata Costanza, dopo aver cercato lungamente invano lo sposo e la nave che l'avea colà condotta, si credé, come Arianna, tradita ed abbandonata dal suo Gernando. Quando i primi impeti del suo disperato dolore cominciarono a dar luogo al naturale amor della vita, si rivolse ella, come saggia, a cercar le vie di conservarsi in quell'abbandonata segregazion de' viventi; ed ivi dell'erbe e delle frutte, onde abbondava il terreno, si andò lunghissimo tempo sostenendo con la picciola Silvia, ed inspirando l'odio e l'orrore da lei concepito contro tutti gli uomini all'innocente che non li conosceva. Dopo tredici anni di schiavitù, riuscì a Gernando di liberarsi. La prima sua cura fu di tornare a quell'isola, dove aveva involontariamente abbandonata Costanza, benché senz'alcuna speranza di ritrovarla in vita.
L'inaspettato incontro de' teneri sposi è l'azione che si rappresenta.
Parte prima.
[Sinfonia]
Parte amenissima di picciola e disabitata isoletta a vista del mare, ornata distintamente dalla natura di strane piante, di capricciose grotte e di fioriti cespugli. Gran sasso molto innanzi dal destro lato, sul quale si legge impressa un'iscrizione non finita in caratteri europei.
Costanza, vestita a capriccio di pelli, di fronde e di fiori, con elsa e parte di spada logora alla mano, in atto di terminare l'imperfetta iscrizione.
Recitativo
COSTANZA
Qual contrasto non vince
l'indefesso sudor! Duro è quel sasso,
l'istromento è mal atto,
inesperta la mano; e pur dell'opra
eccomi al fin vicina. Ah sol concedi
ch'io la vegga compita,
e da sì acerba vita
poi mi libera, o ciel. Se mai la sorte
ne' dì futuri alcun trasporta a questo
incognito terreno,
dirà quel marmo almeno
il mio caso funesto e memorando.
(legge l'iscrizione)
«Dal traditor Gernando
Costanza abbandonata, i giorni suoi
in questo terminò lido straniero.
Amico passeggero,
se una tigre non sei
o vendica o compiangi... i casi miei.»
Questo sol manca. A terminar s'attenda
dunque l'opra che avanza
(torna al lavoro)
Silvia frettolosa ed allegra, e detta.
SILVIA
Ah germana! Ah Costanza!
COSTANZA
Che avvenne, o Silvia? Onde la gioia?
SILVIA
Io sono
fuor di me di piacer.
COSTANZA
Perché?
SILVIA
La mia
amabile cervetta,
in van per tanti dì pianta e cercata,
da sé stessa è tornata.
COSTANZA
E ciò ti rende
lieta così?
SILVIA
Poco ti pare? È quella
la mia cura, il sai pur, la mia compagna,
la dolce amica mia. M'ama, m'intende,
mi dorme in sen, mi chiede i baci, è sempre
dal mio fianco indivisa in ogni loco:
la perdei; la ritrovo; e ti par poco?
COSTANZA
Che felice innocenza!
(torna al lavoro)
SILVIA
E ho da vederti
sempre in pianti, o germana?
COSTANZA
E come il ciglio
mai rasciugar potrei?
Già sette volte e sei
l'anno si rinnovò da che lasciata
in sì barbara guisa,
da' viventi divisa,
di tutto priva e senza speme, oh dio!
Di mai tornar su la paterna arena,
vivo morendo: e tu mi vuoi serena?
SILVIA
Ma per esser felici
che manca a noi? Qui siam sovrane. È questa
isoletta ridente il nostro regno;
sono i sudditi nostri
le mansuete fiere. A noi produce
la terra, il mar. Dalla stagione ardente
ci difendon le piante, i cavi sassi
dalla fredda stagion; né forza o legge
qui col nostro desio mai non contrasta.
Or di', che basterà, se ciò non basta?
COSTANZA
Ah tu del ben, che ignori,
la mancanza non senti. Atta del labbro
a far uso non eri, o del pensiero,
quando qui si approdò; né d'altro oggetto
che di ciò che hai presente
serbi le tracce in mente. Io, ch'era allora
quale or tu sei, paragonar ben posso,
(oh memoria molesta!)
con quel ben che perdei, quel che mi resta.
SILVIA
Spesso esaltar t'intesi
le ricchezze, il saper, l'arti, i costumi,
le delizie europee; ma con tua pace
questa assai più tranquillità mi piace.
COSTANZA
Silvia, v'è gran distanza
dall'udire al veder.
SILVIA
Ma pur le belle
contrade che tu vanti
d'uomini son feconde; e questi sono
la specie de' viventi
nemica a noi. Tu mille volte e mille
non mi dicesti...
COSTANZA
Ah sì, te 'l dissi, e mai
non te 'l dissi abbastanza. Empii, crudeli,
perfidi, ingannatori,
d'ogni fiera peggiori,
che sia pietà non sanno;
non conoscon, non hanno
né amor, né fé, né umanità nel seno.
(piange)
SILVIA
E ben, da lor qui siam sicure almeno.
Ma... tu piangi di nuovo! Ah no, se m'ami,
non t'affligger così. Che far poss'io,
cara, per consolarti?
(la prende per mano)
Brami la mia cervetta? Asciuga il pianto,
e in tuo poter rimanga.
COSTANZA
Ah troppo, o Silvia mia, giusto è ch'io pianga.
(abbracciandola)
[Aria - Se non piange un'infelice]
Se non piange un'infelice,
da' viventi separata,
dallo sposo abbandonata,
dimmi, oh dio, chi piangerà?
Chi può dir ch'io pianga a torto,
se né men sperar mi lice
questo misero conforto
d'ottener l'altrui pietà.
(parte)
Alla replica dell'aria si vede passar di lontano a vele gonfie una nave, dalla quale scendono sul palischermo Gernando ed Enrico in abito indiano che sbarcan poi sul lido.
Silvia sola.
Recitativo
Che ostinato dolor! Quel pianger sempre
mi fa sdegno e pietà. Prego, consiglio,
sgrido, accarezzo, ed ogni sforzo è vano.
Ma l'enigma più strano è che, qualora
consolarla desio,
il suo pianto s'accresce, e piango anch'io.
Seguiamo almeno i passi suoi...
(nel voler partire s'avvede della nave)
Ma... quale
sorge colà sul mar mole improvvisa?
Uno scoglio non è. Cangiar di loco
un sasso non potrebbe. E un sì gran mostro
come va sì legger! L'acqua divisa
fa dietro biancheggiar! Quasi nel corso
allo sguardo s'invola:
porta l'ali sul dorso, e nuota, e vola!
A Costanza si vada:
ella saprà se un conosciuto è questo
abitator dell'elemento infido;
e almen...
(nel partire vede non veduta Gernando ed Enrico)
Misera me! Gente è sul lido.
Che fo? Chi mi soccorre? Ah... di spavento
così... son io ripiena...
che a fuggir... che a celarmi... ho forza appena.
(si nasconde fra' cespugli)
Gernando, Enrico in abito indiano dal palischermo, e Silvia in disparte.
ENRICO
Ma sarà poi, Gernando,
questo il terren che cerchi?
GERNANDO
Ah sì; nell'alma
dipinto mi restò per man d'Amore,
e co' palpiti suoi l'afferma il core.
SILVIA
(Potessi almen veder quei volti.)
ENRICO
È molto
facile errar.
GERNANDO
No, caro Enrico; è desso:
riconosco ogni sasso. Ecco lo speco
dove in placido oblio con Silvia in braccio
lasciai l'ultima volta
la mia sposa, il mio ben, l'anima mia,
e mai più non la vidi. Ecco ove fui
da' pirati assalito:
qua mi trovai ferito,
là mi cadde l'acciaro. Ah caro amico,
ogn'indugio è delitto;
andiam. Tu da quel lato,
da questo io cercherò. L'isola è angusta;
smarrirci non possiam. Poca speranza
ho di trovar Costanza;
ma l'istesso terreno
ch'è tomba a lei, sarà mia tomba almeno.
(parte)
Enrico, e Silvia in disparte.
SILVIA
(Nulla intender poss'io.)
ENRICO
Tenero in vero
è il caso di Gernando. Appena è sposo,
dée con la sua diletta
fidarsi al mar. Fra gl'inquieti flutti
languir la vede; a ristorarla in questa
spiaggia discende; ella riposa, ed egli
da barbari rapito,
tratto a contrade ignote,
in servitù vive tant'anni, e senza
notizia più del sospirato oggetto.
SILVIA
(Pur si rivolse al fin. Che dolce aspetto!)
ENRICO
Parla a ciascun l'umanità per lui,
l'obbligo a me. La libertà gli deggio,
primo dono del ciel. Spietato ogni altro
sarebbe; ingrato io sono
se manco a lui. D'aborrimento è degna
ogni anima spietata;
ma l'orror de' viventi è un'alma ingrata.
[Aria - Chi nel camin d'onore]
Chi nel camin d'onore
stanco sudando il piede,
per riportar mercede
d'un nobil sudor,
non palpita, non langue,
per lui spargendo il sangue,
e cento rischi, e cento
va lieto ad affrontar.
(parte)
Silvia sola.
Recitativo
Che fu mai quel ch'io vidi!
Un uom non è: gli si vedrebbe in volto
la ferocia dell'alma. Empii, crudeli
gli uomini sono, e di ragione avranno
impresso nel sembiante il cor tiranno.
Una donna né pure: avvolto in gonna
non è come noi siam. Qualunque ei sia,
è un amabile oggetto. Alla germana
a dimandarne andrò... Ma il piè ricusa
d'allontanarsi. Oh stelle!
Chi mi fa sospirar? Perché sì spesso
mi batte il cor? Sarà timor. No; lieta
non sarei, se temessi. È un altro affetto
quel non so che, che mi ricerca il petto.
[Aria - Fra un dolce deliro]
Fra un dolce deliro
son lieta e sospiro:
quel volto mi piace,
ma pace non ho.
Di belle speranze
ho pieno il pensiero;
e pur quel ch'io spero
conoscer non so.
(parte)
Parte seconda.
Gernando solo affannato, indi Enrico.
Recitativo
GERNANDO
Ah presaga fu l'alma
di sue sventure. In van m'affretto; invano
cerco, chiamo, m'affanno: un'orma, un segno
dell'idol mio non trovo. Ov'è l'amico?
Forse ei più fortunato... Enrico... Enrico?
Cerchisi... Oh dio, non posso: oh dio, m'opprime
la stanchezza e il dolor! Là su quel sasso
si respiri e si attenda...
(nell'appressarsi Gernando vede l'iscrizione)
Come! Note europee? Stelle! Il mio nome!
Chi ve l'impresse e quando?
(legge)
«Dal traditor Gernando
Costanza abbandonata, i giorni suoi
in questo terminò lido straniero...»
Io manco.
(s'appoggia al sasso)
ENRICO
Ah mi conforta!
Sai Costanza ove sia?
GERNANDO
(appoggiato al sasso)
Costanza è morta.
ENRICO
Come!
GERNANDO
Leggi.
(accennando l'iscrizione)
ENRICO
Infelice!
(legge piano le prime parole, e poi esclama.)
«I giorni suoi
in questo terminò lido straniero.
Amico passeggero,
se una tigre non sei
o vendica o compiangi...» Appien compita
l'opra non è.
GERNANDO
Non le bastò la vita.
(cade piangendo sul sasso)
ENRICO
Oh tragedia funesta! Ah piangi, amico;
le lagrime son giuste. Io t'accompagno,
t'accompagnano i sassi. Unico in tanto
dolor, ma gran conforto, è che rimorsi
almen non hai. Facesti
quanto da un uom richiede
e l'amore e la fede,
e la ragione e l'onestà. Non piacque
al ciel di secondarti. Or non ti resta
che piegar, come pio, la fronte umìle
ai decreti supremi; e, come saggio,
abbandonar questa crudel contrada.
GERNANDO
Abbandonarla! E dove vuoi ch'io vada?
Ove speri ch'io possa
più riposo trovar! Questo è il soggiorno
che il ciel mi destinò.
ENRICO
Ma che pretendi?
GERNANDO
Respirar, fin ch'io viva,
sempre quell'aure istesse
che il mio ben respirò; di questi oggetti
nutrire il mio tormento;
tornare ogni momento
questo sasso a baciar; viver penando;
compire il mio destino
col suo nome fra' labbri, a lei vicino.
ENRICO
Ah Gernando, ah che dici!
E la patria? e gli amici?
E il vecchio genitor?...
GERNANDO
L'ucciderei,
se in questo stato io mi mostrassi a lui.
Va'; per me tu l'assisti:
mi fido di te. Se del mio caso ei chiede,
raddolcisci narrando il caso mio.
ENRICO
E tu speri ch'io possa...
GERNANDO
Amico, addio.
[Aria - Non turbar quand'io mi lagno]
Non turbar quand'io mi lagno,
caro amico, il mio cordoglio:
io non voglio altro compagno
che il mio barbaro dolor.
Qual conforto in questa arena
un amico a me saria?
Ah la mia nella sua pena
renderebbesi maggior!
(parte)
Enrico solo.
Recitativo
Non s'irriti fra' primi
impeti il suo dolor. Merita il caso
questo riguardo; e s'ei persiste, a forza
quindi svellerlo è d'uopo. Olà. Dovrebbe
colà sul palischermo alcun de' nostri
trovarsi pure.
(escono due marinari)
Olà. Conviene, amici,
rapir Gernando. Ei, di dolore insano,
non vuol con noi partir. V'è noto il sito
dove colà fra' sassi
scorre limpido un rio? Selvoso è il loco,
e all'insidie opportuno. Ivi nascosti,
ch'egli passi aspettate,
e alla nave il traete. Udiste? Andate.
(partono i marinari)
Enrico innanzi dalla sinistra, Silvia indietro dal medesimo lato, avanzandosi verso la destra senza vederlo.
SILVIA
Dov'è Costanza? Io non la trovo. A lei
tutto narrar vorrei.
ENRICO
(la sente e si rivolge)
Che miro! Ascolta,
bella ninfa.
SILVIA
Ah di nuovo
tu sei qui!
(in atto di fuggire)
ENRICO
Perché fuggi? Odi un momento.
SILVIA
(dalla scena)
Che vuoi da me?
ENRICO
Solo ammirarti, e solo
teco parlar.
SILVIA
(dalla scena)
Prometti
di parlarmi da lungi.
ENRICO
Io lo prometto.
(Che sembiante gentil!)
(scostandosi)
SILVIA
(avvicinandosi)
(Che dolce aspetto!)
ENRICO
Ma di tanto spavento
qual cagione in me trovi? Al fin non sono
un aspide, una fiera. Un uomo al fine
render non ti dovria così smarrita.
SILVIA
(turbandosi)
Un uom sei dunque?
ENRICO
Un uom.
SILVIA
(fugge spaventata)
Soccorso! Aita!
ENRICO
Ferma.
(la raggiunge e la trattiene)
SILVIA
Pietà, mercé! Nulla io ti feci:
non essermi crudel.
(inginocchiandosi)
ENRICO
(la solleva)
Deh sorgi, o cara:
cara, ti rassicura. Ah mi trafigge
quell'ingiusto timore.
SILVIA
(Ch'io mi fidi di lui mi dice il core.)
ENRICO
Di', se cortese sei come sei bella:
la povera Costanza
dove, quando restò di vita priva?
SILVIA
Costanza? Lode al ciel, Costanza è viva.
ENRICO
Viva! Ah Silvia gentil, ché al sito, agli anni
certo Silvia tu sei, corri a Costanza.
A Gernando io frattanto...
SILVIA
Ah dunque è teco
quel crudel, quell'ingrato?
ENRICO
Chiamalo sventurato,
ma non crudele. Ah, non tardar: sarebbe
tirannia differir le gioie estreme
di due sposi sì fidi.
SILVIA
Andiamo insieme.
ENRICO
No; se insieme ne andiam, bisogna all'opra
tempo maggior. Va. Qui con lei ritorna;
con lui qui tornerò.
(in atto di partire)
SILVIA
Senti: e il tuo nome?
ENRICO
(come sopra)
Enrico.
SILVIA
(con affetto)
Odimi. Ah troppo
non trattenerti.
ENRICO
Onde la fretta, o cara?
SILVIA
Non so. Mesta io mi trovo
subito che mi lasci; e in un momento
poi rallegrar mi sento allor che torni.
ENRICO
Ed io teco vivrei tutti i miei giorni.
(parte)
Silvia sola.
Che mai m'avvenne! Ei parte
e mi resta presente? Ei parte, ed io
pur sempre col pensier lo vo seguendo?
Perché tanto affannarmi? Io non m'intendo.
[Aria - Come il vapor s'ascende]
Come il vapor s'ascende
in aria a poco a poco,
così l'ardente foco
s'accresce nel mio cor.
Ohimè, che fuoco orribile,
che fiera smania è questa;
tiranno Amor, t'arresta,
non tanta crudeltà.
(parte)
Costanza sola.
[Aria - Ah che in van per me pietoso]
Ah che in van per me pietoso
fugge il tempo e affretta il passo:
cede agli anni il tronco, il sasso;
non invecchia il mio martir.
Non è vita una tal sorte;
ma sì lunga è questa morte,
ch'io son stanca di morir.
(finita la seconda parte dell'Aria, s'abbandona a sedere sopra un tronco alla sinistra, e ripete sedendo la prima parte)
Recitativo
Giacché da me lontana
l'innocente germana
mi lascia in pace, al doloroso impiego
torni la man.
(torna al lavoro)
Gernando e detta.
[Arietta - Giacché il pietoso amico]
GERNANDO
(senza veder Costanza)
Giacché il pietoso amico
lungi ha rivolto il passo,
quell'adorato sasso
si torni a ribaciar.
Recitativo
(la vede)
Ma... Chi è colei?
Donde venne? Che fa?
COSTANZA
Tu sudi, e forse
resterà sempre ignoto,
infelice Costanza, il tuo lavoro.
GERNANDO
Costanza! Ah sposa!
(l'abbraccia: Costanza si rivolge e lo riconosce)
COSTANZA
Ah traditore! Io moro.
(sviene sopra il sasso)
GERNANDO
Mio ben!... Non ode. Oh dio!
Perdé l'uso de' sensi. Ah qualche stilla
di fresco umor... dove potrei... Sì; scorre
non lungi un rio; poc'anzi il vidi... E deggio
l'idol mio così solo
abbandonar? Ritornerò di volo.
(parte in fretta)
Enrico, e Costanza svenuta.
ENRICO
Ignora il caro amico
le sue felicità. Da me s'asconde;
rinvenirlo non so... ma su quel sasso
una ninfa riposa!
(s'appressa e l'osserva)
Silvia non è; dunque è Costanza. Oh come
ha pien di morte il volto!
COSTANZA
(comincia a rinvenire)
Ahimè!
ENRICO
Costanza?
COSTANZA
(senza guardarlo)
Lasciami.
ENRICO
Ah del tuo sposo
vivi all'amor verace.
COSTANZA
(come sopra)
Lasciami, traditor, morire in pace.
ENRICO
Io traditor! Non mi conosci.
COSTANZA
Oh stelle!
(si rivolge e lo guarda con ammirazione e spavento)
Gernando ov'è? Tu non sei più l'istesso?
Ho sognato poc'anzi, o sogno adesso?
ENRICO
Non sognasti e non sogni. Il tuo Gernando
vedesti, a quel che ascolto:
di lui l'amico or vedi.
COSTANZA
E mi ritorna innanzi? Ei che ha potuto
lasciarmi in abbandono!
ENRICO
Ah l'infelice
non ti lasciò, ma fu rapito.
COSTANZA
Quando?
ENRICO
Quando immersa nel sonno
tu colà riposavi.
(accennando la grotta)
COSTANZA
Chi lo rapì?
ENRICO
Di barbari pirati
un assalto improvviso. Ei si difese,
ma, nella man ferito,
perdé l'acciaro; il numero l'oppresse,
e restò prigionier.
COSTANZA
Ma sino ad ora...
ENRICO
Ma sino ad or non ebbe
libero che il pensiero; e a te vicino
col suo pensier fu sempre.
COSTANZA
Oh dio, qual torto,
mio Gernando, io ti feci!
ENRICO
Eccolo al fine
sciolto da' lacci: eccolo a te. Ritorna
fido e tenero sposo
a renderti il riposo,
a calmare il tuo pianto,
a viver teco ed a morirti accanto.
COSTANZA
Ah mio Gernando, ah dove sei?
(incamminandosi alla sinistra)
Silvia dalla destra e detti; indi Gernando dal lato medesimo.
SILVIA
Costanza,
Costanza? Il tuo Gernando
in van cerchi colà. Per te poc'anzi
quinci al fonte affrettossi, ed assalito
ritornar non poté.
(accennando alla destra)
COSTANZA
Stelle! Assalito?
Da chi? Perché?
ENRICO
Perdona;
il fallo è mio. Perch'ei ti tenne estinta
e qui restar volea, rapirlo a forza
a' nostri imposi.
COSTANZA
Andiamo
a toglierlo d'impaccio.
(vuol partire)
SILVIA
Aspetta: io tutto
già lor spiegai.
COSTANZA
Che aspetti ancor? Tant'anni
non attesi abbastanza? È tempo, è tempo
che di mia sorte amara
io trovi il fine.
(rivolgendosi per partire si trova fra le braccia di Gernando)
GERNANDO
In queste braccia, o cara.
COSTANZA
Ed è vero?
GERNANDO
E non sogno?
COSTANZA
Gernando è meco?
GERNANDO
Ho la mia sposa accanto?
ENRICO
Quegli amplessi, quel pianto,
quegli accenti interrotti
mi fanno intenerir.
SILVIA
(va ad Enrico)
Che pensi, Enrico?
Di te Gernando è più gentile. Osserva
com'ei parla a Costanza:
e tu nulla mi dici.
ENRICO
Eccomi pronto,
se pur caro io ti sono,
a dir ciò che tu vuoi.
SILVIA
(tenera e lieta molto)
Se mi sei caro?
Più della mia cervetta.
ENRICO
E ben, mi porgi
dunque la man: sarai mia sposa.
SILVIA
Io sposa?
Oh questo no! Sarei ben folle. In qualche
isola resterei
a passar solitaria i giorni miei.
COSTANZA
No, Silvia, il mio Gernando
non mi lasciò: tutto saprai. Non sono
gli uomini, come io dissi,
inumani ed infidi.
SILVIA
Quando Enrico conobbi, io me ne avvidi.
COSTANZA
A torto gli accusai. Dell'error mio
or mi disdico.
SILVIA
E mi disdico anch'io.
(porgendo la mano ad Enrico)
[Quartetto - Sono contenta appieno]
COSTANZA
Sono contenta appieno,
appresso al caro bene
mi scordo le mie pene,
mi scordo il sospirar.
GERNANDO
Che più sperar poss'io
or che il mio ben trovai,
accanto a suoi bei rai
io resto a giubilar.
SILVIA
Se del mio core i moti,
caro, vedessi oh dio,
vedesti, idolo mio,
quanto ti sappia amar.
ENRICO
Prendi d'amore in pegno,
cara, la man di sposo;
più fido ed amoroso
di me non puoi trovar.
COSTANZA E GERNANDO
Di due cori innamorati
serba Amore i lacci amati.
SILVIA E ENRICO
Ne' soffrir ch'entri lo sdegno
il tuo regno a disturbar.
GERNANDO
Cari affanni...
COSTANZA
Dolci pene...
GERNANDO
Ah Costanza!...
COSTANZA
Caro bene!
ENRICO
Silvia cara!
SILVIA
Oh, quai contento.
ENRICO
Cara sposa.
SILVIA
Oh, bel momento.
TUTTI
Oh giorno fortunato,
oh giorno di contento!
Andiamo le vele al vento,
andiamo a giubilar.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)