IRIS
[Opera.]
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Libretto di Luigi ILLICA.
Musica di Pietro MASCAGNI.
Prima esecuzione: 22 novembre 1898, Roma.
Personaggi:
IL CIECO |
basso |
IRIS |
soprano |
OSAKA |
tenore |
KYOTO |
baritono |
UNA GUÈCHA |
soprano |
UN MERCIAIOLO |
tenore |
UN CENCIAIOLO |
tenore |
Tre guèchas danzatrici:
la Bellezza, la Morte, il Vampiro.
-
Mousmè, Merciaioli, Suonatori ambulanti,
Saltimbanchi, Samouraïs, Borghesi, Cenciaioli.
Addio cielo fatto di onde piene di raggi di luna e di misteri!
-
La notte abbandona il cielo; - il suo lavoro vivificatore è finito; - uomini e cose hanno riposato e sognato; - essa cede il governo della vita al giorno.
Come in un gran velario di nebbie, tutto inonda una tinta diafana e indecisa; - è la incertezza del primo raggio, ma gradatamente poi, ecco! i primi albori che si diffondono rispecchiandosi in scintille adamantine entro a le rugiade sui fiori, sulle erbe! - Nel piccolo giardino di Iris, i fiori, come curiosi bimbi, levano i visi dalle chiomate corolle e guardano ad oriente. - La casetta di Iris è ancora chiusa dentro alle sue stuoie colorate e ai suoi battenti di quercia.
Il villaggio, dietro quella grigia macchia di alti, pallidi bambou, eleva ancora indecisi nella penombra i suoi bizzarri tetti; e il ruscello che lo divide dalla piccola casa di Iris mormora la sua cadenza senza scopo, mesta o gaia secondo che la luce, che scende e vi penetra, effonde nelle sue acque il riso o la lagrima del cielo.
E l'aria si riempie di fulgori!
E l'aria passa tra rami e fronde, tra fiori ed erbe, tra piante e case, e palpita!
O luce, anima del mondo!
Leggere brume erranti fuggono ai venti; - e al di là, lontano, lontano, nelle immensità profonde dell'azzurro, immobile come un gran mare calmo, già balenano rapidi splendori, echi di luce, vibrazioni misteriose d'altri infiniti mondi esultanti alla vita! - Or discendono i raggi; pallidi prima, poi rosei, caldi, vivi... è il giorno! L'aurora trionfa! le cose si disegnano rapide!
Ecco la scena: la allegra casetta di Iris; - il suo giardino colla piccola siepe di biancospine in fiore; - nettamente ora spiccano i pallidi e sottili bambou nel risalto del villaggio; - il ruscello canta gaio ed azzurro il ritornello che gli viene dalla canzone serena ed azzurra del cielo; - e laggiù, là, nell'estremo fondo, il Fousiyama, alto come la brama degli umani anelanti alla gran pace del silenzio!
Il Fousiyama!
Ultimo appare egli, fantastica visione; ma sull'alta sua cervice, immacolata per eternità di neve, reca esso pel primo, alla vallea dove vive Iris, il riflesso del primo raggio del Sole.
Oh la suprema bontà che il Sole esprime al mondo coi suoi raggi!
La luce è l'idioma degli eterni.
Uditelo:
Son io! ~ son io, la vita! ~ son la beltà infinita,
la luce ed il calor.
Amate, o cose! ~ dico ~ sono il dio novo e antico,
amate! ~ son l'amor.
Per me gli augelli han canti ~ i fior profumi e incanti,
l'albe il color di rose ~ e palpiti le cose.
Ne' raggi miei fulgenti
l'anime paurose
ritemprano le genti.
Son io, l'eterno incanto; ~ io che rasciugo il pianto
e accheto ogni dolor,
che, legge d'eguaglianza, ~ dono la gran speranza
che avviva tutti i cor.
Dei mondi io la cagione; ~ dei cieli io la ragione!
Uguale io scendo ai re ~ sì come a te, mousmè!
Pietà è l'essenza mia,
eterna poesia,
calore, luce, amor!
(la mousmè - che fantasiosamente sente il linguaggio caldo della luce e lo traduce in bontà, carezze, promesse, è Iris; è lei che infantilmente si impersona in quella - mousmè uguale ai re davanti al sole - è Iris, la figlia del Cieco, quella che accorre sul limitare della sua casetta)
Così sempre, chiamandola, il Sole la risveglia alla mattina.
Solo agli innocenti sorridono queste divine allucinazioni. - Le loro anime sono pure come la luce e la comprendono; - e se il Sole ha parole per lei, Iris ha pe 'l Sole tutto il tesoro delle piccole confidenze. - Onde il raggio del pianeta e il raggio dell'anima della mousmè confondono insieme cielo e terra; - la infinità dello spazio è vinta.
IRIS
Ho fatto un triste sogno pauroso,
un sogno tutto pieno
di draghi, mostri, volanti chimere
e di striscianti còlubri.
S'era malata la mia amica bambola,
ond'io ~ tutta piangente ~
l'avea posta in giardino a riposare
entro un cespo di rose.
Intorno a lei tacea tutto il giardino;
non più canti di gigli,
canzoni di gardenie e porporine
né voli di libellule; ~
avevo detto ai fior ~ «Tacete, o fiori!»
«Malata è la mia bambola!»,
quand'ecco in ciel vol di bianche cicogne
fuggire spaventate!...
Guardo! ~ Pieno è il giardin di mostri orribili
che la mia bimba insidiano!...
Accorro a sua difesa! ~ Prego! ~ Lagrimo!
«Lasciatemi l'amica!...».
Ma una fenice spiega in ruote e giri
fantastici la coda
che come serpe avvinghia la piccina...
allarga l'ali... e fugge!...
Ma, Sol, tu torni ed il sogno è bugia.
Guarita è la mia bambola!
(e la piccola mousmè corre a prendere la bambola; ritorna e levando la bambola alto verso il sole ed agitandole le manine di legno, esclama:)
Vieni e saluta il sole!
UNA VOCE
(dall'interno della casetta)
Con chi parli?
IRIS
O padre mio, col Sole!
Iris, i mostri non abitano soltanto il mondo infantile dei sogni!
Mentre tu accorri al tuo vecchio e cieco padre dietro il gruppo dei pallidi e sottili bambou, due mostri, più maligni di quelli del tuo sogno, hanno ascoltato le tue parole e con occhi avidi hanno contemplato la bianca bellezza del tuo viso.
Già i loro desideri ti sono intorno; - e sono desideri di mostri; benché uno, il giovane, bello e in ricche, aggraziate vesti, appaia buono come il sorriso e l'altro, colla sua faccia strana e buffona, comunichi una allegrezza bonaria, quella che tanto sa ingannare i fanciulli e gli esseri miti.
OSAKA
È lei! è lei!
KYOTO
OSAKA
La voglio!
KYOTO
OSAKA
Non farle male!
KYOTO
OSAKA
Che se!... Bada!...
KYOTO
OSAKA
Sta ben!
KYOTO
OSAKA
È ver: ho voce acuta; imita il suono,
il bisbigliar d'augelli e il chiacchierare
d'irrequiete fanciulle. La mia voce
vibra nell'aria, desta gli echi ai monti
e vola alta nel ciel come cicogna
o falco.
KYOTO
OSAKA
E la fanciulla?
KYOTO
OSAKA
Andiamo!
KYOTO
OSAKA
Cauti? Ignoti?
KYOTO
OSAKA
Già mi diverto
e godo già!
OSAKA, KYOTO
La vita è così bella...
(e l'annoiato giovane signore e l'astuto taïkomati si allontanano ridendo)
Tremulo vecchio, lasciati condurre dalla tua Iris! - Essa ti guida amorosa alla carezza vivificatrice del Sole. Il Sole ha ne' raggi caldi il vigore del sangue della giovinezza.
IL CIECO
Voglio posare ove è più caldo il sole!
IRIS
Qui, padre.
IL CIECO
Sì.
(e Iris fa sedere il vecchio padre sulla soglia della casetta, verso il giardino)
IL CIECO
Oh, il buon raggio! ~ M'avviva!
Or dammi il mio rosario. ~ Vuò pregare!
IRIS
Ecco il rosario!
IL CIECO
E tu hai pregato?
IRIS
Sì.
Innaffierò i miei fiori, intanto. ~
IL CIECO
Io prego.
Oh, il lieto coro di vivaci Mousmè! - le ceste di giunchi o a braccio o in equilibrio su le teste - se ne vengono dal villaggio a lavare giù nel ruscello!
LE MOUSMÈ
Al rio! ~ al rio!
È il plenilunio; ~ al rio!
L'acqua è limpida e tiepida.
Sciuga il bucato al sole
e la lavanda è in fiore.
È il plenilunio!
Fra loti ed iridi ~ felci e ninfee
e nenufari ~ gelsominee
scorre la rapida
onda fuggente;
carezza il piè
delle Mousmè.
Viene il suo bacio ~ dalla sorgente!
Bacio di rio ~ bacio di dio!
Contorci! Attorta!
Acqua corrente ~ da lungi porta
tutti i profumi;
l'odor del muschio ~ côlto dall'onde
fra zolle e dumi
di cento sponde.
L'acuto gorgheggio delle voci giovanili si eleva alto, alto e bianco come i gigli sui flessibili e sottili steli. E quale contrasto col biascicar del rosario che fa il Cieco e colle parole che la piccola Iris sussurra ai suoi fiori!
Insieme
LE MOUSMÈ
Denuda il braccio ~ tu, mousmè pallida!
aspergi, tergi
il tuo bucato!
(alcune già estraggono il nitido lino dalla piccola conca di lacca, - altre lo raccolgono contorcendolo e lo spremono ancora colle nervose mani di pupattole, - altre invece lo sciorinano sbattendolo disteso all'aria, - altre lo ripiegano, - altre lo risciacquano un'ultima volta nella corrente ed altre finalmente lo ripongono piegato nelle ceste, le piccole teste attente, serie, quasi pensose, tutte comprese della importanza di quel dovere di donnine di casa)
Ha raggi il sole,
ha timi il prato,
il lino candido ~ biancheggia ed ole.
IRIS
In pure stille ~ gaie scintille
scende la vita.
L'acqua s'effonde ~ per vie profonde.
Bevi la vita,
alga cerulea!
Tu, margherita,
leva il candore ~ della tua chioma,
o cilestrino ~ fiore di mey,
neve odorante,
tu gelsomino ~ e tu olezzante
fiore di amoma;
la varia chioma
leva, o coryandro, fiore di monte.
In pure stille
vive scintille
l'acqua penètra ~ fra pietra e pietra
e all'appassita
radice ascosa
dona la forza ~ dona la vita!
Ristora! Irrora!
Thea odorosa,
fiore divino,
gardenia ~ rosa,
vita bevete!
Bevete, fiori ~ mente, verbene,
e olezzi e balsami
pel mio giardino,
fiori, espandete!
IL CIECO
Tu mi hai tolto la vista, ma io vedo la tua grandezza, o divinità!
la tua grandezza io la sento!
essa parla all'anima mia!
la bellezza della vita creata da te penetra col sole nella mia vecchia persona!
Tu sei grande e buono!
La vita è pur tuttavia sempre un cammino faticoso, ma è aggradevole se penso che conduce a Nirvana!
Io cammino anelando alla meta!
Tu mi hai tolto la vista, ma mi hai dato quella degli occhi di Iris; mi hai dato un genio buono e gentile;
non sono solo! ~
Io dico la tua grandezza! ~
Per la strada che, flessibile come un ramo di volubile, segue tortuosa le capricciose sinuosità di una riviera nel disegno bianco dei pruni selvatici in fiore che la fiancheggiano, si avvicinano i suoni tremuli di sàmisen, rimbombanti di gongs, chiassosi di tamburelli e striduli di koliû a fiato.
IRIS
Giù per la via ne viene un gaio suono!...
LE MOUSMÈ
Son sàmisen, tamburi e risonanti
cymbali e gongs!
IL CIECO
Lontano?
IRIS
S'avvicina!
IL CIECO
Iris, chi son?... Li vedi?... Guarda!
IRIS
Guardo!
LE MOUSMÈ
Son commedianti! ~
Sono guèchas!
IRIS
Vengono!
ALCUNE MOUSMÈ
Ritardiamo il ritorno?
LE ALTRE
Col bucato
più tardi torneremo! ~
Rimaniamo! ~
IRIS
Oh, padre...
IL CIECO
Di'!
IRIS
È il teatro dei pupi!
IL CIECO
Stammi presso, fanciulla!
IRIS
Sto alla siepe;
guardo soltanto!
IL CIECO
Sono vagabondi!
IRIS
Obbedirò! (Dietro alle biancospine
mi metto!)
E le spensierate Mousmè, lasciate le ceste del bucato, guardano commentando l'avvicinarsi dei Commedianti burattinai.
LE MOUSMÈ
Ecco le guèchas!
Tutte a veli!...
È numerosa assai la compagnia!
Veh! quattro guèchas!...
Sono due gli attori!
Son quattro i suonatori!...
Eccoli!...
Vengono!...
(Osaka e Kyoto, camuffati da istrioni girovaghi, sbucano dalla via entro al cerchio fatto loro dalle curiose mousmè con un codazzo di suonatori, guèchas e saltimbanchi al suono di sàmisen, gongs, tamburelli, ecc.)
Iris, ritta alla siepe, guarda.
KYOTO
MOUSMÈ
Sì che ne abbiamo; ~ e sono belle e buone!
IRIS
(Come la mia, no, non ve n'ha; sto certa!)
MOUSMÈ
È un teatro di lusso!
IL CIECO
Iris!
IRIS
Sto qua!
KYOTO
OSAKA
(Non temer!)
KYOTO
OSAKA
(Io la ricordo! Non ne fallo un ette!)
LE MOUSMÈ
Poniamci tutte intorno.
(le mousmè seggono davanti al teatro, formando così circolo, durante i preparativi).
KYOTO
OSAKA
(Guarda con occhi larghi come foglie
di loto e di nelumbo! Sta alla siepe...)
KYOTO
LE MOUSMÈ
Facciam silenzio! ~ Già danno principio!
(Kyoto fa preparare il teatro dei pupi. - Vi si mettono avanti, accosciati a terra, i suonatori; dietro ai paraventi tre guèchas attendono il loro turno, quello della danza - e, dietro il teatro, Kyoto toglie fuori da una cassetta i pupi: Dhia (una pupa tutta bianca); Jor (un pupo fantastico tutto orpelli; il padre (un mostro terrorizzante); e Kyoto consegna i tre pupi ai tre istrioni che li devono far muovere; poi colloca la guècha cantante dietro il paravento a sinistra del teatrino, e con Osakasi nasconde dietro il paravento a destra, da dove possono spiare i movimenti d'Iris, pure eseguendo le loro rispettive parti)
(Kyoto fa cenno di introdurre in scena Dhia e dar principio così alla rappresentazione:)
La rappresentazione.
UNA GUÈCHA
(Dhia)
Misera...
(un gran sospiro)
Ognor qui sola!
Unque mai mi consola!...
Morte rapì mia madre...
ridotta è mia famiglia
a un collerico padre
che non ama la figlia! ~
(un gemito)
Ho vesti brutte e lacere...
(altro gemito)
scarne braccia e sottili...
(terzo gemito)
gote pallide e grame...
son malata ed ho fame
e sono le mie lacrime
mie gemme e miei monili!...
(un singhiozzo)
Chi ascolta i miei dolori?...
(lamento)
Non ho amiche né fiori!
(sospiro, gemito, singhiozzo e lamento)
Insieme
OSAKA E KYOTO
Osaka
(Brava!)
Kyoto
(Attrice valente!)
Osaka
(Ve' come stanno attente!)
LE MOUSMÈ
(le mousmè, ginocchione, sedute sovra i piccoli piedi, guardano, ascoltano. Le loro anime pendono dalla cadenzata voce della guècha che si espande monotona in quell'aria già tutta piena di giorno e di vita)
Come forza alle lacrime
la povera fanciulla.
~ Davvero fa pietà!...
~ Iris, vientene qua;
di là tu vedi nulla!
IRIS
Vedo!... Qui resto; grazie!...
(intanto Kyoto - imitando la voce rauca di un vecchio catarroso - fa le più pazze grida del mondo, picchiando forte sul legno del teatro a dare l'idea dell'avvicinarsi del vecchio iracondo ed inumano genitore)
Insieme
UNA GUÈCHA E KYOTO
Dhia
Ah, mio padre!...
Lo sento!
(voce tremula)
Tremo dallo spavento! ~
Il padre
(voce terribile)
Ah, sciagurata putta! Sono stanco
di mantenermi questa sciocca e vana
inutil, neghittosa e scioperata...
LE MOUSMÈ
Ecco il padre!...
Che ceffo!
Me lo sogno stanotte!...
Io gli fo uno sberleffo!
Vedrete, corron botte!
UNA GUÈCHA
(Dhia)
Ah, padre mio!...
KYOTO
(grandi strida)
UNA GUÈCHA
(Dhia)
No, padre, no, non vendermi!
KYOTO
OSAKA
(La piccina si muove!... Forza al dialogo!)
UNA GUÈCHA
(Dhia)
(Dhia cade ai piedi del pupo padre)
Per la luce del sole e delle stelle,
tienmi ancora con te!...
Che vuoi ch'io faccia? ~
(lunghi singhiozzi)
OSAKA
(Ha gli occhi tutti rossi!)
Insieme
KYOTO
IL CIECO E IRIS
Il cieco
Iris!...
Iris
Sto qua!
Già il dramma è penetrato nelle ingenue anime delle Mousmè; il viso di cera imbiaccata di Dhia ha già strappato spasimi e lacrimuccie; - ecco ora il ceffo di quel pupazzo padre e la voce rauca di Kyoto che le fanno erompere in piccoli gridi di protesta, di rivolta, di sdegno!
LE MOUSMÈ
(impressionate, furenti)
Vecchio lercio!...
Furfante!...
Muso da vecchia arpìa!...
È sordo alle sue tante
lacrime disperate!...
Pigliamolo a sassate!...
(minacciano coi pugni il tiranno padre, urlando:)
Orco!
Vampiro!
Via!...
(lanciano piccoli sassi)
UNA GUÈCHA
(Dhia)
(grido straziante e disperato)
Uccidimi, piuttosto!
KYOTO
OSAKA
(Si scalda il nostro pubblico!)
KYOTO
UNA GUÈCHA
(Dhia)
(altro grido straziante e disperato)
Morire!... Sì... Finire!...
OSAKA
(ride)
(Quasi, quasi
t'uccidono davvero il pupo padre!)
UNA GUÈCHA
(Dhia)
(accento d'esaltazione)
Deh, prendimi con te, genio del bene!
Portami teco dove non si soffre!...
IRIS
Oh, la istoria pietosa!
Mi par che dentro al core
mano mi prema e tocchi!...
M'offende un gran dolore
che mi rende affannosa!...
Come è triste tal canto!...
Ho volontà di pianto
nell'anima e negli occhi!
KYOTO
OSAKA
(Dolcissimo!)
OSAKA
(Jor - figlio del Sole)
(invisibile)
Apri la tua finestra! ~ Jor son io
che vengo al tuo chiamar, povera Dhia!
Apri la tua finestra al raggio mio!
Apri il tuo cor a mia calda malìa!
Jor ha ascoltata, o Dhia, la tua preghiera!
Apri l'anima tua, fanciulla, al sole!
Apri l'anima tua a mie parole!
Apri il tuo cuore a me, fanciulla, e spera!
Tu vuoi morir? ~ Morire io ti farò,
ma ti farò morir dal sol baciata,
poscia al paese eterno ti trarrò
ove, o fanciulla, tu sarai amata!
Potere misterioso del fantastico e della melodia! - la voce del falso Jor si eleva alta come il sole e si espande ovunque come l'aria. Le mousmè palpitano a pieni cuori a quell'armonia e vi vivono ora!
E Iris, la mite, la buona Iris crede a quella falsa dolcezza! - Tacitamente essa ha abbandonato la siepe del suo giardino per accostarsi al teatro, e nel momento in cui Jor, il figlio del sole, apparirà alla infelice Dhia, essa sarà già fuori dalla siepe, lontana dal cieco Padre.
KYOTO
IRIS
De' sogni il triste verde
disvanisce e si perde!
Quali i vani bagliori
d'erranti e misteriose
lucciole luminose
se ne vanno i dolori!
KYOTO
UNA GUÈCHA
(Dhia)
(voce affievolita, dolcissima)
Io muoio! Prendimi! Tua m'abbandono!
Portami al mondo eterno della luce!...
Salgo a Nirvana!... È Jor che mi conduce!
Jor, sono tua!... A te tutta mi dono!...
(il pupo di Dhia, abbandonato, cade come cosa morta)
IRIS
(a Dhia)
No, tu non muori, Dhia!
Tu ascendi all'alte nuvole
di rose e di vïole.
Con Jor tu ascendi, o bambola,
al paese del sole
e della poesia!
Il Cieco crolla sdegnosamente il capo; il dramma non inganna la sua esperienza, ma l'armonia suo malgrado lo vince benché egli non lo voglia... non lo voglia!...
OSAKA
(Jor)
(appare improvviso)
Or muori, dunque!...
(Jor invoca sulla morta pupa le danze celesti)
Danzatrici alate,
intorno a lei che a me ne vien, danzate!
(a Dhia)
Ti coprirò di zaffiri e topazi!...
Vieni agli amori degli eterni spazi!
E infatti - (e ciò riempie di estremo stupore quel pubblico di mousmè) - il pupo Jor riesce ad avvinghiare il pupo Dhia e, così abbracciato, portarlo con sé a... Nirvana! Allora le tre Guèchas, improvvisamente, escono davanti al teatro a danzare. La loro apparizione e la loro danza completano l'effetto della rappresentazione. Oh, strane Danzatrici! Oh, strane danze! Portano sul viso bizzarre maschere e le vesti, a veli, quando sono agitate dai movimenti delle diverse danze, le fanno rassembrare a misteriosi esseri fantastici avvolti dentro a nuvole. Una ha la maschera della bellezza e la nuvola che la intornia è fatta di luce mite e soavissima; un'altra ha la maschera della morte, la terza quella di un vampiro e le nuvole di veli che le avvolgono sono di colori tetri e funerei. Kyoto gira intorno a raccogliere le offerte e così riesce scaltramente a distrarre l'attenzione: la povera Iris a un tratto rimane isolata dal gruppo delle Mousmè; e un pronto giro di danza e un alto e vertiginoso volo dei veli della bellezza, della morte, del vampiro la nascondono... Alcuni fra i Saltimbanchi rapidi s'impossessano della Fanciulla; una mano sulla bocca le strozza un grido! E la danza finisce; e in un batter d'occhio il teatrino è smontato, i pupi rinchiusi, i paraventi piegati, e la comitiva già s'avvia!
KYOTO
LE MOUSMÈ
Andiamo?... È tardi!
È tardi!... Andiamo! Andiamo!
KYOTO
OSAKA
(Il colpo è fatto!)
Mentre le Mousmè ripassano il ponte per ritornare al villaggio, Kyoto rapidamente depone un foglio scritto, tenuto disteso da rios d'oro e mommès, sulla soglia della piccola casetta di Iris, con tanta abilità da non risvegliare il sensibilissimo udito del Cieco, e raggiunge correndo la comitiva che si allontana.
Come lugubre visione e teatro, e Guèchas, e pupi si dileguano col suono dei sàmisen, cymbali e tamburelli e gongs!
Iris, ove sei?... O fiori del piccolo giardino, ov'è ora la vostra Iris?...
Iris è svenuta; essa giace ora rivolta nel tetro velo del vampiro, e intorno la morte e la bellezza vigilano ad eludere gli sguardi dei passanti.
Oh, come risuona triste la voce del cieco che parla discutendo e sbugiardando il dramma falso di Jor e Dhia rivolgendosi alla Fanciulla mentre si affievoliscono lontano, lontano, i suoni dei sàmisen, cymbali, tamburelli e gongs.
IL CIECO
Questo dramma è menzogna... tutto!... tutto!
Malvagio intento e talento malvagio!
Iris, tu che ne dici?... Non rispondi?...
Comprendo; sei commossa!
(e il vecchio bonariamente sorride)
No, non credervi!
Tu sei sì buona che ogni pianto breccia
fa nel tuo cuore...
(stende il tremulo braccio nel vuoto...)
Andiamo; dammi il braccio!
Perché non credo ai gemiti di Dhia?...
(sorride ancora)
Ebben vi credo!...
(e stende ancora nel vuoto il braccio)
Vieni! Dammi il braccio!...
Una carezza al vecchio cieco!... Iris!...
Iris!... Iris!... Ancor non mi rispondi?...
Iris! Iris! Iris! Mia figlia!... Vita!...
Ah, non c'è più!...
E sono allora grida strazianti e terribili - spaventose!
Iris!... Mia Iris!... Iris!...
E il Vecchio cerca intorno a sé; cammina, incespica, cade! Si rialza, chiama a gran voce! E quella notte implacata negli occhi suoi accresce tutto l'orrore di quel silenzio!... E il Vecchio si agita e cammina! Vuole entrare nella sua casa e se ne allontana! - Urta nella siepe di biancospine, vi si punge il volto e le mani e disperatamente allora piangendo si abbandona a terra chiamando a grandi grida: Iris!... Iris!...
(così lo rinvengono alcuni merciaioli ambulanti che passano per andare alla città, e lo rialzano compassionati)
MERCIAIOLI
Cieco, a che gridi disperatamente?
IL CIECO
Iris!... Mia figlia!... In casa!... Là!... Cercatela!...
(alcuni entrano nella casa, ed appariscono poi alla finestra spalancata)
MERCIAIOLI
È vuota la tua casa!... Iris non c'è!
IL CIECO
Chiamatela a gran gridi!... Per pietà!...
(vanno verso il fondo del giardino chiamando ad alta voce)
MERCIAIOLI
Iris!... Iris!...
(ascoltano)
Neppur l'eco risponde!
IL CIECO
(si mette a piangere dirottamente, balbettando:)
Mia figlia!... Così buona!... La mia Vita!...
Pupilla de' miei occhi!
UN MERCIAIOLO
(che era entrato in casa, nell'uscirne vede e raccoglie il foglio e il denaro lasciato da Kyoto sulla soglia)
Tu la piangi?...
Non piangerla!...
IL CIECO
Che dici?... Ohimè, che dici?...
UN MERCIAIOLO
Qui sulla soglia t'ha lasciato un foglio
e del denaro!
IL CIECO
Iris?...
MERCIAIOLI
È al Yoshiwara!...
Il Cieco tocca e ritocca, uscendo in gridi soffocati, il foglio ed il denaro - e i larghi occhi bianchi, senza luce e vita, che egli ruota intorno, sembrano guardare... Sono i guizzi della luce entro alle gocce delle lacrime sue! e allora le anime di quei Merciaioli sono invase da un gran senso di pietà.
IL CIECO
La casa!... Il mio giardino!... Quel che tengo
a chi di voi mi guida al Yoshiwara!
Or voglio là... là... schiaffeggiarla!... Voglio
sputarle in fronte, voglio, ~ e maledirla!...
(ma le lagrime troncano le imprecazioni e in mezzo ad un gran pianto balbetta:)
Iris!... Mia vita!...
(poi, quasi vergognoso di quell'affetto che gli trabocca dall'anima, ripete minaccioso)
E poscia... poscia... poscia...
(pietosamente i merciaioli lo sorreggono e l'accompagnano barcollante, inebetito, quasi un fantasma, verso la città)
Oh, suprema e profonda la pietà che a noi ne viene da un dolore vero che sgorga da un'anima umana!
Dov'è ora l'umile casetta tua così modesta e semplice colle sue stuoie colorate e i battenti di quercia, o piccola Iris? - la bianca siepe di biancospine fiorite? - il sentiero coverto dal fiore delle scabbiose che conduce al rio? -
dov'è la pace dei campi intorno e il silenzio ristoratore come il riposo della tua vallea entro all'ampia circolare distesa di monti e, in alto, la solenne maestà del Fousiyama? - dove l'aria purissima? - dove la luce libera? -
Tu ora giaci nel cuore affannoso della città gaudente ove più accelerato batte il palpito delle esistenze nelle diverse febbri che agitano le genti - quella della gloria, quella del piacere, quella del denaro. - La più appariscente delle Case Verdi è ora la tua abitazione: - tu vi riposi sul rialzo di lacca ed oro di un fton ricchissimo, abbandonata la fragile persona alla stanchezza che ti ha affranto, e ti covre un velario trasparente come aria! -
Tu sei nel Yoshiwara! -
Qui, nella dolcissima ora del drago, non verrà il sole a dissipare i piccoli sogni paurosi della tua infantile fantasia! - qui, nella misteriosa ora del cignale, non la luna scenderà a posarsi con te! -
Qui - ricche stuoie a tessiture fantasiose, cortine, tappeti densi e soffici, drappi strani, distese di bambou e cannicci e lacca intarsiata intorno alla sporgente verandah che circonda fuori la casa verde, impediscono alla luce di penetrarvi, e, dentro, i trasparenti sourimoni di Gakutei, gli audaci «Poemi dell'origliere» di Oidamaro e i soavissimi vaporosi chiaroscuri di Hokusai, con tutte le meraviglie del mare, del cielo, della fantasia e del genio, preparano intorno a te, al tuo risveglio, la sola possibile virtù dell'oblio - l'arte!
Il drappo su cui posi è pura seta, verde ai piedi, simboleggiante il fondo del mare, sparso di conchiglie, meduse e coralline, e si fonde, risalendo, in azzurrognolo con awabis sguiscianti fra alghe e diafano a fior dell'onde, finalmente si fa azzurro cupo verso l'alto della tua testa, ad imitare il cielo, verso cui si slanciano mirabili iridi bianche e violacee su dai cespi scialbi delle foglie irte, piatte, a punta.
Candide paone d'avorio sostengono la tua testa.
No, il sole non penetra nelle case verdi! - Qui tutto è riflesso di metallo che scoppia a vivi e rapidi sfavillii dalle profumiere cesellate dove brucia esalando l'olio di camelia odorosa, dai vasi smaltati, dalle grandi chimere e mostri di smalto e cobalto che adornano la stanza.
Là in un angolo un bouddah ride, i piccoli occhi sfuggenti, la enorme epa floscia giù a sfascio sul loto simbolico che gli fa da piedistallo.
Non la luce, non l'armonia del sole! Solo, su dalla tumultuante via, per le stuoie che la dimenticanza delle Kamouro ha lasciato semiaperte, entra l'affannoso moto della vita cittadina, le strida dei merciaioli, le minacce dei samouraïs, le ansanti cadenze dei djin, i diversi idiomi dei dragomanni, la bestemmia e la risata.
Presso al tuo letto, come spettri, stanno ancora le Guèchas, ancora dentro alle loro orribili maschere. La Guècha della commedia accosciata sussurra a bocca chiusa un «Anakomitasani» accompagnandosi al suono di sàmisen e tam-tam delle altre Guèchas.
(Kyoto le coglie appunto in quell'abbandono di oziosa trascuratezza - e le investe:)
KYOTO
Rapide le cinque teste si piegano a toccare con le fronti il suolo, le persone grottescamente ripiegate e strette quasi in nodi indefinibili di cose umane, nella servile adulazione di quel saluto.
Ed Osaka entra.
L'annoiato signore, spinto dalla curiosità, entra con vivacità inusata.
OSAKA
Ch'io vegga ov'è ~ la mousmè
da li occhi simili a camelie!
KYOTO
E l'astuto Taïkomati indica all'annoiato Signore Iris addormentata. Oh, come intorno all'avido Giovane si fa profondo il silenzio! Kyoto brutalmente allontana le Guèchas.
KYOTO
(e le guèchas scompaiono via rapide senza turbare il silenzio che è intorno ai due uomini e alla fanciulla addormentata)
OSAKA
Sollevami il velario!...
KYOTO
OSAKA
Spande l'odor del loto la piccina!
KYOTO
OSAKA
È ciliegia da cogliere e mangiare!
KYOTO
L'annoiato Signore guarda a lungo, con bocca semichiusa, con occhi larghi, le mani stese in atto di afferrare, poi scostandosi e allontanando vivacemente con sé il Taïkomati, esclama con grande entusiasmo:
Crea in quegli occhi il lampo d'un desìo,
crea in quegli occhi il senso, l'uman dio...
una scintilla ~ un fuoco ~ una favilla
che di piacer ne incendi la pupilla
e, dimmi, come lei ne sai tu alcuna?...
KYOTO
OSAKA
In questa noia matta
ogni dì soddisfatta e insoddisfatta
costei nel cuor mi ha cacciata una spina
di brama che mi affanna!
Non è mousmè leziosa di città,
ordigno fatto per la voluttà!...
Qui c'è un'anima!
(e il giovane torna presso il letto a guardare e lascia ricadere lento il velario sulla fanciulla addormentata; poi trae con sé lontano in disparte Kyoto onde il loro chiacchierìo non risvegli Iris)
Lunga lotta m'annoia; ~ a ritrosie
io mal m'adatto... ~ s'ella resistesse?...
KYOTO
OSAKA
Parla un linguaggio chiaro!
KYOTO
OSAKA
Aborro dai proverbi!
KYOTO
OSAKA
Oh, fauce ingorda! Oh, fauce sazia mai!
KYOTO
OSAKA
E aggiungi, in oltre, il più fantasïoso
e figurato e armonico linguaggio...
KYOTO
(e il giovane e l'astuto taïkomati si allontanano)
L'impressione al risvegliarsi in mezzo a cose sconosciute, sbigottisce e abbatte; l'occhio gira, gira invano cercando intorno a sé l'indefinibile conforto di oggetti noti la di cui mancanza rattrista. La vita è fatta dell'amore di tutte le cose.
Così Iris risvegliata invano cerca l'amicizia dei piccoli giocattoli e degli inutili ninnoli così cari e prediletti nella esistenza di una fanciulla sensitiva.
IRIS
Ognora sogni... sogni
e sogni!...
Oh! il bel velario...
oh, il lieve drappo tutto sparso d'iridi...
Or la mia veste è un velo e ha trasparenze
d'onda e di nube!
Or io così ho vergogna!
(guardando con ammirazione i sandali che le calzano i piccoli piedi)
Non più le mie pianelle in lacca nera;
ho sandali dorati, ~ e il piè vi posa
così morbidamente che mi pare
di camminar sovra un prato di piume!... ~
Ecco!
Or ricordo!... Sì!... Il teatro!... Dhia!...
La danza delle guèchas!...
Il nero manto
m'avvolge del vampiro...
Ove son io?
Morta son dunque?... Sì; sono una morta!
E questa casa bella...
(Iris guarda ancora e più attentamente e mormora sorpresa fra l'angoscia e la gioia:)
... è il paradiso!
Un dolcissimo suono di sàmisen, più sospiro che suono, piuttosto bacio che armonia, così è dolce e mite, bisbiglia querulo poco lontano. Iris ascolta. Quante volte non ha essa invidiato chi sapeva trarre codeste misteriose dolcezze da quel delicato istrumento di acero rosato ed ebano? E un sàmisen posato presso alla profumiera attira i suoi sguardi - e appena finisce il suono, essa curiosamente vi si accosta e ne tenta le corde imitando grottescamente modi e posizioni di cosiffatti suonatori.
Chi è morto tutto sa! diceva il bonzo. ~
Mi voglio accompagnar l'Uta di Nàniva!
(ma dalle sue dita escono i più discordanti e pazzi suoni, mentre la gentil voce canta:)
L'Uta di Nàniva:
Sorge dal mar la luna; è luna piena;
una giunca laggiù laggiù mi mena;
io vo coll'onda che mi porta e il vento
fra stelle d'oro e un mar bianco d'argento.
(e Iris non può trattenersi e ride!)
La voce canta e il suon non l'accompagna!
(e depone il sàmisen presso alla profumiera)
Dicon di gran bugie nel mondo ai vivi!
Chi da vivo non sa, non sa da morto.
(ed ora sono i ricchi paraventi che attirano gli sguardi d'Iris: uno è dipinto da Hokusai e raffigura Daïkokon che fa piovere denari d'oro su di una donna che attinge acqua; un altro una donna ignuda avvolta in un bôshi col quale cerca coprirsi senza riuscirvi, ed è una meraviglia di Yeishi: poi gli occhi di Iris si arrestano su di una piccola tavola dove tutto vi è pronto per dipingere, essa vi si accosta e, tentata ora dal mistero dei colori come prima da quello dei suoni, vuol dipingere)
O bei colori, ove freme il segreto delle fantasie nipponiche, colori creatori di bei sogni di bimbi, di ricordi non vissuti di vegliardi, di incubi desideri di fanciulle, di mostri rimorsi d'uomini, - o bei colori, la capricciosa fanciulla vi spreme in gocce incoscienti, ma pure voi anche in quel suo capriccio, come iddii, le rivelate l'angoscia dell'anima sua!
IRIS
Io pingo... pingo ~ ma il mio pennello invano ~
~ spremo, intingo! ~
~ Va la mia mano ~
~ invano, invano! Invano ~
~ va la mia mano! ~
Io penso a un fiore ~ e n'esce invece un angue ~
~ tutto terrore ~
~ tutto un rosso di sangue! ~
Se voglio un cielo ~ azzurro in mio pensiero ~
~ è un fosco velo ~
~ un velo tinto in nero! ~
La fantasia ~ con sé m'invola e porta ~
~ di casa mia ~
~ a la piccola porta; ~
là la pupilla ~ d'un cieco finalmente ~
~ ha una scintilla ~
una favilla ~ d'una luce rovente ~
~ che fulge e brilla ~
~ ma il lùcer d'una lacrima ~
~ che lentamente stilla! ~
(e Iris lascia i pennelli e prorompe in pianto)
In paradiso (han detto) non si piange!...
Ed io di lacrime ho i miei occhi pieni!...
(laggiù, nell'angolo, presso al bouddah che ride, si solleva lentamente la cortina di una porta. È Kyoto che introduce Osaka)
(i due uomini si soffermano sul limitare e guardano la fanciulla seduta ancora davanti al tavolino dei colori. Anche così raggomitolata sulla piccola stuoia e veduta di tergo è pur tuttavia la piccina una cosa graziosa assai!)
(Osaka, il grande amatore di tutte le voluttà, vi si inebria - e Kyoto se ne compiace)
OSAKA
A un cenno mio manda le vesti e i doni.
KYOTO
OSAKA
Or quanto a te, inutil qui... va' via!
KYOTO
(e il taïkomati scompare dietro la cortina che cade come prima lasciando soli il giovane signore voluttuoso e la ingenua mousmè)
Oh, splendore di leggiadria, eleganza, colori, ricami, fantasia di disegni, la veste che indossa Osaka!
Egli si avvicina!
La Fanciulla si volge sorpresa, gitta un grido e si ritrae paurosa. Nel rapido movimento la leggerissima veste, che dormendo le hanno indossata le Kamouro di Kyoto, si allarga come nube, si svolge, poi si raccoglie in spire mollemente intorno alla Fanciulla e ne disegna il piccolo torso e l'onda delle tenere anche...
E Osaka la arresta d'un gesto assorto, ammirato!
OSAKA
Oh, come al tuo sottile
corpo s'aggira
e s'informa di te la flessuosa
notturna vesta!
Senza posa
lo sguardo ti rimira
da capo a piè
e l'anima s'appaga
nella sorpresa vaga,
nel portento gentile
di tua beltà che in festa
alta trïonfa in te.
IRIS
(Conosco questa voce!... Io già l'udii!...
In ogni sua parola si rivela...
È la voce di Jor!... È Jor!... È Jor!...)
(e Iris si ritrae paurosa all'avvicinarsi di Osaka)
OSAKA
Perché il piede ritraggi
se a te vicin mi porta il mio desìo?...
(Iris si ferma palpitante)
Dentro a' tuoi veli
lascia lo sguardo mio
disioso penetrare!
Io ne' tuoi occhi veggo tutti i cieli!
Gli olezzi io bevo in te di tutti i maggi!
(il giovane s'avvicina alla intimorita mousmè che non osa sfuggirgli, tocca colle mani la testa di Iris; costei chiude timorosa gli occhi. Al tocco avido del giovane i lunghi spilloni cadono e disciolgono liberi i lunghi capelli che tumultuosamente, come un rivo da un colle, fluiscono giù per le sue piccole spalle, ricoprendola dietro quasi come un manto)
O Iris! o capolavoro! Giammai Outamaro ha ideato donne e chiome simili a te, ai tuoi capelli!
OSAKA
Ah, i tuoi capelli son sì lunghi e tanti
da incatenarti intorno tutti gli uomini! ~
Tu m'incatena
e per la via, mousmè, d'ogni tua brama,
deh, tu, mi mena!
IRIS
(Da niuno ho udito dirmi tanta cosa.
Iris è tal bellezza?... Niun lo crede!...
M'ha detto un sol finor che son graziosa,
il babbo mio, ch'è cieco e non mi vede!...)
(e non può trattenersi e sorride)
OSAKA
Il tuo corpo s'ingiglia
d'un candore
più bianco del Fousiyama!
Bocca sana
vermiglia!
Fresca fontana
ove zampillan tutte le dolcezze
e tutte le carezze!
Ove il mio sangue vivo si ristora!
Tu ridi?... Ridi?... Ridi! Ridi, ancora!
(allora Iris rimane tutta vergognosa d'aver riso e arrossisce tutta)
IRIS
(Ho fatto male a rider, ma non so
se muovermi o star ferma a sue parole,
se fargli reverenza!...
Gli dirò:
«Signor!... No! ~ Re!... Neppur!... Figlio del sole!...»)
OSAKA
Arrossi a mie parole?
Non arrossir! ~ Lascia arrossire il sole;
egli ogni dì ha tramonti,
tu sali, sali, altissima,
a le superbe aurore,
ai superbi orizzonti
del mio amore!...
(e Iris, fattasi un gran coraggio, così parla e risponde al giovane:)
IRIS
Figlio del sole...
(ora è Osaka che ride - e ride così clamorosamente, che Iris si ritrae davvero impaurita)
OSAKA
Ah tu fanciulla ancor mi credi Jor
della commedia? ~ Or recito la vita!
T'ho in vesta d'istrïon per farti mia
rapita.
Apri gli occhi, mousmè, vedi ed impara
la vita.
Il vero nome mio vuoi tu sapere?
Ebben, mousmè, io mi chiamo: ~ il piacere! ~
Il piacere! - non è Jor! - E alla Mousmè ratta ritorna con terrore la salmodìa di un bonzo che al tempio illustrava un terribile paravento sacro dove una piovra sbucava dal mare e avvinghiava una fanciulla.
IRIS
Un dì (ero piccina) ~
~ al tempio ~
~ vidi un bonzo ~
~ a un paravento ~
~ tutto fatto a simboli, ~
~ sciorinare il velame d'un mistero. ~
~ Era una plaga ~
~ d'un grande mare morto ~
~ color del bronzo; ~
~ e v'era un cielo ~
~ rosso sì come sangue ~
~ d'un rosso livido; ~
~ e una gran spiaggia ~
~ una gran spiaggia morta ~
~ di grigio e nero. ~
~ Una fanciulla ~
~ giacéavi adagiata ~
~ scarne le membra ~
~ sparsi i capelli ~
~ e nella bocca un riso ~
~ ch'era uno spasimo. ~
~ Su dal mar morto ~
~ una gran piovra intanto ~
~ il capo ergeva ~
~ e la fanciulla ~
~ col grande occhio falcato ~
~ fuor guatava; ~
~ questa, domata ~
~ a quel terror di sguardo, ~
~ tutta affisava! ~
~ Su dal mar morto ~
~ i viscidi tentacoli ~
~ moveva il mostro ~
~ e per le gambe ~
~ pei reni e per le spalle ~
~ poi per le chiome ~
~ e il fronte e gli occhi ~
~ e il petto esile ansante ~
~ e per le braccia ~
~ la stringe e allaccia! ~
~ La stringe e allaccia in viso! ~
~ Essa sorride ognor! ~ essa sorride e muor ~
~ con un estremo spasimo ~ che rassomiglia un riso... ~
~ E il bonzo a voce forte: ~
~ «Quella piovra è il piacere ~ quella piovra è la morte!»
(e la mousmè si lascia cadere ai piedi del giovane implorando fra le lacrime:)
Deh, ch'io torni a mio padre!
OSAKA
Son le fole dei bonzi ~ spavaldi e ipocriti
che all'alito d'un bacio si sbugiardano!
E ad un cenno di Osaka le Kamouro portano e distendono vesti ricchissime, variopinte, di diversi drappi, di diversi ricami, tutte di gran valore.
Ecco le vesti in viola che vanno nel basso a tramutarsi in rosa fra rami e fiori e a stormi di grigi passeri volanti!
ecco quelle candide, ove a strisce corrono in ogni senso, come insetti, i misteriosi caratteri nipponici!
ecco le azzurre, fiorite d'iridi bianche!
ecco le paonazze ad arruffati leoni di Corea ruggenti fra rami verdi, verdi!
eccone una azzurro-cielo dopo la pioggia!
ecco le grigie sparse di papaveri e bizzarre di arbusti biancastri aggrovigliati!
eccone un'altra dal triste verde di alga marina tutta a fiori di paulonia!
altre a glicine e nere nel tessuto!
altre a rose tay intrecciate a scettri di comando. E gru! E rami fatti a gabbie! E uccelli di tutti i colori su vesti cangianti! E teste di Dharme! E ventagli tessuti! E ombrelli ricamati! Natura viva! Cose inanimate! Mari! Aurore! Cieli! Tramonti! Nubi! Sogni! Voli di colombi! di cicogne! di gru! di falchi! Montagne! Laghi! Pesci! Gatti in furore! Una tutta a bimbi! Una tutta a donne nude tra farfalle, fiori e arabeschi vertiginosi! mentre, da uno schiuso cofano in avorio e smalto, saetta fuori tutto un vivo sfavillare di piccoli raggi multicolori di topazi, diamanti, smeraldi, ametiste, opali, rubini di fuoco.
(e il giovane rapido solleva la fanciulla, stretta a sé, avvinghiandola, mormorando nell'abbraccio:)
Or dammi il braccio tuo ~ braccio di neve e avorio! ~
intorno al collo ~ così mi annoda!
Sciogli i capelli;
(e la mano febbrile di Osaka ancora sprigiona i neri capelli che la mousmè poco prima aveva riannodati alti sulla nuca)
la testa bruna ~ sovra il mio petto ~ tu m'abbandona; ~
gli occhi negli occhi miei ~ tu, ed io labbra alle labbra; ~
vi scendo e tocco ~ la dolce bocca! ~
(e, il respiro affannoso, vinto dal tremito divino della voluttà, mentre le mani nervosamente agitate offendono già quasi brutalmente la bella e sottile e delicata conquista di quel capolavoro umano, il giovane abbandona la sua bocca su quella di Iris mormorando con voce semispenta:)
È questo il bacio!
Iris prorompe in gran pianto; - le lagrime che le tumultuano nel cuore sono salite agli occhi e pel varco dei bruni sguardi che esse velano, inondano il pallido volto della Fanciulla.
OSAKA
Piangi?
IRIS
Penso a mio padre!
OSAKA
Gli darò
vesti e denaro.
IRIS
Io penso alla mia casa!
OSAKA
Palazzi avrai!
IRIS
Io penso al mio giardino!
OSAKA
Ne avrai d'immensi e a serre ognora in fiore!
IRIS
Ma non sono i miei fior!...
OSAKA
(Ah, è una pupattola?)
Nullo desio ti adesca
di codesto splendore?...
vesti, ori... e il bacio è un'esca
cui non morde il tuo cuore?
Chiedi, fanciulla! Brama!
Tu pur abbi un desio!
IRIS
Voglio il giardino mio!
Io voglio il mio giardino
colla sua siepe intorno,
la mia casetta bianca
col mormorante rio
col suo villaggio a manca,
con la vallata a prati,
col sol che appena è giorno
appar sugli elevati
fianchi del Fousiyama
e... mi chiama, mi chiama!
(una stridula risata è la risposta del giovane che volge con disgusto le spalle alla mousmè)
(Kyoto accorre)
OSAKA
Da un'ora essa m'attedia!
È pupa da commedia,
pupa di legno!
or io mi sdegno! ~
Un mio consiglio accetta!
KYOTO
OSAKA
Torni alla sua casetta!
(e nel dire così imita le lagrime e l'accento di Iris)
KYOTO
OSAKA
Fa' pur!... Ahimè, che noia!... Vo!... sbadiglio!...
(e il giovane se ne va stirando alto le braccia e sbadigliando)
E il Taïkomati riflette! - La fronte sua corrugata a poco a poco si spiana e finalmente la bocca si impronta ad un sogghigno di soddisfazione!
KYOTO
(sceglie nelle vesti una e fa cenno alle guèchas e alle kamouro di vestirne Iris)
(le kamouro e le guèchas accorrono al comando; Iris impaurita vuol fuggire)
(e Kyoto, fatta scorrere una mobile parete, mostra ad Iris che la casa al lato destro guarda sopra un precipizio oscuro e fondo. Iris dà addietro impaurita)
IRIS
No, non fatemi male!
KYOTO
(va a prendere il pupo che già nella commedia di Dhia rappresentava Jor e glielo porge)
IRIS
È Jor!...
Così, Iris, il furbo Kyoto con un pupo di legno può fare di te quello che vuole, mentre il giovane Osaka ti ha tentato invano colle vesti, coi tesori, colle parole, col bacio!
KYOTO
(mentre -così- Kyoto dietro una cortina frammezzo a due stuoie spia se giù per la gran via del Yoshiwara vi è gran concorso di gente, le scaltre ed esperte donne in un rapido gioco di mani disabbigliano ed abbigliano la fanciulla dietro all'ingraticolato di bambou che serve di toilette, questa col suo Jor fra le mani gli fa ripetere le dolcissime parole che le sono rimaste nella mente e nel cuore, le dolcissime parole colle quali, nel dramma, Jor fa morire Dhia)
(e il taïkomati si allontana dalla verandah e si accosta ad Iris che le kamouro e le sapienti guèchas hanno in un batter d'occhio abbigliata - e la osserva!)
KYOTO
(le guèchas fanno rapide scorrere le mobili pareti e cadere le pesanti cortine)
Ecco fuori il Yoshiwara; la via ampia, diritta, uguale, colla sua luce multicolore dei mille e mille palloncini, riflettori, trasparenti e rosarie!
Ecco il Yoshiwara; l'ora del desiderio lo affolla della gaia, fastosa e spensierata gente cercatrice della voluttà, del piacere o dell'amore - della bellezza sopratutto; il rumore dei diversi linguaggi sale, sale alto vertiginoso, e le parole diverse, acute, basse, gioviali, provocanti, nell'entusiasmo del senso, acquistano esse pure infinite varietà di armonie - colori esse pure.
Il Yoshiwara, il paradiso di Outamaro! si sprofonda perdendosi lontano, lontano fra le sue case verdi, tutte uguali, circondate di verandah popolate di belle donne, dai piedi nudi e le capigliature sciolte, sotto la luce di infinite lumiere, sempre uguale, in quel formicolìo di gente affannosa che si agita, ognuno tratto da una febbre, gli occhi accesi, violento il sangue nelle vene, le labbra umide, semiaperte e il respiro ad aneliti brevi, di fuoco!
Ma la Mousmè dalla verandah di Kyoto arresta quel moto, quel linguaggio, quella agitazione, quell'incertezza nei desideri, così essa rispecchia fieramente nel suo candore e colla sua ingenuità il bisogno delle passioni di tutti.
Fuori, un grido di stupore dapprima, di ammirazione calda dipoi, d'entusiasmo, un supremo grido di trionfante avidità si eleva e vince perfino la gran luce del Yoshiwara!
E le mani alte si stendono sopra le teste dentro ai cui occhi passa il rapido incendio della più esaltata cupidigia!
E Kyoto sogghigna, sporgendosi sul parapetto della sua verandah, bonariamente ammiccando degli occhi scaltri all'amico suo e suo padrone, il pubblico!
In gruppo, le Kamouro e le Guèchas si ritirano nell'angolo più oscuro e abbandonano sola Iris così, alle fiamme di tutti quegli sguardi umani!
La Mousmè guarda, guarda essa pure quello spettacolo nuovo - sente quella gran vampata di desideri sul suo viso e sul suo corpo - ma non comprende l'incendio che infuoca intorno a sé tutti quegli occhi.
Bouddah, lontano, dietro a lei, la grand'epa floscia a sfascio sul suo piedistallo fatto del loto mistico, ride sempre, i piccoli inesprimibili occhi semichiusi e sfuggenti.
GIOVANI
~ Oh, meraviglia delle meraviglie!
VECCHI
~ La vaga figlia!
TUTTI
~ È rosa thea!
~ Fior di verbena!
~ Fior di vaniglia!
~ Fra le più vaghe figlie
~ o vaga meraviglia!
~ Giorno di rose
~ e di viole!
~ Notte serena!
~ Parla, bella Mousmè!
~ Udiamo l'armonia
~ di tue parole!
~ L'anima ti desìa!
GIOVANI
~ Sì, è rosa thea
~ e imbalsama davvero
~ tutta una giovinezza.
VECCHI
~ Una carezza
~ di questo fior darìa vita all'idea
~ d'uno spento pensiero!
TUTTI
~ Gemma pura ~ di natura!
KYOTO
(un norimon si fa largo nella folla; è quello di Osaka, che sporge fuori curiosamente la testa. Ed egli rivede così la fanciulla e il suo errore svanisce, respinge la folla, furente, esaltato, urlando esso pure:)
OSAKA
Datemi il passo!... Indietro! Indietro! Indietro!
KYOTO
(e il giovane, improvvisamente fatto appassionato alla rivelazione di quella bellezza, quasi pazzo, si aggrappa ai sostegni di ferro della verandah e in un attimo vi sale)
OSAKA
Iris, son io! Io sono Osaka, Jor...
tutto sarò per te quel che vorrai!
Osaka può donarti gemme ed or
quanto può darti Jor di luce e rai!
E qui or io m'inchino innanzi a te,
qui giù, qui giù nel fango! qui a' tuoi piedi!
Curvo a' tuoi piè, fanciulla, Osaka vedi,
qui giù, qui giù nel fango, qui a' tuoi piè!
Qui la pazzia prosterno del mio orgoglio
che cieco e vil m'ha fatto a tue bellezze!
Iris ancor, ancor, ancor ti voglio!
Dammi l'immenso ciel di tue carezze.
(si slancia verso Iris, ma Kyoto si frappone fra Osaka e la fanciulla)
KYOTO
OSAKA
(impetuoso, minacciando Kyoto)
Io primo fui che tal tesoro vidi!
Kyoto, la voglio ancor!... Io son pentito!
(allora tutto l'orgoglio di Osaka si scuote. È una sfida? - Egli la raccoglie e dominando tutto, tutti con la potenza della sua voce, si rivolge a quelli che lo circondano, insolente di bellezza e di ricchezza)
Ebben chi gareggiar potrà con me? ~
Do tutto quel che chiedi, Kyoto, arpìa!
Iris divina, deh! sii mia! Iris!
(ma dalla folla, compatta sotto la verandah, che la provocante e inaspettata audacia del giovane signore ha reso muta, alle grida Iris! Iris! di Osaka risponde una voce terribile:)
IL CIECO
Iris?... Essa è qui dunque! ~
Ah! a quella voce come il cuore di Iris sobbalza dalla gioia; si leva, accorre, respinge Kyoto, Osaka, le Guèchas e sale alla verandah, con un gran riso di contentezza e di ansia felice che le illumina il viso, gridando con tutta la sua voce, la sua anima:
Padre! Sono Iris! ah, qui vieni!... Qui!...
(e la folla allora sorpresa fa largo al vecchio)
LA FOLLA
Suo padre? È un cieco! ~ Fate largo! Il passo!...
IL CIECO
Conducetemi sotto alla finestra
ove sta la fanciulla svergognata! ~
Sorpreso e atterrito dalla improvvisa apparizione del Cieco, il Taïkomati si dà a strillare:
IL CIECO
Iris, rispondi! Ove sei tu?
IRIS
(protendendo le braccia)
Qui, padre!
E il Cieco, giunto sotto alla verandah, si abbassa a terra e, raccolto del fango a piene mani, lo gitta alto verso dove gli viene la voce di sua Figlia - e s'abbassa, e grida, e impreca, raccoglie, gitta fango! ne raccoglie dell'altro e continua in quella violenta di gesti, imprecazioni a insozzare di fango la casa verde, la verandah, Kyoto, lo splendore delle vesti di Osaka, sorpresi questi due alla improvvisa apparizione di quel Padre furibondo, - e il fango va pure a colpire la buona Mousmè, penetra in quei dolcissimi occhi, sulla bocca dove poco prima si è posato fremente e impossente il gran bacio di Osaka, e le si imprime sulla candida fronte.
(mentre il padre continua a scagliar fango urlando:)
IL CIECO
Toh, sul tuo viso!... Toh, sulla tua fronte!...
Toh, nella bocca!... E ne' tuoi occhi... fango!...
Allora un grido - breve - supremo - poi negli occhi della Mousmè passa la stranissima luce di un pensiero terribile; e Iris, forte, una Iris nuova, trasformata, piena di energia e di volontà, respinge da sé Kyoto che le è vicino e corre d'improvviso alla finestra che poco prima le ha dischiusa la minaccia del Taïkomati - e invano Osaka, che ha indovinato, cerca di impedirglielo avvinghiandolesi disperatamente - là corre Iris e si gitta là - dove c'è il vampiro, la morte, la fine certa d'ogni cosa, d'ogni pensiero, d'ogni dolore!
Oh, il disperato urlo di terrore di Osaka, ritto davanti alla finestra spalancata, gli occhi in quel profondo nero dell'abisso nel cui fondo, ironia! dove in fogna si sfoga la città gaudente, è piombata a morire volente una vergine!
Il Cieco, inconscio d'ogni cosa, invano trattenuto da alcuni, continua inferocito in quella rabbia di scagliare fango e ingiurie.
O bel genio nipponico, bello e antico genio delle poesie, leggende, paurosi drammi, grottesche commedie e ute dolcissime agli amori che animano i silenzi delle sere, - bello e antico genio dei fiori e dei pittori, non dunque gaiezza di colori vivaci, non bianchi chiarori di lune o distese di prati verdi correnti ai declivi di azzurri monti rispecchiati da laghi candidi, non trionfi di cieli e stormi di migranti uccelli, o mari d'argento ed agili saettii di awabis, intorno alla agonia di Iris?
Sul delicato corpo, capolavoro distrutto, giù nell'abisso incombono solo le tre sinistre notti, la notte senza stelle del cielo, - la notte senza riflessi delle acque morte, - la notte senza lacrime della insensibilità della natura.
Così qui muore la vergine, il picciol corpo abbandonato all'abbraccio della bomhêria velenosa e della scirpa pungente.
Di lassù non un riflesso di una delle mille gaie lumiere del Yoshiwara!
Nell'aria greve e letale pur tuttavia vagano incerte ombre strane.
Bella e antica fantasia nipponica, sono essi forse gli Ōni del tuo mondo superstizioso che scendono radendo gli squallidi fianchi della squallida montagna, i tuoi grotteschi, bonari o perversi folletti dalle facce sinistramente buffone? È Bènkei a cavallo della sua gran campana di bronzo? È Kintoki abbracciato ad un orso che ride? È Momotaro gobbo e sbilenco? O sono forse gli incubi in forma di granchi o nani dall'orribile rictus quelle strane ombre?
In verità rassembrano fantastiche creazioni, così la penombra caliginosa li trasfigura! No; non sono gli enti permalosi e ad ora bonaccioni delle tue fole infantili, bello e antico genio nipponico; sono dei cenciaioli, quaggiù sospinti dalla lotta per la esistenza!
Colle loro lanternuzze, bizzarre umane lucciole della vita cittadina, errano, l'uncino acuto a mano, guardando, desiderando, sognando i più pazzi tesori del mondo, giù in questo fango di cose morte.
(Un cenciaiolo, tutto solo in disparte, canticchia un «Elogio alla luna»:)
UN CENCIAIOLO
Ad ora bruna e tarda
la luna è tutta gaia
se in due la si riguarda;
soli ~ è una luna scialba.
Se notte non ti appaia,
amico, invoca l'alba!
(Gli altri errano, un dietro l'altro, indagando i guizzi delle lanternuzze entro ai cespi delle erbe grasse e ortiche e cardi selvaggi, insensibili ad ogni puntura, tra il volo di pipistrelli abbacinati ai trasparenti luminosi - brontolando:)
I CENCIAIOLI
~ La fogna è avara e muta!
~ L'uncino invan la scruta!
UNO
(s'arresta, gli occhi fissi nell'uncino trattenuto da qualche cosa presso l'acqua morta)
Tacete! ~ Il mio s'intrica!...
(ritira con paziente cautela l'uncino e trae a sé divelto un inviluppo di ortiche. - Gli altri ridono)
I CENCIAIOLI
È il cespo d'un'ortica!
UN ALTRO
Olà!... Non muover passo!
(e respinge brutalmente il collega che gli è vicino. Il suo uncino ha fatto presa in un blocco di fango e resiste contro un oggetto pesante come fosse davvero uno scrigno colmo di riòs d'oro!)
I CENCIAIOLI
~ Un tesoro?...
~ Dell'oro!...
~ Grand'oro!
~ Gran tesoro!
(con enorme sforzo il fortunato cenciaiolo svincola l'uncino rovesciando fuori dal blocco di fango... lo scrigno... di un sasso. - E gli altri ridono)
I CENCIAIOLI
È il tesoro d'un sasso!
(il cenciaiolo deluso bestemmia)
UN CENCIAIOLO
(riprende il suo «Elogio alla luna»:)
Ad ora bruna e tarda
la Luna è tutta gaia
se in due la si riguarda;
soli - è una luna scialba.
Se notte...
(ma a un tratto un rapido bagliore luccica proprio sotto al monte tagliato a picco - e un grido di sorpresa strozza al canterino cenciaiolo l'Elogio alla luna)
I CENCIAIOLI
~ Un guizzo!
(ma invano cercano di nuovo il bagliore svanito via e invano innalzano e abbassano le lanterne per richiamare nell'oggetto misterioso il riflesso intravveduto)
~ Spento!
~ Svanito via!
UN CENCIAIOLO
D'avida fantasia
il tormento!
(no! - ecco di nuovo e più distinto il bagliore di prima. È la veste di Iris...)
I CENCIAIOLI
~ Ancor!... È raggio d'or!
~ Traluce!
~ È luce!
~ È veste!... ~ Ha dentro ancor
il corpo che la porta!...
(e i cenciaioli si arrestano avanti al corpo e non osano stendervi le mani)
UN CENCIAIOLO
Che importa?... È d'una morta!
(e la veste è strappata, e con gran violenza, uno respingendo l'altro, odiandosi, in quella rapina, senza parole, affannati, i cenciaioli si contendono gli orpelli di Kyoto - un moto di vita sfugge dal piccolo corpo di Iris - e allora, atterriti da quella vita laddove essi supponevano solo la insensibilità del cadavere, superstiziosi si danno a fuggire)
Così la avidità umana offende e martira l'agonia della fanciulla, e il senso del dolore - fierissimo e acuto - delle piccole membra dislocate e infrante e delle tenere carni stracciate a lembi nella gran caduta - scuote e desta dal sopore la fanciulla e la richiama alla coscienza di quell'orrore! Né la morte invocata le fu benigna; la vertiginosa caduta, che avrebbe sfracellato un atleta, colle bohmêrie viminose e le scirpe a cespugli, sporgenti fuori lungo il dirupo, facendo sostegni al leggero corpo, accrebbero ad Iris il dolore e non le diedero la morte invocata. Onde, come altrettante piaghe vive nella picciola mente, sanguinano ancora i pensieri e le rimembranze! Tortura di anima e di corpo! -
Dal labbro di Iris esce allora contro il mondo, il destino o la divinità la grande rampogna di una domanda: - Perché?...
E in quell'aere freddo e muto, che la primissima alba ingrigia debolmente, in quei supremi deliri del dolore fisico e della disperazione del pensiero, strane e beffarde ricordanze con più strane e beffarde voci e ricti aliano intorno; gran confusione di voci, cose, sentimenti, persone, ironie, incoscienze, fatalità, lacrime e sogghigni!...
Sono voci che rassembrano quelle dei tre personaggi della sua breve esistenza, il Giovane delle voluttà, il Taïkomati, il Padre cieco, ma, in quella profonda e rapida lucidità dell'agonia che fa svanire tutte le delusioni, esse si appalesano nei diversi egoismi umani che hanno fatto della vita di Iris una tragedia.
L'EGOISMO DI OSAKA
Ognun pel suo cammino
va spinto dal destino
di sua fatal natura! ~
Il tuo gentile vezzo,
calma a desìo divino,
fu un'umana tortura.
Tu muori come il fior
che pel suo olezzo ~ muor!
Nel mio egoïsmo tetro
or porto altrove il mio
riso e canto di spetro.
Così la vita!...
Addio!
L'EGOISMO DI KYOTO
Rubai; ~ fui bastonato,
onde mutai mestiere;
ho la livrea indossato
del più gran re: il piacere.
Or siamo qui ~ così,
io, per la mia viltà
carnefice, tu, vittima
per questa tua beltà.
Perché?... Io non lo so.
Così la vita!...
Vo!
L'EGOISMO DEL CIECO
Ohimè, chi allumerà
nell'inverno il mio foco
e all'ombra o a fresco loco
la state m'addurrà?...
Tale è il pensier che in fondo
dispreme il pianto mio
e fa il mio duol profondo!...
Così la vita!...
Addio!
E le voci misteriose, così come hanno favellato alla fantasia della morente Fanciulla, si estinguono bizzarramente.
IRIS
Ancora il triste sogno pauroso!...
Visioni!... Affanni!... Angoscie!...
Persone ignote!... Ignote cose e lochi...
e strane risa!... E lacrime!...
Il picciol mondo della mia casetta
perché sparì?... Perché?...
Giardin, rondini, fior, echi a' miei canti...
tutto dilegua e tace. ~
Perché codesti strazi e queste tenebre?
E perché piango e muoio,
e m'abbandona ogni persona e cosa
e vita, e luce, e tutto?
Il picciol mondo della mia casetta
è silenzio e paura.
No, tu non sei più sola, Iris. - La luce scende a te.
Un gran'occhio mi guarda!...
Il sole?...
È il sole!
L'aria si riempie di fulgori!
E l'aria passa tra rami e fronde! tra fiori ed erbe! tra piante e case! e palpita!
O luce, anima del mondo!
Iris non sente più le sue torture; ~ già vive, la fanciulla, di una vita tutta luce: ~ e al grande amico che la guarda essa eleva la sua anima:
tu sol non m'abbandoni! ~
A me tu vieni ~ io riposo al tuo raggio,
riposo nella luce!
Aure di canti!... Mari di splendori!...
Plaghe, cieli di fiori!...
Oh, la suprema bontà che il Sole esprime!
Ancora i suoi primi raggi tremuli sussurrano lontanissimi l'annunzio della sua discesa benefica al mondo; - e l'aria già tutta intorno vibra armonie e splendori:
La luce è l'idioma degli eterni. E Iris, già eterna, sente la sua anima divenire fulgida come un raggio, alla voce ben nota del suo Sole che la chiama:
IL SOLE
Son io! ~ Son io, la vita! ~ Son la beltà infinita,
la luce ed il calor.
Amate, o cose! ~ dico ~ Sono il dio novo e antico; ~
amate! ~ Son l'amor.
Per me gli augelli han canti ~ i fior profumi e incanti,
l'albe il color di rose ~ e palpiti le cose.
Ne' raggi miei fulgenti
l'anime paurose
ritemprano le genti.
Son io, l'eterno incanto; ~ io che rasciugo il pianto
e accheto ogni dolor,
che, legge d'eguaglianza, ~ dono la gran speranza
che avviva tutti i cor.
Te, fior dell'ideale ~ chiamo!
Iris immortale,
ascendi a me!
O mousmè!
Lascia il tuo corpo ai fior;
l'anima tua è mia! ~ D'un fiore all'agonia
venite tutti, o fior!
Tutto un sussurro di fiori intorno alla morente!... - Piove il Sole sul picciolo corpo aureole irradiate!... Nella suprema agonia Iris finalmente non ha più angoscie, affanni, paure, dolori. - Il suo sogno è di luce - è di fiori! - E raggi e fiori parlano il linguaggio eterno della pietà, dell'amore! -
Muore la Vergine colla visione splendente della immortalità; essa vede intorno a sé una fantasia di fiori - tutti i fiori della terra - che allungano a lei gli steli, steli che si snodano e si stendono intorno al corpo suo come braccia umane e lo sollevano alto... alto... là... lontano... lontano... su... su... per l'azzurro e l'infinito... verso il Sole!...
Ed è in quella trionfante visione che gli occhi della Mousmè si chiudono, onde sul suo pallido viso è ancora la calma della tenera giovinezza innocente che la lotta della vita terrena lasciò immacolata. Sotto a quegli abbracci e baci di fiori il piccolo corpo della morta dispare. L'anima della Mousmè è fiore, luce, armonia!
Così - nella morte - la gentile suicida ancor sorride.
O morte, signora misteriosa, quanto sei grande nella tua pietà, tu che tanti mari e cieli eterni poni fra gli umani e i loro dolori!
Fine del libretto.
Generazione pagina: 23/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)