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Ifigenia in Aulide

IFIGENIA IN AULIDE

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Ferdinando MORETTI.
Musica di Luigi CHERUBINI.

Prima esecuzione: 12 gennaio 1788, Torino.


Personaggi:

AGAMENNONE re d'Argo, duce supremo dell'armata greca, padre di

tenore

IFIGENIA

soprano

ACHILLE principe reale di Tessaglia promesso sposo d'Ifigenia

contralto

ULISSE re d'Itaca, uno de' principi confederati

mezzosoprano

ERIFILE principessa di Lesbo, prigioniera d'Achille

soprano

ARCADE confidente di Agamennone

soprano

CALCANTE sommo sacerdote

basso


Re, Principi greci, Soldati greci, Sacerdoti, Soldati d'Achille, Schiavi, Donzelle, Guardie d'Agamennone, Pagesse.

La scena è in Aulide.

Argomento

Paride figlio di Priamo re di Troia, trovandosi ospite appresso Menelao re di Sparta, rapì la famosa Elena consorte di questo, e la condusse nella sua patria. Malgrado le istanze fatte da Menelao, e dagli altri re della Grecia, negò Priamo di restituire la rapita principessa; per lo che confederatisi tutti i principi greci, unirono una possente armata per vendicare la comune ingiuria, creandone duce supremo Agamennone re d'Argo, e fratello di Menelao. Riunissi l'armata in Aulide per navigare verso Troia, ma i venti ostinatamente contrari impedirono d'eseguire l'intrapreso viaggio, così che disperando i greci di più giungere a Troia, e credendo dichiarati gli dèi a favore di Priamo, erano sul punto d'abbandonare l'impresa, quando un fatale oracolo dichiarò, che avrebbero avuti propizi i venti, qualora sacrificassero Ifigenia. Era questa figlia d'Agamennone, e promessa sposa d'Achille principe reale di Tessaglia.

Molti sono i drammatici componimenti tessuti su questo argomento, incominciando da Euripide, che l'ha trattato, infino a' giorni nostri. Ma essendo il soggetto per sé medesimo uno de' più interessanti, che possa esporsi sulla scena, non è meraviglia se tanti si sono invogliati di impiegarvi la penna. In modo diverso dagli altri si è cercato in questo componimento di condurre l'azione, togliendone però lo scioglimento dalla nota tragedia di Racine, che copiò egli stesso i suoi più bei pezzi da Euripide, e da Omero.

Atto primo
Scena prima

Recinto di palme, e cipressi, con tempio in mezzo consacrato a Diana, le cui porte sono chiuse.
Agamennone, ed Ulisse accompagnati da' Principi greci confederati, con seguito di Duci, e primi Uffiziali dell'armata, e di numerose schiere di Soldati, da entrambi i lati ordinatamente disposti.

AGAMENNONE

Non temete, o compagni; alle bell'opre

non è fortuna avversa sempre, e invano

impunita suppon sul teucro lido

la tradita amistà l'ospite infido.

Fin'or contrario il vento

s'oppose a' nostri voti, e fu sospesa,

così piacque agli dèi, la giusta impresa,

ma cederà lo sdegno lor Calcante,

dell'are al piede, a pro d'un popol tutto

l'oracolo ne implora. Il lor volere

forse noto ci fia senza alcun velo.

Dell'innocenza è protettore il cielo.

ULISSE

Delle adunate schiere,

l'impaziente valor con pena attende

che si sciolga dal lido. Un lungo indugio

intiepidir le può, né mai com'ora

fu opportuno l'istante. Oggi ritorna

cinto d'allori il prode

tessalo prence. Ah nel troiano suolo

se giungerem, della sua spada al lampo

Ettor vedrassi impallidire in campo.

AGAMENNONE

A lui promisi il sai,

d'Ifigenia la man, quando espugnate

fosser a Ilio le mura. Or vo', che all'opra

la mercede preceda. A queste sponde

Arcade per mio cenno,

d'Argo guida la figlia, e al prence sposa,

quando giunga, sarà. Gli fia più caro

l'inaspettato dono. A me di sangue,

co' legami congiunto, ei più ragione

avrà di vendicar col suo coraggio

della Grecia l'onore, e il nostro oltraggio.

ULISSE

A vendicarlo incominciò. Di Lesbo

per opra sua cadder le mura, e ultrice

fiamma in cener ridusse

la nemica città. Quando...

AGAMENNONE

T'accheta.

S'aprono le porte del tempio, scoprendosene l'interno spazioso recinto. In mezzo di questo, vedesi il simulacro della deità colle vittime svenate innanzi al medesimo, che stanno in atto consumandosi. Vicino all'ara vi è Calcante co' Sacerdoti, che lentamente s'avanzano, e vengono fuori dal tempio.

AGAMENNONE

Il tempio s'apre: vien Calcante. Ei noto

de' numi, ci farà l'ordin supremo.

ULISSE

(Sereno in volto non mi sembra, io tremo.)

Scena seconda

Calcante con un foglio in mano, séguito di Sacerdoti, e detti.

AGAMENNONE

(a Calcante)

Del voler degli dèi,

tu interprete fedel, che rechi? Al fine

l'oracolo parlò?

CALCANTE

Mio re, pur troppo.

AGAMENNONE

Quali i sensi ne son? C'è avverso ancora,

o fia che i nostri voti omai secondi?

CALCANTE

Signor...

AGAMENNONE

Tu impallidisci, e ti confondi?

CALCANTE

Così oppresse il dolore i sensi miei,

ch'esser muto vorrei.

AGAMENNONE

Contro me stesso

se fosse ancor, del comun ben si tratta,

ne ubbidirò i decreti.

(al seguito)

A tutti i numi,

e a voi lo giuro. In bando

vada il timor.

(a Calcante)

Favella, io te 'l comando.

CALCANTE

(mostrando un foglio, che poi dà ad Agamennone)

Impresse qui le voci

dell'oracolo son, del ciel le leggi.

Di valor, di costanza armati, e leggi.

AGAMENNONE

(legge)

«Se vuol l'armata achea

che fausto il cielo alle sue brame sia,

espii l'error della spartana rea,

immolando su l'are Ifigenia.»

(resta immobile, e gli cade di mano il foglio)

Che ascoltai! qual fredda mano

mi gelò nel petto il cor!

ULISSE

Ah sperai placato invano

della sorte il rio tenor!

CALCANTE

Bagno il ciglio nel periglio

d'un dolente genitor.

AGAMENNONE, ULISSE E CALCANTE

Luce infausta intorno splende,

non si placa il cielo irato,

ah qual fallo ha meritato

un sì barbaro rigor!

Scena terza

Agamennone, ed Ulisse, poi Arcade.

AGAMENNONE

Oh troppo ingiusti numi,

qual oracolo è il vostro? Ah se la vita

dimandata m'aveste, io ve l'offria,

senza che mi costasse un sol sospiro,

ma Ifigenia... la figlia... oh dio!

ULISSE

Ragione

hai di lagnarti, è vero,

che un tal destino al sangue tuo sovrasti,

ma il ciel parlò, tu d'ubbidir giurasti.

AGAMENNONE

E l'omicida io stesso

d'una figlia sarò, che di mia prole

la più cara mi fu? La chiamo al letto

d'un eroe, che l'adora, e in braccio a morte

senza saperlo io la conduco?

(s'alza)

Invano

opra sì rea si vuol, ch'io compia. Alfine

ella non giunse, e quando giunga ancora,

se manca ogni altro scampo,

con una fuga...

ULISSE

E soffrirallo il campo?

Tante armate falangi,

che qui s'unir, per vendicare i torti

del tradito spartano, al patrio lido,

che ritornin tu speri,

oggetto altrui solo di riso, e d'onte,

invendicato, e con tal macchia in fronte?

Deh pensaci signor. La gloria tua

altro chiede da te. Se ancor t'ostini

l'affetto a secondar, che ti consiglia,

ti perderai, senza salvar la figlia.

AGAMENNONE

A qual cimento, o sorte,

tu m'esponesti? che risolver degg'io?

Oh giorno di tormento!

Oh mali non previsti, oh giuramento!

ARCADE

Mio re, liete novelle. A queste sponde

è giunta Ifigenia.

AGAMENNONE

Numi!

ULISSE

Che ascolto!

ARCADE

I passi ne precedo. Ella a momenti

sarà al tuo piè.

AGAMENNONE

(a Ulisse)

Che abisso è questo! Amico

perduto io son. Come oserei tranquillo

riceverne gli amplessi in un istante,

che il cor mi straccia, e di ragion mi priva?

ULISSE

Cela il tuo duol.

ARCADE

La principessa arriva.

Scena quarta

Ifigenia con séguito di nobili Donzelle e Soldati greci, e detti.

IFIGENIA

Padre, signor, quell'adorata mano

pur ritorno a baciar. Pur ti riveggo

cinto di gloria in mezzo a mille schiere,

ove a sdegno non hanno i regi istessi

d'ubbidire a' tuoi cenni. Il duol, che quando

tu mi lasciasti, o genitor, provai,

or che son teco, è compensato assai.

AGAMENNONE

Vieni, o figlia, al mio sen. Cara mi sei,

più che il labbro non dice,

e i numi san, s'io ti vorrei felice.

IFIGENIA

Ah perché mai del piacer nostro a parte

la madre esser non può? D'Argo la cura,

che commettesti a lei,

seguir non le permise i passi miei.

(additando una delle sue donzelle)

Questa, che le sue veci

meco fe' da primi anni, or mia compagna

qui mi guidò. Nel mio partire, oh istante!

l'afflitta genitrice in pianto sciolta,

vanne, mi disse, l'alma mia ti segue,

e se l'alma rimane in questo lido,

il destin de' tuoi giorni a un padre affido.

AGAMENNONE

(con estremo dolore)

(Misero me!)

IFIGENIA

Tu volgi altrove il ciglio!

Che fu signor? Forse a pietà ti muove

d'una sposa il dolor?

AGAMENNONE

Sì ne potrei

nell'angustia, ch'io provo... in tal momento...

(Mi trafigge, e no 'lo sa, con ogni accento.)

ULISSE

(Ah ch'ei si perde!)

IFIGENIA

Oltre misura afflitto,

padre tu sei. Che voglion dir quei detti

interrotti, e confusi? Ah, quale ascosa

pena ti affanna?

AGAMENNONE

In gravi cure immerso,

tranquillo esser non posso. A ricompormi

pochi istanti dimando.

(ad Arcade)

Alle mie tende

Ifigenia tu guida. Alla tua fede

la custodia ne affido.

IFIGENIA

E tu mi lasci?

AGAMENNONE

Uopo è, ch'io vada. Oppresso

son da tanti pensier...

IFIGENIA

De' tuoi pensieri,

Ifigenia parte faceva un giorno:

or cangiato ti trovo. In te l'affetto

forse scemò, né il meritai; fu il solo

mio voto esser ognor fra le tue braccia,

ed or ch'io torno a te...

AGAMENNONE

Taci.

IFIGENIA

Ch'io taccia?

AGAMENNONE

Sì, con que' detti il cor mi passi. Io t'amo,

come ognora t'amai, figlia diletta,

né trovo fuor di te chi mi consoli.

IFIGENIA

E così tu m'accogli, e a me t'involi?

AGAMENNONE

Ah lasciarti non vorrei...

tu lo vedi... io bramo... oh dio!

(Deh tacete affanni miei,

e piombatemi nel cuor.)

Lacerar mi sento il seno

dal dolor che mi divora,

e spiegar non posso almeno

la cagion del mio dolor.

(parte)

Scena quinta

Ifigenia, Ulisse, ed Arcade.

IFIGENIA

Con quali auspici io giunsi!

Che m'annunzia quel duol! che mai l'attrista?

(ad Ulisse)

Ah per pietà, tu i dubbi miei rischiara,

sensibile al mio core

più che alla propria pena, e al suo dolore.

ULISSE

Forse ne sei tu stessa

l'innocente cagione.

IFIGENIA

Io?

ULISSE

Sì, men grave

rendere il suo dolor potrai tu sola,

ma d'uopo è di coraggio.

IFIGENIA

Oh numi! il posso?

Come? spiegati. Parla.

ULISSE

Ardua è l'impresa

più che non credi.

IFIGENIA

Il sia, perciò capace

d'arrestarmi non è. Che non farei

per un tal padre? è poco

quanto fin'or fece per me? Bramoso

di mia felicitade egli m'unisce

al maggior de' mortali, al solo oggetto

che seppe meritar gli affetti miei.

Ah s'uopo fosse ancora

del sangue mio per renderlo contento,

colpevole sarei,

se vacillar potessi un sol momento.

ULISSE

Vergine illustre ammiro

sì nobil cor. Far pompa in questo giorno

potrai di tua virtù. Chieggono i numi

dure prove da te.

IFIGENIA

Ma qual?...

ULISSE

Ti basti;

altro dir non poss'io. Troppo parlai,

fra poco forse il lor voler saprai.

IFIGENIA

Quai dubbi in me risvegli. Oh ciel! che arcano

mi si nasconde? È degli accenti tuoi

il tuo silenzio più crudel. Confusa

fra mille affetti ondeggio,

mille mali figuro,

temo gli dèi nemici,

m'affanna ciò che taci, e quel che dici.

Turbata ai dubbi accenti

l'alma così paventa,

ch'ogn'aura mi sgomenta,

e palpitar mi fa.

De' mali incerta ancora

che il mio pensier figura,

la più crudel sventura

pena maggior non dà.

(parte con Arcade, ed il suo séguito)

Scena sesta

Ulisse solo.

Il suo destin compiango,

ma questa oggi dimanda

della Grecia l'onor, vittima grande.

Se il ciel così decide

sopporti in pace il suo destino atride.

Ma Achille il soffrirà? Quando l'apprenda

quel cor feroce... oh non giungesse almeno

per ora in questo lido, e s'egli giunge,

uopo è con lui tacer. Le schiere, e i duci

ne preverrò. Tutto tentar si deve,

or che balena di speranza un raggio,

ma di prudenza è d'uopo, e di coraggio.

(parte)

Scena settima

Accampamento de' greci sulla riva del mare con flotta greca ancorata.
Si veggono appressare diverse navi, dalla più magnifica delle quali, al suono di maestosa sinfonia, scende Achille preceduto dalle sue Guardie, e seguìto da Erifile, e dall'Armata tessala, che conduce i Prigionieri di Lesbo con le insegne, e spoglie della città distrutta.

ACHILLE

A voi torno, o sponde amate,

e ritorno vincitor.

Conservate, o fausti dèi,

questi allori alle mie chiome,

son concessi a' voti miei

dalla gloria e dall'amor.

(a' suoi soldati)

Quelle nemiche spoglie

si dividan fra voi. Di mie vittorie

più che la gloria io non mi serbo. Il pianto

Erifile tu asciuga. In me l'amico,

se il brami, troverai. Chi mi contrasta

sol prova in campo l'ira mia funesta.

Odio con chi si rende a me non resta.

ERIFILE

Di te lagnarmi non poss'io, ma troppo

giusta è la pena mia. Nel re di Lesbo,

che pugnando morì, de' giorni miei

il sostegno perdei.

ACHILLE

D'un padre estinto

condannar non poss'io...

ERIFILE

Ei non fu padre mio. Bambina ignota,

come non so, m'accolse, e propria figlia

poscia creder mi fe'.

ACHILLE

Che sento! E mai

i tuoi natali non svelò?

ERIFILE

D'un alta

progenie, ch'io discendo, egli mi apprese,

ma tacque il resto. Al sol Calcante è noto

chi la vita mi diè.

ACHILLE

Per tua sventura

in Aulide ei si trova.

ERIFILE

Il seppi, e pago

far posso il mio desío,

s'ei svelar non ricusa il nascer mio.

Invan quei, che di padre

compì meco le veci, acerbi mali

mi presagì, s'io l'apprendea; non temo:

trarre ignota a me stessa,

una vita sì oscura

mi sembra la maggior d'ogni sventura.

ACHILLE

Te conobbe Calcante?

ERIFILE

Egli più lune

in Lesbo dimorò, quivi mi vide,

ma sordo a' prieghi miei, sì gran secreto

niegò svelarmi.

ACHILLE

Or parlerà; la cura

a me ne lascia, io ti vorrei felice.

ERIFILE

Orfana, e prigioniera,

e qual felicità sperar mi lice?

ACHILLE

Mal tu conosci Achille.

Prigioniera io ti fei,

se ciò t'affanna, in libertà tu sei.

ERIFILE

Ah mio prence, t'inganni, i lacci tuoi

non mi son gravi, e sol servirti io bramo.

ACHILLE

(Merta pietà.)

ERIFILE

(Né posso dir che l'amo?)

Scena ottava

Ulisse, e detti.

ULISSE

Deh lascia invitto eroe, che a parte io sia

de' tuoi trionfi, e al tuo ritorno appaluda.

ACHILLE

Vieni amico al mio sen. Dell'ire nostre

provò Lesbo gli effetti. Al mio coraggio

invano oppose i suoi ripari. A segno

fu sua sorte funesta,

che delle sue grandezze orma non resta.

Ah dal nemico Xanto,

perché il mar ci divide? In quelle sponde

perché non son? Perché la sorte il vieta?

Di Lesbo al par, vedrei la reggia infida

senza soccorso, e nelle fiamme avvolta

fra le ruine sue cader sepolta.

ULISSE

Che sperar non si deve, or che siam teco?

Armi il nemico mille destre, e mille,

più val di cento schiere il solo Achille.

Manchi il favor del vento,

o frema irata l'onda,

su la nemica sponda

porrem sicuri il piè.

Speme, e valor già sento,

ché in mezzo alla tempesta,

non teme, non s'arresta

allorché siam con te.

ACHILLE

Ma Agamennone ov'è? Teco vederlo

io qui sperai. Con tal freddezza accoglie

chi combatte per lui?

ULISSE

La sua tardanza

offenderti non dée. Tu non ignori

di chi regge un impero

quante le cure sian. (Si celi il vero.)

ACHILLE

A lui dunque si vada. Impaziente

d'udir novelle io sono

dell'adorata Ifigenia, di lei

che dolce premio fia de' miei sudori,

che vincer seppe questo cor, ch'è sola

dopo la gloria mia

d'ogni mia brama oggetto.

ERIFILE

(Oh gelosia!)

ULISSE

Altri pensieri il tempo chiede. Indegni

sono sì molli affetti

del prode Achille. Uopo è che pensi, o prence,

a cingere il tuo crin di nuovi allori,

ora d'armi si tratta, e non d'amori.

ACHILLE

(con ironia)

Di te degno è il consiglio, e giusti sono

i rimproveri tuoi. Tu oprasti assai;

ma Ulisse, che facea, quand'io pugnai?

Ei lunge da perigli

dava a' duci nel campo i suoi consigli.

Censor meno severo io ti vorrei

dell'opre altrui. La gloria mia s'accorda

con l'amor mio costante:

son fra l'armi guerriero, or sono amante.

Quando mi chiama in campo

la bellicosa tromba,

di cento spade il lampo

non fa tremarmi il cor.

Ma quando il suon ne tace,

all'amor mio ritorno,

altri col labbro audace

lascio, che pugni allor.

(parte con tutto il séguito)

Scena nona

Erifile, ed Ulisse.

ULISSE

(Come frenar costui?)

ERIFILE

(con premura)

Qual fortunata

mortal d'Achille ha soggiogato il core?

È celebre beltà? Quai vezzi vanta?

Come avvincerlo seppe

con laccio sì tenace?

ULISSE

(fissando attentamente Erifile)

E tu chi sei,

che tanta cura hai degli affetti suoi?

ERIFILE

In Lesbo prigioniera

egli mi fe' per mio destin fatale.

ULISSE

Io ti credei d'Ifigenia rivale.

ERIFILE

Amerei chi distrusse

la patria mia? Chi con l'acciaro in pugno

nume esterminator, di polve lordo,

scomposto il crin, tutto di sangue asperso

a me si presentò? Che ardea di sdegno

negl'infiammati rai,

e mi fece tremar quando il mirai?

ULISSE

Così ben me 'l dipingi

ch'io giurerei, che in quell'aspetto istesso

ei t'invaghì. Ma non turbarti, alfine

non è che un dubbio il mio. Non vo' ostinarmi,

ma giovarti io volea.

ERIFILE

Come giovarmi?

ULISSE

È vano il palesarti il mio pensiero

quando non l'ami.

ERIFILE

(Ah se dicesse il vero!)

Odi: benché io non l'ami,

se ne ottenessi il core

la mia sorte saria sempre migliore.

ULISSE

Già ti spiegasti assai. Ti fida, e spera,

ch'io le tue brame secondar m'impegno.

(Gioverà questo amore al mio disegno.)

(parte)

Scena decima

Erifile sola.

Che disse! qual baleno

d'incerta speme ai giorni miei risplende?

Cagion della mia sorte oggi saria

un'imprudenza mia? Nell'alma impressi

i detti son d'un labbro lusinghiero;

esser potrei felice... Ah non lo spero.

Se non ho pace in seno,

oh dio! potessi almeno,

potessi lusingarmi

di ritrovar pietà!

Sì duro è il fato mio,

che sol sperar poss'io

nell'ingannar me stessa

qualche felicità.

(parte)

Scena undicesima

Gran padiglione d'Agamennone.
Agamennone solo.

Qual consiglio crudel! Si vuol ch'io stesso

inganni Ifigenia? che sposa io finga

condurla all'ara, ov'ella incontri (io fremo)

invece d'un consorte, il fato estremo;

ma il sangue suo voglion gli dèi. Mal cauto

d'ubbidirli io giurai: mormora il campo,

e chiede... Eh ch'io no 'l posso. E se bramasse

or che la sua venuta apprese Achille

di compir gl'imenei? Conosco il suo

carattere violento, allora... Ah questo

fiero colpo s'eviti.

(ad una guardia, che ricevuto l'ordine parte)

Olà, qui venga

Ifigenia.

Tempo prendiamo. Intanto

risolverò, ciò che far degg'io. O numi

s'era vostro desío, ch'io v'immolassi

delle mie cure il più gradito oggetto,

un cor di padre a che lasciarmi in petto?

Scena dodicesima

Ifigenia, e detto.

IFIGENIA

Signor...

AGAMENNONE

T'appressa, o figlia,

oggi una prova io chiedo

dell'ubbidienza tua. Vedrò da questa

se caro ti son io.

IFIGENIA

Se mi sei caro?

Chiederlo, o padre, puoi? Come sì poco

leggi nell'alma mia? Questo sospetto

per qual mio fallo meritai?

AGAMENNONE

Si tratta

d'assicurar la pace mia. Tu il puoi,

ma è terribil l'impresa.

IFIGENIA

È ognor leggera

quando a te giovar può: prescrivi, imponi

amato genitor, che far degg'io?

AGAMENNONE

Achille lasciar déi.

IFIGENIA

Lasciarlo! oh dio.

Come!... il mio sposo!...

AGAMENNONE

Il nodo

è sospeso per or. Grave cagione

a ciò m'astringe. E s'evitarlo a sorte

tu non potessi, seco

freddezza ostenta.

IFIGENIA

(Io moro.)

Ma svela almen...

AGAMENNONE

Più non cercar. Mi fido

d'Ifigenia; né il prence

sappia quanto t'imposi. Addio.

(prendendola affettuosamente per la mano)

Crudele

deh non chiamarmi, se gli affetti istessi

che un dì permisi, or d'immolar dimando.

È solo per tuo ben, ch'io te 'l comando.

(parte)

Scena tredicesima

Ifigenia sola, indi Achille.

IFIGENIA

Che intesi! Oh numi eterni

qual colpo è questo! Ecco d'Ulisse i detti

svelati alfin. Chi di me vide al mondo

altra più sventurata? Un sogno dunque

furo i contenti miei? Diletto Achille

anima del mio cor, nel punto istesso

ch'io d'esser tua mi lusingai, ti perdo,

e forse, oh dio! per sempre. E qual cagione

indotto avrà... Ma esaminar ardisco

d'un padre i cenni? È duro il passo, è vero,

ma figlia son. Perder la vita ancora

s'io deggio, s'ubbidisca, e poi si mora.

ACHILLE

(con trasporto)

Ifigenia, mio bene, idolo mio!

IFIGENIA

(Chi veggo! oh me infelice!

fuggir non so, né rimaner poss'io.)

ACHILLE

Tu in Aulide? Tu meco? Io quasi fede

niego, o cara, a me stesso. Oh generoso

Agamennone! oh giorno! Ah di sue cure

qual mercé non gli debbo? Il mio coraggio

egli rese maggiore. Ilio paventi.

Quel mar che ci divide,

freme, e s'oppone invano al nostro voto.

Io de' venti a dispetto,

se uopo fia saprò passarlo a nuoto.

IFIGENIA

Signor, grata ti sono...

vorrei... (Che posso dir?)

ACHILLE

Signor mi chiami?

Qual nuovo stil? Dal labbro tuo vezzoso

altro nome non vo', che quel di sposo.

IFIGENIA

(Che stato è il mio!)

ACHILLE

Ma donde avvien, che i stessi

trasporti, che in me sento, in te non trovo?

Le luci chini al suolo, e parmi... oh stelle!

Qual t'inonda le gote

pianto improvviso?

IFIGENIA

Un'infelice io sono,

non spero più, che il mio destin si cangi.

Nacqui alle pene.

ACHILLE

Achille t'ama, e piangi?

Ma spiegati, favella,

che t'avvenne? che fu, bella mia face?

IFIGENIA

(con impazienza)

Io mi sento morir! Lasciami in pace.

ACHILLE

(con estrema sorpresa)

Giusto ciel!

IFIGENIA

(Non mi lice

né parlar, né tacer.)

ACHILLE

Che creder degg'io

d'Ifigenia? Quando sperai vicina

la mia felicità, quando attendea

la mercede bramata

d'un lungo omaggio, degli affetti miei,

che turbo la sua pace odo da lei.

IFIGENIA

(col maggior dolore)

Perché pene m'aggiungi

co' rimproveri tuoi? Va'; senza questi

già misera son io.

ACHILLE

Son fuor di me. M'ami tu ancora?

IFIGENIA

Oh dio!

ACHILLE

Non rispondi crudele? Ah tu obliasti

un fido amore, e meco sei cangiata.

IFIGENIA

Non chiamarmi crudel, ma sventurata.

ACHILLE

Almen del tuo tormento

di' la cagion qual è?

IFIGENIA

Oh dio morir mi sento,

né posso dir perché.

ACHILLE

Ma non son io...

IFIGENIA

Tu sei

l'anima del mio cor.

ACHILLE

Dunque perché sì mesta?

IFIGENIA

Sappi...

ACHILLE

Deh segui.

IFIGENIA

Oh dèi!

ACHILLE E IFIGENIA

Che nuova specie è questa

d'affanno, e di dolor!

Quante sventure aduna

il fato a' danni miei,

nemica ho la fortuna

e chiamo invano amor.

Atto secondo
Scena prima

Padiglione d'Agamennone in diverso aspetto.
Erifile, ed Arcade.

ARCADE

È vana ogni tua cura, ed a Calcante

favellar non ti lice

infino al nuovo dì.

ERIFILE

Per qual cagione

vietato è in questo giorno a lui l'ingresso?

ARCADE

Chiuso nel tempio adesso

è co' seguaci suoi. Non so qual debba

sacrificio compir, che il ciel dimanda

nella notte vicina.

ERIFILE

È strano il rito

sacrificar fra l'ombre.

Ma il fia, per favellargli

la nuova aurora attenderò. Vorrei

veder intanto Ifigenia. Poc'anzi,

che d'Argo giunse appresi.

ARCADE

Il tuo desío

seconderò. Che a' passi tuoi sia scorta

m'impose Achille. Sei tu nota a lei?

ERIFILE

Com'esserlo potrei? La terra argiva

io mai non vidi, ella mai Lesbo.

ARCADE

Paga

a momenti sarai. Già de' suoi merti

più volte udito ragionare avrai,

ma sono, e in breve giudicar ne puoi,

maggiori della fama i merti suoi.

Amor quel volto inspira,

desta virtù quel core,

ma sempre in lei d'amore

trionfa la virtù.

Se a un bel sembiante è unita

alma più bella ancora,

dolce è l'amore allora,

cara è la servitù.

(parte)

Scena seconda

Erifile, indi Ifigenia.

ERIFILE

È poco ciò ch'io soffro,

deggio per mio tormento

ascoltar le altrui lodi ogni momento.

Questa vedrem fra poco

sovrumana beltà, che ognun ammira,

che seppe (ah questo è il vanto suo maggiore!)

che seppe soggiogar d'Achille il core.

IFIGENIA

(senza veder Erifile)

(Che appresi, e sarà ver? Qual piaga aperse

Ulisse in questo sen? Bramato avrei

prima perder la vita.

Achille m'è infedele? Io son tradita?)

ERIFILE

Deh accetta, o principessa,

(ché il grado tuo nel tuo sembiante io leggo)

i voti del mio cor, gli omaggi miei,

sdegnarli non potrai...

IFIGENIA

(scuotendosi dai suoi pensieri)

Che vuoi? chi sei?

ERIFILE

Erifile m'appello, e quando Achille

Lesbo distrusse...

IFIGENIA

Oh stelle!

Quell'Erifile sei, che prigioniera

in Lesbo ei fe'?

ERIFILE

Per sorte mia funesta.

IFIGENIA

(Fremo. È la mia rival.)

ERIFILE

(Sdegno mi desta.

Qual accoglienza! Ma fingiam.) Fra poco

so ch'esser déi consorte

del mio signore, e cerco

nelle miserie mie

implorare la tua pietà.

IFIGENIA

(L'indegna

vuol deridermi ancor.)

(con ironia)

Misero tanto

non è il tuo stato, e ti quereli invano.

Dolce è la tua catena, e Achille è umano.

ERIFILE

È ver, di sua pietade

lagnarmi non poss'io. S'è un nume in campo,

in pace al suo valore

la clemenza non cede. Il pianto mio

mosse quel cor. Dopo l'eccidio orrendo...

IFIGENIA

Basta; altro udir non voglio.

ERIFILE

E in che t'offendo?

I pregi suoi rammento,

e che a te fosser cari, immaginai.

IFIGENIA

Lodo il tuo zel, li rammentasti assai.

Parti.

ERIFILE

Da te mi scacci? e qual cagione

desta quell'ire, e a' danni

mover ti può d'un'infelice oppressa?

IFIGENIA

Déi, per saperla, esaminar te stessa.

ERIFILE

M'accusi, e non errai,

e a torto sei sdegnata,

se l'esser sventurata

non è delitto in me.

(Paventa, e ben l'intendo,

perder l'amato oggetto,

perché quel suo sospetto

verace almen non è?)

(parte)

Scena terza

Ifigenia, poi Agamennone, ed Arcade.

IFIGENIA

E che dubito più? Nel volto io lessi

della rival superba

l'infedeltade altrui, la mia sventura.

Ecco per qual cagione

di fuggir dal crudele il padre impose.

Seppe il mio torto, e me 'l celò pietoso

del mio dolor. Qual astro

avverso mi condusse in questo lido!

Ed è vero, e non moro? Achille è infido?

AGAMENNONE

(a parte ad Arcade)

Questo fatale arcano

si celi a ognuno. Alla mia figlia istessa

sia la cagion di sua partenza ascosa,

sinché in Argo non giunga.

ARCADE

(a parte ad Agamennone)

In me riposa.

(Che intesi mai!)

AGAMENNONE

(ad Ifigenia)

Del mio paterno affetto

la maggior prova a darti io vengo. È d'uopo

che tu ritorni alle materne braccia.

In solitaria parte un picciol legno

te solo attende, e della notte all'ombra

che già s'avanza, scioglierà dal lido.

Arcade fia tua scorta. Il soffri in pace,

né il tuo partir t'affanni.

In Argo apprenderai

quanto per te, diletta figlia, oprai.

IFIGENIA

Ah padre mio, quai grazie a te non deve

la sventurata Ifigenia? Sospiro

di lasciar queste piagge a me funeste.

Dividermi da te solo mi duole.

Ma che far deggio? È forza

ubbidire al destino, a al ciel che il vuole.

AGAMENNONE

Taci, non avvilirmi. Ah se sapessi...

IFIGENIA

Tutto già so. Qual sorte a me si serba

io non ignoro.

AGAMENNONE

(con la maggior sorpresa)

Oh ciel! Chi mai te 'l disse?

Chi svelotti l'arcano?

IFIGENIA

Ulisse.

AGAMENNONE

Ulisse?

IFIGENIA

Sì, l'appresi da lui.

AGAMENNONE

(Sleal!)

IFIGENIA

Creduto

avresti, o genitore,

Achille traditore?

AGAMENNONE

Achille?

IFIGENIA

Acceso

è il perfido, tu il sai, della straniera

che da Lesbo condusse. Allor ch'io credo

col più tenace nodo all'are in faccia

d'unirmi a lui, l'infedeltà ne apprendo.

Qual mercé mi si rende!

AGAMENNONE

(Or tutto intendo.

Nell'inganno si lasci.) E ben tu il vedi,

ragione avea di quanto imposi. Ancora

però non disperar, cangiare il tempo

la tua sorte potria. Per or t'affretta,

di partire è il momento. In lei me stesso,

Arcade, a te confido;

non v'arrestate. Ogni più breve indugio

è un affanno per me.

IFIGENIA

Tutti al destino

i mali miei perdono

quando cara ti sono. I mesti giorni

io vado a trar da te lontana, e solo

il conforto m'avanza

di rivederti, e in sorte così dura

pianger vicino a te la mia sventura.

Se mi condanna il fato

a piangere, e penar,

consola, o padre amato,

il povero mio cor.

Sorte crudel tiranna,

appaga il tuo furor,

ma contro il tuo rigor

saprò penando ancora

l'affetto mio serbar.

(parte)

Scena quarta

Agamennone, indi Ulisse accompagnato da Principi confederati, e Duci dell'armata.

AGAMENNONE

Quel duol si calmerà quando palese

le fia qual rischio superò. D'Ulisse

l'artificio comprendo. Allontanarla

ei da Achille pretese. Anela il crudo

di veder, che il suo sangue...

Ma no 'l vedrà. Saprò involarla a morte

a dispetto del campo, e della sorte.

ULISSE

Delle adunate schiere i prenci, i duci

qui Agamennone vedi. Ognun ti parla

col labbro mio. Ciò, che giurasti, adempi,

dell'incarco funesto

duolmi, niegar no 'l so, ma il campo il chiede,

né tu accusar mi puoi,

ché mia colpa non sono i mali tuoi.

AGAMENNONE

Sì franco favellar non t'udirei

quando fossero in rischio

di Telemaco i dì. Non gli esporresti

tu, che d'ognun ti fai

e guida, e consiglier.

ULISSE

Nulla io giurai;

ma di te sarei forse

più generoso nel comun periglio.

AGAMENNONE

Serba a chi non è padre il tuo consiglio.

ULISSE

Signor, dal comun voto

tu di duce supremo il grado avesti,

te stesso devi a noi. Se questo oblii

necessario dover, poi non lagnarti

s'anche il nostro obliam. Cedi al destino,

ubbidisci agli dèi.

Né conceder costretto

ciò, che sol volontario offrir tu déi.

AGAMENNONE

Che ascolto! Oh ciel! Son io?

Agamennone sono? e il soffro? a forza

obbligarmi si vuol...

ULISSE

No. A questo estremo

ridotti non sarem, se tu rammenti

che Agamennone sei... Pensa qual grado

occupi sulla terra, eguale il core

al tuo grado aver déi. Da noi si volle

abbandonar l'impresa, e tu il vietasti

sinché parlasse il ciel. Che impon tu sai.

Spergiuro esser vorrai? Da te dipende

e l'onor della Grecia,

e in uno la gloria tua. La maggior prova

dar puoi d'alma virile.

È tua la scelta. esser vuoi grande, o vile?

AGAMENNONE

Che risponder poss'io? Co' numi, il veggo,

è vano il contrastar. Più non m'oppongo

a' vostri voti: e offrir all'are io stesso

la vittima prometto

all'apparir della novella aurora.

ULISSE

(al suo accompagnamento)

Oh generoso! al campo intero, amici,

sia questo eccesso di virtù palese.

Ogni discordia è estinta,

trionfa oggi la Grecia, ed Ilio è vinta.

(parte seguito da tutti)

Scena quinta

Agamennone solo.

Oh notte, oh amica notte,

d'un genitor dolente ah tu seconda

i giusti voti. E se la figlia inciampo

quindi a partir trovasse? All'onde, ai venti

imperar non si può... Come salvarla?

Come potrei... qual nero

presagio mi tormenta,

e d'un segreto orror l'anima ingombra!

Mi dà spavento ogni ombra,

parmi in ogni momento

veder infausto messagger, che giunga

d'un evento sinistro apportatore;

e intanto il mio timore

alternando a vicenda il falso, e il vero

mille funeste idee pinge al pensiero.

Veggo la figlia amata

pallida, esangue in volto,

vittima sventurata,

che chiede, oh dio! pietà.

E nel suo fatal periglio,

n'odo la voce, i gemiti,

e balenarmi al ciglio

veggo la scure istessa,

che ucciderla dovrà.

(parte)

Scena sesta

Luogo ristretto in mezzo ad orride rupi, che lascia vedere un angusto seno di mare, con piccola barca legata alla sponda. Notte con luna.
Achille solo.

Lungi dall'importuno

stuol degli amici, l'anima agitata

trova in parte sollievo, e sol di questi

solitari sentieri

accompagna l'orrore i miei pensieri.

Che feci a Ifigenia? Che creder debbo

del cangiamento suo? Forse un ascoso

rival mi venne a disturbar la pace?

A me rivali? E chi saria l'audace?

Qual temerario?... Esser non può. Ma intanto

perché m'affanno? Eh si punisca alfine

col disprezzo il disprezzo. Occupi tutto

la gloria questo cor. Scordiamo... oh dio!

lo tento invano. Quell'ingrata adoro,

e ad un solo girar di sue pupille

più coraggio non ho, né son più Achille.

(siede sopra un sasso)

Scena settima

Ifigenia, ed Arcade con poche Guardie, e detto.

ARCADE

(senza veder Achille)

Al destinato loco

giungemmo alfine. È quello il legno.

(additando la barca)

IFIGENIA

Io seguo

i passi tuoi. Si vada

ove il perverso mio destin mi porta.

ACHILLE

Qual voce? Ifigenia?

(s'alza, e dopo fatti alcuni passi vede Ifigenia)

ARCADE

Numi!

IFIGENIA

(conoscendo Achille)

Son morta.

ACHILLE

Io mi confondo, e quasi

non credo agli occhi miei. Tu in questo loco?

A che venisti? E qual cagion fra l'ombre

lasciar ti fece il tuo real soggiorno?

IFIGENIA

I tuoi voti secondo, in Argo io torno.

ACHILLE

In Argo?

ARCADE

(Ah qual prevedo

sventura inaspettata!)

ACHILLE

Che intesi! In Argo? E m'abbandoni, ingrata?

IFIGENIA

In ver, l'ingrata io son. Che più vorresti?

Mi tradisti, il sopporto, e non mi lagno.

ACHILLE

Io tradirti?

IFIGENIA

S'io parto, alfin che nuoce?

Più tranquillo potrai

alla bella straniera a te sì cara,

alla vaga Erifile...

ACHILLE

Erifile! Quai sogni!

IFIGENIA

A te che giova

niegarmi che l'adori? Essere infido

Achille può, non lo credei, ma il vedo.

Ch'egli sia menzogner però non credo.

ACHILLE

Io scuso l'ire tue, ma chi tal frode,

chi menzogna sì nera

immaginò fallace a danno mio?

IFIGENIA

Di mentir incapace

è chi a me il palesò. Come pretendi...

ACHILLE

(con calore)

Sì, che mente chi il disse, e tu m'offendi.

A velar non son uso i sensi miei,

e se più non t'amassi, io te 'l direi.

Ma torna al campo. L'innocenza mia

innanzi a te giustificar vogl'io,

ivi vedrai se un mancator son io.

ARCADE

Impossibile, o prence, è il suo ritorno,

d'Agamennone è cenno...

ACHILLE

Il cenno suo

uopo è per or che si sospenda.

IFIGENIA

Ah come

del genitor dovrei...

ACHILLE

La colpa è mia

se tu non l'ubbidisci. Egli ingannato

fu al par di te. Dell'onor tuo si tratta,

dell'onor mio, che vendicare io bramo.

Tremi chi ordì sì rea calunnia. Andiamo.

(prende per mano Ifigenia, e partendo)

ARCADE

Signor...

ACHILLE

Non odo.

ARCADE

(Ah qual riparo opporre?

Se gli sveli l'arcan.) M'ascolta...

ACHILLE

(come sopra)

È vano

ARCADE

T'arresta, abbi pietà della sua sorte,

di propria man tu la conduci a morte.

ACHILLE

(sorpreso lascia la mano di Ifigenia)

Oh ciel! Che dici mai?

IFIGENIA

Nuovi disastri

vi son per me?

ARCADE

L'oracolo dimanda

il sangue suo. Calcante il fe' palese.

Deluso il sacrificio egli prepara,

e la vittima attende a piè dell'ara.

IFIGENIA

Che ascolto, oh dio!

ACHILLE

Gelo d'orror.

ARCADE

Se tarda

potrebbe... ohimè! gente s'avanza. Oh colpo!

Oh fatale dimora!

IFIGENIA

Che m'avvien?

ACHILLE

(con risoluzione)

Non temer, ch'io vivo ancora.

Scena ottava

Ulisse con numeroso séguito di Soldati greci con fiaccole accese, e detti.

ULISSE

(Eccola. Non mentì chi la sua fuga

mi fe' palese. Oh ciel! qui Achille?)

ARCADE

(Io tremo.)

ACHILLE

(fieramente ad Ulisse)

A che vieni? che vuoi?

ULISSE

Calma quell'ira,

offenderti non credo...

ACHILLE

(come sopra)

Non soffro indugi. A che qui vieni, io chiedo.

ULISSE

De' greci tutti a nome

che al campo rieda Ifigenia dimando.

ACHILLE

Con qual fronte tu fai

la richiesta orgogliosa?

Qual dritto hanno su lei? San ch'è mia sposa?

ULISSE

Ancora il sacro rito

non l'unì teco. Dal sovrano impero

d'un genitor dipende, ed ha egli stesso

giurato al cielo, e d'ubbidir promesso.

ACHILLE

Agamennone?

IFIGENIA

Il padre!

ACHILLE

A' detti tuoi

fé non deggio prestar. Sin ch'io vi sono

ella al campo non riede.

ULISSE

Al tuo volere

s'opporran quanti vedi. Il mio rispetto

qual sia per te già sai, ma qui si tratta

della comun salvezza, e di costoro

all'impeto non posso oppor riparo.

ACHILLE

Io frenarlo saprò con questo acciaro.

(Achille vuol impugnar la spada. Ifigenia lo trattiene prendendolo per un braccio)

IFIGENIA

Ah fermati, che tenti?

ACHILLE

Difenderti.

IFIGENIA

Non voglio. Incontro a mille

spade vuoi solo esporti?

ACHILLE

È meco Achille.

IFIGENIA

Contro i greci impugnar l'armi pretendi,

che destinasti alla vendetta achea?

ACHILLE

Di salvarti io sol bramo.

IFIGENIA

E mi fai rea?

Deh, se tu m'ami, frena

l'intempestivo ardir. Calmati, lascia

ch'io parli al genitor.

ACHILLE

No.

IFIGENIA

(tenera)

Tu mi festi

arbitra del tuo volere, e quando

a' miei prieghi resisti, io te 'l comando.

ACHILLE

A danno tuo t'ostini. E ben al campo

io ti precedo. Ivi a raccoglier vado

tutti i tessali miei; parlar io stesso

con atride vogl'io.

(ad Ulisse con sdegno)

Dell'opra indegna

tu barbaro trionfa,

ma fin che Achille è in vita

compire i tuoi disegni invan presumi.

(ad Arcade)

Credimi: più sicuro

quest'oracolo fia, che quel de' numi.

(ad Ulisse)

Conosci quest'acciaro?

Guardalo: è quel d'Achille.

(ad Arcade)

Parto; a te fido il caro,

il solo mio tesor.

(ad Ulisse)

Audace! al mio volere

è vano il contrastar.

(additando il ferro)

Farò tremar le schiere

di questo al fulminar.

(ad Ifigenia)

Tu rasserena i rai;

per te, ben mio, lo sai,

darò la vita ancor.

Ridotto al passo estremo

la terra, il ciel non temo:

è meco il mio valor.

(parte)

Scena nona

Ifigenia, Ulisse, Arcade, e Guardie.

ULISSE

Principessa, perdona

se ad onta del mio core

il mio dover nemico tuo mi rende.

Compiangerti sol posso...

IFIGENIA

A te non chiedo

questa pietà, sia simulata, o vera.

Sì vile il cor non ho. Se i giorni miei

dimandano gli dèi,

se giovano alla patria, a esporli io vado,

e nel passo fatal non son smarrita,

né arrossir io farò chi mi diè vita.

(parte con Arcade)

Scena decima

Ulisse solo.

(alle sue guardie, che seguono Ifigenia)

Si scorti, amici, alle sue tende. Achille

si calmerà. Contro d'un campo intero

che far ei può? L'affetto

ch'or la ragion gli oscura

ceder dovrà in quel core.

La sua gloria saprà vincere amore.

Adori un'alma imbelle

le dolci sue catene,

solo per lei diviene

amor necessità.

Ma chi d'onor si pasce

a un amoroso affetto

o mai non dà ricetto,

o superar lo sa.

(parte)

Scena undicesima

Padiglione d'Agamennone aperto, che lascia vedere parte dell'accampamento greco.
Agamennone, ed Achille.

AGAMENNONE

Che m'apprendesti: ah m'era il cor presago

della sventura mia!

ACHILLE

Che pensi intanto?

Che far tu vuoi? D'inutili querele

questo il tempo non è.

AGAMENNONE

Che mai far deggio

se in ogni evento degli avversi numi

leggo il voler.

ACHILLE

Siano gli argivi uniti

con i tessali miei. Vedremo allora

chi ardirà contrastarci.

AGAMENNONE

Ah contro i greci

di cui son duce, io stesso

moverò l'armi? In faccia al mondo tutto

spergiuro apparirò?

ACHILLE

Non l'eri allora

che la figlia fuggìa?

AGAMENNONE

Potuto avrei

trovar pretesti, onde scolparmi. Or d'uopo

è usar la forza, e confessarmi reo.

Tal non sarò. Gli atridi

della Grecia al sostegno il ciel destina,

e non a procurar la sua ruina.

Ah del mio sangue a costo (in dirlo io moro)

trionfar la farò. Vuoi, che a' nemici

di scherno oggetto elle divenga? e mentre

in civil guerra qui s'impiega il brando

il Teucro rapitor rida di noi?

ACHILLE

E a me che fecer Priamo, e i figli suoi,

che debellarli io voglia

a costo d'una vita a me sì cara?

Qual armata troiana

venne nella Tessaglia

la consorte a involarmi, o la germana?

Di Menelao l'affronto, i torti tuoi

armar mi fero. Era dell'opra mia

mercede Ifigenia. Finor per lei

tutto fec'io. Di tanti

sudori miei l'unico premio è questo.

A tal prezzo vi seguo, o qui m'arresto.

AGAMENNONE

Di te, signor, fa' ciò, che vuoi; ma solo

ciò ch'io debbo, farò. Credi, che cara

men che a te, m'è la figlia? Io tutto feci

per poterla salvar. Di più non lice.

Morirà l'infelice. In seno premo

il mio dolor, ma che son padre io sento.

E il suo per tollerar fato inumano

la costanza che ho d'uopo io cerco invano.

Scena dodicesima

Ifigenia, e detti, poi Ulisse.

(Ifigenia giunge in tempo di poter udire le ultime parole d'Agamennone. I Soldati, che la scortano restano all'ingresso del padiglione)

IFIGENIA

Se il destin così vuol, perché t'affanni

caro mio genitor? La morte mia

non merta quel dolor, la temerei

s'io mi sentissi rea. Piego la fronte

al voler degli dèi; né m'udirai

proferir per lagnarmi, un solo accento.

AGAMENNONE

Ah figlia! ah dove vieni! e in qual momento!

ACHILLE

(ironicamente ad Ifigenia)

T'appressa pur. Puoi con ragione al tuo

tenero genitor render mercede.

Già t'è noto qual sorte

a te destini il suo paterno zelo.

IFIGENIA

Qual colpa egli ha? chi mi condanna è il cielo.

ACHILLE

No, ch'ei non ti condanna infin che al fianco

questo acciaro mi lascia.

AGAMENNONE

Oh potess'io

la vittima cangiar, e per suo scampo

me stesso offrir. Ma chi ravviso! oh stelle!

AGAMENNONE

(s'avvede d'Ulisse, che è sulla soglia del padiglione)

T'avanza. Forse ad affrettar venisti

l'estremo fato suo? Saziati, o crudo;

e se l'indugio è ancora a te di pena

appaga i tuoi furori,

snuda, o barbaro, il ferro, e qui la svena.

ULISSE

Del sangue suo sete io non ho. Né sono

barbaro qual mi credi. Il dover mio...

ACHILLE

Il tuo dover qual sia, da questa spada

fra poch'istanti apprenderai.

ULISSE

Sopporto

in pace i detti tuoi, ma in te l'amante

favella, il padre in lui.

ACHILLE

(minaccioso ad Ulisse, indi ad Ifigenia, e va per partire)

Qual io mi sono

di mostrarti m'impegno in altro loco,

tu non temer, ritornerò tra poco.

IFIGENIA

Ferma, deh senti, oh dèi!

ACHILLE

Più tollerar non voglio.

AGAMENNONE

Togliti agli occhi miei.

ULISSE

Ma quale ingiusto orgoglio...

IFIGENIA

Calmate quel furor.

AGAMENNONE E ACHILLE

Non odo, che il mio sdegno,

sento avvamparmi il cor.

IFIGENIA

Per me vi parli ancora

il primo affetto in seno,

d'una che muore almeno

movetevi a pietà.

AGAMENNONE, ACHILLE, ULISSE E IFIGENIA

Ah l'alma a quelle lagrime

resistere non sa.

Se vane son le lagrime,

chi mai li placherà!

AGAMENNONE

Il pianto d'una figlia

ULISSE

D'un infelice il fato

IFIGENIA

Lo sdegno, che li accende

ACHILLE

Il duol dell'idol mio

AGAMENNONE, ACHILLE, ULISSE E IFIGENIA

È affanno così rio,

che palpitar mi fa...

Atto terzo
Scena prima

Tenda greca.
Ulisse, Erifile, Arcade.

ULISSE

Dunque la principessa

forte è così?

ARCADE

Sì Ulisse, Ifigenia

il suo fato non teme, e generosa

in mezzo al pianto altrui

offre pel comun bene i giorni sui.

Ma furibondo Achille

freme, e minaccia forse in questo giorno

qualche fiero tumulto esser potria

cagion d'alte sventure.

ULISSE

Se la forza adoprar pretende Achille

saprò oppormi coll'armi.

ARCADE

E l'infelice

Ifigenia dovrebbe...

ULISSE

Il sacrificio

ne chiedono gli dèi, da questo pende

tutto il destin dell'armi nostre.

ARCADE

Oh quanta

pietà mi desta l'innocente!

ERIFILE

Anch'io

sento pietà d'Ifigenia, ma pure

sempre al pubblico bene

ceder deve il privato.

ULISSE

(con ironia)

Oh quanto sei

tu del pubblico bene,

Erifile, gelosa.

ERIFILE

E che pretendi,

Ulisse, dir con ciò?

ULISSE

Tu sai, che tutto

già scopersi il tuo cor. Con me non giova

ora più simular. Quello ti leggo

espresso sulla fronte, e nelle ciglia;

non il pubblico bene,

il privato amor tuo sol ti consiglia.

ERIFILE

Perché, crudele Ulisse,

gl'incauti detti, che mi uscir dal labbro

mi rinfacci così? Sarò qual vuoi.

Sì lo confesso alfine,

Achille adoro. Se il destin mi toglie

una rival, spenta colei, potrebbe

allora l'amor mio... Ah se la sorte

contro me non si ostina,

felice far mi può l'altrui rovina.

Perder vedrò la vita

a chi di me fa gioco,

a chi m'invola ardita,

un cor che m'invaghì.

Ma se delusa io resto,

se giusti, o numi, siete,

deh fate, che sia questo

l'ultimo dei miei dì.

(parte)

Scena seconda

Ulisse, ed Arcade.

ULISSE

Forse crudel io posso,

Arcade, a te sembrar, ma pur no 'l sono,

anch'io compiango Ifigenia. Se fosse

in mio poter salvarla,

salvo anche il ben di tutti, io lo farei,

ma il voler degli dèi

chiaro parlò. Chi vi s'oppone è un empio,

e non già chi sostiene

nel comando del ciel il comun bene.

ARCADE

Ma se Achille co' suoi

tessali valorosi...

ULISSE

E che? nel petto

le varie schiere in Aulide raccolte

da tanti invitti prenci

non han forse valor? Ah s'egli tenta

la grand'opra scompor... Ma no. Finora

saggio non men, che valoroso Achille

ognora si mostrò. Saprà dai lumi

sciorre d'amore il velo,

né vorrà contrastar co' dèi del cielo.

Alma grande all'armi avvezza

se talor diviene amante,

non si parte un solo istante,

dalla gloria, e dall'onor.

Non vaneggia il forte Achille

anche allor che prova amore,

del valore alle faville

arde tutto quel gran core.

(parte con Arcade)

Scena terza

Oscuro fondo di antica, e rovinata torre, dove è custodita Ifigenia.
Ifigenia, poi Arcade.

IFIGENIA

Misera Ifigenia! a qual sventura

ti serbaron gli dèi!

Son questi gli imenei

col tuo diletto Achille? e il premio è questo

di tanto amor, di tanta fede?... oh numi!

Chi intender può le vie, per cui guidate

queste umane vicende?... al cenno vostro

piego la fronte, e volontaria il capo

offro pronta all'acciaro. Il labbro mio

di voi no, non si duole;

corro al mio fato. Il ben comun lo vuole.

Achille, amato Achille

io ti lascio per sempre! Ah splenda il cielo

più fausto ai giorni tuoi. E se talora

la memoria di me... Ma che ragiono?

Si tronchi un tal parlar... Forte s'incontri

quel destin... Chi s'avanza?... Arcade.

(Arcade giunge con guardie.)

ARCADE

(affannato)

Io vengo...

(Oh numi che dirò!)

IFIGENIA

Parla.

ARCADE

(come sopra)

Nel campo.

(Ah mi si spezza il core

nell'annunzio crudel!)

IFIGENIA

T'intendo, io sono

chiamata al sacrifizio. E che paventi?

Andiam. Vedrà la Grecia

come saprò sull'ara

intrepida morir.

ARCADE

Il tuo coraggio

al campo è noto. Ognun t'ammira. Ognuno

versa nell'applaudire all'alma forte

lagrime di dolor sulla tua sorte.

IFIGENIA

Degna sarei di pianto

se d'incontrar temessi il fato estremo

pe 'l bene della Grecia. Io vo superba

che della patria mia dalla mia morte

penda il fausto destin. In me si sfoghi

tutta l'ira del ciel. Così fia grato

agli nemici dèi, come contenta

tutto a versar m'invio

per placarli una volta il sangue mio.

Conservate, o dèi pietosi,

nell'amato mio tesoro,

una parte almen di me.

Più contenta allora io moro;

e l'aspetto della morte

più terribile non è.

(parte con Arcade e le guardie)

Scena quarta

Gran piazza nel centro del campo greco. Statua di Diana nel mezzo con ara accesa innanzi alla medesima.
Agamennone, poi Ulisse.

AGAMENNONE

Qual funesto apparato! ove m'aggiro?

Per me più speme ormai non v'è, fra poco

svenar sugli occhi miei

io la figlia vedrò. Costretto sono

ad ostentar quella costanza in volto,

che non trovo nel cor, perché non squarcia

pria questo sen la preparata scure;

e pietosa al mio duolo

morte non viene, e non m'inghiotte il suolo?

ULISSE

Al par di te son padre;

e piango anch'io con te; ma ti rammenta...

AGAMENNONE

Ciò che a me debbo, io so. Vanne. Conforto

dall'autor non vogl'io, de' mali miei.

ULISSE

Per onor tuo crudele

al tuo sangue mi serbo, io non errai,

tu pensa che re sei. Desta l'usato

coraggio tuo nell'anima smarrita,

e nel passo crudel la figlia imita.

AGAMENNONE

Misera! Il proprio scempio

ella stessa affrettò. Quale splendeva,

allor che i lumi aprì, maligna stella,

né si placano i numi?

Né il move a pietà virtù sì bella?

Come di tenebre

non copre il sole

un dì foriero

di tanto orror!

Né cela rapido

l'infausta luce

pietoso ai palpiti

d'un genitor!

(s'ode una marcia lugubre. Ulisse va dietro. Agamennone resta nella maggior desolazione appoggiandosi ad un soldato)

Scena quinta

S'avanza ordinatamente tutta l'armata greca schierandosi da entrambi i lati, e circondando il campo, segue Ifigenia in bianca veste coronata di fiori, accompagnata da Calcante, preceduta dai sacri ministri, che portano sopra bacili d'oro le bende, e gl'istrumenti pe 'l sacrifizio; è seguita da donzelle, da Arcade, e dagli altri duci del campo greco.

CALCANTE

Sa il ciel, vergine eccelsa,

s'oggi con pena il suo volere adempio.

A quest'are giammai

sinor non m'appressai con più d'orrore,

vacillante è la man, mi trema il core.

IFIGENIA

Degli dèi non mi lagno,

né destino miglior bramar poss'io

quando giova ad ognuno il morir mio.

Tu amato genitor, lascia che ancora

ti stringa al seno, e a' prieghi miei concedi

l'estremo don.

AGAMENNONE

Figlia... Ti spiega... Io voglio

ah non posso parlar!

IFIGENIA

Gelosa a torto

d'Erifile, poc'anzi

la misera insultai, deh tu compensa

l'involontario error. Qui prigioniera

geme la sventurata,

dell'avverso destino è scherno, e gioco;

deh ottenga nel tuo core essa il mio loco.

AGAMENNONE

Che niegarti potrei? Ma tu se vuoi,

ch'io pria di te non spiri, ah non mostrarti

così degna d'amor! Figlia diletta

è dunque ver? Mi lasci?

Io più non ti vedrò?

(abbracciandosi colla maggiore tenerezza)

IFIGENIA

Mi rendi a' numi

da cui mi avesti. Cara

ognor d'Ifigenia

la memoria ti fia. Non obliarmi,

e calma il tuo dolor.

AGAMENNONE

Queste le pompe

son di tue nozze! È questo

il talamo bramato!

Oh padre sventurato!

IFIGENIA

Al ciel sì piace;

prendi l'ultimo amplesso, e resta in pace.

Si ripiglia la marcia lugubre. Agamennone resta abbattuto dal suo dolore coprendosi il volto. Ifigenia s'avanza verso l'ara, ma nell'atto, che vuole inginocchiarsi, si ascolta uno strepito d'armi. Tutti i personaggi restano sorpresi, i Soldati greci si pongono in atto di difesa.

ULISSE

Quale strepito ascolto!

CALCANTE

Achille armato

quindi s'avanza.

AGAMENNONE

Oh dèi!

IFIGENIA

Che sento?

ULISSE

(a' greci)

Amici,

de' numi, e della Grecia

la ragion si difenda, io vi son guida.

IFIGENIA

M'assisti, o ciel.

Scena sesta

Achille furibondo con séguito di Tessali facendosi strada fra i Greci.

ACHILLE

(a' suoi seguaci)

Chi mi s'oppon s'uccida.

CALCANTE

Così l'are rispetti?

ULISSE

Alfin che brami?

ACHILLE

In libertade Ifigenia lasciate.

ULISSE

Il ciel di lei decise.

(Achille co' suoi vogliono assalire i greci; Ifigenia s'oppone)

ACHILLE

Difendetevi dunque.

IFIGENIA

Oh dio fermate.

ACHILLE

Non lo sperar, non giungerà l'acciaro

infino a te senza passarmi il seno.

(Achille sciogliendosi da Ifigenia vuol nuovamente assalire i greci)

IFIGENIA

Arrestati crudele, o qui mi sveno.

(impugna uno stile in atto di uccidersi)

ACHILLE

Ah che fai?

AGAMENNONE

Giusto ciel!

IFIGENIA

Fo ciò, ch'io debbo.

ACHILLE

Ricusi il mio soccorso?

IFIGENIA

Il tuo soccorso

colpevole mi fa.

ACHILLE

T'offro uno scampo...

IFIGENIA

Che macchia l'onor mio.

ACHILLE

Morrai...

IFIGENIA

Col vanto

dell'amor della Grecia, e col suo pianto.

ACHILLE

Non sperar, ch'io lo soffra

sinché vita mi resta.

IFIGENIA

Dunque mira, o spietato...

(vuol ferirsi)

ACHILLE

Ah no, t'arresta!

Ma se ricusi aita, io sull'esangue

tua spoglia troncherò l'odioso nodo

d'una vita dolente, e disperata.

IFIGENIA

E vorresti lasciarmi invendicata?

Il mio Achille dov'è? Forte ti voglio,

non disperato. Va', sopra i nemici

vendica il comun torto, e il fato mio.

Ricusarlo potrai? Rispondi.

ACHILLE

Ah senza,

che tu mora, mio ben, saprò...

IFIGENIA

T'inganni.

L'ira, e l'amor t'accieca. Alla mia morte

non v'ha riparo, e intanto

se ti perdi, mio ben, la Grecia tutta

solo per tua cagione

avvilita sarà. Del grande Achille

allor, che si dirà? Così il tuo nome

chiaro non più tra valorosi eroi,

ma sol tra quei degli insensati amanti

andrà negletto, e oscuro.

ACHILLE

Taci. Sarò qual vuoi.

IFIGENIA

Giuralo.

ACHILLE

Il giuro.

IFIGENIA

(lascia cadere lo stile)

Ora il ferro abbandono, e qualche sfogo

si conceda al mio cor: Achille amato,

benché crudele il fato

ci divida così, s'oltre la tomba

aman gli estinti, ognor sarai qual fosti

l'adorato mio ben. Ah qualche volta

ricordati di me. Secondi il cielo

il tuo valor. Io dagli elisi ancora

godrò degli onor tuoi. Per la tua mano

il perfido troiano

di chi insultare osò sopporti il giogo.

La fiamma Ilio consumi

e del cenere mio fia quello il rogo.

ACHILLE

Ah sì; tremi il nemico. Alla vendetta

il tuo labbro, il tuo fato

più m'accende, e mi sprona. Arder nel core

mi sento un nuovo ardir, nuovo valore.

Troia cadrà. Già parmi

d'invitti lauri cinto

premer col piè trionfatore il capo

d'Elena al rapitor... Ma pure... oh dio!

mi dovrà nella via di queste imprese

preceder l'ombra tua? Funesti allori

sparsi del sangue tuo! Tristi vittorie,

che costan la tua morte!

Infelici trofei, di cui non posso

divider teco il frutto! E che mi giova

di vincitore il vanto,

se ogni bene in te sola io perdo intanto!

Questa non era, o cara,

nel mio felice amor

la dolce del mio cor

bella speranza!

Addio; per sempre addio.

Mai più non ti rivedrò.

Ah che imitar non so

la tua costanza!

Ma dov'è il coraggio mio?

Crudo ciel no 'l soffrirò.

ACHILLE

Vieni, o cara.

IFIGENIA

E il giuramento?

ACHILLE

Tu mi fai, oh dio! tremar.

Alme belle, al mio tormento

chi pietà potrà negar?

IFIGENIA E ACHILLE

Va', ti lascio. Oh fier momento!

Io non reggo al mio dolor.

Perché mai non proteggeste,

giusti dèi, sì bell'ardor?

Scena ultima

Erifile, e detti.

ERIFILE

(Della nemica mia sul fato estremo

a pascer io qui vengo i sguardi miei.)

IFIGENIA

Erifile!

CALCANTE

Che veggo, eterni dèi!

IFIGENIA

(ad Erifile abbracciandola)

Vieni fra queste braccia. Involontaria

t'offesi, e chieggo dell'error mio perdono.

ACHILLE

Oh eccesso di virtude!

ERIFILE

(Io dove sono?)

CALCANTE

(No, non m'inganno. Numi eterni, voi

rischiarate la mente. Intendo adesso

l'oracol vostro.)

(ad Erifile con maestà)

Mi conosci?

ERIFILE

Noto

sì poco mi saresti? In questo lido

in traccia di te venni, acciò palesi

l'origin mia, che fu finora oscura.

CALCANTE

Or lo saprai per tua fatal sventura.

Udite argivi. Questa,

che si credea del re di Lesbo figlia,

d'Elena nacque, che con nodo occulto

a Teseo unita fu, prima che sposa

fosse con Menelao. L'ascose a ognuno

la madre, onde salvar la propria fama,

né già Erifile, Ifigenia si chiama.

IFIGENIA

Che sento!

AGAMENNONE

Giusto cielo!

ERIFILE

Ah qual m'assale

improvviso tremor!

CALCANTE

La vidi in Lesbo,

e le annunziai de' mali il più funesto

in quel giorno, che fosse

a se medesma nota, e il giorno è questo.

Aprite i lumi. D'Elena l'errore

ecco espiar chi deve. Al suo destino

i numi la guidar, del fallo è rea

di chi vita le diede,

e la vittima è lei, che il ciel richiede.

(avanzandosi verso Erifile)

ERIFILE

A me non appressarti. Il sangue illustre,

da cui scender mi fai,

non smentirò. Nata a penar soltanto,

vilipesa, schernita,

aborrisco la vita. Il fine io stessa

saprò affrettarne, e accelerar quel fato

che il ciel con tanta industria a me prepara,

mira, o crudel, come si more, impara.

(s'avvicina all'ara, prende la scure dalle mani d'uno de' ministri, si ferisce, e cade fra i sacerdoti.)

IFIGENIA

Ah infelice!

AGAMENNONE

E non sogno?

ARCADE

Respiro.

ACHILLE

Oh cangiamento inaspettato!

CALCANTE

La vittima spirò. Son paghi i numi,

saran propizi i venti,

e nuova serie in questo dì per noi

greci, incomincerà di lieti eventi.

ACHILLE

Ah mio bene! Ah mia vita

salva pur sei!

AGAMENNONE

Pur libera ti miro

dopo tante vicende.

IFIGENIA

Mesta a ragion la sorte altrui mi rende.

AGAMENNONE

Quai grazie a voi non deggio

amici dèi? Vostra mercé mi rese

un impensato evento

dal più misero padre il più contento.

Coro.

ACHILLE

Chi potrà fra l'alme amanti

più felice esser di me?

IFIGENIA

De' miei tristi affanni, e pianti

come dolce è la mercé!

ACHILLE E IFIGENIA

Contro un'alma ognor fedele!

no, crudele amor non è.

ACHILLE

Caro bene.

IFIGENIA

Idolo amato.

AGAMENNONE

Alme belle.

AGAMENNONE, ACHILLE E IFIGENIA

Il nostro fato

come in lieto si cangiò!

Ah compita, amici dèi,

la mia speme ormai vedrò.

CORO

Or placato il vento infido

si può alfine veleggiar

al troian nemico lido

gl'alti torti a vendicar.

Fine del libretto.

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