IL GIRELLO
Dramma musicale burlesco.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Filippo ACCIAIUOLI, Giovanni Filippo APOLLONI.
Musica di Jacopo MELANI, Alessandro STRADELLA.
Prima esecuzione: 4 febbraio 1668, Roma.
Interlocutori:
Nel prologo | |
PLUTONE |
basso |
PROSERPINA |
soprano |
VENDETTA |
soprano |
INGANNO |
tenore |
Titolo personaggi | |
ODOARDO re di Tebe |
basso |
ERMINDA sua sposa, e figlia del re di Cipro |
soprano |
DORALBA sorella d'Odoardo |
soprano |
MUSTAFÀ schiavo, e poi fratello d'Erminda |
soprano |
FILONE pedante, e consigliere |
tenore |
ORMONDO consigliere |
basso |
PASQUELLA nutrice di Doralba |
tenore |
GIRELLO giardiniere di corte, e marito di Pasquella |
basso |
TARTAGLIA carceriere |
tenore |
MAGO |
basso |
Accompagnature:
Odoardo re con dodici Mori, e un Capitano della guardia;
Erminda regina con sei Damigelle;
Doralba sorella del re con quattro Damigelle;
Girello con sei Turchi di guardia;
Tartaglia guerriero con cinque Soldati;
Plutone con cinque diavoli.
Signor mio
Il Girello rappresentato in questa città nello scorso Carnevale, meritò sì alti applausi da chi ebbe fortuna di udirlo; che non senza ragione io mi muovo a pubblicarlo con le stampe agl'encomi universali del mondo tutto. Mi fo per tanto lecito di fregiarlo col nome pregiatissimo di v. signoria per arrichir l'opera di patrocinio così autorevole, ed atto a rintuzzar l'orgoglio della maldicenza medesima, quando avesse ardire di porvi li suoi velenosi morsi: ed insieme per palesare il mio umilissimo ossequio verso la persona, e casa di v. signoria la quale devotamente supplico a non sdegnarne questa sincerissima espressione, ed a credere che io mi pregerò sempre d'esser
di v. s.
umilissimo servitore
Bartolomeo Lupardi
Lo stampatore al lettore
Non ha bastato, o lettore, che con inusitato applauso la presente opera sia stata sentita in musica sopra le scene, per svellere in molti la falsa opinione che l'ha creduta ripiena d'oscenità. Onde contr'al pensiero di chi l'ha composta comparisce alla pubblica luce, non perché tu da questa lettura possa imparare cosa alcuna, ma acciò resti persuaso che siccome per arrecarti diletto furono impiegate queste fatiche così tu voglia prenderti l'incomodo in difenderle se di simili difetti venissero notate, sapendo per altro l'autore che non merita altra ricompensa quest'opera che quella dell'oblivione. E vivi felice.
Inferno.
Plutone, Proserpina, Vendetta, Inganno.
PLUTONE
O di Cocito
oscure deità
dall'arso lito
sospirate crudeltà,
e con funesta guerra
volate Erinni ad infestar la terra.
PROSERPINA
O d'Acheronte
falangi tormentate
con furie, ed onte
a guerra il ciel sfidate,
e nel più cupo fondo
tremi Nettuno, e si sconcerti il mondo.
PROSERPINA E PLUTONE
Sì sì, sì sì
tremendi spiriti
dannati ai gemiti
con urli, e fremiti
volate al dì
sì sì, sì sì.
VENDETTA
Corrompe empio ministro
nella reggia di Tebe
d'Astrea gl'alti decreti
e con cenni indiscreti
il povero schernisce
l'innocente punisce
se del proprio volere
al capriccio di lui nega tributo
e Giove tace, e tu 'l sopporti o Pluto.
INGANNO
Anco delle donzelle
oppressa è l'onestade
vilipeso il decoro,
ove non giunge l'oro;
contro quel sesso imbelle
Ormondo il ferro adopra,
e la giustizia dorme,
contro l'empio fellone, o dèa tiforme.
VENDETTA
Deh lascia alla vendetta...
INGANNO
Deh concedi all'inganno...
VENDETTA E INGANNO
Di punire un tiranno.
PLUTONE
Impero troppo angusto
sarà di Pluto
l'erebo profondo
s'anco nell'altro mondo
non temesse di me l'empio, e l'ingiusto.
Correte o miei campioni
alla regina di Tebe
mutate, sconvolgete;
coi vassalli i regnanti,
eh sian vostri seguaci
spettri, larve, fantasmi, ombre ed incanti.
PROSERPINA
Su su numi d'Averno
accorrete improvvisi
onde il regno di Tebe
me per trivia tremenda oggi ravvisi.
Dal mio superno giro
qual cinta spargerò l'argenteo lume
porgerò qual Diana
a leoni, e pantere i orridi scempi,
poscia con l'armi vostre
qual dèa d'abisso io farò guerra agl'empi.
PROSERPINA
O del terribile...
VENDETTA
impero d'Ecate.
INGANNO
Funesti popoli...
PLUTONE
dall'antro stigio
la bocca orribile
veloci aprite
e del gran Orco i numi
soccorran la terra a riformar costumi.
Cortile delle prigioni.
Ormondo, Filone.
ORMONDO
Dal tramontar del sole
finor, ch'il ciel ha i minor lumi accesi
presso al regio palazzo invan t'attesi.
Ma come usar si suole
quando lungi è la corte
eran chiuse le porte
né sapendo ove fossi
a caso il piè qui mossi
per intender s'è ver ciò che si dice
del ritorno del re.
FILONE
Venga felice.
Sol un aristotelico problema,
che gran dubbio mi muove
di saper delle nove
la curiosità molto mi scema
ma mentre stavo nello studio immerso,
su veloce destriero
mi giunge un messaggero,
che mi disse, che il re con la regina,
nella villa vicina
fanno lieto soggiorno
per fare in breve alla città ritorno.
ORMONDO
Di tal novella io godo:
che senza nostro impegno
negl'affari del regno
si scioglierà di molti dubbi il nodo.
FILONE
Post varios casus, è dover, ch'adesso
ei faccia al suo cubile il retrogresso.
ORMONDO
Dell'imeneo reale il certo avviso
dentro il mio seno il giubilo raddoppia.
FILONE
Sì generosa coppia
con influssi secondi
di masculina prole il ciel fecondi
già ch'ei doman qui giunge;
all'albergo reale
me n' corro ad apprestar le regie stanze,
scusami se ti lascio, Ormunde vale.
(parte)
ORMONDO
Va' ch'il ciel ti contenti,
ma dubito però,
che per troppo studiar pazzo diventi.
Già che sol io rimasi
vuò provar se Pasquella,
che tanto m'invaghì
mi dicesse di sì,
Amor così comanda
importuno timor fuggì da banda.
Pasquella, Ormondo.
PASQUELLA
Olà Cecco fa motto
brutta fisionomia!
Mi credevo che fusse un giovanotto,
serva a vossignoria.
ORMONDO
Attendi, ascolta un poco
d'un sen, ch'abbrugia, ed arde
vuo' palesarti l'amoroso foco.
PASQUELLA
Qui se pensi comprarne
non si vende la carne.
ORMONDO
Per pietà non dir no
ad un cor per te piagato,
altrimenti disperato
contro i dèi bestemmierò
oltraggiato da una serva
sfogherò l'ira mia contro Minerva.
PASQUELLA
Se col ciel vuoi mover guerra
vanne al tempio antico in Roma,
che Panntheon oggi si noma
d'ogni nume albergo in terra,
là con tutti, ben potrai
sfogar le tue bestemmie, i pianti, i guai.
ORMONDO
Non mi schernir ti prego
benché vecchio ti paia,
il baston tu sarai di mia vecchiaia.
PASQUELLA
S'altro baston, che me tu non richiedi,
se Pasquella non erra
batter ti converrà la barba in terra.
Girello, Ormondo, Pasquella.
GIRELLO
Cornuto mio destino,
senz'altri testimoni,
io l'ho per un sensal di matrimoni.
Ritiratevi ch'è tardi,
casca l'umido, e la guazza,
il crepuscolo v'ammazza
bella coppia il ciel vi guardi,
ritiratevi ch'è tardi.
ORMONDO
Chi va là, chi va là?
Presto chi tu ti sia fuggi di qua.
GIRELLO
Fa conto ho una paura, ch'io mi spirito,
va' comanda al focon di santo spirito.
ORMONDO
Il nome vuò saper la patria ancora,
di Roma, di Madrid, o di Parigi?
GIRELLO
Son l'abate Luigi,
con licenza padrone
se più qui ti riveggio
adoprerò il bastone.
E tu vecchiaccia porca
levati via di qua, va' sulla forca.
Ormondo, Tartaglia, Girello.
ORMONDO
Tartaglia, olà costui
dagl'occhi miei si tolga,
e pria che il passo a noi Febo ritolga,
per far de' falli suoi giusta vendetta
nella più oscura carcere si metta.
(parte)
TARTAGLIA
Con ogni miglior senno
obbedisco al tuo cenno,
non ti doler di me
se non foss'io, sarebbe un altro affé.
GIRELLO
Oh che ministri tetri
senza cagione alcuna
devo prender quartiere in domo Petri.
ORMONDO
T'aggiusterò ben io,
di tanto ardir farò pagarti il fio.
TARTAGLIA
Anche questa di più
per ordin di colui,
che la città governa
in prigione verrai
se licenza non hai della lanterna.
GIRELLO
Non l'ho, ma tal licenza
dimmi, chi la concede?
Mi pare impertinenza,
che non può camminar chi non ci vede.
TARTAGLIA
Su dentro caporal chiudi la porta.
GIRELLO
Tal rispetto si porta
alle cariche mie.
(partono)
TARTAGLIA
Tocca alli sbirri a carcerar le spie.
Un povero marito,
che la moglie in bordello
vede precipitar
s'uno la vuol chiamar
et ei fa bene a dar il luogo a quello,
ch'almen quando ritorna
trova di cortesia la moglie adorna.
Logge, prigioni.
Doralba.
Sconsigliata Doralba, ove t'aggiri.
Non vedi a' tuoi sospiri
sordo il ciel, muto un schiavo, e cieco amore?
Del tuo servile ardore
son chimere gl'affanni
son aborti i pensieri,
son gl'affetti bugie,
le speranze deliri.
Sconsigliata Doralba, ove t'aggiri?
Ma se dell'alma mia
uno schiavo è la speme
paventar le catene
o mio core è pazzia,
Mustafà dove sei?
Dove, dove soggiorna
il sol degl'occhi miei?
Torna mio ben, deh torna
a bear questo petto,
pria che diventi oggetto
de' martiri più rei,
Mustafà dove sei?
Pasquella.
Or che il sol al mondo spunta,
qui son giunta,
per mostrare al mio Girello,
ch'io son donna d'onor, non di bordello
con quel suo brutto mostaccio
quel vecchiaccio
s'un tantin ei più m'attizza,
gli vuo' pelar la barba per la stizza.
Girello alla ferrata, Pasquella.
GIRELLO
Lustrissimo signore
fate la carità a 'sto carcerato.
O mandate l'almen pe' il servitore.
PASQUELLA
Udì l'orecchio mio
nell'ascoltar veloce
del mio Girello una languente voce.
GIRELLO
Buondì sposa galante
che fa il tuo nuovo amante?
PASQUELLA
Che Zerbino dà sassate
giovanotto come me,
ciò lo dico solo a te
le sei croci son passate
son anch'io di quelle affé,
ch'ho visto il Culiseo con l'impannate.
Tartaglia, Girello, Pasquella.
TARTAGLIA
Con quale impertinenza
parli tu con costui, con qual licenza?
Mostra il salvo condotto
altrimenti farò.
PASQUELLA
Canchero fate motto.
TARTAGLIA
Val un giulio, e ch'io ti fo
con un piè levar di lì
e s'il capo ancor m'introni
senza punto di fatica
ti romperò la fibbia de' calzoni.
PASQUELLA
Lascia ch'una parola ancor le dica.
TARTAGLIA
Fra tanti suoi travagli
potrebbe ancor a te
succeder qualche cosa
però partir bisogna,
ch'ogni mosca si posa
in sulla groppa alfin d'una carogna.
PASQUELLA
A me carogna, a me.
TARTAGLIA
Simil ingiuria mai non dissi a te.
Parlai per ironia
e chi placar vorria
questa vecchia adirata?
PASQUELLA
Anche vecchia a Pasquella,
ti tirerò sul capo una pianella,
con me così si tratta
non son ragazza no, ma donna fatta.
GIRELLO
Fatta dal tempo, e dall'etade oppressa,
ti scusi sol co 'l condannar te stessa
o misera, e non senti,
che fa l'alma col corpo i complimenti?
PASQUELLA
Se la disgrazia vuole
succeda a te quel che successe a Cecco,
che per non esser becco
vols'esser impiccato,
de là lo vederai fagli un saluto.
GIRELLO
A quest'io ti rispondo
se fui becco cornuto,
non voglio esser ruffian dell'altro mondo.
TARTAGLIA
Ecco gente fa' presto
parti, fuggi di qua, se no t'arresto.
GIRELLO
Pasquella addio, mi raccomando a te.
PASQUELLA
Lascia il pensiero a me.
Filone, Ormondo, Tartaglia.
FILONE
Opportuno ne aspetti,
fa' che del voler mio
tosto seguon gl'effetti
sia di punir Girello
di Tartaglia la cura
pria che di lui altra novella intenda,
ad una forca il traditor s'appenda.
ORMONDO
No, che soffrir non dée pene sì atroci
con suggestive voci,
ben convincer lo puoi,
e con real comando
dargli dal regno un rigoroso bando.
FILONE
Girello a noi ne venga.
TARTAGLIA
Libero, oppure avvinto?
FILONE
Fa' che laccio veruno lo ritenga.
TARTAGLIA
Disciolto sortirà dal labirinto.
FILONE
Con un picciol esame
condannerò l'infame.
Filone, Ormondo, Tartaglia, Girello.
GIRELLO
Che gente farisea
credo mi condurranno in Galilea.
FILONE
Ditemi in cortesia
per qual cagion la libertà perdesti?
GIRELLO
Sol per finti pretesti
del vecchi Babalà
che se non lo sa lui, chi lo saprà.
FILONE
Chi vi prese?
GIRELLO
Costui fece il servizio.
FILONE
Dove fosti ier sera?
GIRELLO
Allo speziale
non avendo del corpo il beneficio
affinché mi facesse un serviziale.
FILONE
E dopo, che segui?
GIRELLO
Andai dalla mia donna.
FILONE
Siete dunque ammogliato?
GIRELLO
Mi scusi patron mio, ch'io son castrato.
FILONE
Ergo inhuman con favolosi accenti
di corromper Astrea perfido tenti?
GIRELLO
Se di schernir s'adopra
chi ha più senno di lui lo ponga in opra.
FILONE
A testibus convictus
per un error commesso
son dalle leggi astrictus,
d'intimarti l'esilio
al regno e domicilio.
GIRELLO
Sentenza con l'accetta
faccia il cielo per me giusta vendetta.
(partono)
ORMONDO
Tal castigo averà chi Ormondo offese.
TARTAGLIA
E padron mio, chi pagherà le spese?
GIRELLO
Va' da Pasquella mia, che ti farà
un ordin per il Monte di pietà.
TARTAGLIA
Orsù non dubitar va' a buon viaggio.
(parte)
GIRELLO
Fammi, fammi coraggio.
Belle donne di bordello
s'io non vi posso pagar,
compatitemi, tacete;
ma se torno un po' in monete
vi vo' tutte contentar.
Povertade al ciel promessi,
obbedienza e castità
casto sol per voi non fui
s'io mancassi agl'altri dui
saria troppa infamità.
Mustafà, Girello.
MUSTAFÀ
O felice Mustafà.
Fortunato più di me
nel mondo non è, non fu, non sarà.
GIRELLO
O Girello in povertà
sfortunato più di me
nel mondo non è, non fu, non sarà.
MUSTAFÀ
Il servir non mi dà pena.
S'in amor trovo pietà
m'è gradita la catena
ch'il mio ben portar mi fa.
O felice Mustafà.
GIRELLO
O Girello in povertà.
MUSTAFÀ
Fortunato più di me.
MUSTAFÀ E GIRELLO
Nel mondo non è, non fu, non sarà.
MUSTAFÀ
Addio Girello mio.
GIRELLO
O caro Mustafà? Se tu sapessi
il mio destino rio,
ognor lo maledico.
MUSTAFÀ
Non disperare amico,
volubile è la sorte,
e per ogni sventura
rimedio troverai fuor che alla morte!
GIRELLO
È troppo gran ruina,
e non sarian bastanti
a dar qualche ricetta, o medicina
contro quel mal, ch' il fato reo m'accenna,
Ippocrate, Galeno, ed Avicenna.
MUSTAFÀ
Narra il tuo male, e spera
che forse anch'in quel seno,
che tu credi crudel, pietade impera.
GIRELLO
Perché campo non diedi
a Pasquella, ed Ormondo
d'un cornuto disegno
fui sbandito dal regno.
MUSTAFÀ
Che barbara sentenza!
Ormondo fa l'errore
GIRELLO
Et a me tocca far la penitenza.
MUSTAFÀ
O corte iniqua, e rea,
ove sol regna inganno,
chi prezza l'onor suo, prezza il suo danno.
Mi muove il tuo dolore
al pianto gl'occhi, e alla pietade il core.
Prendi questa moneta
con che placar potrai
l'inimico pianeta.
GIRELLO
Che tu sii benedetto in ogni parte
sin dalla tramontana allo scirocco,
ch'io ti possa veder re del Marocco.
MUSTAFÀ
Di tuoi cortesi accenti
grazie ti rendo, e consigliar ti deggio,
che segua un mal per evitarne un peggio.
Va' non tardare ogni timor disprezza.
GIRELLO
Così gran tenerezza
farà nel corpo mio sì grand'effetto,
ch'un'uscita di corpo io me l'aspetto.
(parte)
MUSTAFÀ
Misero sventurato!
Compatisco il tuo stato,
che nacqui per gioire,
non so che sia dolor, pena, o martire.
S'il servire a bella dama,
che non m'ama
e felice servitù,
il servir, chi m'adora è molto più.
Son prigione in lacci avvolto,
benché sciolto,
libertade aver non spero,
schiavo non son mentr'ho d'un cor l'impero.
E se nacqui per gioire
non so che sia dolor pena, o martire.
Veggo il mio sol, che giunge
meglio è per or, ch'io finga,
per veder s'al gioir son presso, o lunge.
Doralba, Pasquella, Mustafà in disparte.
DORALBA
Pasquella a che sì mesta?
Qual novella funesta
mosse tra i tuoi pensieri
sì penosa tenzone?
Dimmi del tuo dolor l'aspra cagione.
PASQUELLA
Volea quel vecchio Ormondo
dal senso avvelenato
con la mia Teriaca esser sanato,
io, che son donna schietta,
e nella mia bottega
non ho simil ricetta
feci sì ch'ei rinnega,
e per darmi spavento
fe' Girello bandir in un momento.
DORALBA
Un vecchio in breve tempo
ogni livor si scorda
e a qual si sia perdon presto s'accorda.
PASQUELLA
E via chiama Ormondo, e digli,
che vivendo in quell'età
col nutrir sì pazzi grilli
quanto prima impazzirà;
s'il favor ei mi farà
un bascin glielo darò,
ma di più non pretenda, oh questo no.
DORALBA
Con che modo se 'n viene
in ristretto mi dice,
ch'io gli faccia d'amor l'ambasciatrice.
Ma qui veggio il mio bene,
ritirati Pasquella
non mi tener a bada
ch'ad ogni mal si troncherà la strada.
PASQUELLA
Altro non cercherò
sulla vostra parola io mi starò.
DORALBA
Sta pur sopra di me.
PASQUELLA
A chi ha ella detto? A te?
Sta pur sopra di lei,
che se fuss'uom anch'io pur lo farei.
(parte)
DORALBA
O mio caro tesoro
ver chi t'adora, e vive sol per te
movi sì tardo il piè?
L'insolito decoro,
la tua modesta fronte
fa che ad ogni mio bene il sol tramonte.
MUSTAFÀ
L'ossequio che ti devo
da ch'in tua man cadei
consiglia i spirti miei
e quando stesse in altro modo un servo,
meritaria sopra le spalle il nervo.
DORALBA
Il tuo parlar mi sdegna.
Regna chi serve amor, serve, chi regna.
MUSTAFÀ
Chi d'espugnar pretende
qual gigante d'amor ciel di beltà
bersaglio di saette alfin si fa.
DORALBA
Deh vieni non più
se laccio, o catena
il piè ti raffrena
si sciolga su su.
Deh vieni non più
se laccio, o catena
il piè ti raffrena
si sciolga su su.
MUSTAFÀ
Deh cangia pensiero,
ch'il perfido amore
non fu col mio core
sì crudo, e severo.
Deh cangia pensiero,
ch'il perfido amore
non fu col mio core
sì crudo, e severo.
DORALBA
Crudel non mi sia,
sol legge mi dia
chi servo mi fu.
MUSTAFÀ
Audace non sia
né legge ti dia
chi servo ti fu.
DORALBA
Ma qual nuovo rispetto
con insolita noia
a chi ti diede il cor turba la gioia?
MUSTAFÀ
Il rispetto è dovuto
e il cor, che già mi desti or lo rifiuto.
DORALBA
Non mi ami.
MUSTAFÀ
No no.
DORALBA
Che brami?
MUSTAFÀ
No 'l so.
DORALBA
T'adoro.
MUSTAFÀ
No 'l merto.
DORALBA
Son oro.
MUSTAFÀ
Coperto.
DORALBA
Di fede, ma di'
mi adori.
MUSTAFÀ
(in disparte)
(Sì, sì.)
Insieme
DORALBA
Sei troppo crudele
al finger così.
MUSTAFÀ
Son troppo crudele
al finger così.
DORALBA
Sei schiavo.
MUSTAFÀ
Lo so.
DORALBA
Comando.
MUSTAFÀ
Son qui.
DORALBA
Mi servi?
MUSTAFÀ
Sì sì.
DORALBA
D'amante.
MUSTAFÀ
No no.
DORALBA
M'adori infedele?
MUSTAFÀ
(in disparte)
Risposi (di sì).
Insieme
DORALBA
Sei troppo crudele
al finger così.
MUSTAFÀ
Son troppo crudele
al finger così.
DORALBA
Se Doralba tradisti
al tuo vil tradimento
fia compagna la pena e 'l pentimento.
Doralba, Ormondo, Filone, Mustafà, Tartaglia.
DORALBA
Ormondo, o là Filone
lo sdegno in sen m'abbonda
s'uccida Mustafà pria che tramonte
Febo in cielo, e in grembo al mar s'asconda
paghi la vita sua gli scherni, e l'onte.
MUSTAFÀ
Deh signora ti prego.
DORALBA
Taci il parlar ti nego.
L'indegno traditore
ardì scoprirmi or or l'impure brame
di togliermi l'onore.
ORMONDO
Ah vile schiavo infame
io non ti fo morire
no ch'io non sono Ormondo.
FILONE
Io ti farò bandir da tutto il mondo.
DORALBA
No non voglio ch'ei mora
basta Filon per ora
ch'ei vada prigioniero,
castigo più severo
avrà dal mio german dopo l'arrivo,
se Mustafà perisce, io più non vivo.
(partono)
MUSTAFÀ
Così va, così va.
Chi troppo vuol alfin nulla averà,
chi prezza il martire
contenti non ha
non speri gioire
chi pianger non sa.
Così va, così va.
TARTAGLIA
Vanne, che in questo loco
alcun non ti conforta
mi dispiace il tuo mal, ma non m'importa.
Bosco.
Girello in abito di pellegrino.
GIRELLO
Chi non magna
la cuccagna
goderà (nelle calcagna)
un marito
ingelosito
mangerà (sol pan pentito).
Girello, Mago, Spiriti.
MAGO
Girello.
GIRELLO
Ahimè che voce
proferisce il mio nome, e chi mi chiama.
MAGO
Ama.
GIRELLO
Ama pur tu quanto ti piace, e pare
perch'io sol per l'amare
soffro tante batoste.
MAGO
Oste.
GIRELLO
Oste a tempo venisti, e che di buono
dentro della tua casa si ritrova?
MAGO
Ova.
GIRELLO
Ova non son cattive
per ristorar un uom, ch'appena vive,
e che qui lasso è giunto.
MAGO
Unto.
GIRELLO
Unto, oh questo l'ho caro.
MAGO
Caro.
GIRELLO
Caro, e che può valer scudi duecento.
MAGO
Cento.
GIRELLO
Cento, tienlo per te:
perché questo non è cibo per me
m'è passata la fame io son contento.
MAGO
Tento.
GIRELLO
Tento per quanto vuoi, già lo conosco
non sei per pigliar aria in questo bosco,
ma per veder se puoi gabbar qualcuno.
MAGO
Uno.
GIRELLO
Uno? Gabba chi vuoi,
purché quell'io non sia, poco m'importa.
MAGO
Porta.
GIRELLO
La porta io non la veggio, e non la so.
MAGO
La so.
GIRELLO
L'oste m'impara di musica,
quest'è un'eco sicuro,
e in questi folti boschi
la mia voce riflette in qualche muro,
or or mi chiarirò
chi ha più di cervel di noi, o tu o io.
MAGO
Io.
GIRELLO
Chi è più matto di noi, o tu o io?
MAGO
Tu.
GIRELLO
Questo mi basta, non ne voglio più
esci fuora di là
che vedrem, chi di noi matto sarà.
MAGO
(fuora)
Ben trovato Girello.
Eccomi pronto ad ogni tuo bisogno
non temer del tuo mal, che il tutto è un sogno.
GIRELLO
Sol ci mancavi tu! Ma che pretendi?
MAGO
Non sai qual io mi sia,
né il mio poter comprendi.
GIRELLO
Non ti conosco, ebben dimmi chi sei
ignoto scardafone agli occhi miei.
MAGO
Son un che posso molto,
e sta in mia libertade a chi mi apprezza
in giubilo cangiar le sua tristezza.
Or sappi s'io no 'l dissi
ch'io sono il patriarca degl'abissi.
GIRELLO
Questi abissi, che sono.
MAGO
Se come curioso,
tu non sarai codardo
volgi a quel tronco il guardo
ch'un de' sudditi miei ti mostrerò.
GIRELLO
Mostramelo ti prego,
che spavento nessun non averò.
MAGO
Voltati dunque in là.
GIRELLO
Il diavolo! Che vuoi tu va' via di qua.
MAGO
Girello, e di che temi?
GIRELLO
Nulla m'ha mosso il corpo
un piatto di lumache
e ho fatto una frittata nelle brache.
MAGO
Rivolgi a me lo sguardo.
GIRELLO
Vo' pria saper se sia
quel sì brutto mostaccio andato via.
MAGO
Partì sopra di me.
GIRELLO
Non me ne fido affé,
patriarca buondì,
saria ben matto a trattenermi qui.
MAGO
Dunque così strapazzi, e fai rifiuto
d'un che qui venne sol per darti aiuto?
GIRELLO
Non voglio aiuto vostro,
e nemmen di quell'altro
che s'è lavato il viso nell'inchiostro.
MAGO
Non aborrir cotanto
chi la tua rozza veste
può cangiar se vorrai con regio manto.
Giacché tu non mi credi io mi ritiro,
restane co' tuoi guai.
GIRELLO
Non ti sdegnare, ovvia fa' quel che sai.
MAGO
In questo picciol giro
dalle tartaree grotte
venga a servir Girello
Belzebù ed Asterotte.
Questi sono i tuoi paggi.
GIRELLO
Garbati personaggi!
MAGO
Mostri terribili,
furie d'Averno,
spiriti invisibili,
ch'in sempiterno
Pluto servite,
a riverir Girello, olà venite.
GIRELLO
Chi son questi signori?
È forse la mia corte?
Lasciami venir fuori
che s'io li vedrò non starò forte.
MAGO
Fermati forsennato.
Né ti mover di piedi
se pria a me la permission non chiedi.
Non son per farti male,
ma sol per dimostrarti
qual sia la mia potenza, e quanto vale.
Al mio cenno si mova
chi nel profondo abisso si ritrova.
Qui si muta la scena in inferno con una bocca di dove escano cinque diavoli, a ballare, e vestire Girello.
GIRELLO
Brutto paese è questo
patriarca fa' presto,
Asterotte bada a te.
Partì, fuggì Belzebù.
Non mi curo d'esser più
conte principe, né re
Asterotte bada a te.
No non me ne curo più
partì fuggì Belzebù.
Qui ritorna il bosco, e partono i diavoli.
MAGO
Per far Girello re così si fa
son servitor di vostra maestà.
GIRELLO
Or che re mi facesti
con queste invenzioni
dimmi ti prego almeno
se son il re di spade, o di bastoni?
(il mago dà lo specchio in mano a Girello)
MAGO
Se non credi al mio detto
mira qua dentro, e ne vedrai l'effetto.
GIRELLO
Che volto maestoso!
Che patriarca bravo
a tempo qui venisti.
MAGO
Ancor non ti chiarasti,
(cade il ferraiolo a Girello, e si mira nello specchio)
GIRELLO
A che gioco giochiamo. Il regno mio
svanito è molto presto
bel fantoccio, ch'io resto.
MAGO
Non ti fia meraviglia
se più re tu non sei
poiché tor non ti déi
mai dalle spalle giù questa mantiglia.
GIRELLO
Dunque se la rimetto
io re ritornerò.
MAGO
Te lo prometto.
(Girello si rimette il ferraiolo e si mira nello specchio)
GIRELLO
Per vita mia ch'è vero,
ma se mi trovo con il re di Tebe,
chi sarà re di noi?
A ciò non so se rimediar tu puoi.
MAGO
Questa radice prendi
e quando incontri il re cauto t'accosta,
e a lui la metti in qualche parte t'accosta
ch'allor da questo, e quello,
tu sarai re creduto, egli Girello.
GIRELLO
Bella cosa sarà s'ella riesce.
Però il timor mi cresce
ch'il tutto non finisca in bastonate
MAGO
Non dubitar sarò il tuo fido Acate.
Se fai ciò che prometti
sappi ben osservare i miei precetti.
GIRELLO
(parte)
Buon viaggio, buon viaggio
m'invio verso la corte
tutt'i nemici miei
già mi credon lontano
et io qual re sovrano
canaglia berrettina
voglio farne frustare una dozzina.
Odoardo, Erminda.
ODOARDO
Su su godete ombrose piante
se di luce il ciel vi priva
or con fulgido sembiante
nuovo raggio in sen v'arriva
e se venir non può dall'alta mole
sarà luce d'Erminda, e non del sole.
ERMINDA
Sì godete ecco la luce
scintillante a voi ne riede
e tra l'ombre ancor riluce
lo splendor della mia fede,
che se il diamante di fermezza agguaglia
tra le tenebre ancor la vista abbaglia.
ODOARDO
O mia diletta sposa
delle viscere mie parte più cara
delizie del mio seno, a cui prepara
serti di glorie omai di Tebe il regno
dell'amor ch'io ti porto
sia questo cor, che t'ho donato il pegno.
ERMINDA
D'un cor sì generoso,
in sì brevi momenti aver l'impero
non me lice, e non oso
ma se l'amor, che tu mi porti è vero
altro da te non bramo
che di sentirti dire: Erminda io t'amo.
ODOARDO
Dunque vuoi più da me?
ERMINDA
O mio signore, o re.
ODOARDO
Vuoi più da me s'in dono il cor ti diedi?
ERMINDA
Troppo è donarmi il tuo se 'l mio non chiedi.
ODOARDO
Il tuo sta nel mio seno.
ERMINDA
E chi me n'assicura?
ODOARDO
Odoardo te 'l giura.
ERMINDA
O me felice, o me contenta appieno
ma se folle in van lusinga
aura vana dispense un picciol merto
chissà che tu non finga
voglio un segno più certo.
ODOARDO
Ecco il ferro, ecco il petto, aprilo, mira,
se col tuo core io vivo
se del mio cor son privo,
e se coll'alma tua quest'alma spira.
ERMINDA
Se non fosse la morte
che teco incontrerei
offerta sì gentil gradir vorrei.
ODOARDO
Mentre a te caro fosse
il mio pregio sovrano
fora il morir per la tua bella mano.
ERMINDA
Soffrir' io non potrei sì gran cordoglio
non trattiam di morir vivo ti voglio.
Io son tua, tu sei mio
e il laccio, che ci stringe
è sì tenace e forte
che scior non lo potrà nemmen la morte.
ODOARDO
Tu capitano alla città vicina,
con solleciti passi
veloce t'incammina,
dà l'improvvisa nova
alla sorella mia, ch'il suo germano
qui nel bosco di Giano
con Erminda sua sposa or si ritrova,
noi frattanto o mio bene in questa notte
sol farem qui dimora
finché la nova aurora
chiami i pastori a pascolar il gregge.
ERMINDA
Mio re ti seguo, il tuo voler m'è legge.
ODOARDO
Or di gioia il cor abbondi,
già che amor così destina.
ERMINDA
Tu mio re.
ODOARDO
Tu mia regina.
ERMINDA E ODOARDO
Vivi amando, e godendo i dì giocondi.
Città.
Ormondo, Filone.
ORMONDO
Ben gli sta, ben gli sta,
sed costupescere,
vel contimescere
molto mi fa.
ORMONDO E FILONE
Ben gli sta, ben gli sta
così succede a chi cervel non ha.
FILONE
Mi dà quid querere
l'enorme scelere
di Mustafà.
ORMONDO E FILONE
Ben gli sta, ben gli sta
così succede a chi cervel non ha.
ORMONDO
Del ritorno del re la lieta nuova
diè non poco conforto,
ma fu finto il rapporto.
FILONE
L'inganno non fu mio
quel falso messaggero
decepit me che non mi disse il vero.
ORMONDO
E se già fosse giunto!
FILONE
Astra favent Ormunde, eccolo appunto.
Girello, Filone, Ormondo.
GIRELLO
Buondì cari ministri,
per la città di noi che si discorre.
FILONE
Con giocondo pensier ciascun precorre
del suo rege nativo
il desiato arrivo.
GIRELLO
Il cuoco come sta?
ORMONDO
Benissimo signore.
GIRELLO
Dove sarà?
ORMONDO
Suol esser in cucina.
GIRELLO
Or che viene la regina
più d'un cuoco a noi si deve
un per lei, ed un per me,
che faccia le minestre nella neve.
Così vuò, così sarà.
La mia panza
l'abbondanza
vuole ognor nella città,
per l'osterie, ch'ognuno magni a scrocco
né si paghi un baiocco.
ORMONDO
Generose proposte!
Ma che dirà per l'oste?
GIRELLO
Chi vorrà contraddir? Giuro ad Apollo
se ci sarà nessun così maligno
farò mettergli al collo
tre canne di fettuccia di Foligno,
vo' venire alla prova,
se senza il ferraiolo
conoscon ch'io mi sia
aspettatemi qui nessun si muova.
(parte)
FILONE
Molto mi pare cangiato
da quel ch'egl' era pria.
ORMONDO
Forse l'aver passato tempestose procelle
sarà causa di ciò.
(Girello torna senza ferraiolo, e parte subito)
ORMONDO
Ladro ribelle,
pur qua rivolgi il piè?
FILONE
Girello, e come qua
cito pera l'iniquo
ch'al comando real non obbedì.
GIRELLO
(torna fuora col ferraiolo)
Fermate olà, olà
che bordello si fa.
FILONE
È un bandito signore.
GIRELLO
Tacete dico
se no quelle barbette
per il primo torneo
serviran di scoperta al Culiseo.
Tartaglia, Girello, Ormondo, Filone.
GIRELLO
Dove si va Tartaglia?
Scopri quella scodella.
TARTAGLIA
Non ci è roba, che vaglia,
che volete mangiar? Sarebbe bella?
GIRELLO
Di mangiar non pretendo, e sol mi basta
sentir con le mie mani
se sia fina la pasta.
(parte)
FILONE
E qual fame esecranda
ti costringe a mangiar simil vivanda?
ORMONDO
Non è da re tuo pari.
GIRELLO
Voi sete i gran somari
io vorrei rinunciar mille corone
s'io mi credessi solo
di non poter mangiare un maccherone.
FILONE
Opra pure a tuo senno
togli se ben sei re la cena al reo
ego iam functus sum officio meo.
GIRELLO
Ancor sopporto di tua voce il tuono
sei forse il mio pedante?
FILONE
Al certo io sono.
GIRELLO
Carica sì gentil chi ti concesse?
FILONE
Il re tuo genitore,
qual è me solo elesse
acciò di tal governo
come d'un picciol mondo
novello Atlante sostenessi il mondo.
GIRELLO
Mio padre era mio padre, io son suo figlio,
e perché a governar regi, e regine
poc'atto riconosco il tuo consiglio,
ti fo governator delle galline.
FILONE
Obstupeo, admiror pape
sì sciocche note il mio cervel non cape.
ORMONDO
Ciò sol da noi si dice,
perché veder non lice
fatto preda gentile
di tua bocca real cibo sì vile.
GIRELLO
Ecco un altro pedante, e tu chi sei?
ORMONDO
Sono il tuo segretario.
GIRELLO
Quale quello che scrive
oppur quell'altro
che porta le scritture al necessario?
Tu sei messer infetta
segretario maggior della brachetta.
(parte)
ORMONDO
Alle fatiche mie questa mercede
sire donar pretendi?
Intendi, Ormondo, intendi,
ora, che dell'età sei giunto al verno
sono le nevi tue ludibrio, e scherno.
Stanza di Pasquella.
Pasquella.
È la forfora un pazzo male
né guarir ciascun la può
s'il rimedio non è tale,
quale adesso vi mostrerò
se Girello mio non torna
con un pettine di corna
io cacciar me la farò.
Un bel crine una testa pulita
bella vita,
una grazia ch'eguale non ha
giovanetta parere mi fa;
un bell'occhio una bocca pietosa
vergognosa
che scherzando coi labbri se n' va
vince ogn'altra più ladra beltà.
Non vi voglio più pregare
creda ognun quel che le pare
quando fosse al vostro modo
gallina vecchia fa migliore il brodo.
Logge.
Doralba.
Incostante Mustafà
bionde chiome, e bel sembiante
la fortuna, e il ciel ci dà
ma d'eleggersi un amante
lascia al cor la libertà
dunque forte è la beltà
che mutar tosto si mira
e qual ruota anch'ella gira
con il corso dell'età
ma se ruota è la bellezza,
lo sperar ch'abbia fermezza,
ciò che gira è vanità.
Incostante Mustafà
tu ne sei la cagione,
amor nume tremendo,
per castigare altrui me stessa
offerendo.
Stanza reale.
Girello, Ormondo, Filone.
GIRELLO
Che creanza è la vostra?
Voler toglier d'addosso il ferraiolo
alle maestà nostra?
ORMONDO
Per baciarti la veste
inchinato mi sono
ti domando perdono.
GIRELLO
Ti perdono, e ti scuso
con un patto però, ch'in avvenire
simil saluto non si metta in uso.
Se non ero sì lesto
restavo brutto, e là finivo presto.
ORMONDO
Riverente saluto
è dell'obbligo mio picciol tributo.
GIRELLO
Venga s'alcun di voi
ha conti da mostrar note, e registri
diamo udienza ai ministri.
FILONE
La mia minace ferula
fe di Girello sol la mente querula
qual con empio facinore
dell'insolenza pervenuto al culmine
provò dell'ira mia l'acceso fulmine.
GIRELLO
Fu cagion di disturbo?
Già me l'immaginai, poh che gran furbo!
Perché non l'impiccasti?
FILONE
Dare ad un infelice
ch'in tua corte allevasti
morte sì vil non lice.
GIRELLO
Sopportare io non vo'
fila dritto Filon t'impiccherò.
FILONE
A me questo dedecore?
Di Roma, e di Cartagine
con il calamo mio marcai le pagine
e tu mi stimi un guardian di pecore!
ORMONDO
Et io qui mi ritrovo
suppliche di prigioni,
e gente fuoruscita
ch'alla pietade tua chiedon aita.
Pasquella, Girello, Ormondo, Filone.
PASQUELLA
Signore in questo foglio
racchiusa ho la cagion del mio cordoglio.
GIRELLO
Congiungete l'insieme
ch'a questa vecchia il satisfar mi preme
ma di', dove ti duole?
PASQUELLA
Solo mi duol, che se Girel non torna
omai si guasta, e perde
del giardino d'amor frutto sì verde.
GIRELLO
Povera rimbambita!
Sei qual frutto maturo
dell'arbor della vita
ch'ad ogni lieve scossa
tiritombola fa dentro la fossa.
PASQUELLA
Che m'importa aver degl'anni?
Non son guercia, né son gobba
e son forse in rozzi panni
più dell'altre buona roba.
GIRELLO
Mi si porti la penna e 'l calamaro
sarà pur graziosa
s'io, che legger non so scriver imparo.
Questa penna non scrive,
o gente avvezza a maneggiar le pive
con tanta di cotenna
li passerò ben io senza la penna.
Mustafà, Girello, Filone, Ormondo, Pasquella, Tartaglia.
MUSTAFÀ
Io ch'in lacci mi vedo
senza fallire avvolto
alla clemenza tua perdon qui chiedo.
GIRELLO
Non pianger Mustafà.
MUSTAFÀ
Il mio maligno fato
senza colpa m'indusse
a sì misero stato.
GIRELLO
Perché tante catene?
MUSTAFÀ
Ad Ormondo, e Filone
palese la cagion è.
GIRELLO
A dir la verità ciascun s'appresti.
FILONE
Il traditor con intenzion rubella
volea di tua sorella
por nella libreria codice, e testi.
GIRELLO
Male lingue che sete
presto, che Mustafà
si ponga in libertà,
e le catene sue
acciò non detur vacuum in prigione
leghino questi due.
TARTAGLIA
Altro che filosofica ragione
in questa oscura grotta
condannar non potea gente sì dotta.
ORMONDO
Che sentenza arrogante.
FILONE
Già che viver tu vuoi, benché regnante
del senso a beneplacito
fa' le vendette mie Cornelio Tacito.
GIRELLO
Finché dura fa verdura
bella cosa l'esser re,
chi penar un dì mi fe'
or tremar fu di paura.
Finché dura fa verdura
bella cosa l'esser re.
MUSTAFÀ
M'inchino alle tue piante, ove prostrate
con silenzio loquace
esprime il cor ciò che la lingua tace.
GIRELLO
Alzati pur non mi guastar le piante
che se tal caso fosse
esser potrei chiamato
da tutti con ragione un re spiantato.
MUSTAFÀ
Se troppo audace fu la bocca mia
nel baciar i tuoi piedi
a un riverente cor colpa si dia.
GIRELLO
Or taci, e ti consola
punisci, chi t'offende
sotto la mia parola
e con il ferro accanto
riporta pur della bravura il vanto.
MUSTAFÀ
La tua mano reale
dispensar non potea grazie minori
che sono uguali al certo
alla grandezza tua non al mio merto.
GIRELLO
Godi pur, che sarai di nostra corte
il favorito eletto.
PASQUELLA
Et io, ch'è un'ora, e più che qui ti aspetto?
GIRELLO
O che peste che sei,
non vedesti passarti il memoriale
hai sempre tante chiacchiere
ch'io credo, ch'a quest'or nel tribunale
abbia tutti straccati.
Tu stordiresti un monaster di frati.
(poi torna)
PASQUELLA
Ti pappi la rovella
ve' razza di passare oh questa è bella.
O sperate se potete
cortigiani d'oggi dì
s'una grazia gli chiedete
vi risponde allor di sì
con gioconda e lieta faccia
compatisce i vostri guai
ma rescritto, che vi piaccia
monsignor non venne mai
e nelle mani vostre è alfin spedita
la supplica passata con le dita.
Logge e prigioni.
Odoardo, Erminda.
ODOARDO
Quanto puote! E quanto fa
di Cupido una chimera
ad un re ch'al tutto impera
dà le leggi una beltà.
ERMINDA
Chi prova nel cuore
i lacci d'amore
non vuol libertà.
ODOARDO
Chi vive nel mondo
sì lieto, e giocondo
bramar più non sa.
ERMINDA E ODOARDO
Quanto puote, e quanto fa
nell'impero d'amore una beltà.
ODOARDO
Pure alfin ti riveggio
bella reggia gradita
fatta d'amor più che dai regi il faggio
e se l'assenza mia
alle grandezze tue tolse la luce
il mio ritorno un più bel sol conduce.
ERMINDA
Godete pur godete
care mura beate
ora che racchiudete
di legittimi amori
nel vostro seno immensità d'ardori.
ODOARDO
Nel suo liquido impero
d'assorbirmi tentò, Nettuno altero,
ma fu vana l'impresa
che l'amoroso foco
di quest'anima accesa
le tempeste del mar si prende a gioco.
ERMINDA
Chi d'amor il gran nume
ha per guida fedele,
non paventa del mar l'orride spume.
ODOARDO
Già ch'un astro cortese
dopo il marino sdegno
condusse il nostro legno
in pacifiche arene.
ERMINDA E ODOARDO
Lungi da noi tormenti e pene.
Odoardo, Erminda, Doralba.
ODOARDO
Ma qui venir se l'occhio mio non erra
veggio la mia sorella.
DORALBA
O mio german.
ODOARDO
Pur non m'inganno è quella.
DORALBA
Non è capace il core
d'esprimere il contento
e di formare accento
la confusa mia lingua
non ardisce, e non osa
in veder giunti in Tebe
il mio fratello, e del mio re la sposa.
ODOARDO
O di sangue reale alto germoglio
degno d'augusta sede
che più sperar degg'io?
In rivederti o dio!
Al tuo contento il mio gioir non cede.
DORALBA
Mia cognata, e regina
Doralba al tuo gran merto
riverente s'inchina.
ERMINDA
Erminda ai tuoi voleri
tributaria soggetta i suoi pensieri.
ODOARDO
Alle stanze reali
Erminda mia conduci
e di canori accensi
al suo gran merto eguali
fa' che la reggia nostra eco diventi.
DORALBA
Moviamo il piè moviamo
o mia cara diletta
ver le bramate soglie
ove il popolo ansioso ognor t'aspetta.
ERMINDA
Andiam dove ti piace
sarò dell'orme tue fida seguace
della mia vita brevi
lungi da te saranno i giorni, e l'ore,
perché viver non può, chi è senza core.
Insieme
ERMINDA
Parti, parti ben mio,
teco resta il mio cor.
Mia vita addio.
ODOARDO
Parti, parti ben mio,
teco viene il mio cor.
Mia vita addio.
Odoardo, Ormondo, Filone alla ferrata.
ODOARDO
Oh che infelice giorno!
FILONE
Oh che infausto ritorno!
FILONE E ORMONDO
Può ben nube insidiosa
tenebrosa
torre a Febo la beltà
ma con tutta la sua forza
non ammozza
lo splendor, che in sen gli sta,
dall'invidia si turba, e si scolora.
ODOARDO
Che meraviglia è questa?
Che accidenti confusi
Filone con Ormondo
nella prigion richiusi!
Olà delle segrete?
Odoardo, Filone, Ormondo, Tartaglia.
ODOARDO
Con ordine di chi
questi ministri miei là ritenete?
TARTAGLIA
La vostra maestà volse così.
ODOARDO
Di ciò non mi sovviene,
ma sia come si vuole
non son giuste le pene
né contra tai persone usar si suole
tanto rigor.
TARTAGLIA
S'io t'obbedisco or ora
domanderai, perché li messi fuora.
ODOARDO
Oh strana meraviglia, oh caso rio!
E chi piacer si piglia
di schernir i miei servi, e 'l voler mio?
FILONE
(fuora)
Ecco Filone, e sire
ch'ad offenderti mai dette principio
fatto dal folle ardire
dei satelliti tuoi turpe mancipio.
ORMONDO
(fuora)
Et io l'error non so
ma però pronto io sono
del mal non fatto a domandar perdono.
ODOARDO
Nessun di voi mancò
né il mio pensier comprende
onde scagliar si possa
contro chi non errò simil percossa.
ORMONDO
La tua sdegnata bocca
con sentenza crudele
dell'amarezze mie produsse il fiele.
ODOARDO
Deh sciogliete omai
così intrigati enigmi
Filon su presto dimmi.
FILONE
Quomodocumque fit ora ti dico
che Mustafà pretese
del regio onor nemico
con Doralba tentar lascive imprese.
Allor con voci altere
iussit la principessa
Mustafassum ligatum remanere
ma tu nel tuo regresso
dasti allo schiavo libertade, e poi
qui destinasti la prigion per noi.
ODOARDO
O prodigioso inaudito
qui la frode s'annida,
pria co' fulmini suoi Giove m'uccida.
ORMONDO
Ecco che a te ne viene
l'iniquo Mustafà.
Mustafà, Ormondo, Filone, Odoardo.
MUSTAFÀ
Mio re tanto ti devo,
Pasquella libertà
ch'in don da te ricevo
ch'il ringraziarti è poco
onde mi prostro, e in loco
di dovuta mercede
bacio la terra, ove tu posi il piede.
ODOARDO
Con qual fasto arrogante
viene alla mia presenza
il temerario amante.
Olà qual licenza
cingi tu questo ferro?
MUSTAFÀ
Sol la tua bocca o re
tal licenza mi diè se pur non erro.
ODOARDO
Ancor tu mi schernisci?
Quando ti feci mai grazie simile?
O temerario, o vile, e tanto ardisci.
FILONE
A che segno s'estende!
Fia penoso trilegno
picciol castigo a chi l'onor t'offende.
MUSTAFÀ
Taci frena la lingua
se quella voce ardita
non vuoi che questo ferro
insieme con la vita in sen t'estingua!
ODOARDO
Al mio real cospetto?
A gente a me sì cara,
vuoi trafiggere il petto
se morir tu non vuoi, viver impara.
MUSTAFÀ
Giacché così cangiato esser ti vedo
pria ch' alla crudeltà tu sciolga il volo
questo favor ti chiedo:
sentimi a solo, a solo.
ODOARDO
Ciascun da me se n' vada
e ver la regia corte il passo affretti
indi colà m'aspetti:
or produci se puoi le tue difese.
L'infideltade tua tropp'è palese.
(partono)
MUSTAFÀ
A me d'infido il nome!
Come ciò dir mi puoi
dimmi ti prego come?
ODOARDO
Forse negar lo vuoi?
MUSTAFÀ
Lo nego sì, né mai signor s'intende
infedele colui, che i tuoi voleri
sempre schiavo si rende,
io lo confesso è vero,
che della fede mia
sol appannò il cristallo
picciola macchia d'amoroso fallo.
ODOARDO
Da te stesso il confessi
ti vanti ancor di così enormi eccessi?
Da me simil perdono?
No, che rege non sono.
MUSTAFÀ
Se manche di parola.
ODOARDO
Taci lingua sacrilega.
MUSTAFÀ
L'innocenza del cor la rende ardita.
ODOARDO
La pagherai.
MUSTAFÀ
Con che?
ODOARDO
Con la tua vita.
(parte)
MUSTAFÀ
Chiedo o numi a voi pietà.
S'or benigno, ed or severo
tiranneggia il mio pensiero
e chi mai l'inrenderà.
Chiedo o numi a voi pietà.
O mio fato discortese,
se ti cangi in un baleno
quella fiamma estingui almeno
che Doralba in sen m'accese
sciogli un dì sì fiero incanto
chi sta sommerso in pianto arder non sa.
Chiedo o numi a voi pietà.
Doralba, Mustafà.
DORALBA
Che miro! Fui tradita
libero il prigioniero!
Dimmi con qual impero
fu mia voglia schernita.
MUSTAFÀ
Sol dalla regia lingua
che benigna è crudel con varie note
or consola il mio cor, or lo percote.
DORALBA
Quando capace fia
del tuo delitto enorme
spero sarà del mio voler conforme.
MUSTAFÀ
Senti crudel, deh senti
d'un core innamorato
le meste voci, i lagrimosi accenti.
Dunque chi la sua fede
eterna ti giurò
tal guiderdon richiede?
DORALBA
Chi d'amante regina
sprezzò cortese offerta
altro premio non merta.
MUSTAFÀ
Perdonami ben mio, che sol lo feci
per veder se m'amavi, oppur se gioco
potea chiamarsi l'amoroso foco.
DORALBA
S'accettar lo volevi,
un sì prezioso istante
tralasciar non dovevi
tu cangiasti d'amata, ed io d'amante.
MUSTAFÀ
Quest'è dell'amor mio giusta mercede?
DORALBA
Amore è cieco, e i servi suoi non vede.
MUSTAFÀ
Morrò se neghi al mio dolor pietà.
DORALBA
Grave tormento il tuo morir mi dà.
MUSTAFÀ
Morir già non poss'io senza di te
perché morir tu déi
prima di me, se la mia vita sei.
DORALBA
Che fai mio cor, che fai d'amore abbrugi
eppur resisti ancora, e pur indugi?
MUSTAFÀ
In grembo al suolo
languendo sto
preda del duolo
io morirò.
DORALBA
Ch'un disperato amante
si mora di dolor, chi glielo crede?
Dice morir, né mai spirar si vede.
MUSTAFÀ
Morrò giacché t'aggrada
chi perde la sua vita a morte vada.
DORALBA
Ferma il piè, parti pur, resta, va' via.
MUSTAFÀ
Partirò sì cruda tiranna mia.
Lascerò il mio tesoro.
S'io sto non vivo, e s'io mi parto, io moro.
MUSTAFÀ
Non mi ami?
DORALBA
No, no.
MUSTAFÀ
Che brami?
DORALBA
No 'l so.
MUSTAFÀ
T'adoro.
DORALBA
No 'l merto.
MUSTAFÀ
Son oro.
DORALBA
Coperto.
MUSTAFÀ
Di fede, ma di'
m'adori!
DORALBA
(in disparte)
(Sì sì.)
Insieme
MUSTAFÀ
Sei troppo crudele
a finger così.
DORALBA
Son troppo crudele
a finger così.
MUSTAFÀ
Son schiavo.
DORALBA
Lo so.
MUSTAFÀ
Comanda.
DORALBA
Sei qui.
MUSTAFÀ
Ti servo.
DORALBA
Sì sì.
MUSTAFÀ
D'amante.
DORALBA
No no.
MUSTAFÀ
M'adori infedele?
DORALBA
(in disparte)
Risposi (di' sì).
Insieme
MUSTAFÀ
Sei troppo crudele
a finger così.
DORALBA
Son troppo crudele
a finger così.
DORALBA
Io son vinta o Mustafà
più resister non pretendo
prigioniera a te m'arrendo
né ti chiedo libertà
son vinta o Mustafà.
MUSTAFÀ
Deh mio cor prendi respiro
ch'ogni duolo finirà.
Né può darti alcun martiro
che rigore in sé non ha.
Insieme
MUSTAFÀ
Da te vinto è Mustafà
più resister non pretendo
prigioniera a te m'arrendo,
né ti chiedo libertà.
Da te vinto è Mustafà
DORALBA
Io son vinta o Mustafà
più resister non pretendo
prigioniero a te m'arrendo,
né ti chiedo libertà.
Io son vinta o Mustafà.
Odoardo, Mustafà, Doralba, Tartaglia.
ODOARDO
Per l'iniqua, il traditor s'opprima
videro gl'occhi miei
l'error, che morte ad ambidue v'intima
Tartaglia a me ne venga
nei più stretti legami
si pongan quest'infami
d'onestà contumaci
vanne eseguisci.
TARTAGLIA
Bene ma adesso adesso
so che verrà qualche corrier espresso
a dirmi, ch'io li cavi.
ODOARDO
Non obbedire ad altri,
tieni in tua man le chiavi
perché seguendo frode
il castigo de' rei darò al custode.
(parte)
DORALBA
Uccidimi amore.
MUSTAFÀ
Più viver non vuò.
A tanto rigore
resista chi può.
MUSTAFÀ
Cangia o cielo in gioir l'orride pene
in dolce libertà l'aspre catene.
TARTAGLIA
Mi scusino signor, perché bisogna
ch'ad obbedir m'accinga
pria che venga la notte,
quello a spese di cui mangio pagnotte.
DORALBA
Si stringa ognor più forte.
MUSTAFÀ
Quest'amoroso laccio
te lo sciolga nel mondo altri che morte.
TARTAGLIA
Pian piano galantuomo.
Sai messer Mustafà lasciala stare
mentre che sei in prigione
non facessi il compare
e tu madonna infanta
guarda ch'il guard'infante non ti pesi,
se da quest'animal non stai lontana
in capo a nove mesi
bisogno ci sarà della mammana.
(partono e vanno in prigione)
Come può testa che regna
la sua frenesia mostrar
a una razza così indegna
impossibil mi par.
E che un servo di palazzo
con un capital misfatto
voglia prendersi sollazzo
non l'ho credo, e l'ho per matto.
Se Doralba per trastullo
mostro il cupo del suo cor
Mustafà io non t'adulo
fu sol burla, e non amor.
Ma se lei più t'incatena
e tu meglio ti consiglia
né voler con tanta pena
al tuo re formar famiglia.
Logge e prigioni.
Girello.
Venga pure il re del Congo
col monarca del Perù
lor eguale io mi suppongo
né mi curo andar più su.
Sol mi dà tormento, e pena
degli scalchi la canaglia
quando sono a mezza cena
questi levan la tovaglia,
io, che mangio poco in fretta
se non fosse il decoro che m'arresta
gli tirerei un piatto nella testa
quel Galeno da compagna
le vivande ognor mi guasta
con cannella, e vin di Spagna
né s'avvede, che non basta
per cavar da me famiglia
tutta la cioccolata di Castiglia.
Alla ferrata.
Girello, Doralba, Mustafà.
DORALBA E MUSTAFÀ
Pietà signor, pietà.
GIRELLO
Ma che voci languenti
van disturbando ogn'ora i miei contenti.
DORALBA E MUSTAFÀ
Pietà signor, pietà.
GIRELLO
Un povero sarà
che domanda elemosina
non ho denari addosso mi dispiace.
La darò un'altra volta andate in pace.
DORALBA E MUSTAFÀ
Pietà signor, pietà.
GIRELLO
Se facendo il birbante
pretendi empir la panza
cerca minor pietà, maggior pietanza.
Chi domanda pietà?
DORALBA E MUSTAFÀ
Doralba, e Mustafà.
GIRELLO
In gabbia di bel nuovo? O caso strano
che si chiami il guardiano.
O bestia scatenata.
Tartaglia, Girello, Doralba, Mustafà.
TARTAGLIA
Eccomi qua signor, (qualche bravata).
GIRELLO
Un corno che ti sfasci
ti dissi pur che Mustafà si lasci.
TARTAGLIA
Ma poi di bocca tua
uscì ch'a questo, e la compagna sua
Ormondo con Filone
cedino il luogo lor nella prigione.
GIRELLO
Io tal ordin ti diedi?
TARTAGLIA
A ciò dubbio non v'ha.
GIRELLO
Tu te ne menti
viso di cetriol mondo coi denti
presto cavali fuora.
TARTAGLIA
Che pazienza ci vuole.
GIRELLO
Giuro da gentiluomo
ch'io mi vuo' far castrar, se non ti domo
mancava questa ancora.
MUSTAFÀ
(fuori)
Non so ciò, che far deggio
s'io parlo è male, e se non parlo è peggio.
Come può Mustafà
della tua volontà scoprir il vero?
S'or m'odi, or m'accarezzi?
GIRELLO
È un po' difficiletto
ma quando ci sarete un poco avvezzi
al certo vi farà diverso effetto.
DORALBA
Il mio se fallo fu
fallo fu sol di giovanile etade
dunque giudica tu,
s'io merto castigo, oppur pietade.
GIRELLO
Meretrice sei tu d'un gran tormento.
Per i tuoi pazzi scrupoli
castigar ti vogl'io, se non mi pento.
DORALBA
Purché termini un dì l'iniqua sorte
non pavento la morte,
e un tuo benigno impero
può bene, o mio signore
tormi i lacci dal piè, ma non dal core.
GIRELLO
Toccatevi la mano
più non far la ritrosa
oggi tu sei di Mustafà la sposa
da lui riceverai
quella pena, ch'or or ti destinai.
DORALBA
Mentre, che Mustafà
sol castigar mi deve
il mio castigo non sarà che lieve.
GIRELLO
Tu eseguisci mie voglie
sappila custodir perché è tua moglie.
MUSTAFÀ
Di negare io non penso
a sì nobil impreso il mio consenso.
GIRELLO
Al partir, al partir.
DORALBA E MUSTAFÀ
A gioir, a gioir.
DORALBA
E bocca con bocca
combatta su su.
GIRELLO
E zara a chi tocca
ma perderai tu.
DORALBA E MUSTAFÀ
Coraggio mio core.
DORALBA, MUSTAFÀ E GIRELLO
Dell'armi d'amore
già vedesti il lampo
a battaglia, a battaglia, al campo, al campo.
GIRELLO
Correte pur volate
e le parole real moltiplicate.
TARTAGLIA
O bel castigo, o penitenza rara!
Gode la principessa
ch'a così bella festa si prepara.
Filone, Ormondo, Girello, Tartaglia.
GIRELLO
Che nova, o miei padroni?
FILONE
Tempo mi pare o rex
per adempir la lex
di castigar quel Mustafà quell'empio
per dare agl'altri malfattori esempio.
ORMONDO
Un re può ciò che vuole
e a lui solo è permesso.
GIRELLO
Farvi tutti frustar senza processo
olà con qual licenza
le bestie di tal razza
camminan senza ferri per la piazza.
FILONE
Sol con la tua parola.
GIRELLO
Ne menti per la gola,
Tartaglia intendi bene
pria che venghi la fera
fa' ch'in una galera
sian posti tra catene.
(parte)
FILONE
Giuro per la grammatica
con un par mio scorno cotal si pratica?
ORMONDO
È re ei può annullar ridurci in polve,
ma senza causa alcuna
chi del cielo ha timor ciò non risolve.
Consoliamci, o Filone?
FILONE
Non posso più durare
strapazzat'è il mio onor, e la mia tonica.
E mi conviene stare
tamquam bestia post malinconica.
ORMONDO
Speriam, che forse un dì
non passerà così.
FILONE
Io che fui destinato al declarandum
i testi di Catone
ora citatus sum ad remigandum.
Aristotile Petrarca
soccorrete la virtù.
Condannato è in una barca
chi l'onor del mondo fu
empio re crudo monarca
mal gradita servitù
Aristotile Petrarca
soccorrete la virtù.
Non possiamo accordarci. Io me n'avveggio
tu far da napalizi, io pedanteggio.
TARTAGLIA
Non più musica, no
all'andar in prigion, ch'or, or verrò.
ORMONDO
Tutto soffrir ne lice
sol conforta la speme un infelice.
FILONE
Misero me tanto rigor non càpio.
TARTAGLIA
Tu passi di scienza un Esculapio,
ma credo che potrai
sciocco animal quando sarai pelato
che mi pare un peccato
barbon più bello non si vide mai
di quel che pose il ciel a te.
Girello, Tartaglia.
GIRELLO
Povero pappagallo
non hai lo scilinguagnolo reciso
ch'il canchero ti venga.
TARTAGLIA
A te nel viso.
GIRELLO
Così meco favelli?
TARTAGLIA
Non parlavo con te
ma con quei poverelli
ch'al remo condannasti.
GIRELLO
Ancor non li mandasti?
TARTAGLIA
Io non ho tanta fretta
perché conosco il tuo cervel sì vario
ch'ognor da me s'aspetta
qualche ordin in contrario.
GIRELLO
Se tu senti più dirmi
Doralba, e Mustafà poni in ritegno
piglia un pezzo di legno
e dammi pur con tutta la tua lena
cinquanta bastonate in sulla schiena.
TARTAGLIA
Se c'incappi
non mi scappi
te la ficco
col ripicco
vada il mondo, come vuole
chi obbedisce il padron, fallir non suole.
S'io non so quel che tu fai,
di dolerti avrai ragione
s'io lo so tu ti dorrai
non di me, ma del bastone.
Vada il mondo, come vuole
chi obbedisce il padron, fallir non suole.
Giardino.
Doralba, Mustafà.
DORALBA E MUSTAFÀ
Alla fuga, alla fuga.
DORALBA
Scorron dagl'occhi miei
di lagrime i torrenti.
MUSTAFÀ
Se c'assiston i dèi di che paventi?
Bella delle tue luci il pianto asciuga.
DORALBA E MUSTAFÀ
Alla fuga, alla fuga.
Odoardo.
Perfidi traditori
nei regi gabinetti
sfogar gl'impuri amori!
Quelli a cui poco dianzi
imposta fu da me carcere augusta
or con licenza ingiusta
hanno libero il varco a tutto il mondo.
Qual furia d'Acheronte
nell'Erebo profondo,
ordì l'iniqua frode?
Della corte il custode
quivi il venir non tardi.
Tartaglia, Odoardo.
TARTAGLIA
Che, che mi comandi? O re che cosa guardi?
ODOARDO
Segui Doralba, e Mustafà ritieni.
TARTAGLIA
Già già mi sento pizzicar le mani.
ODOARDO
Corri pria che lontani
s'involin dalla corte.
Ti sian le guardie mie soccorso e scorta.
TARTAGLIA
Per farli prigionieri
ch'a un rege offeso il vendicarsi importa.
Per fargli prigionieri
ah, ah non te l'ho detto.
ODOARDO
Non tardar eseguisci i miei voleri.
TARTAGLIA
Adesso fresca fresca io te l'appetto.
(batte il re)
ODOARDO
Qual insano ardimento
di battere il tuo re.
TARTAGLIA
La colpa non fu mia, s'ei così vuole.
Chi obbedisce il padron fallir non suole.
ODOARDO
Empio fellon di sì malnato ardire
fora lieve castigo il tuo morire
ma s'il cielo, e l'Averno
s'unisce contro me
Odoardo, che fai non sei più re.
(Tartaglia resta imprigionato)
TARTAGLIA
Così va, così va.
Trovai di me più scaltri,
chi carcerava gl'altri
or carcerato sta.
Così va, così va.
ODOARDO
Si liberi Tartaglia
finché io non veda il fine
d'enigmi sì confusi
del già commesso errore,
come folle si scusi.
(partono)
Cielo, fato, numi, e stelle
che rubelle
a miei danni il varco aprite
deh finite
d'agitar un cor languente
date tregua al penar d'un innocente.
Se del mar delle mie pene
mi conviene
correr naufrago sull'onde
senza sponde
trovi porto il cor languente
e finisca il penar d'un innocente.
Stanze reali.
Pasquella, Girello.
PASQUELLA
O mio signor garbato
e quando mai ritornerà Girello
compatisci una sposa
cui vivanda non tocca
alla mensa amorosa
e sempre sta con l'appetito in bocca.
GIRELLO
Tu sai, ch'io ti promessi
di farlo ritornare.
PASQUELLA
Toccate, e fate pure, o s'io potessi
farlo un po' innamorare
allora sì che mi faria servizio.
GIRELLO
Costei, ch'il re mi crede
s'accorda a far bordello, e mi dà indizio
di rompermi la fede
(ci voglio un po' provar) se tu pretendi
d'aver quel che tu vuoi
in poco tempo conseguir lo puoi.
PASQUELLA
Ce l'acchiappo sicuro, e che potrei
oprar per darti gusto?
GIRELLO
Solo da me si brama,
che ti contenti riamar, chi t'ama.
PASQUELLA
Tal bellezza non ho
che l'amor tuo richieda
ma però se ti piaccio
legata son dall'amoroso laccio.
Non è poi tanto brutto
se ne trovan di peggio dappertutto.
GIRELLO
M'ami tu dunque con amor sincero?
PASQUELLA
Il ciel sa ch'io non mento, e dico il vero.
GIRELLO
Se m'ami come dici or lo vedrò.
Vorrei ch'in questa notte
venissi un poco a riposar con me.
PASQUELLA
Questo sarebbe troppo.
E a te non ti par nulla
ricordati, che quasi io son fanciulla
ma vo' pensarci un po'
e se vedrò tornare il mio marito
allor forse di sì risponderò.
GIRELLO
Tu ci fai troppe smorfie
non più, non più di grazia
va' via, va' via ch'io ti farò la grazia.
PASQUELLA
L'amore s'accresce.
GIRELLO
Ma non ti riesce.
PASQUELLA
La fiamma s'accende.
GIRELLO
La rabbia mi prende
PASQUELLA E GIRELLO
Che morte mi dà.
PASQUELLA
Un re che m'adora.
GIRELLO
In tanta malora...
PASQUELLA
Amar se bisogna...
GIRELLO
Tu sei una carogna...
PASQUELLA E GIRELLO
Ciascun lo sa.
PASQUELLA
O cara vitona...
GIRELLO
O razza poltrona...
PASQUELLA
S'il cor non ti dono...
GIRELLO
S'io non ti bastono...
PASQUELLA E GIRELLO
Gran cosa sarà.
PASQUELLA
Verrò dunque 'sta notte.
GIRELLO
No, no, la pudicizia ti ritenga
te la farò, senza che tu ci venga.
Giardino.
Erminda.
Per cacciar dall'alma mia
gelosia,
sospettoso il piè qui movo
vo' cercando il mio ben, ma non lo trovo.
Se mi fugge il cor dal seno
fugga almeno
seco il duol, che lungi io provo,
vo' cercando il mio ben, ma non lo trovo.
Girello, Erminda.
ERMINDA
Parmi se non m'inganno
veder il fin d'ogni amoroso affanno
pur ti veggio mio sole
ma che muta risposta.
GIRELLO
Addio mia cara moglie
del giardin d'amor pomo maturo
dei disordini miei scopo futuro.
Cara moglie sedete.
ERMINDA
Lassa non son, ma d'eseguir io bramo
ogni comando tuo.
GIRELLO
Se la regina sete
ben potete sedere avanti il re.
Per l'altra gente poi vario è l'editto,
perché dinanzi a me,
eccetto il mio fratello ognun sta ritto.
Non ti tirar indietro
o degna man da maneggiar un scettro.
ERMINDA
Di quel crudo, ch'il cor mi rapì
innocente bersaglio mi fo'
per difesa di chi mi ferì
altro scudo che fede non ho.
GIRELLO
Una bella ch'in colpa non è
amoroso trastullo si fa
e di corna create da me
al suo rege corona sarà.
Sento una tentazione del demonio
quando consumeremo il matrimonio?
ERMINDA
Curiosa domanda
o d'amorosa scuola
mal esperto maestro.
GIRELLO
Io mal esperto? Anzi erudito, e destra,
e nella scuola mia
per riverenza, e per dovuto onore,
di sì nobil scolara al primo arrivo
si rizzò da sedere il genitivo.
ERMINDA
Doralba, e Mustafà
mercé del tuo rigore
van per le selve errando,
da' tregua al tuo furore
mentre per tutti e due pietà domando.
GIRELLO
Mustafà, e mia sorella? Ohimè che dici?
Tartaglia, e dove sei?
Tartaglia, Girello, Erminda.
GIRELLO
Dove n'andò lo schiavo, e mia sorella?
TARTAGLIA
Da me lo vuoi saper? E che ne so.
GIRELLO
Non son dunque là dentro?
TARTAGLIA
Signor no.
GIRELLO
Moglie voi me burlate.
ERMINDA
Voi piacer vi prendete
mentre in oblio ponete
ciò che dianzi ordinasti.
GIRELLO
Io tal ordin ti diedi?
TARTAGLIA
Chi dubita di questo?
Ma messe l'ali a' piedi
fecero chi di lor fuggia più presto.
GIRELLO
Conforme già ti dissi
bastonar mi dovevi allora quando
udisti un tal comando.
TARTAGLIA
Ebben te lo sonai
con ogni confidanza.
GIRELLO
Tu bastonato m'hai?
Dunque non sarà stato in mia presenza,
non mi sento dolere.
Me la sonasti forte?
TARTAGLIA
Con tutto il mio potere.
GIRELLO
Che ne dite, o consorte
son io tanto balordo
costui m'ha bastonato, e me ne scordo.
ERMINDA
Resto per me stupita
né intende il pensier mio
ch'abbia fatto un vil servo opra sì ardita.
GIRELLO
Questo non è niente
gliel'ho comandat'io,
facesti saggiamente.
ERMINDA
Se fu con ordin vostro
a che dunque dolersi?
GIRELLO
Di questo non mi dolgo, e sol m'arrabbio
della poca memoria.
TARTAGLIA
S'il caso mai non si dà
che tu gridi più meco
questa man ti darà
bastonate da cieco.
GIRELLO
Con tua licenza o bella
per un picciol affare
poco lungi me n' vado
poscia da te verrò
quando notte sarà
e faremo figlioli in quantità.
(partono)
ERMINDA
Di speme il cor si pasce
per me notte non fia
s'al tramontar d'un sol, l'altro rinasce.
Che lungi dal mio re
provo secoli i momenti
coi tuoi rigidi tormenti
gelosia, che vuoi da me?
Ove regna ardente nume
tenta invano ombra di gelo
d'oscurar con fosco velo
il bel lume di mia fé
gelosia, che vuoi da me?
Stanze reali.
Girello, Tartaglia, Filone, Ormondo da galeotti.
FILONE
O misero heu me.
GIRELLO
Sior Filone, che ci è?
ORMONDO
O furie, e dove sete?
GIRELLO
Sior Ormondo, che avete?
FILONE
E soffre un tal facinore
il ciel, che tutto regge?
A che è ridotto un correttor di legge?
ORMONDO
Che strapazzi son questi?
GIRELLO
Ringraziar mi dovresti
non avere più barba
v'ho fatto ritornar due giovanotti
anzi due figurine del Gallotti.
FILONE
Non tibi gratias ago
hoc genere favorum te n'incago.
GIRELLO
Che per un anno sol siamo implorati
per di dietro in un'asta
poi si lascian andar, che questo basta.
FILONE
Ahimè di male in peius
cacciar pali di dietro,
che decreti da somari
e dove a dar simil sentenze impari?
GIRELLO
Tartaglia mi sentisti.
TARTAGLIA
Vicino alla muraglia
farò, che sopra un palo il forestiero
li vada a rimirar per anticaglia.
(parte)
GIRELLO
Ma parmi di vedere il re davvero
aiuto patriarca
se non sopra di me tutto si scarca.
Girello, Odoardo.
(Girello gli pone la radica in saccoccia)
ODOARDO
Scagli pur dall'alto polo
Giove i fulmini quaggiù
sciolga pur dall'erta il volo
quanto è mai di reo lassù.
S'a' miei danni il ciel congiura
coll'abisso armato in campo
sia la morte il solo scampo
d'ogni orribil sventura.
(vede Girello)
O sorte iniqua, e fiera,
e qual nuova chimera
agl'occhi miei si mostra?
Misero ohimè che veggio.
Dormo, sogno, son desto, oppur vaneggio.
Un gelido timor le membra assale,
l'ardir non m'è permesso
né l'esser re mi vale
se nel mirar costui miro me stesso.
O ciel che far?
(tenta voler dare a Girello)
Un continuo morir è il viver mio
se sei d'Averno il re, son rege anch'io.
Girello, Tartaglia, Odoardo.
GIRELLO
Olà soldati guardie
non vedete costui, che cosa fa?
Che furie son le tue
che s'impali costui con gl'altri due.
TARTAGLIA
O povero Girello
fa' riverenza al re cava il cappello.
(partono)
ODOARDO
Dammi dammi la morte.
A chi visse regnante
è troppo rio tormento
viver in servitù
non mi lusingar più
con speranza di vento empia fortuna
non è sotto la luna
stabilità di bene
siede in trono di pene
il riso al lacrimar sempre consorte
dammi, dammi la morte.
Dimmi cielo perché
senza cagion permetti
cinto di ferro e prigioniero un re.
Questi sono i diletti
a cui nel mio ritorno
la face d'Imeneo m'apre le porte
dammi, dammi la morte.
Ma se il cielo adirato
con sembianze funeste
cangia le regie teste
con tanta crudeltà, vicende, e tempre,
vi rinunzio per sempre
scettro, manto, corona, impero, e corte
dammi, dammi la morte.
Logge e prigioni.
Pasquella, Erminda.
PASQUELLA
Signora hai tu sentito
l'insolente trattar di tuo marito?
ERMINDA
Ciò non fia verità.
PASQUELLA
Ciò non fia verità? Sarà pur troppa
e già si troverà
un bel palo infilato sulla groppa.
ERMINDA
L'ora non è venuta
cangerà tal pensiero
tu vedi pur, ch'ogni momento ei muta.
Pasquella, Erminda, Odoardo in prigione.
PASQUELLA
Eccolo alla prigione.
Deh signore compassione
è di corte il giardiniere
et omai vien la stagione
che s'innaffin le spalliere
e nel mio vil orticello
si semin le fave di Girello.
ERMINDA
Vedi, ch'ei vive ancora
e come al re ne parlo
farà nella prigion breve dimora.
ODOARDO
O mio diletto bene,
e come poi soffrire
di veder il tuo sposo in tante pene?
PASQUELLA
Io mi sento morir tutta mi squaglio
maggior del tuo dolor è il mio travaglio.
ODOARDO
Perfida, e non rispondi?
PASQUELLA
Io ti rispondo, e parlo
ma il timor di morire
e il gran disgusto non ti fan sentire.
ODOARDO
Soccorri un infelice
accostati, o mio sol, che dunque attendi?
PASQUELLA
Eccomi bene mio.
(s'accosta a Odoardo)
ODOARDO
(le dà uno schiaffo)
Viver apprendi.
PASQUELLA
Che mo' di fare è questo?
Contro di me s'adira
lo compatisco il pover uom delira.
ODOARDO
Erminda, o cara Erminda.
PASQUELLA
Il parlar di costui mi fa gelosa.
ODOARDO
Erminda amata sposa.
PASQUELLA
Che ti si secchi il pino con le foglie
il briccon ha pigliato un'altra moglie
mi par che parli teco.
ERMINDA
Non so quel che si dica.
PASQUELLA
Se tu dormi più meco
vo' tener tra lenzuoli dell'ortica.
ODOARDO
Erminda, o cara Erminda
crudele, e non mi senti?
Tu congiurata ancor col dio d'Averno
forse contro di me furia diventi?
PASQUELLA
O che furfante ancor ei ci ritorna
s'ei fosse fora ei mi faria le corna.
Ovvia non rispondete?
ERMINDA
Il pover'uom s'adopra.
Per uscir della rete
spera Girello, spera
ch'io dal re m'incammino
per cangiar se si puote il tuo destino.
ODOARDO
Lo schiavo mi schernisce
un vil servo mi batte
mi sprezza la consorte
son preludi di morte
e come spesso accade
il reo s'innalza, e l'innocente cade.
(parte)
PASQUELLA
M'è venuto un appetito
di marito
ch'è per darmi ch'ha un cruccio eterno
finché il diavol mi tenta
io non senta
rientrar nella porta dell'inferno
già sent'io dentro di me
non so che
per le tue bellezze ladre.
Non ho figli, e patisco il mal di madre.
Bosco, campagna aperta con la vista della città, e il patibolo.
Mustafà.
Lungi dall'alma mia, come non moro
misero mi conviene
di fuggire il mio bene, e pur l'adoro
lungi dall'idol mio, dove m'aggiro
son di martirio oggetto
fugge l'alma dal petto, e pur respiro.
Qual funebre apparato
d'acerbissime pene ivi si vede
ma con veloce piede
gente ver me s'invia
qui con Doralba mia
poco lungi mi celo
a rimirar gl'effetti
d'un rio destino, e d'un irato cielo.
Mago.
È giunta l'ora omai
di tor dagl'occhi umani
un così fosco velo
e far che questa nube si disperga.
Sol per voler del cielo
e per virtù dell'incantata verga.
Mustafà, Doralba, Mago.
MUSTAFÀ
Taciti spettatori
qui mitigar porremo i pianti tui
e le miserie mie col pianto altrui.
DORALBA
Se tacerà la lingua
a palesar la forza
delle mie pene amare
sian le lacrime mie note più chiare.
Odoardo, Filone, Ormondo, Tartaglia, Mago, Mustafà, e Doralba in disparte.
ODOARDO, ORMONDO E FILONE
Tormenti, catene
ch'a torto venite
fermate finite
troncate le pene.
TARTAGLIA
Presto fate la conta
chi deve esser primo
a salir alla monta.
A te mi par, che tocchi, abbi pazienza.
Già che più vecchio sei la precedenza.
MAGO
E qual cagion funesta
gl'innocenti condanna? Il colpo arresta.
TARTAGLIA
Gran curiosità
no 'l domandar a me
farò metter un palo anco a te
se mi salta la foia
giudice non son io, ma son il boia.
(il Mago fa diventar Tartaglia una statua)
ODOARDO, ORMONDO E FILONE
Deh lascia finire
le pene sì sì
è meglio morire
che viver così.
Tutti.
GIRELLO
Che dunque si pretende
e perché tanto ad eseguir s'attende?
MAGO
Io quello son, che t'impedisco il tutto.
PASQUELLA
Guarda che omaccio brutto
bisogna, ch'egli sia
uno di quei Turcazzi
che conobbe in Turchia.
GIRELLO
Patriarca mio caro
che favori son questi?
Voglio, che meco a desinar tu resti.
MAGO
Parca sia la tua mensa
e già pur re non sei
mentre contro ogni legge
condanni i giusti, e ricompensi i rei.
GIRELLO
Vuoi, che lasciar li faccia?
Ora ti servirò
cosa non voglio far, che ti dispiaccia.
Disciolti sian la libertà gli do.
MAGO
Girello, olà Girello.
GIRELLO
Rispondi a chi ti chiama.
ODOARDO
Tale non è il mio nome, e chi mi brama
saprà ben dir chi sono.
MAGO
Girello a te si dice.
GIRELLO
Non mi chiamo Girello
avete preso errore, io non son quello.
MAGO
Non più, non più si tenga
celato un tal secreto.
GIRELLO
Soldati olà quest'animal pigliate
se non sta fermo, e cheto
dategli cinquecento bastonate.
MAGO
Contro di me credesti
usar potenza umana?
Or guardati chi sei, e come resti.
(il Mago fa veder Girello allo specchio)
GIRELLO
Ho già visto, chi sono
mi non più lo farò perdon, perdono.
MUSTAFÀ
O ciel mentre concorri
con magiche chimere ai falli altrui.
DORALBA E MUSTAFÀ
Due miseri innocenti almen soccorri.
PASQUELLA
Ecco un altro marito
or sì che d'allegrezza il cor mi scoppia
non avevo nessun, or si raddoppia.
Caro barbone ascolta
dimmi qual è quel buono
che resister non posso a due per volta.
GIRELLO
Io sono a ben ridurla
tuo marito da vero, e re da burla.
ERMINDA
E 'l mio ben dove sarà
chi l'ha me lo dia
me 'l dica chi 'l sa.
MAGO
Ogni cosa è vanità
picciol arte di magia
fa un villan parer che sia
tutto pien di maestà.
ERMINDA
E 'l mio ben dove sarà?
Chi l'ha me lo dia
me 'l dica chi 'l sa.
(Mago leva la radica d'addosso al re)
MAGO
Vedilo qua non ti doler che vuoi
per virtù di quest'erba
qual Girello compare agl'occhi tuoi.
ERMINDA
O sposo mio.
ODOARDO
O mia cara.
ERMINDA E ODOARDO
Godi, godi ben mio
mentre del tuo gioir, gioisco anch'io.
ODOARDO
Sol turba i miei contenti
il veder, che Doralba
d'uno schiavo è consorte.
MAGO
A torto ti lamenti
sappi che Mustafà
del re di Cipro è figlio
questo del mar Egeo
per paterno consiglio
da picciolo bambino
l'onde solcava
quando nave improvvisa
di feroci pirati
s'impadronì del legno, e poi spiegati
i lini al vento, ed a Nettuno infido
giunsero a questo lido
ove il fiero corsaro
per solita mercede
lo schiavo fanciulletto in don ti diede.
ODOARDO
Si taccia ogni querela
e d'alta parentela
si stringa pur col re di Cipro il nodo
e se pria me ne dolsi, ora ne godo.
Merti invece di ferri
soggetti a' tuoi voleri
premer i sogli, e calpestar gl'imperi.
MUSTAFÀ
Se per i miei natali
merto regi sponsali
umile a te m'inchino
mio bel sole adorato
col piè disciolto, e con il cor legato.
DORALBA
Chi un cor nel sen sì generoso avea
solo di regia stirpe
esser germe potea.
ERMINDA
Pur Mustafà tu sei
il mio german perduto?
Mio cor che più desiri.
MUSTAFÀ
Quando pers'il credevi, or lo rimiri.
DORALBA E MUSTAFÀ
Godi, godi ben mio.
ERMINDA E ODOARDO
Mentre del tuo gioir, gioisco anch'io.
FILONE
E che sarà di me?
ORMONDO
Ed io morir qui deggio?
GIRELLO
Ed ancor io ch'è peggio
aiuto, o mia Doralba
quando ero re posticcio
per soddisfare ad ogni tuo capriccio
di darti ho consentito
il re de' Cipriani per marito.
MAGO
Prendi da me l'esempio
scorda o sire l'offese
a Tartaglia perdona
ch'al mio comando contraddir pretese.
(il Mago fa tornare Tartaglia in vita)
ODOARDO
Lungi querele, e lutti
purch'il giusto non pera il reo si salvi
il ciel comanda, il re perdona a tutti.
TUTTI
Se maga virtù
trovò l'invenzione
che muta in padrone
chi servo già fu
resti sì bella moda ai bassi, ai grandi
e una volta per un ciascun comandi.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 23/03/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)