LA GALATEA
Favola marittima.
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Libretto di Gabriello CHIABRERA.
Musica di Sante ORLANDI.
Prima esecuzione: anno 1614, Mantova.
Interlocutori:
IRIDE che fa il prologo |
sconosciuto |
ACI |
sconosciuto |
GALATEA |
sconosciuto |
POLIFEMO |
sconosciuto |
IDRILLO |
sconosciuto |
EURILLO nunzio |
sconosciuto |
PROTEO |
sconosciuto |
ANFITRITE |
sconosciuto |
In “Gli amori di Aci e Galatea” | |
VENERE |
sconosciuto |
AMORE |
sconosciuto |
PIETÀ |
sconosciuto |
MERCURIO |
sconosciuto |
APOLLO |
sconosciuto |
Cori di Pescatori, Pescatrici, Nereidi.
Iride.
Scesa dal ciel del folgorante Giove
eterna messaggiera a voi ne vegno,
di Teti poi nel fluttuoso seno
ratta mi ascondo e 'l piè rivolgo altrove.
Tra queste, ch'or mirate, onde spumanti
vedrete Galatea pianger d'amore,
e dell'egro suo cor l'aspro dolore
volto (pietà del cielo) in dolci canti.
[vedi variante dell'edizione 1617]
Dunque, mentre io vi lascio, irati venti
non conturbino 'l sen del mare infido,
onda non franga e non percota 'l lido,
ferminsi i pesci alle sue note intenti.
Fra la seconda e la terza strofa.
Tu, Caterina, a le tirrene sponde
sol che t'involi, e fai dolente or l'Arno,
ond'ei la tua beltà piangendo indarno
volte all'irato mar torbide l'onde.
Co 'l sereno splendor de' raggi tuoi
fa lieta Manto e di Benaco il figlio,
onde tosto in mirar gioisca il ciglio,
nati del sangue suo novelli eroi.
Aci. Idrillo. Coro di Pescatori e di Pescatrici.
ACI
Questi, nati nel mar, perle e coralli
onde s'ornano il crin l'eterne dive,
oggi del mio bel sole
faran ghirlanda all'aurea chioma e bionda
di rose in vece e pallide viole.
PRIMO PESCATORE
Aci, tutto giocondo
a' tuoi dolci diletti
par che s'allegri il ciel, gioisca il mondo.
IDRILLO
Così de' nostri petti
mira la gioia sfavillar nel volto,
e qual diletto abbiam nel seno accolto
leggilo in fronte a quest'amica schiera;
per te lieto il mattin, lieta la sera.
ACI
Come all'altrui martire
si raddoppia il tormento in gentil core,
tale al vostro gioire
maggior contento in me dispensa amore,
ma del mio caro ardore
non scorgo in questo loco
i dolci amati lampi
ond'io son tutto foco.
PRIMA PESCATRICE
Forse ne' fondi algosi
in grembo al sonno ella n'avvien che pose:
ché laggiù non traspare
sì tosto com'a noi l'alba di rose.
Sciogliam la voce al canto,
invitiamla co' prieghi,
oggi è propizio alle tue voglie il Fato,
nulla al tuo desiar fia che si nieghi.
CORO
Vieni, deh vieni, o Galatea vezzosa,
rida al seren de' tuoi soavi lumi
sovra l'arena d'or l'onda amorosa.
SECONDA PESCATRICE
Vieni, deh vieni, or che più chiaro splende
Febo nell'alto ciel di luce adorno,
tra le sals'onde a noi, deh, fa' ritorno
con quel vago splendor ch'ogn'alma accende:
vieni al nostro pregar, vieni festosa.
CORO
Vieni, deh vieni, o Galatea vezzosa,
rida al seren de' tuoi soavi lumi
sovra l'arena d'or l'onda amorosa.
LE DUE PESCATRICI
Vieni, deh vieni, ove tra dolci canti
sovra il tranquillo suol d'instabil mare
attende tua beltà, che può beare
schiera fedel d'avventurosi amanti;
vieni, e 'n grembo al tuo ben dolce riposa.
CORO
Vieni, deh vieni, o Galatea vezzosa,
rida al seren de' tuoi soavi lumi
sovra l'arena d'or l'onda amorosa.
ACI
Gitene, e sian di preda
carche l'occhiute reti:
io, fin che l'alma dea di grembo a Teti
non mi discopra il bel del suo sembiante,
non moverò le piante.
SECONDO PESCATORE
Andiam, ché chiaro il sole
cangia le rose della vaga Aurora
in bell'oro lucente,
a portar guerra alla spumosa prole.
IDRILLO
Aci, lodato il ciel che di contento
colmo ti veggio il seno,
e, quel che men sperai,
adorator di due sereni rai.
ACI
Non è sì duro petto e non è core
ognor libero e sciolto,
che non sospiri il bel seren d'un volto.
Amor, tardi o per tempo, ogn'alma assale;
né variar di cielo
né grave soma di passati giorni
sono alle piaghe suo schermo o riparo;
e, qual colpo di morte,
pensa qual de' mortali
trarrà disciolto il piè da sue catene,
se fra tormenti e pene
langue ogni nume al balenar d'un ciglio
colmo di fiamme e di pungenti strali.
IDRILLO
Felice pescatore,
miracol di contento in fra gli amanti,
ognor fra risi e canti
in quest'umida riva
riposi in grembo all'adorata diva,
colmo di foco il sen, di gioia il core.
ACI
Così dispensa Amor le sue dolcezze,
così rende beati i servi suoi.
IDRILLO
Per bellezza immortale
aver piagato il petto,
dove non puoi temer che venga meno
il contento o 'l diletto,
perché sian preda del vorace tempo
le rose del bel volto,
i bianchi gigli del lattato seno,
somma felicità, somma dolcezza.
Ma, sin che de' suoi rai
ti faccia Galatea lieto e contento,
sciogli le voci al vento,
e fa' ch'in mille modi
quest'onde e questi scogli
odin il suo bel nome, odin sue lodi.
ACI
Son tuoi begl'occhi, o Galatea gentile,
cari dispensator de' miei contenti,
e della vita mia stelle lucenti.
De 'l tuo volto seren vincon le rose
quelle più vaghe, onde superba infiora
la strada al sol la rugiadosa Aurora.
Caro languir per così bella fiamma,
caro a sì dolce ardor venirsi meno,
caro è piaga d'amor raccorre in seno.
Viva pur nel tuo cor l'istesso foco,
né spenga novo amor vecchio desio,
o soave cagion del viver mio.
[vedi variante dell'edizione 1617]
ACI
Ma non è Polifemo
quel che move le piante
fra quei sassosi scogli,
del mio sol, del mio cor misero amante?
Volghiam la prora altrove,
ratti l'ira fuggiam d'un tanto mostro.
Polifemo.
Qui, dove in riva all'onde
sovente il mio bel sol move le piante,
sfogherò il mio dolor, misero amante,
mentre dagl'antri oscuri
all'aspre mie querele Eco risponde.
O Galatea, che 'l pregio sei
del vasto regno, del crudo amor,
ond'io traggo dolenti e rei
i mesti giorni piangendo ognor,
quando a' raggi di tua beltade
me stesso diedi e la mia fé,
io non curai mia libertade,
io non curai nulla di me.
Soave speme, aura d'amore
un tempo verde nel sen fiorì,
un tempo lieto nel petto il core
a' tuoi bei lumi se stesso aprì.
Ma s'io spargo le voci ai venti
tu, fera, altrove rivolgi il piè,
sorda qual aspe ai miei lamenti:
a tanta fede, crudel, mercé!
Ma non mir'io di ninfe un vago stuolo
mover 'l piè ver' quest'aurata arena?
Forse nel bel seren del volto amato
avrò conforto alla mia dura pena,
m'asconderò vicino,
poiché quanto mi strugge
altrettanto mi fugge.
Coro. Galatea. Idrillo.
CORO
L'aure, ch'in ciel rimenano
la rugiadosa Aurora
e 'l zaffiro serenano
ch'il sol di luce indora,
mentre soavi spirano
i nostri cor respirano.
A' suoi fiati dolcissimi
in grembo all'erbe e fiori
sciogliam canti lietissimi
da' fortunati cori;
il crin di rose infiorisi,
e 'l vago giorno onorisi.
SECONDA PESCATRICE
Qui dimorar sovente
qui sovente danzar fra l'erbe e i fiori
mentre fervono in ciel gl'estivi ardori
suol Galatea, ch'ogni anima innamora
quando la chioma bionda
tragge, qual novo sol, dall'onde fuori.
PRIMA PESCATRICE
Già da lungi mirar parmi il bel ciglio
e la divina luce
che più ch'in uman volto in lei riluce;
avventurate arene,
e scogli fortunatu,
per cotanta beltà lieti e beati.
GALATEA
Soavissimo gioire!
Ecco il fin de' lunghi affanni,
ecco il fin di quel martire
che soffert'ho cotant'anni;
o tormenti, o pene, o danni,
lungi omai da questo petto;
qui s'annida almo diletto
qui soggiorna almo desire;
soavissimo gioire!
SECONDA PESCATRICE
Ecco il pregio dell'onde
ecco la vaga e bella Galatea,
che di soavi accenti
fa risonar queste marine sponde,
e co'l lucido lampo ogn'alma bea.
IDRILLO
Scendi, possente diva,
in queste arene, scendi
in quest'algosa riva:
infioreranti il crine
vaghe rose e viole
colte allor che nel ciel sorgeva 'l sole.
GALATEA
Cari pregi adorati,
gemme de' vaghi prati,
ecco di voi m'adorno,
di voi formo ghirlanda al crin d'intorno.
CORO
Il crin, che vago infiora
costei di gigli e rose,
sembra il crin dell'Aurora
quando precorre il sole
e le piagge del ciel fa luminose;
anzi l'istessa luce,
onde il sereno giorno Apollo adduce.
IDRILLO
Ecco sull'alta rupe
il mostro orrendo, ecco l'etneo gigante:
volgiam altrove omai, ninfa, le piante.
PRIMA PESCATRICE
Ma che temiam se nostra schiera affida
immortal diva, al cui poter non vale
furor d'ira mortale?
Coro. Galatea. Idrillo. Polifemo.
POLIFEMO
O dea, ch'io non so mai se Cipro o Gnido
più vaga adori o cola,
perché sorda al mio dir, cruda a' miei pianti,
fuggi d'udir di queste voci il grido?
Già sai quanti ognor vibri in questo seno
strali per tua beltate
il pargoletto arciero:
arcier che, bench'infante,
atterra ogni gigante.
GALATEA
Queta i sospiri e i pianti,
ed a sen che più molle
a' tuoi desir si pieghi
porgi d'amore affettuosi i prieghi;
che se d'alta beltade
amor serva mi fece,
vano è sperar al tuo dolor pietade.
POLIFEMO
Crudel! cotanta fede
merta tanto martir per sua mercede?
Ma, deh, svelane almeno
qual sì beato seno
ricetto è di tuo core,
e qual ciglio ti fe' serva d'Amore?
GALATEA
Aci, di queste sponde
il più bello, il più vago;
Aci, di cui quest'onde
mormoran sempre in mille guise e mille;
Aci, con le sue vaghe alme faville
questo cor dolcemente accende e sface;
Aci mio ben, Aci mio cor, mia pace.
POLIFEMO
Dunque mentr'io mi moro
fra mille affanni e doglie,
un pescator mi toglie
la mia vita, il mio ben, il mio tesoro?
Or or movo le piante:
fin di mia dura sorte
sarà di quel garzon l'acerba morte.
GALATEA
O cielo, o dèi, quanto furor l'assale!
IDRILLO
Egli, d'ira già colmo a noi s'invola,
e 'l siegue Galatea tutta dolente,
crudo timor d'innamorata mente.
[se ne va dietro a Galatea]
CORO
D'Amor le fiamme ed i pungenti strali
or ancidono un petto,
or son dolci e vitali,
or cagion di tormento, or di diletto;
e con diversa sorte
danno a' miseri amanti
or dolci risi, or pianti, or vita, or morte.
[qui si calano le Nereidi]
[vedi variante dell'edizione 1617]
CORO
Qual balen fra le nubi
amorosa dolcezza, si dilegua;
fugge, qual strale al vento,
ogni gioia d'Amor in un momento.
Eurillo, nunzio. Idrillo. Coro.
EURILLO
Sconsolata beltà, funesto giorno!
Non così tosto affretta
al destinato segno
pennuto dardo o rapida saetta,
come nel basso regno
batté veloci l'ale
nel fior degl'anni suoi beltà mortale.
SECONDA PESCATRICE
Qual lacrimevol suon l'aria perturba?
IDRILLO
Queste d'Eurillo son note dolenti:
temo d'infausta sorte,
d'Aci pavento il caso,
e del ciclope la sdegnosa faccia
ancor nel petto mio morte minaccia.
EURILLO
Pescator, che gioiste
al gioir della dea che l'onde onora,
piangete il duol ch'il molle petto accora.
Aci estinto si giace; Aci conforto
del suo bel seno, è morto!
PRIMA PESCATRICE
E come? Ohimè, già tutto ghiaccio, ho il core
di pietà, di dolore!
EURILLO
Sotto la rupe che 'l mar bagna e circonda,
stava attendendo la sua bella sposa
Aci, ed al canto suo tutta festosa
sovra l'arena d'or muoveasi l'onda,
quand'ecco Polifemo irato giunse
(l'aspro cor colmo d'ira
ben dimostrava accolto
nel torbid'occhio e nel sanguigno volto);
poscia svelse crudele
sasso, cima di monte
e l'avventò: né cadde il colpo invano
ond'estinto il garzon giacque su'l piano.
SECONDA PESCATRICE
Ahi dolente novella! Ahi duro fato!
EURILLO
Giunse la vaga diva
ch'egli spirava l'ultimo sospiro,
e fra le braccia sue mesta l'accolse;
qual possente martiro
gl'ingombrasse la mente
dicanlo i scogli pur, chi'l suon dolente
udir di sue querele.
Dica l'arena d'oro
quelle misere voci: «Ahi, ch'io non moro!»
Così tra i pianti e l'ire
doleasi sol di non poter morire.
PRIMA PESCATRICE
Miserabil successo! Empio destino!
PRIMO PESCATORE
O fior di giovinezza
o pregio di bellezza,
come languendo in un breve baleno
così te n' vieni meno!
A così dure pene
piangete, o scogli, e lacrimate, arene.
CORO
Piangete, o scogli, e lacrimate, arene.
SECONDA PESCATRICE
Sol, che nell'orïente
di sì tenera età sorgendo fuora
avesti de' tuoi dì bellezza, aurora,
deh, come all'occidente
nello spuntar rapido affretti il corso!
A così dure pene
piangete, o scogli, e lacrimate, arene.
CORO
Piangete, o scogli, e lacrimate, arene.
Dove, dove è 'l crin d'oro,
dove le rose delle guance amate,
e dove il bel tesoro
di quelle vaghe luci alme e beate?
Ahi, che spente, eclissate,
chiusero seco ogni più dolce bene!
Piangete, o scogli, e lacrimate arene.
CORO
Spegni nell'alto, o Febo, i rai lucenti,
acciò che non ritorni
il fosco a noi di sì funesti giorni;
e questo infausto dì non abbia loco
tra bei giorni dell'anno,
o giorno a noi di sempiterno affanno!
Turbo, o procella ria d'atra tempesta
avvolga l'empia notte,
e seren non si miri
lampeggiar fra' zaffiri,
o precorrere il dì lucenti albori,
né aurora sia che il ciel di rose infiori.
Polifemo. Coro.
POLIFEMO
Or che per questa destra
giace il vil pescator privo di vita,
e 'n van chiamando aita
nelle braccia di lei se n'venne meno,
io, già libero il seno,
canterò 'l gioir mio,
onde, al vostro soave mormorio.
ECO
Rio, rio.
PRIMA PESCATRICE
Con duplicata voce il ciel lo chiama
di tal misfatto rio.
POLIFEMO
Voce, che mi rispondi e rio mi chiami,
me già non incolpar, ma l'empia e dura
che m'accese nel cor fiamma d'amore.
ECO
More, more.
POLIFEMO
Non può morir, che diva
non fa soggetta il Fato a mortal scempio.
ECO
Empio, empio.
PRIMA PESCATRICE
Empio ben sei, che l'immortal suo seno
d'immortal morte e di dolor colmasti.
POLIFEMO
Empio ad altrui, a me medesmo pio:
con la sua morte a me diedi la vita
e spensi co'l suo sangue il foco mio,
che, per timor di sue beltà caduta,
in questo cor più non s'avviva e sorge.
ECO
Sorge, sorge.
POLIFEMO
Sorga pur, s'egli può: pianga colei;
nelle sventue sue
forse ramembrerà gl'affanni miei.
SECONDO PESCATORE
Vanne pur, vanne altiero
di gloriose prove.
Nel ciel l'eterno Giove
con fulmine o saetta
del duol di Galatea prenda vendetta!
CORO
Tempo rio, che tosto voli
e 'n'involi
ogni gioia, ogni diletto,
sol eterni e doglie e pianti
degl'amanti
nel ferito acceso petto;
qual più vaga innostra e infiora
bell'Aurora
gioventù di mortal seno,
si dilegua in un momento
il contento:
ogni dolce ha il suo veneno.
Ch'attendiamo in un sospiro
di martiro
o di dolce e lieta sorte,
s'al fuggir di rapid'ore
atro orrore
poi ne fa preda di morte?
Coro. Galatea. Idrillo. Proteo. Aci. Eurillo. Anfitrite.
PRIMO PESCATORE
Ma, dal profondo sen dell'ampio mare
sorger mirate Galatea dolente;
sue doglie acerbe, amare,
nel pallor del bel volto
dimostra il core accolto.
GALATEA
Onde spumose, e voi
algosi lidi e numerose arene,
ch'al mio gioir gioiste,
or lacrimate alle mie dure pene:
turbate al mio dolore,
spumosi flutti, al mar l'immenso seno,
procellose fremete;
mostrate in questa guisa
come al mio sospirar meco piangete!
SECONDO PESCATORE
Se ne' divini petti
tanto martir soggiorna e tanti mali,
meno infelici son gli egri mortali.
GALATEA
Poiché agli sguardi, a' risi
di mortal giovinetto,
misera, offersi il petto,
mia libertade in me medesma uccisi;
egli nel fior de' suoi più lieti giorni
cadde, fatto di gelo;
io, per infausto don d'irato cielo
fatta diva mmortale,
perché languendo e non sperando aita
sempre morissi senza uscir di vita,
lacrimo il mio contento, il mio conforto.
Aci mio, tu sei morto?
Aci, mio cor, mia pace
chiudesti in sonno eterno
le dolci tue pupille,
fonti dell'ardor mio, di mie faville!
Aci, di questo sen gioia e tesoro,
se l'afflitta mia voce e i mesti accenti,
alma disciolta, senti,
deh, mira il mio martoro,
mira mia vita, mira
com'io d'immortal morte ognor mi moro.
E sopra questo porporino e vago
corallo, ch'a me desti,
vedi quai versi intanto
da' languid'occhi miei fiumi di pianto.
IDRILLO
Udite il flebil suon de' mesti accenti!
Come s'affanna e come
chiama piangendo ognor l'amato nome!
dario 2020-04-15T15:51:41 dz STR USC Idrillo [vedi variante dell'edizione 1617]
PROTEO
Bella diva del mar, che mentre versi
d'amarissimo pianto acerbi fiumi
crescer fai le sals'onde,
omai rasciuga i lagrimosi lumi.
GALATEA
E qual conforto in così rio martire
fia che consoli il mesto cor dolente,
se fra l'estinta gente
si giace ogni mio ben, ogni desire?
PROTEO
Vedrai l'amato volto
più lucido, vedrai
più lieti sfavillar gl'accesi rai.
Tal negl'immensi abissi
fra l'eterno secreto
avvolge immobil fato alto decreto.
GALATEA
Così soave speme il cor lusinga
al suon di tue parole
che, come nebbia al sole,
par ch'ogni mio dolor si venga meno,
e sol d'alto desir si colmi il seno!
Ma come, o quando, o dove
fia che 'l mio ben ritrove?
PROTEO
Mossi a' tuoi mesti accenti,
il gran rettor del mar, e 'l sommo Giove
all'estinto garzon reser la vita,
e d'immortalità vestir sue membra.
Più quell'Aci non sembra
che dianzi un pescator tendea le reti:
splendon più vaghi e lieti
gli occhi, d'immortal luce ognor ridenti,
ma no 'l vedi o conosci? Ecco fra l'onde
ei sorge, a te se n' viene:
lungi dunque i martir, lungi le pene.
ACI
Amor, s'il tuo veneno
di sì caro gioir mesci e confondi,
se tanto ben nascondi
sotto pochi respir e poche stille,
sempre fia questo seno
esca alle tue faville;
e, se dopo il morire
concede eterno fato
così dolce gioire,
soavissimo duol, morir beato!
SECONDO PESCATORE
Avventurati amanti,
godano i vostri cori
frutti soavi di felici amori;
né tra querele e pianti
d'intorno rimbombar s'oda quest'onda,
ma sol voce di gioia il ciel confonda.
PROTEO
Non fia che vi disgiunga
ira d'aspro rivale,
né più turbar potrà colpo mortale
i soavi diletti
de' vostri eterni petti.
GALATEA
Care lagrime mie,
ben versati sospiri,
e ben sofferte ancor pene aspre e rie:
se tanto a' miei desiri
premio concede 'l fato,
care lagrime mie, pianto beato!
PRIMO PESCATORE
Non più qual si solea
Aci fra noi s'inviti,
divo immortal, di sì vezzosa dea
per decreto del ciel consorte e sposo;
a cui pregi sì chiari
or devoti ergerem tempii ed altari.
EURILLO
Ma, deh, perché non sciogli,
diva, dal lieto sen voci canore?
Or ch'è propizio alle tue voglie Amore,
fa rimbombar quest'onde e questi scogli.
GALATEA
Chi 'l bell'arco possente e la faretra,
ch'in sé nasconde mille aurati strali,
chi canterà sovra soave cetra
dell'immortal arcier lodi immortali?
A soccorrer un cor non mai s'arretra,
ed al grand'uopo altrui veloci ha l'ali:
dio, per cui gira il ciel, mantiensi 'l mondo
nelle fere amarezze ancor giocondo.
EURILLO
Ecco l'alma Anfitrite,
come sorgendo fuora
del vasto impero di Nettun spumante,
diva del mar, tua deitade onora.
ANFITRITE
Anime fortunate,
felici amanti, avventurosi numi,
sempre volin per voi l'ore beate,
né sia fero dolor che vi consumi.
Colmi di gioia il ciel gl'alti diletti
de' vostri eterni innamorati petti.
Sempre con voi felicità soggiorni,
sian eterni, contenti
qual son di vostra vita eterni i giorni.
CORO
Lieto splendi e fortunato
giorno a noi d'alti contenti,
rida ogn'erba in grembo al prato,
scopra Febo i rai lucenti.
[vedi variante dell'edizione 1617]
CORO
Oggi Amor benigno accoppia,
donator d'alto diletto,
fortunata e lieta coppia,
due desiri in un sol petto.
Questo dì lieto e beato
onoriam con dolci accenti;
rida ogn'erba in grembo al prato,
scopra Febo i rai lucenti.
Lieto splendi e fortunato
giorno a noi d'alti contenti,
rida ogn'erba in grembo al prato
scopra febo i rai lucenti.
Modifiche in occasione della rappresentazione a Mantova del 1617.
Scena prima: versi inseriti.
IDRILLO
Ecco sorger dal mare
di nereidi gentil schiera vezzosa:
tra lor non so mirare
la tua diva amorosa.
CORO DI NEREIDI
Di quest'alme sponde
a' soavi accenti
non conturbin l'onde
feri o dolci venti:
qui cantar vogliam d'amore
come dolce ei fa 'l dolore
di chi amando arde e languisce,
e languendo ama e gioisce.
Non acerbe pene
non crudi martiri,
queste amate arene
non udran sospiri:
e se pur sospiri udranno
o martir, pena ed affanno,
questo foco aspro ed amaro
fa 'l languir più dolce e caro.
O soave fiamma,
ch'ardi e fai contento
chi di te s'infiamma,
io per prova il sento:
quando appar l'amato ciglio
lieto il cor prende consiglio
a quel foco almo e felice
di morir, nova fenice.
Così dolce sorte
caro amor n'addita,
ch'io dico esser morte
senza lui mia vita:
et amando e lieto ardendo
e di speme il sen pascendo,
quel seren gioioso aspetto
che m'apporti ogni diletto.
ACI
Marine ninfe, che di dolci accenti
fate sonar queste dorate arene,
dov'è la vita mia, dov'è il mio bene?
CORO
Tosto qui la vedrai
splender di dolci rai:
quest'è 'l felice loco
ov'ella disacerba
con noi spesso cantando il suo bel foco.
(le Nereidi stanno in scena)
GALATEA
Soavissimo gioire!
Ecco 'l fin de' lunghi affanni,
ecco 'l fin di quel martire
che soffert'ho cotant'anni.
O tormenti, o pene, o danni,
lungi omai di questo petto;
qui s'annida almo diletto,
qui soggiorna almo desire;
soavissimo gioire!
CORO
Ecco 'l pregio dell'onde,
ecco la vaga e bella Galatea,
che di soavi accenti
fa risonar queste marine sponde,
e co 'l lucido lampo ogn'alma bea.
ACI
Scendi, bella e gentile,
in queste arene scendi;
fa' lieto un cor che di tue faci accendi.
IDRILLO
O soavi contenti,
o felice colui ch'amando gode!
Qui v'assidete, e qui tra' fiori e l'erbe
vostro martir in più soavi modi
si narri e disacerbe.
ACI
Diva, per cui questo ferito petto
fassi d'ogni contento almo ricetto,
volgi a me, volgi omai
que' tuoi soavi lampi,
ond'io n'avvampi
sono gli sguardi tuoi
esca della mia vita,
esca d'amor, ché la mia vita è amore;
perché l'anima e 'l core
in sacrificio a' tuoi bei lumi offersi
quando prima li vidi, e 'l molle petto
allo stral de' tuoi rai, languendo, apersi.
GALATEA
Non perché dubbia i' sia
dell'amor tuo, della tua pura fede,
com'ancor tu dell'alta fiamma mia;
ma perché de' tuoi cari amati accenti
gode questo mio seno,
dolce è l'udir, mia vita,
quei che chiami tormenti;
e se de' guardi miei
famelico amator ti nutri e pasci,
volgi in me, volgi pure
de' tuoi be' lumi amate alme pupille,
cagion di mie faville,
e rimirando il tuo desire appaga:
ché rimirando anch'io
fo men aspro il dolore
dell'amorosa piaga.
ACI
Questi dell'erbe verdi
odorosetti pregi,
questo di fior contesto almo monile,
il crin, dolce mio cor, li cinga e fregi;
e quest'almo corallo
che fu delle mie reti
prova non vil, ti porgo;
e se di quante mai
chiude nel suo tesor la bella Teti
indiche perle e preziose gemme
fossi posseditore,
tutto darei a chi già diedi il core.
GALATEA
Cari pregi odorati,
gemme de' vaghi prati,
ecco di voi m'adorno,
di voi formo ghirlanda al crin d'intorno.
IDRILLO
Ecco l'etneo gigante,
ecco 'l feroce tuo crudo rivale,
non men di Galatea miser'amante.
Aci, freddo timor per te m'assale;
fuggi, deh fuggi omai.
GALATEA
Fuggi, che 'l mostro irato
il nostro amor offende;
vanne, et all'ombra di quel cavo sasso
all'antro d'Aretusa ivi m'attendi.
ACI
Non perché non mi fosse
dolcissimo 'l morir nelle tue braccia,
ma perché sì m'imponi,
colà dove dicesti, il piè rivolgo.
Scena quarta: in sostituzione del coro 'Qual balen fra le nubi'
VENERE
Fra quanti il sol riscalda,
in amar fede oggi non ha chi sia
di fé più bianca e salda
del nobil pescator, per cui sospira
la bella Galatea.
Giusto è ben ch'io l'aiti in contro all'ira
del formidabil mostro;
vedrann'oggi del mar le sals'arene,
contro l'uso fatale
farsi nome immortal spento mortale.
Io nell'umido impero ecco descendo:
non ode in van mie preci il re dell'onde,
c'ha sempre a' miei desir voglie seconde.
AMORE
Vanne, madre gradita;
io di Giove immortale
tosto lusingherò l'eterno core.
Ma che non puote Amore?
Questi temuti strali,
quest'instancabil' ali
m'apriranno la via
per ottener ciò che'l mio cor desia.
PIETÀ
Per ammollir quel core
del re d'inferno altero,
che nelle fiamme istesse
di Cocito e di Dite aspro vigore
ogn'or circonda e veste,
dalla magion celeste,
santa Pietà, discesi,
e'l freddo petto al ferreo Pluto accesi.
A bel seren del giorno
immortalmente eterno
l'estinto pescator farà ritorno;
trionfi oggi Pietà nel regno inferno.
MERCURIO
Con questa invitta verga
spogliar l'inferno oscuro
di un'anima dolente oggi destino;
così, mosso da Amor, Giove m'impera.
Aci, nume divino,
sua morte acerba e fera,
mercé d'Amor ch'oggi gli porge aita,
cangerà glorioso in dolce vita.
CORO
Già di Teti nel grembo
i suoi stanchi destrier Febo nasconde,
già la stella d'Amor scopre i suoi lampi
né d'Aci alcun ne tragge
o lieto e dolce o sventurato avviso.
CORO
Un pescator tutto dolente appare
e pallido nel viso:
ohimè, temo e pavento
di qualche acerbo male
di qualche aspro tormento.
Scena settima, versi inseriti dopo 'chiama piangendo ognor l'amato nome'.
GALATEA
E poi ch'altro non resta
che mi conforti in così acerbo duolo
nella memoria mia cruda e funesta
che questo ramo e questi
in vaghe ghirlandette
varii odorosi fiori,
dalla tua cara man (lassa!) confesti,
con voi sfogar mi giova i miei dolori,
cari pegni di lui, che fu mia vita.
Baciar vi voglio mille volte e mille
e fra baci piangendo inumidirvi
con quelle amare stille
che versan gli occhi fuori
per l'aspro mal che 'l mesto petto accora.
Scena settima: versi inseriti dopo 'scopra Febo i rai lucenti'.
CORO
Né men del mar spumante
ma del sereno ciel gli eterni dèi,
per voi, felici amanti,
ecco scoprirne i lucenti sembianti.
APOLLO
Quante mai liete gioie in sé raccoglie,
il ciel comparte a' vostri bei diletti,
coppia gentil, di cui gli eterni petti
più segni non saran d'affanni e doglie.
Rasserenate le già meste ciglia,
tutto s'allegra il mar, gioisce il cielo;
l'umido e in un l'incorruttibil velo
scopre la sacra sua nobil famiglia.
Numi, che dell'empireo i letti aurati
beati ognor godete, ognor contenti,
fate omai rimbombar di dolci accenti
l'aure, l'onde, l'arene, i scogli, i prati.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 15/04/2020
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