GRISELDA
Dramma.
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Libretto di Apostolo ZENO.
Musica di Antonio Maria BONONCINI.
Prima esecuzione: 26 dicembre 1718, Milano.
Attori del dramma:
GUALTIERO re di Sicilia |
contralto |
GRISELDA moglie di Gualtiero |
soprano |
COSTANZA principessa amante di Roberto |
contralto |
CORRADO principe di Puglia |
tenore |
ROBERTO fratello di Corrado, amante di Costanza |
soprano |
OTONE cavaliere siciliano |
contralto |
ISMENO servo faceto di corte |
basso |
La scena è intorno Palermo.
Serenissima altezza
È così povero di meriti il mio ossequio, che non osa escire da' confini della sua umiltà, e passar sotto l'occhio di V. A. Non vorrebbe però perderne il gran vantaggio, e perché ne sospira l'onore, e perché gliene serve di solletico la congiuntura; onde con una scorta di tutto genio dell'A. V. spera di poter farsi innanzi: né altri meglio che la virtù può vestire tal personaggio. Le virtù dunque di Griselda s'avanzino meco alla gran sorte, e purché ci arrivi, poco cale se piccole stelle, in faccia al sole, perderanno il lume, a fronte di quelle, che con tanto lustro, ed ammirazione adornano l'animo grande di V. A. Basta che gliene resti sol tanto, che m'additi la strada all'alta protezione della medesima, ed avrò toccato il sommo delle mie fortune nell'umiliarmi, come faccio, con profonda sommessione di V. A. S.
Milano, li 26 dicembre 1718.
Umilissimo divotissimo obligatissimo servitore
Donato Savini
Argomento
Gualtiero (intitolato dall'autore del dramma re di Sicilia per maggior nobiltà della scena, tuttoche nella storia altro egli non fosse, che marchese di Saluzzo) invaghitosi d'una semplice contadina per nome Griselda, da lui veduta più volte nell'occasione della caccia, la prese in moglie, non potendo altrimenti espugnar la virtù di Griselda, né soddisfare al suo amore. Un sì disugual matrimonio diede a' popoli occasione di mormorarne, e dopo la nascita d'una fanciulla, primo frutto di queste nozze, sarebbero passati a qualche sollevazione, se il re non l'avesse repressa, facendo credere di aver fatta morire la figlia, chiamata dall'autore Costanza, e di nascosto inviandola ad un principe suo amico, che nel dramma è Corrado principe di Puglia, perché la educasse segretamente. Era già arrivata all'età di 15 anni Costanza senza che ella, ed altri fuor di Gualtiero, e Corrado, sapesse la vera condizione della sua nascita, che tuttavolta Corrado pubblicamente diceva non esser men che reale. Aveva questi un fratel minore, per nome Roberto, che allevato assieme con la principessa, l'aveva principiata ad amare, tostoché fu capace il suo cuore d'una passione sì delicata, e non solo codesto suo amore da Costanza fu corrisposto, ma da Corrado ancora approvato.
In questo mentre nacque un altro fanciullo a Griselda; e tornando allora i popoli ad una nuova sollevazione, istigati da Otone, nobilissimo cavaliere del regno, ch'era amante della regina, Gualtiero volle por fine a tali disordini, con la finzione di ripudiare Griselda, e di ritrovarsi altra sposa. Usò egli questo artificio, perché conoscendo pienamente la virtù della moglie, voleva ch'ella ne desse pubblica prova, e che quindi i sudditi conoscessero quanto ella meritasse quel grado, che più era nobilitato per lei dalla grandezza dell'animo, che oscurato dalla viltà della nascita. Tanto fece; scrisse a Corrado, che li conducesse Costanza in qualità di sua moglie; intimò a Griselda il ripudio; la rimandò alle sue selve, ed ella sofferse il tutto con una fortezza più che donnesca. I finti rigori di Gualtiero, e le vere persecuzioni di Otone, che in tali disgrazie di Griselda si va adulando di poterla ottenere per moglie, fanno tutto l'intreccio, con quegli avvenimenti, che per entro vi si ravvisano, e son della storia; essendo storia quell'andar di Costanza nella capanna di Griselda, a bella posta condottavi, sotto pretesto di caccia, dal re; storia quel movimento del sangue, e quel dibattimento del cuore che provorno la madre, e la figlia nel vedersi la prima volta, senza conoscersi; storia la preghiera fatta da Costanza a Gualtiero, per ottenerne Griselda in sua serva; storia finalmente la gran fermezza da questa dimostrata al marito ne' molti dispregi, che egli le usò, fino che intenerito dalle affettuose espressioni, che li fece del proprio amore, l'abbracciò lagrimando, e le palesò qual fosse Costanza, e l'oggetto della sua finta fierezza.
Atrio reale.
Gualtiero, e Popoli.
GUALTIERO
Questo, o popoli, è 'l giorno, in cui le leggi
da voi prende il re vostro. A voi fa sdegno
veder ch'empia 'l mio letto
donna tratta da' boschi,
donna avvezza a trattar rustica vanga.
Tal Griselda a me piacque;
tal la sdegnaste. Al fine
miro lei co' vostr'occhi.
Decretato è 'l ripudio; e voi ne siate
giudici, e spettatori. Or che la rendo
a le natie sue selve,
col vostro amor quel del mio core emendo.
Griselda, e detti.
GRISELDA
Eccoti, sire, innanzi
l'umil tua serva.
GUALTIERO
È grave
l'affar, per cui sul primo albor del giorno
qui ti attende Gualtier.
GRISELDA
Tutta quest'alma
pende da' labbri tuoi.
GUALTIERO
Siedi.
(si assidono)
GRISELDA
Ubbidisco.
GUALTIERO
Il ripeter ci giovi
gli andati eventi. Dimmi,
qual io fui; qual tu fosti.
GRISELDA
(Alto principio!) In vil tugurio i' nacqui;
tu fra gli ostri reali.
GUALTIERO
Era il tuo 'ncarco?
GRISELDA
Pascer gli armenti.
GUALTIERO
Il mio?
GRISELDA
Dar leggi al mondo.
GUALTIERO
Come al soglio salisti?
GRISELDA
Tua bontà fu, cui piacque
sollevarmi dal pondo
de la mia povertà vile, ed abietta.
GUALTIERO
Così al regno ti ammisi?
GRISELDA
E fui tua serva.
GUALTIERO
Tal ti accolsi nel letto?
GRISELDA
Ed io nel core.
GUALTIERO
(Meritar men d'un regno
non dovea tanta fede, e tanto amore.)
Prole avemmo?
GRISELDA
Una figlia.
GUALTIERO
E tolta questa
ti venne da la cuna?
GRISELDA
E più non n'ebbi, oh dio! notizia alcuna.
GUALTIERO
Quant'ha?
GRISELDA
Quindici volte
compì d'a lor l'annua carriera il sole.
GUALTIERO
Ti affliggesti?
GRISELDA
Fu legge
al mio duolo un tuo cenno.
GUALTIERO
Io fui per essa
e carnefice, e padre.
GRISELDA
Era tuo sangue,
e versar lo potevi a tuo piacere.
GUALTIERO
E m'ami anche crudel?
GRISELDA
Meno amar'io
non ti potrei, se ancor versassi il mio
GUALTIERO
Al fin?
GRISELDA
Nacque Everardo,
unica tua delizia.
GUALTIERO
In sì gran tempo
ti spiacqui? ti oltraggiai?
GRISELDA
Grazie sol n'ebbi.
GUALTIERO
Di quanto feci, io non mi pento. Il cielo
testimonio ne sia; ma pur conviene
che i miei doni ritratti. Il re talvolta
dée servire a' vassalli, e seco stesso,
per serbarne il dominio, esser tiranno.
GRISELDA
Dove tu imperi, ogni ragion condanno.
GUALTIERO
La Sicilia, ov'io regno,
ubbidirmi ricusa. Ella mi sgrida,
che i talami reali abbia avviliti
con lo sposar Griselda; e non attende
da' boschi, ove se' nata, il suo monarca.
A chiamar m'ha costretto
sposa di regio sangue al trono, e al letto!
GRISELDA
La provincia vassalla
tanti lustri soffrì per me regina;
ed or sol mi ributta?
GUALTIERO
Ella è gran tempo
che ricalcitra al giogo. Io già svenai
di stato a la ragion l'amate figlia.
Gli odi alquanto sopì, ma non estinse.
Or che nacque Everardo, impaziente
torna a l'ire, e m'insulta.
GRISELDA
S'Everardo sol rompe
sì bei nodi d'amor, dunque Everardo...
(si leva)
Ah no... Griselda mora.
Son moglie, è ver; ma sono madre ancora.
GUALTIERO
(levandosi)
Moglie più non mi sei.
GRISELDA
Mi condona, o mio re, se troppo chiesi;
e se troppo tardai
forse a renderti un nome a me sì caro.
Il tuo voler dovea
esser norma al mio affetto. Ecco mi spoglio
il diadema, e lo scettro, e a quella destra,
che me 'l cinse, e me 'l diede,
riverente il ritorno.
(dà a Gualtiero la corona, e lo scettro, che li fa deporre sopra d'un tavolino)
GUALTIERO
(Alma, resisti.)
GRISELDA
Se ti piaccio in tal guisa,
ne le perdite ancor trovo gli acquisti.
Fa' di me ciò che ti piace,
e contenta anch'io sarò.
Questo core, e questa vita,
perché è tua, sol m'è gradita;
a un tuo cenno ella soggiace:
quando vuoi, morir saprò.
Ismeno, e li suddetti.
ISMENO
Presto, signore.
GUALTIERO
Ismeno.
ISMENO
Or al porto...
(veduta Griselda ammutisce)
GRISELDA
Che fia?
ISMENO
Ahimè! qui la regina?
GUALTIERO
E bene, al porto...
ISMENO
(piano al re)
Se mi sente Griselda, Ismeno è morto.
GUALTIERO
Parla, né dubitar.
ISMENO
Giunta è la sposa.
GUALTIERO
Giunta è la regia sposa? Addio, Griselda.
GRISELDA
Così tosto mi lasci?
GUALTIERO
Atteso io sono.
(senza più riguardarla)
GRISELDA
Almeno un solo sguardo
volgimi per pietà.
GUALTIERO
Troppo mi chiedi.
GRISELDA
Dunque, Gualtieri, addio.
ISMENO
Se ti lascia Gualtier, ti lascio anch'io.
GUALTIERO
(in atto di partire, torna a Griselda)
Vado a mirare un volto,
vado a baciare un labbro,
per vezzo più gentile,
più vago per beltà.
Per te già 'l cor disciolto,
ama in prigion non vile
perder la libertà.
Griselda, poi Otone.
GRISELDA
Ecco il tempo, in cui l'alma
dia saggio di sé stessa. Ostri reali
vestì già senza fasto; e al primo nulla
torni senza viltà. Sol può Gualtiero
vincer la mia costanza.
Col tormi un sì gran bene
del mio coraggio in onta,
mie sciagure, imparate ad esser pene.
OTONE
Regina, se più badi,
più regina non sei.
GRISELDA
(Costui quant'è importun!)
OTONE
Su le tue chiome
la corona vacilla.
A serbartela Otone è sol bastante,
fido vassallo, e cavaliero amante.
GRISELDA
Chi mi toglie il diadema,
mi ritoglie un suo don. Se perde il capo
l'insegne di regina, a me, lascivo,
resta il cor di Griselda.
OTONE
E soffrir puoi, ch'altra ti usurpi un fregio,
che a te sola convien?
GRISELDA
Fregio che basta,
è l'innocenza a l'alma.
OTONE
Io, se lo imponi,
anche in braccio a Gualtiero,
svenerò chi ti toglie
il nome di regina, e quel di moglie.
GRISELDA
Iniquo, e lo potresti? e tal mi credi?
OTONE
Pensa, che in un rifiuto
perdi troppo.
GRISELDA
Che perdo?
OTONE
Regno.
GRISELDA
Che mio non era.
OTONE
Grandezze.
GRISELDA
Oggetto vile.
OTONE
Sposo.
GRISELDA
Che meco resta.
Lontano ancor, ne l'alma mia scolpito.
OTONE
Un tuo sguardo, Griselda
dà tempre a questo ferro; ed un suo colpo
troncherà i tuoi perigli; e tu no 'l curi?
GRISELDA
Col prezzo de la colpa
grandezza non si ottien, si ottien ruina.
Sinché 'l senso è vassallo, io son regina.
Ne la crudel mia sorte
non ti lusinghi il cor
vana speranza.
Più stabile, e più forte
vedrai del suo rigor
la mia costanza.
Otone.
Troppo avvezza è Griselda
tra le porpore al fasto; or la corona
adito non le lascia a' miei sospiri.
Ma forse col diadema
deporrà la fierezza;
e, lontana dal soglio,
avrà forse pietà del mio cordoglio.
Con sì bella speranza io primo a l'ire
mossi la facil plebe;
fei parerle che indegna
fosse troppo Griselda
di dar figli a Gualtiero, eredi al trono.
Tal, crudel per amore, empio per fede,
piango colei, ch'io solo
misera feci; e 'l frutto
de' mali suoi nel suo possesso attendo.
Perdonami, o Griselda.
Non ti posso acquistar, se non ti offendo.
Chi regina mi disprezza,
pastorella mi amerà.
Le dà fasto la grandezza,
gentilezza
potrà darle la viltà.
Porto di città con vista di navi.
Approda real naviglio, da cui scendono Corrado, Roberto, e Costanza.
CORRADO
Germani, e ben entrambi,
un dì affetto, un dì sangue
dirò, germani miei, cari egualmente,
qui per brev'ora m'attendete. Io deggio
gire incontr a Gualtiero, al regio sposo.
ROBERTO
(Oh nome che mi uccide!)
COSTANZA
(Oh dì penoso!)
CORRADO
(a Costanza)
Al tuo destin più grato
mostra nel volto il cor.
Oggi per tuo contento
beni dispensa il fato,
gioie prepara amor.
Roberto, e Costanza.
ROBERTO
Costanza, eccoti in porto.
Questa, che premi, è la Sicilia; e quella
è l'alta reggia, ove Gualtieri attende
leggi dal ciglio tuo per darle al mondo.
COSTANZA
Ah Roberto, Roberto!
ROBERTO
Tu sospiri? ed accogli
mesta le tue grandezze?
COSTANZA
Io mi torrei
più volentier viver privata, e lunge
da quella reggia, a me di gioie avara,
purch'io di te, tu di me fossi.
ROBERTO
O cara.
COSTANZA
Un sol de' tuoi sguardi
val'ogni grandezza.
Nel dirti: d'affetto
mi struggo, e tu m'ardi;
ho tutto il diletto,
che l'alma più apprezza.
ROBERTO
Ah! che un sol lampo appena
de l'aureo scettro, e del reale ammanto
ti verrà a balenar su le pupille,
che ti parrà a quel lume
vile l'amor, che per me t'arde; e cinta
di corona le chiome,
accostarsi a l'udito
non lascerai pur di Roberto il nome.
COSTANZA
Poco, incredulo, poco
il mio cor tu conosci,
e pur tutto il possiedi. Al cielo, a' numi
giuro che più...
ROBERTO
Deh taci.
Col grado cangerai sensi, e costumi.
COSTANZA
Andiam ora, se 'l vuoi,
dove meno è di rischio, e più di pace.
Verrò, se pur ti piace...
ROBERTO
No, no: regna nel mondo,
come su l'alma mia. Sì vil non sono,
che a discender dal trono io ti esortassi.
COSTANZA
Pensa, che giunta al regno, e altrui consorte,
mi vieteran l'amarti,
per tuo, per mio castigo, onore, e fede.
ROBERTO
Lo so: ma pur disio
più la grandezza tua, che 'l piacer mio.
COSTANZA
Poscia in van ti dorrai.
ROBERTO
La tua beltade,
ch'amo ancor, né più spero,
più che degna di me, degna è d'impero.
Già col vostro splendor
voi m'accendete 'l cor
care pupille.
Ma forza è, in questo dì,
che si spegnano sì
le mie faville.
Gualtiero, Corrado, Ismeno, e detti.
GUALTIERO
(a Corrado)
L'arcano in te racchiudi.
CORRADO
(a Gualtiero)
È mia cura obbedir.
GUALTIERO
Bella Costanza.
COSTANZA
Gran re.
GUALTIERO
Qual mai ti stringo! e qual nel core
mi nasce, in abbracciarti,
tenerezza, e piacer, figli d'amore!
COSTANZA
Signor, da tua bontà l'alma sorpresa
tace; e i timidi affetti
più che 'l mio labbro, il suo tacer palesa.
ROBERTO
(Soffri, oh misero cor.)
CORRADO
(Mesto è 'l germano.)
ISMENO
Lascia, che anch'io, regina,
la man ti baci.
GUALTIERO
È questi
il fido servo Ismen.
COSTANZA
Mi sarai caro.
GUALTIERO
Ommai vien meco a parte
di quello scettro, e di quegli ostri, o bella,
che in benefico influsso
già riserbaro al tuo natal le stelle.
Tu pur vorrai Roberto,
o di ceppo real germe ben degno.
Oggi da voi riceva
ornamento la reggia, e gioia il regno.
ROBERTO
Gran re, troppo mi onori.
GUALTIERO
Ismen.
ISMENO
Signor.
GUALTIERO
Fa' che Griselda affretti
fuor de la reggia il piè.
ISMENO
Corro veloce.
(parte)
GUALTIERO
Andiam: più non s'indugi, idolo mio.
COSTANZA
(a Gualtiero)
Seguo il tuo piè.
(a Roberto, che se le accosta)
Prence.
ROBERTO
Regina.
COSTANZA E ROBERTO
Addio.
(Gualtiero volgendosi improvviso a Costanza la vede mesta, e nel partire si ferma)
GUALTIERO
Vago sei, volto amoroso,
ma ti affligge un non so che.
Dillo a me per tuo riposo:
quell'affanno, e che cos'è?
COSTANZA
Sento anch'io nel mio contento,
che mi afflige un non so che.
S'io no 'l so, che pur lo sento,
chi può dir, che cosa egli è?
Roberto, e Corrado.
ROBERTO
German; se avevi a tormi
l'amabile Costanza,
perché sin da' prim'anni
non mi vietar d'amarla?
Perché adular la mia speranza? I miei
voti perché tradir?
CORRADO
Regge, o germano,
gli umani casi il ciel. Soffri più forte
l'alto voler, né ti attristar cotanto.
Sovente ei si compiace
farci a un vero gioir strada col pianto.
ROBERTO
Costanza era già 'l solo
diletto de' miei giorni. Io l'ho perduta.
Altro ben non mi resta, e non mi lice
sperarlo più.
CORRADO
Roberto,
pria che termini il dì, sarai felice.
Le vicende de la sorte
sono istabili, ed infide;
alma saggia, e cor, ch'è forte,
non disperi a l'or, che piange,
non si gonfi a l'or, che ride.
Roberto.
Quai lusinghe? sì chiara
è la perdita mia, che 'l dubitarne
sarebbe inganno. Al regio sguardo ahi troppo
piacque la mia Costanza.
Ed a chi mai non piaceria quel volto!
Sol per mio mal le stelle,
o pupille adorate,
fecer me così amante, e voi sì belle.
È troppo bel quel volto
per non doverlo amar.
Amor ne gli occhi accolto
vi fa del guardo un fulmine
per arder, e piagar.
Cortile.
Griselda in abito pastorale, ed Ismeno.
ISMENO
Parti. Ecco il re; Griselda.
Affretta il passo.
GRISELDA
Ismeno
vuol ch'io parta Gualtier, senza che 'l miri?
ISMENO
Tanto egl'impon.
GRISELDA
Senz'alma
chi può partir?
ISMENO
Deh tosto...
GRISELDA
No, no: qui ancor l'attendo; e tu, se nulla
ti muovono a pietà le mie sciagure...
ISMENO
Che far potrei?
GRISELDA
Recami il figlio, ond'io
ne l'ultimo congedo, in tanto duolo,
possa imprimer almeno
su quel tenero labbro un bacio solo.
ISMENO
(Mi fa pietà.) Per compiacerti io volo.
Gualtiero, che viene vagheggiando un ritratto. Griselda.
GUALTIERO
Quanto vago è quel sembiante,
che mi accende, e m'innamora!
GRISELDA
(Ma più fida, e più costante
è quest'alma, che ti adora.)
GUALTIERO
Ne la reggia tu ancora
Griselda? e non partisti?
GRISELDA
Parto, amato mio re, poiché mi è tolto
dirti, amato mio sposo.
Già ritorno a le selve. Eccomi ancora
in quel rustico ammanto, in cui ti piacqui.
GUALTIERO
(Adorate sembianze!)
GRISELDA
Tal mi presento a te, non perché speri
più di piacerti ancor. Fu, se mi amasti,
tua bontà, non mio merto.
Vengo sol da quegli occhi,
sì, da quegli occhi ond'ardo,
a ricever l'estremo,
sia pietoso, o crudel, sempre tuo sguardo.
GUALTIERO
Che? di te mi favelli? ed io credea,
che la nuova mia sposa
ti occupasse il pensier. La vidi, o quanto
bella, e gentil! Tu stessa
l'ameresti, o Griselda.
GRISELDA
E l'amo anch'io.
(Gualtiero torna a mirare il ritratto)
Ciò che piace al tuo affetto, è caro al mio.
GUALTIERO
Nel suo ritratto appunto
vagheggio il dardo, onde trafitto ho il core.
GRISELDA
La tua gioia è conforto al mio dolore.
GUALTIERO
Vedi s'io mento.
(dandole il ritratto)
GRISELDA
O numi!
(lo mira attenta)
Quai sembianze! qual volto!
GUALTIERO
Che ti sembra?
GRISELDA
Ah signore,
ne' suoi lumi ha i tuoi lumi;
ne la sua la tua fronte; e in lei ravviso
solo alquanto men crudo, il tuo bel viso.
GUALTIERO
È bella?
GRISELDA
E di te degna.
GUALTIERO
Godrò seco felice.
(togliendole di mano il ritratto)
GRISELDA
Il ciel ti dia
lunga età, fausto regno.
De' tuoi figli i nipoti
ti vezzeggino intorno; e appena, in tanta
serie d'alte fortune,
ti sovvenga talvolta
de la misera tua fedel Griselda.
Ella torna a' suoi boschi,
onde trarla a te piacque; e sol vi porta
un rifiuto di morte, un cor senz'alma.
GUALTIERO
Altro dirai?
GRISELDA
Che serbi
la pietà, che a me nieghi,
per l'innocente figlio; e in lui perdoni
al tuo, non al mio sangue.
GUALTIERO
Non più.
GRISELDA
Parto, mio sire.
Lunge dal caro oggetto
troppo qui ti rattenni.
La forza, che a te fai, ti leggo in volto.
GUALTIERO
Torna a' boschi, e ti affretta.
(Ceder mi converrà, se più l'ascolto.)
Griselda, Ismeno con Everardo.
Otone in disparte.
ISMENO
Qual chiedesti, ecco il figlio.
Te 'l concedo un momento.
Temo usarti pietà con mio periglio.
(Ismeno si ritira. Otone a parte lo afferra, e li parla all'orecchio)
GRISELDA
Everardo, o soave
frutto de l'amor mio,
in te già di quest'alma
bacio una parte; bacio
l'immagine adorata
del mio Gualtiero; e in un sol bacio sento
rallentarsi il rigor del mio tormento.
OTONE
(a parte ad Ismeno)
Ciò che imposi, eseguisci.
GRISELDA
Labbro vezzoso, e caro.
OTONE
A me, Griselda,
(corre a prenderle di mano il fanciullo)
lascia.
GRISELDA
Ancora un momento.
OTONE
Non posso.
(Ismeno guarda Otone)
GRISELDA
Ahimè! Di vita
toglimi ancor.
OTONE
(ad Ismeno minacciandolo)
Che più dimori?
ISMENO
Invano.
(le toglie affatto il fanciullo)
GRISELDA
Chi è di cor sì spietato,
che nieghi ad una madre un dolce amplesso?
ISMENO
Te 'l dica Otone.
(mostrandole Otone, che si avanza)
OTONE
Il tuo Gualtiero istesso.
GRISELDA
Da labbro più odioso
giunger non mi potea nome più caro.
OTONE
Io pietoso te 'l lascio.
GRISELDA
Ricuso il dono.
OTONE
Ingrata.
GRISELDA
Ecco veloce,
per non soffrir tuoi sguardi,
a la fatal partenza il piè si appresta.
(Mio Gualtier, ti ubbidisco.)
OTONE
Odi; ti arresta.
GRISELDA
So che vuoi parlar d'amore;
né al mio core
sa piacer la tua favella.
Non dar luogo a la speranza:
così vuol la mia costanza,
e 'l tenor de la tua stella.
Otone, ed Ismeno con Everardo.
OTONE
Non giovan le lusinghe;
gioveran le minacce. Ismen.
ISMENO
Signore.
OTONE
Sino ad altro mio cenno
custodisci il fanciullo. A me già diede
Gualtier gli ordini suoi.
ISMENO
Sai la mia fede.
(parte col fanciullo)
OTONE
Altra via con costei
s'ha da tentar cor mio. Già la disegno.
Ciò che non può l'amor, vinca l'ingegno.
Farò,
quanto potrò,
per addolcirti un dì,
beltà tiranna.
Un cor, che viva in pene,
è fabbro del suo bene,
a l'or che inganna.
Stanze.
Tavolino con manto, scettro, e corona.
Corrado, e Costanza.
CORRADO
Son le regie tue stanze
queste che miri.
COSTANZA
In breve spazio accolto
qui di più regni è 'l prezzo.
CORRADO
E 'l dì risplende
qui di luce miglior fra l'ostro e l'oro.
COSTANZA
(Ma fra tanti non veggio il mio tesoro.)
CORRADO
Qui pur soggiorno un tempo
facea Griselda.
COSTANZA
Quella
de' cui casi sovente
già ti udii favellar, ninfa e regina.
CORRADO
Colà vedine il manto,
la corona e lo scettro.
COSTANZA
Ed or fra' boschi
CORRADO
sconsolata e raminga
COSTANZA
veste in ufficio vil ruvide lane;
CORRADO
e del cuor di Gualtiero,
COSTANZA
cui per beltà, e per fede
così cara ella fu,
CORRADO
ti lascia erede.
COSTANZA
Misera.
CORRADO
È la pietade
figlia di nobil'alma.
COSTANZA
E 'l re, che tanto
l'amò, com'esser puote
seco sì crudo, ed empio?
CORRADO
Reo n'è 'l destin.
COSTANZA
Corrado,
piangendo i mali suoi, temo il suo esempio.
CORRADO
Vano timore. Ella in villano albergo
nacque vil ninfa.
COSTANZA
Anch'io
ho i genitori ignoti.
CORRADO
Io te ne accerto.
Di re sei figlia; e fede
fa l'indole real de' tuoi natali.
COSTANZA
È mia sventura il non saperli ancora.
CORRADO
E tua sorte è 'l veder, che 'l re t'adora.
Ma tu come amorosa
a Gualtier corrispondi?
COSTANZA
Con quell'amor, che si conviene a sposa.
CORRADO
E quel di amante a cui riserbi? È questo
il più tenero affetto.
La sposa ama chi deve.
L'amante ama chi elegge.
Genio in questa è l'amore, in quella è legge.
COSTANZA
Ahimè!
CORRADO
Non arrossirti.
Più che Gualtiero, ami Roberto.
COSTANZA
Oh dio!
L'amai pria col tuo core, e poi col mio.
CORRADO
Ed ora?
COSTANZA
Ho per lo sposo
tema e rispetto. Il suo diadema inchino;
la sua grandezza onoro;
stimo il suo grado, e sol Roberto adoro.
CORRADO
Ei vien.
COSTANZA
Come è pensoso!
Lo sfuggirò.
CORRADO
Ferma ad udirlo il passo.
COSTANZA
Son moglie.
CORRADO
Ancor di sposa
non giurasti la fede.
COSTANZA
Ah! che onor me 'l divieta.
CORRADO
E amor te 'l chiede.
Non lasciar
d'amar
chi t'ama,
sinché hai l'alma in libertà.
Quando avrai la fé di sposa,
schiva a l'ora e disdegnosa
l'onor servi, e non l'amore,
il dover, non la beltà.
Costanza, e poi Roberto.
COSTANZA
Pria che d'amar ti lasci,
la vita lascerò, dolce mio bene;
ma qui giovi a le mie
il finger crudeltà per le sue pene.
ROBERTO
Mia Costanza... Tu nieghi
al tuo fedel Roberto anche d'un guardo
il misero diletto?
COSTANZA
Sdegna amore il mio grado, e vuol rispetto.
ROBERTO
Infelice amor mio!
COSTANZA
D'un ciglio, d'un guardo
a' rai più non ardo.
Già spenta è la face
d'amore per me.
Più luce di scettro
mi piace,
mi accende,
che in mano risplende
di sposo, e di re.
ROBERTO
Cor mio, non v'è più spene.
COSTANZA
Udisti?
ROBERTO
Udii, regina.
COSTANZA
Or che chiedi?
ROBERTO
Inchinarti.
COSTANZA
Altro?
ROBERTO
Non più.
COSTANZA
Rispetta il grado, e parti.
ROBERTO
Ubbidisco...
(mostra di partire, e poi si ferma)
E sì tosto
obliasti l'amor?
COSTANZA
Regina e moglie,
in amore, o Roberto,
più non devo ascoltar, che il re mio sposo.
ROBERTO
(Mie tradite speranze.)
COSTANZA
(Fosse almeno Gualtier così vezzoso.)
Ismeno, e detti.
ISMENO
Per mia bocca, o regina,
a nobil caccia il tuo signor t'invita.
COSTANZA
Dilli, che umil quest'alma
l'onor sovrano accetta.
ISMENO
Ei nel bosco real te in breve aspetta.
(parte)
COSTANZA
Addio, né più dolerti.
ROBERTO
Ch'io ti perda, e non pianga?
COSTANZA
Ma non son io regina?
ROBERTO
È vero.
COSTANZA
Il cielo
non mi fe' di Gualtier?
ROBERTO
Così mia fossi.
COSTANZA
Non mi strinse ad altrui?
ROBERTO
Barbari nodi.
COSTANZA
Non mi vedi sul trono?
ROBERTO
Come ne l'alma mia.
COSTANZA
Giubila, e godi.
Godi, bell'alma, godi,
né sospirar per me.
Correggi il tuo cordoglio.
Già son regina in soglio,
e sposa son di re.
Roberto.
E nel cuor di Costanza
così l'antica fiamma, il forte laccio
languì? s'infranse? Al fasto
cede l'amor? Spergiura...
ma di che la rampogno?
Di che mi dolgo? Ella è regina e sposa.
Non si pianga il suo grado;
non si tenti il suo onor. Volerla amante
non è ragion, ma senso;
è furor, non consiglio.
Mi perdona, o mia cara; e a te, mio core,
ne l'amor di Costanza
sia conforto e mercede
la gloria de l'amar senza speranza.
Se amerò senza sperar,
saprò amar,
ma con più fede.
Scema il merto a la costanza
il piacer de la speranza,
e 'l desio de la mercede.
Campagna con fiume, e collina con capanna.
Griselda.
Care selve, a voi ritorno
sventurata pastorella.
È pur quello il patrio monte;
questa è pur l'amica fonte,
e sol io non son più quella.
Se la dolce memoria
del perduto mio bene
bastasse a consolar l'alma dolente;
qui spererei conforto, ove col nome
del mio Gualtiero impressi
mi ricordan diletti i tronchi istessi.
Ma che? nel rivedervi, o patrie selve,
ove nacque il mio foco,
cresce l'affanno; e qui spietato, e rio
mi condanna il destino
a pascer di memorie il dolor mio.
Andiam, Griselda, andiamo,
ove il rustico letto in nude paglie
stanca m'invita a riposar per poco.
E là scordando al fine,
Gualtier non già, ma la real grandezza,
al silenzio, e a la pace il duolo avvezza.
(s'incammina verso la capanna)
Ismeno con Everardo, e Griselda.
ISMENO
O Griselda, Griselda.
GRISELDA
Qual voce?
(si ferma)
Ismen.
ISMENO
Ti arresta.
Mira qual don ti reco.
GRISELDA
Oh figlio! oh dono!
(veduto Everardo li corre incontro)
ISMENO
Di crudo impero esecutor qui sono.
GRISELDA
Ahimè!
ISMENO
Dove più folti
sparge il bosco gli orrori,
mi s'impone che in cibo
lasci esposto a le fiere il tuo Everardo.
GRISELDA
Everardo?
ISMENO
E che adempia
senza indugio il comando.
GRISELDA
E cor sì duro
racchiudi in sen?
ISMENO
La colpa
di tale ufficio al cenno altrui si ascriva.
GRISELDA
Infelice! e non moro?
(piagne)
Ah vuol l'empio destin, ch'io 'l sappia, e viva.
Otone con ferro, e detti.
OTONE
Né tutta ancor sai la tua sorte, o donna.
GRISELDA
Non attendo da Otone altro che mali.
Che arrechi?
OTONE
In questo ferro
di Everardo la morte.
GRISELDA
(Alma mia, se resisti,
se' stupida al dolore, e non se' forte.)
OTONE
Ismen.
ISMENO
Signor.
OTONE
Poiché col ferro aperta
per più strade a quell'alma avrò l'uscita,
tu 'l cadavere informe,
in più parti diviso,
tenero, e poco cibo,
gitta a le belve, ove più 'l bosco annotta.
ISMENO
Troppo rigor.
OTONE
La vita
perderai, se 'l contrasti.
GRISELDA
Pargoletto innocente, in che peccasti?
OTONE
Or ti avvicina.
(Griselda risospinto Ismeno si rivolge ad Otone piangendo)
GRISELDA
Ah Otone!
OTONE
Donna, che chiedi?
GRISELDA
È madre
quella che pietà chiede, e umil te n' priega.
OTONE
A chi usò crudeltà, pietà si niega.
GRISELDA
Fui crudel per onestà;
e pietà
vo' per mercé.
OTONE
Pietà voglio anch'io da te.
GRISELDA
Qual pietà mi si chiede?
OTONE
Quella che merta al fine amore, e fede.
GRISELDA
Indegno.
OTONE
E che? ti chiedo
premio che sia delitto?
Col ripudio real libera torni
dal marital tuo nodo.
Io te n' presento un altro,
non men casto, e più fermo.
Anche in rustico ammanto, anche fra' boschi
ripudiata, sprezzata
ti bramo in moglie, e se non porto in fronte
l'aureo diadema, io conto
più re per avi, e su più terre anch'io
ho titolo, ho comando.
GRISELDA
Otone, addio.
(in atto di partirsi)
(Otone afferra Everardo)
OTONE
E 'l tuo figlio?
GRISELDA
Ah! che ancora il dolce nome,
mi richiama pietosa.
OTONE
Gualtier vuol che si uccida.
GRISELDA
Barbaro padre.
OTONE
E la crudel sentenza
Griselda anche conferma.
GRISELDA
Io?
OTONE
Sì, col tuo rifiuto.
GRISELDA
Né v'è pietà?
OTONE
Solo a tal prezzo.
GRISELDA
Il pianto?
OTONE
Lo berranno le arene.
GRISELDA
I prieghi?
OTONE
Andranno al vento.
GRISELDA
Il mio sangue?
OTONE
Quel voglio,
che scorre ne le vene al tuo Everardo.
GRISELDA
Gualtier?
OTONE
Questa è sua legge.
GRISELDA
Oton?
OTONE
Ne sia 'l ministro.
GRISELDA
E col darti la fede...
OTONE
Puoi salvar madre il figlio,
sposa placar l'amante,
e la man disarmar del ferro ignudo.
(Griselda pensa, e poi risoluta risponde, e parte)
GRISELDA
Ubbidisci al tuo re. Svenalo, o crudo.
Otone con Everardo, ed Ismeno.
ISMENO
Fermati, Oton; ma so, che fingi.
OTONE
Ismeno;
non giovano lusinghe,
non minacce, non frodi.
ISMENO
A dura impresa
ti veggo accinto.
OTONE
Ingrata donna, al fine
giovi teco la forza, e mia ti renda.
La rapirò.
ISMENO
Né temi
l'ira del re?
OTONE
S'egli l'aborre, e sprezza,
lo servo, e non l'offendo. Io mentre a l'opra
raccolgo i miei, tu col real bambino
riedi a la reggia, e taci.
ISMENO
Certo se' di mia fé.
(Ma volo in corte ad avvisarne il re.)
(parte)
OTONE
La bella nemica,
che il cor m'involò,
amor, rapirò.
Tale ancora da l'ospite lido
beltà men pudica
frigio amante rapir già tentò.
Capanna con letto.
Griselda.
È deliquio di core,
o stanchezza di pianto,
quella, ch'ora vi opprime, o mie pupille?
Sonno non è; che quando è 'l cor doglioso,
non è vostro costume aver riposo.
(si asside sul letto)
Sonno, se pur se' sonno, e non orrore,
spargi d'onda funesta il ciglio mio.
L'ombra tua mi è conforme; e so, che al core
forier vieni di mali, e non oblio.
(si addormenta)
Costanza, Roberto, Griselda, che dorme.
COSTANZA
Sinché 'l re dietro a l'orme,
de la timida lepre,
o del fiero cignal, scorre le selve,
io qui stanca lo attendo, ov'ei m'impose.
ROBERTO
E col breve soggiorno illustri al pari
d'ogni reggia superba
la pastoral capanna.
COSTANZA
Ove più suona
di latrati, e di gridi il monte, e 'l piano,
cacciator tu ritorna al re mio sposo.
ROBERTO
A che degg'io lasciarti?
COSTANZA
Puoi col tuo amore ingelosirlo. Parti.
ROBERTO
Lascia, s'io parto, almeno,
che teco resti il cor.
Dacché lo chiudi in seno,
ei più non cura il mio,
donde lo trasse Amor.
Costanza, e Griselda, che dorme.
COSTANZA
Sola, se ben tu parti,
non rimango, o Roberto anco entro a questa
vil capanna... che miro?
(vede Griselda, che dorme)
Donna su letto assisa; e dorme, e piange.
(se le accosta)
Come in rustico ammanto
volto ha gentil! Sento in mirarla un forte
movimento de l'alma. Entro a le vene
s'agita il sangue: il cor mi balza in petto.
GRISELDA
(dormendo)
Vieni.
COSTANZA
M'apre le braccia, e al dolce amplesso
il suo sonno m'invita,
il mio cor mi consiglia.
Non resisto più no.
(corre ad abbracciarla)
GRISELDA
(dormendo l'abbraccia)
Diletta figlia.
(si risveglia)
Ahimè!
COSTANZA
Non temer, ninfa.
(Il più bel del suo volto aprì negli occhi.)
GRISELDA
(Siete ben desti, o lumi?
O tu, pensier, m'inganni?)
COSTANZA
(Come attenta mi osserva?)
GRISELDA
(A l'aria, al volto
la raffiguro: è dessa.
Troppo nel cor restò l'immago impressa.)
COSTANZA
Cessa di più stupirti.
GRISELDA
E qual destino
ti trasse al rozzo albergo,
donna real, che tal ti credo?
COSTANZA
Io stanca
dal seguir cacciatrice il re mio sposo,
a riposar qui venni.
GRISELDA
Stanza è questa di duol, non di riposo.
COSTANZA
Prenderà ogn'or pietosa
le tue sciagure a consolar Costanza.
GRISELDA
Tal è 'l tuo nome?
COSTANZA
Appunto.
GRISELDA
Costanza avea pur nome
un'uccisa mia figlia.
COSTANZA
Povera madre.
GRISELDA
È colpa
del cor, se troppo chiedo. Ove nascesti?
COSTANZA
Dove vissi, lo so; non dove nacqui.
GRISELDA
Il patrio suol?
COSTANZA
M'è ignoto.
GRISELDA
I genitori?
COSTANZA
Me li nasconde il cielo.
GRISELDA
E nulla hai certo
de l'esser tuo?
COSTANZA
Sol che di re son figlia.
GRISELDA
Chi ti allevò?
COSTANZA
Corrado,
che ne la Puglia ha scettro.
GRISELDA
E 'l tuo sposo?
COSTANZA
È Gualtieri,
che a la Sicilia impera.
GRISELDA
Ben ne se' degna. (Ingannator mio sogno:
penso in tenero laccio
stringer la figlia, e la rivale abbraccio.)
COSTANZA
Qual sogno?
GRISELDA
A me poc'anzi
parea stringer dormendo
l'uccisa figlia, e ne piangea di gioia.
COSTANZA
O tu fossi la madre!
GRISELDA
O tu la figlia fossi!
COSTANZA
Ch'io sospiro.
GRISELDA
Ch'io sogno.
COSTANZA
Ma s'io di re son figlia...
GRISELDA
Ma se la uccise empio rigor di stella...
COSTANZA
Lo so, ninfa gentil...
GRISELDA
Lo so, sposa real...
COSTANZA E GRISELDA
Tu non se' quella.
Insieme
COSTANZA
Non se' quella, e pure il core
va dicendo: quella sei.
Sul tuo volto io lieta miro
quella madre, che sospiro.
GRISELDA
Non se' quella, e pure il core
va dicendo: quella sei.
Sul tuo volto io lieta miro
quella figlia, che perdei.
Gualtiero, e le suddette.
GUALTIERO
De' tuoi be' sguardi è troppo indegno, o cara,
questo rustico tetto.
COSTANZA
Illustre, e degno
la sua gentile abitatrice il rende.
GUALTIERO
Anche qui vieni a tormentarmi, o donna?
COSTANZA
Mio re, non è mia colpa.
Questo è 'l povero mio soggiorno antico.
GUALTIERO
Più non dirmi tuo re, ma tuo nemico.
COSTANZA
Se i prieghi miei del tuo favor son degni.
GUALTIERO
E che non può Costanza
su questo cor?
COSTANZA
Concedi,
che più dal fianco mio costei non parta.
Ne la reggia, ne' boschi ovunque i' vada,
mi sia compagna, o serva.
GUALTIERO
A te serva costei? qual sia, ti è noto?
COSTANZA
Se miro a' panni, è vile;
nobil, se al volto.
GUALTIERO
È questa
quella un tempo mia moglie;
che amai per mia sciagura; alzata al trono,
perché ne fosse eterna macchia.
COSTANZA
(Oh dio?)
GUALTIERO
Quella che nota al mondo
reser la sua viltade, e l'amor mio.
COSTANZA
Griselda?
GUALTIERO
Ah! più non dirlo: anche al mio labbro
venne il nome aborrito, e pur lo tacque;
più ignobil moglie...
COSTANZA
(E più fedel.)
GUALTIERO
...non nacque.
COSTANZA
Sia vile; oscura sia; con forza ignota
in amor non inteso a lei mi stringe.
GUALTIERO
Difficil nodo.
COSTANZA
E in amistà più raro.
GUALTIERO
A maggior tolleranza il cor preparo.
Corrado con Séguito, e detti.
CORRADO
Avvisato dal servo,
che Oton ver questa parte
volger dovea con gente armata il piede,
co' tuoi fidi vi accorsi.
GUALTIERO
Otone armato? ed a qual fine, o prence?
CORRADO
Per rapirne Griselda.
GUALTIERO
Rapirla?
CORRADO
E a l'opra or ora
si accinge.
GRISELDA
E quello ancora?
COSTANZA
Del temerario eccesso
si punisca l'indegno.
CORRADO
E mora Otone, il rapitore indegno.
GUALTIERO
Dia luogo ogn'un. Che perdo,
se rapita è Griselda? A suo talento
ne disponga la sorte, Oton la involi.
CORRADO
Tanto rigor?
GUALTIERO
Così mi giova.
COSTANZA
Ed io...
GUALTIERO
L'abbandona al suo fato.
COSTANZA
(a Griselda)
Troppo è crudele il tuo signore, e 'l mio.
(si ritira con gli altri nell'altra interna capanna)
GRISELDA
Ed è ver.
GUALTIERO
Ti allontana.
GRISELDA
Non lasciar, che in tal sorte
ti tolga altri l'onor de la mia morte.
GUALTIERO
Vorresti col tuo pianto
in me destar pietà;
ma nasce il mio piacer dal tuo dolore.
Il fato
spietato
con la sua crudeltà
serve al mio core.
Griselda, poi Otone con Gente.
GRISELDA
Ecco Oton. Sola, inerme,
che far posso?
(va a prendere il suo dardo da lei lasciato sul letto)
Il mio dardo
sia almen la mia difesa.
OTONE
Qual difesa a te cerchi?
GRISELDA
Empio, vien pure
a svenar dopo il figlio anche la madre.
OTONE
Suo uccisor mi temesti; ei m'ebbe padre.
GRISELDA
Vive il mio figlio?
OTONE
E seco
tu pur vivrai, Griselda;
e mia.
GRISELDA
Lo speri invano.
OTONE
Segui il mio piè.
GRISELDA
Più tosto
di' ch'io vada a la tomba.
OTONE
E che far pensi?
GRISELDA
Ciò che può far cor disperato, o forte:
darti, o ricever morte.
OTONE
Ora il vedremo.
GRISELDA
Ti scosta, o questo dardo
t'immergerò nel core.
OTONE
Bella, vi aperse altre ferite amore.
GRISELDA
Seguir saprà la destra
l'orme degli occhi.
OTONE
È vano
contender più.
GRISELDA
Lasciami in pace.
OTONE
Vieni,
e reo non mi voler di maggior fallo.
GRISELDA
Il minor mal, ch'io tema, è 'l tuo furore.
OTONE
Temi dunque il mio amore.
GRISELDA
Numi, soccorso, aita
(il re apre l'uscio, e si avanza)
OTONE
Su, miei fidi, eseguite: il re lo impone.
Gualtiero con gente, poi Corrado, Costanza, e detti.
GUALTIERO
Lo impone il re? Se' troppo fido, Otone.
OTONE
(Il re? Barbara sorte.)
GUALTIERO
È da leal vassallo il far che l'opra
al comando preceda.
Giusto non è, ch'io lasci
senza premio il tuo zelo.
GRISELDA
Scudo tu fosti a l'innocenza, o cielo.
GUALTIERO
Corrado, a la mia reggia Oton si scorti.
CORRADO
Mi avrà fedel custode.
GUALTIERO
In amico soggiorno,
Oton, si cinge inutilmente il brando.
Puoi deporlo in mia mano.
OTONE
(Eccolo a' piedi tuoi. Fato inumano!)
Gualtiero, Griselda, e Costanza.
GRISELDA
Quai grazie posso?...
GUALTIERO
A la pietà le rendi
non di me, di Costanza.
Non mio dono; o tuo merto:
è suo solo favor la tua salvezza.
(a Costanza)
Una vita infelice,
dacché ti è cara, anche Griselda apprezza.
COSTANZA
Compisci il don. Ritolta
a la selve Griselda
mi accompagni a la reggia.
GUALTIERO
E venga ancella,
ove visse regina, ove fu moglie.
COSTANZA
Verrà ministra, e serva.
GUALTIERO
Qual fu, si scordi.
GRISELDA
Il grado
scorderò. (Non l'amore.)
GUALTIERO
Colà tutte le leggi
d'un più vil ministero adempi, e serba;
e non dolente avvezza
a l'uffizio servil l'alma superba.
COSTANZA
Mi sarai sempre diletta;
nel tuo volto ogn'or godrò,
avrai parte nel mio core.
Al consorte il primo amore;
a te l'altro serberò.
Griselda.
Serva mi vuol la sorte
a la stessa rivale, e vuol, ch'io l'ami.
Gualtier mi è sì crudele, e pur l'adoro.
A vista de' miei mali, entro la reggia
la sofferenza sia
tutto il conforto a la miseria mia.
L'alma più non accusi
o Gualtiero, o Costanza. I pianti affreni;
i sospiri rattenga;
e pentita perfin di que', che ha sparsi,
senta l'aspro suo duol senza lagnarti.
Nel caro sposo almen
io l'orme adorerò
de' primi baci.
E al mesto cor dirò:
benché d'un'altra in sen,
vedilo, e taci.
Loggia con trono.
Gualtiero con Guardie.
GUALTIERO
Oton qui mi si guidi.
Chi mai intese destino eguale al mio.
Re non posso amar chi adoro;
né abbracciar sposo il mio bene.
Al mio amor deggio dar pene,
e languir nel suo martoro.
(va a seder sul trono)
Otone fra Guardie, e detto.
OTONE
Amor, tu dammi aita.
Supplice inchino il mio monarca.
GUALTIERO
Otone,
confessato delitto
divien minore. Un reo che niega, o tace,
nuovo fallo commette,
bugiardo, o contumace.
Il ver mi esponi, e a l'ardir tuo prometti
più facile 'l perdono.
OTONE
Giudice, o re, ti temo;
sia quel che premi, o tribunale, o trono.
GUALTIERO
Tu di rapir Griselda
poc'anzi osasti.
OTONE
Al testimon del guardo
tace il labbro, e 'l conferma.
GUALTIERO
Ove di trarla
destinavi rapita?
OTONE
Lungi da questi lidi, ove non fosse
in tua mano di ritorla.
GUALTIERO
Chi 'l consigliò?
OTONE
(Che potrò dire?)
GUALTIERO
A l'opra
chi diè stimolo?
OTONE
(Ardisci
timido cuor.) Mio sire,
(s'inginocchia)
pietà, perdono.
GUALTIERO
Sorgi, e in dir sincero
libero a me ragiona.
OTONE
(si leva)
Dal cor, più che dal labbro odine il vero.
Sa 'l ciel, se a l'or che in trono
mia regina, e tua sposa
sedea Griselda, io la mirai con altro
sguardo, che di vassallo.
Dal suo ripudio, e da' suoi mali, in seno
pietà mi nacque; e poi ne nacque amore,
che sprezzato, e deluso
usò pria la lusinga, indi il rigore.
GUALTIERO
(Che sento?) Ami Griselda?
OTONE
Amor fu solo,
che a rapirla m'indusse.
GUALTIERO
Né del real mio sdegno
ti rattenne il timor?
OTONE
S'amo in Griselda,
signore, un tuo rifiuto; e di qual fallo
reo ti rassembro?
GUALTIERO
Otone,
col cor del suo monarca ama il vassallo.
OTONE
Fa' leggieri i delitti
forza d'amore.
GUALTIERO
Al merto
di te, de gli avi; al sangue
sparso a pro del mio regno; a la tua fede
diasi l'error.
OTONE
Diasi l'oggetto ancora.
GUALTIERO
Griselda?
OTONE
Una che un tempo
fu regina, e tua moglie,
è scorno tuo, ch'erri fra monti e boschi.
Innalza un tuo rifiuto, e in lei permetti
ch'io, sposo erede, ami i tuoi primi affetti.
GUALTIERO
(alle guardie scendendo dal trono)
A me venga Griselda.
Vedi, se t'amo. Il giuro, Otone, il giuro
su la mia fede: a l'ora
ch'io mi sposi a Costanza, avrai Griselda.
OTONE
O dono! o gioia! al regio piè prostrato
lascia...
GUALTIERO
No; prima attendi,
che la grazia si adempia, e poi la rendi.
OTONE
Vedi, o re, nel mio contento
la grandezza del tuo dono.
Così grande in me lo sento,
che il poter di più bearmi
manca a te, manca al tuo trono.
Gualtiero, poi Griselda.
GUALTIERO
Da l'amor di costui preser fomento,
ed origine forse
le pubbliche querele.
(Giovi il saperlo.)
GRISELDA
Incontro
lieta, o sire, i tuoi cenni.
GUALTIERO
Griselda, al sol cadente
ravvirerò le tede,
che nel mio seno il tuo ripudio estinse.
GRISELDA
E che vive nel mio mantien la fede.
GUALTIERO
Tu là dovrai deposte
quelle rustiche spoglie
affrettarne la pompa.
GRISELDA
A quel talamo ancella, ove fui moglie.
GUALTIERO
Itene voi custodi. Impazienti
covo in seno gli ardori.
M'è affanno ogni momento, e già maturi
stan ne l'ozio penando i casti amori.
GRISELDA
(E l'ascolti? E non mori?)
GUALTIERO
Troppo offendi, Griselda,
il giubilo comun col tuo cordoglio.
Spettatrice non mesta
colà frena i sospiri, anche del pianto
ti divieto il conforto,
e termini prescrivo al tuo dolore.
GRISELDA
Per compiacerti, il chiuderò nel core.
Se 'l mio dolor ti offende,
non ho più doglia in sen.
Già si serena il viso,
brilla sul labbro il riso;
e prova del mio amore
è 'l suo seren.
Gualtiero.
In te, sposa, Griselda,
carnefice mi uccido;
giudice mi condanno;
e per barbara legge
nel tuo core e nel mio sento il tuo affanno.
Cara sposa, col tuo core
stanca è l'alma di più penar.
Sol resiste nel fier dolore,
perché vede la tua costanza,
ch'empio ancora, mi vuole amar.
Deliziosa con fontane.
Corrado, e Roberto.
CORRADO
Ferma il piè: l'amato ben
se tu parti, piangerà.
Se non temi le sue pene,
non che amor, non hai pietà.
ROBERTO
Risoluta è quest'alma...
CORRADO
Di partir?
ROBERTO
Da l'indugio
non attendo che morte.
CORRADO
Lasciar la tua Costanza?
ROBERTO
Aver vicino il ben perduto è pena.
CORRADO
Con alma più tranquilla
incontra il fato, e rasserena il ciglio.
ROBERTO
Cerco al duolo rimedio, e non consiglio.
COSTANZA
(di dentro)
Usignuolo,
che vai scherzando,
di ramo in fronda, di fronda in fior...
CORRADO
Roberto.
ROBERTO
O dolci accenti,
ond'io stupido resto.
COSTANZA
(segue)
Usignuolo,
che vai scherzando,
di ramo in fronda, di fronda in fior;
io t'insegno il mio caro amor.
ROBERTO
Mio caro amor.
COSTANZA
(come sopra)
Dove miri le spiagge più amene,
spiega il canto, arresta il volo;
che là spira il dolce bene;
e poi digli il mio dolor.
ROBERTO
E poi digli il mio dolor.
CORRADO
Immobile rassembri?
ROBERTO
Ah! tu mi desti
da l'amabil letargo?
CORRADO
E fermo ancora?
ROBERTO
A la fatal partita.
CORRADO
Attendi almen...
ROBERTO
Che su miei lumi un altro
stringa colei, che adoro?
Che a l'ara sacra accenda
de l'imeneo le faci?
Che le dia sposo abbracciamenti e baci?
CORRADO
Sì, questo sol: poi parti.
ROBERTO
Sacrificio crudel, non vo' mirarti.
(Costanza soprarriva a Roberto, che in vederla si arresta)
CORRADO
(a Roberto)
Prendi, se partir vuoi,
da que' bei sguardi
ond'ardi,
l'ultimo caro addio.
(a Costanza)
E voi,
pupille belle,
stelle
del ciel d'amor,
almeno di conforto,
spargete il suo dolor,
se non di oblio.
Costanza, e Roberto.
COSTANZA
Tu partire, o Roberto,
da questa reggia, ove il tuo cor mi lasci?
E donde il mio t'involi?
Tu de' miei sguardi ancor torti il diletto?
Tormi quello de' tuoi?
Senza darmi un addio?
Se' ben empio al tuo core, e ingrato al mio.
ROBERTO
Una regina e moglie,
che da me può voler? Vederne i pianti?
Ascoltarne i sospiri?
Da l'aure i senti, e ne l'arene i miri.
COSTANZA
(Onor, nume tiranno,
offensor di natura, a che mi astringi?
Amor, nodo soave,
già mia gioia, or mia pena, ove mi guidi?
Men colpevoli siete,
affetti del cor mio, se siete infidi.)
Va' pur, Roberto, e poiché rea mi lasci,
sappi tutto il mio errore;
d'altri sia questa man; tuo questo core.
ROBERTO
Cessa d'amarmi, o 'l taci;
e porterò lontano,
se non più lieto, almen più ratto il piede.
Gran lusinga a l'indugio è la tua fede.
COSTANZA
Va' pur: t'affretto anch'io.
Gran periglio è l'indugio a l'onor mio.
Parti.
ROBERTO
Senza un amplesso?
COSTANZA
Amor.
(si prendono per mano)
ROBERTO
Fortuna,
COSTANZA
che dal cor
ROBERTO
che dall'alma
COSTANZA
mi svelli,
ROBERTO
mi dividi,
(si abbracciano)
COSTANZA E ROBERTO
o per sempre ne unisci, o qui m'uccidi.
Griselda in abito di serva, Ismeno, e detti.
GRISELDA
E per sempre vi unisca, amanti fidi.
COSTANZA
Griselda.
ROBERTO
(Ahimè!)
ISMENO
Regina.
GRISELDA
Con sì tenero affetto.
Vai consorte a lo sposo?
Con sì onesto rispetto
vieni amico a la reggia? È questa, è questa
de l'imeneo la fede?
de l'ospizio la legge?
nel dì de le sue nozze,
nel suo stesso soggiorno
un marito non ami? un re non temi?
o indegni affetti! o vilipendi estremi!
COSTANZA
(Misera!)
ROBERTO
(Qual consiglio!)
ISMENO
Ancor tacete?
Opportuna discolpa
ad ingegnoso amor non manca mai.
COSTANZA
Senti...
ROBERTO
Ascolta...
ISMENO
Fa cor.
GRISELDA
Che dir potrai?
COSTANZA
Roberto, or ch'io son moglie,
da me l'ultimo addio prendea poc'anzi
rispettoso in amore.
GRISELDA
Ma fia d'altri la mano, e suo quel core.
ROBERTO
A la fatal partita
mi affrettava Costanza; io pur non tardo
da lei volgeva il piede.
GRISELDA
Ma lusinga a l'indugio è la sua fede.
COSTANZA
Innocente è l'affetto.
GRISELDA
E i sospiri? gli amplessi? Onesta moglie
non ha cor, non ha voti
che per lo sposo. A l'onor suo fa macchia
anche l'ombra leggiera,
anche il pensier fugace.
Saprallo il re. L'offende
chi le gravi onte sue simula, o tace.
Gualtiero, e li suddetti.
GUALTIERO
Griselda.
COSTANZA
(Il re.)
ROBERTO
(Son morto.)
GUALTIERO
Perché tu d'ira accesa? E voi, bell'alme,
perché confuse?
GRISELDA
(E dovrò dirlo?)
GUALTIERO
Esponi.
GRISELDA
Non mi astringer, te n' priego,
a ridir ciò che vidi.
GUALTIERO
Ismen me 'l narri.
Tu se parli, o se taci, ogn'or mi offendi.
ISMENO
Signore, il tutto in poche note intendi.
COSTANZA
(Non v'è più speme.)
ROBERTO
(Oh sorte!)
ISMENO
Ardon Roberto, e la real tua sposa
di scambievoli fiamme:
i sospiri, gli amplessi
udì, vide Griselda.
GUALTIERO
E perciò d'ira accesa.
ISMENO
Li minaccia, li sgrida, e a te scoprirne
giura il mal nato ardore.
GRISELDA
Ismen, mi risparmiasti un gran rossore.
GUALTIERO
Ben si vede, che nata
se' fra' boschi, o vil donna. E che? Ti trassi
di là, perché tu adempia
di spia le parti, o di ministra, e serva?
Oblia qual fosti, e le tue leggi osserva.
GRISELDA
Quel zelo...
GUALTIERO
Io non te 'l chiedo.
GRISELDA
Il rispetto.
GUALTIERO
Lo devi
a la regia consorte.
GRISELDA
Il tuo onor...
GUALTIERO
Se' custode
del marital mio letto?
Che ti cal, se Costanza
abbia più d'un amante?
Che divida il suo cor? ch'ami a sua voglia
o Roberto, o Gualtier?
ISMENO
N'ami anche cento:
è vano il tuo travaglio; ei n'è contento.
GUALTIERO
Udisti?
GRISELDA
Udii.
COSTANZA E ROBERTO
(Che sento?)
GUALTIERO
Ti sovvenga il suo grado.
GRISELDA
È di regina.
GUALTIERO
Il tuo ufficio.
GRISELDA
È di ancella.
GUALTIERO
E se talor per altri arder la miri.
GRISELDA
Cieche avrò le pupille.
GUALTIERO
Se sospirar la senti...
GRISELDA
Sordo l'udito.
GUALTIERO
E se amorosa al seno
fia che stringa Roberto;
che li dia amplessi, e baci,
non trasgredir le leggi, e servi, e taci.
GRISELDA
L'altre tue leggi adempirò qual deggio,
sofferendo, e tacendo.
(Affetti del mio sposo, io non v'intendo.)
Se amori ascolterò,
se amplessi osserverò,
saprò con alma forte
o finger, o tacer.
Dirò che ottuso è 'l senso;
e che bugiardo
è 'l guardo;
né avrò ne la mia sorte,
che cor per sostener.
Gualtiero, Costanza, Roberto, Ismeno.
ROBERTO
(Temo.)
COSTANZA
(Pavento.)
GUALTIERO
Or non estingua in voi
fredda tema importuna i casti ardori.
Non son io di que' sposi,
che ogni bacio, ogni amplesso
renda fieri, o gelosi,
certi teneri affetti,
che del tempo, e del cor figli pur sono,
perdono al genio, ed a l'età perdono.
COSTANZA
Perdono io non vorrei, se offeso avessi
l'onor tuo, l'onor mio.
ROBERTO
Un volontario esiglio
quindi prendea.
GUALTIERO
Tacete:
che più del vostro amore
la discolpa mi offende.
Col non amar Roberto
rea saresti, o Costanza; e tu più reo,
se da lei ti dividi.
Proseguite ad amarvi, e siate fidi.
ISMENO
Più cortese marito ancor non vidi.
GUALTIERO
(a Roberto)
Non partir da chi ti adora.
(a Costanza)
Ad amar segui chi t'ama:
che mi è caro il vostro amor.
De l'ardor che in sen chiudete,
gelosia non sento ancora.
Con l'amor non mi offendete;
mi offendete col timor.
Costanza, Roberto, Ismeno.
ROBERTO
(Non m'inganno?)
COSTANZA
(E lo credo?)
ROBERTO
(Udii?)
COSTANZA
(Sognai?)
ISMENO
(Maggior sorte in amor, ch'intese mai?)
ROBERTO
Vuole il re ch'io non parta.
COSTANZA
Lo sposo impon ch'io t'ami.
ROBERTO
Ah Costanza!
COSTANZA
Ah Roberto!
ROBERTO
Spesso a dolce liquor, misto è 'l veleno.
COSTANZA
Spesso in mar lusinghier fremono i nembi.
ROBERTO
Arrestarmi è periglio.
COSTANZA
È delitto adorarti.
ISMENO
Che risolvi? che pensi?
ROBERTO
Con periglio ubbidir.
COSTANZA
Con colpa amarti.
Piena d'amor di fé
per te mio bene
lasciarti, oh questo no,
no che non voglio.
E se tu sei per me
tutto fra pene,
per te non curarò,
lo sposo, e 'l soglio.
ROBERTO
D'una fede sì bella
seguo l'esempio anch'io. Può ben la sorte,
tronchi col fatal ferro
i men forti legami,
far ch'io non viva più: non ch'io non t'ami.
Non so, se più mi piace
per fede, o per beltà,
ma questo core amante,
al par del suo costante,
certo, che l'amerà,
sinché vivrà.
Ismeno.
Pensa Ismeno, ripensa, e non l'intende.
Non opra a caso il re, che agli altri è legge;
ma la ragion de l'oprar suo non vedo.
Scaccia Griselda, e la richiama. Otone
fa, che in ceppi sia posto,
poi libertà li rende.
Vuol sua sposa Costanza,
e che un altro l'abbracci ei non si offende.
Pensa Ismeno, ripensa, e non l'intende.
Un nemico non crudele,
uno sposo
non geloso
non so intender, come sia.
So che ognor figlia fedele
fu dell'odio la fierezza,
de l'amor la gelosia.
Gran sala reale preparata per le nozze.
Griselda con Guardie.
GRISELDA
Ministri, accelerate
l'apparato, e la pompa; il dì già stanco
ravvivate co' lumi; e più giuliva
del suo signor senta la reggia i voti.
Legge è del mio Gualtier, ch'io stessa affretti,
e renda più superba
de le tragedie mie la scena acerba.
Tutti.
GUALTIERO
Griselda.
GRISELDA
Altro non manca,
che il sovrano tuo impero.
GUALTIERO
Impaziente
è un amor tutto foco.
GRISELDA
Anche Griselda amasti.
GUALTIERO
La tua viltà le chiare fiamme estinse.
GRISELDA
Per l'illustre tua sposa ardano eterne.
Ah non voler da lei
de la mia tolleranza i rari esempi.
Mal può darli Costanza
gentil di sangue, e poco
d'una rigida sorte,
qual io vil donna, in mezzo agli ostri avvezza.
COSTANZA
(O bontade!)
ROBERTO
(O virtude!)
GUALTIERO
(Il cor si spezza.)
CORRADO
Che più chiedi?
GUALTIERO
L'estrema
prova di sua fermezza. Oton.
OTONE
Mio sire.
GUALTIERO
Ti avanza, e tu, Griselda.
GRISELDA
Ubbidisco. (Che fia?)
ROBERTO
(E ti perdo?)
COSTANZA
(E non moro?)
COSTANZA E ROBERTO
Anima mia.
GUALTIERO
(Che pensi, o cor?) Tempo è, Corrado.
CORRADO
Ah vedi,
che non t'inganni.
GUALTIERO
In sua virtù confido.
CORRADO
Non è al fin più che donna.
GUALTIERO
Ma tal, che far può scorno al sesso forte.
CORRADO
Opra a tuo senno.
GUALTIERO
Amor mi assista.
CORRADO
E sorte.
GUALTIERO
Assai soffristi. È degno
di premio il tuo coraggio; e n'ho pietade.
Più non sarai, Griselda,
pastorella ne' boschi, o ancella in corte.
Ma...
GRISELDA
Che?
GUALTIERO
Cor mio, che tenti?
GRISELDA
Signor.
GUALTIERO
Del fido Oton sarai consorte.
OTONE
(Gioie, non m'uccidete.)
GRISELDA
Io d'Otone?
GUALTIERO
Egli è il forte
sostegno del mio scettro; egli il più chiaro
fregio de la Sicilia. Il sangue, il merto
gli acquistan nel mio regno amor, rispetto.
È tal, che con Griselda
dopo il suo re può aver comune il letto.
GRISELDA
Io di Otone?
GUALTIERO
La fede
a lui porgi di sposa.
OTONE
(O sorte avventurosa!)
GRISELDA
Ah! mio sire.
GUALTIERO
Ubbidisci.
Te 'l comanda il tuo re.
GRISELDA
Mio re, mio nume,
mio sposo un tempo, e mio diletto ancora,
se de' tuoi cenni ognora
legge mi feci, il sai: dillo tu stesso;
popoli, il dite voi, voi, che 'l vedeste.
Mi ritogliesti il regno;
m'imponesti l'esiglio;
tornai ninfa a le selve,
venni ancella a la reggia,
ministra a' tuoi sponsali.
Mali, rischi, sciagure, onte, disprezzi,
tutto tutto soffersi,
senza dirti spietato,
senz'accusarti ingrato.
Ma ch'io d'Oton sia sposa?
Che sia d'altri il mio core?
la mia fede? il mio amore?
Mi perdona, Gualtiero. È questo, è questo
il caro ben, che solo
libero dal tuo impero io m'ho serbato?
Tua vissi, e tua morrò, sposo adorato.
GUALTIERO
(Lagrime, non uscite.) Ommai risolvi:
o di Otone, o di morte.
GRISELDA
Morte, morte, o signor. Servi, custodi,
aguzzate ne' ferri,
spremete ne' veleni,
ne' tormenti inasprite
la morte mia. La gloria
chi avrà di voi del primo colpo? Ah sposo
a la tua mano il chiedo,
e prostrata lo chiedo...
(s'inginocchia; Gualtiero non la osserva)
Se pur cader per una man sì cara
non è, dolce consorte,
anzi vita, che morte.
Pur sia pena, o sia dono, a te la chiedo.
Fa' ch'io vada a gli elisi, ombra superba,
con l'onor di tua fede; e ch'ivi additi
le tue belle ferite,
opra già de' tuoi lumi, or del tuo braccio.
GUALTIERO
(Non più, cor mio, non più.) Sposa, ti abbraccio.
(solleva Griselda, e l'abbraccia)
OTONE
(Misero Oton!)
CORRADO
Viva Griselda, viva.
GUALTIERO
Popoli, che rei siete
del cielo, e del re vostro; ommai vedete,
qual regina ho a voi scelta; a me qual moglie.
La virtù, non il sangue
tal la renda a' vostr'occhi, ed al mio core.
Or con tal pentimento
facile a voi perdono il vostro errore.
OTONE
Gran re, sol è mia colpa
il pubblico delitto. Io fui, che spinto
da l'amor di Griselda indussi il regno
più volte a l'ire. Ebber gran forza i doni
ne l'anime volgari.
Ne le grandi il mio esempio.
Ecco perdon ti chiedo.
GUALTIERO
Il tuo dolor mi basta, e te 'l concedo.
COSTANZA
Nobil pietà.
COSTANZA E ROBERTO
(Che spero?)
GUALTIERO
Ma tu taci, o Griselda? e lieta appena
al tuo amico destin mostri la fronte?
forse non li dai fede? o forse intera
non è ancor la tua gioia?
GRISELDA
Te 'l confesso: mi è pena
di Costanza la sorte. Ella era degna
di te.
GUALTIERO
Sposa del padre è mai la figlia?
GRISELDA E COSTANZA
Come?
GUALTIERO
Il dica Corrado.
CORRADO
Sì, Costanza è tua prole,
che piangesti trafitta.
GRISELDA
O figlia!
COSTANZA
O madre!
GRISELDA
Ben me 'l predisse il core, e non lo intesi.
GUALTIERO
Tu l'amor di Costanza,
ch'ora in sposa ti dono,
tutto non m'involar Roberto amato.
ROBERTO
Il tuo dono, o gran re, mi fa beato.
GUALTIERO
Meco ommai riedi, o cara,
su la real mia sede.
OTONE
E sia Everardo il tuo, ma tardo, erede.
CORRADO
Imeneo, che se' d'amore
dolce ardor, nodo immortale,
de la coppia alma reale
stringi l'alma, annoda il core.
GUALTIERO E ROBERTO
Bianca man, col tuo candore
d'un bel core ancor fai fede.
COSTANZA E GRISELDA
Di quest'alma, ove amor siede,
spirto, e vita è sol l'onore.
Il Coro replica.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)