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La fede tradita, e vendicata

LA FEDE TRADITA, E VENDICATA

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Francesco SILVANI.
Musica di Francesco GASPARINI.

Prima esecuzione: 5 gennaio 1704, Venezia.


Attori:

RICIMERO re dei Goti destinato sposo di Edvige, poi amante di Ernelinda

soprano

RODOALDO re di Norvegia

contralto

ERNELINDA figlia di Rodoaldo amante di Vitige

contralto

EDVIGE figlia di Grimoaldo già re di Norvegia

contralto

VITIGE principe reale di Dania, cugino di Edvige, amante di Ernelinda

soprano

GILDIPPE principessa reale di Sarmazia, amante occulta di Ricimero

soprano

EDELBERTO principe reale di Boemia amante di Edvige

soprano






Illustrissimo...

...ed eccellentissimo sig. sig. patron colendissimo.

Permetta benignamente alla fine v. e. questo sfogo alla mia devozione, di consacrarle questa, qualunque ella sia poco meno, che estemporanea fatica della mia penna. Se io possa ragionevolmente chiamarla con questo nome, non vi è chi meglio il sappia di v. e. per il di cui riverito comandamento ella nacque; di qui è, che io non saprei dove ritrovare chi meglio compatisce la fiacchezza di questa offerta, che nella di lei persona, che difenderà con le angustie del tempo quelle imperfezioni, che da altri sarebbero interamente considerati effetti della debolezza dei miei talenti. Avrei bene adempiuto a questo mio debito, nell'uno, o nell'altro de gli anni scorsi, in cui ebbi l'onore di servire a v. e. recando sovra il di lei teatro a passeggiare la mia debole musa, ma il riguardo da me sempre avuto alla di lei esemplare modestia ha differito fino a questo punto questo per altro indispensabile uffizio del mio dovere; non posso più oggi resistere a gli stimoli della mia ossequiosissima gratitudine concepita nel mio cuore per la fortuna, che v. e. ha conceduta a questo, ad al passato mio dramma di farli comparire in scena sostenuti dalle distinte qualità de' più ragguardevoli virtuosi, che vestano sovra le orchestre il coturno. Ed ecco eccellentissimo signore il più forte motivo, per cui mi sono preso lo ardire d'onorare queste mie rime, col por loro in fronte il di lei riveritissimo nome. Se egli è stato soverchio, v. e. ha assai di generosità per benignamente perdonarlo, e per aggradire, che io con tutto il maggiore rispetto a piedi di questo foglio ossequiosissimamente mi sottoscriva.

Di v. e.

Venezia 5 gennaio 1704

Umilissimo devotissimo riverente servitore

Francesco Silvani

Argomento

Scacciato dal regno di Norvegia da' suoi stessi vassalli Umblo, si ricoverò presso Ataulfo re di quei Goti che stesero i confini del regno loro fino alle rive dell'Albi, e condusse seco una sua unica figlia. Al soglio di Norvegia fu sollevato Scandone, contro cui mosse la sciagura di Umblo quasi tutti i principi del settentrione, che unite le loro forze a quelle di Ataulfo, si accinsero a rimettere in trono Umblo. Si oppose a questo torrente Scandone, e tenne per qualche tempo in bilancio la fortuna del regno. In una delle battaglie, che si diedero fra questi eserciti restò ucciso Alarico figlio di Scandone dalla mano medesima di Ataulfo. Concepì Scandone tanto sdegno per la morte del figlio, che se bene gli fossero proposti vantaggiosi partiti di pace, fino a lasciarlo regnare fin che volesse, a condizione, che lui morto, fosse riconosciuta regina la principessa figlia di Umblo, che in questo tempo mancò di morte naturale, non si poté giammai questo rigido principe ridurre ad accettarli. Restò finalmente egli vinto e prigioniero. Ma l'infedele Ataulfo vedutosi vincitore, ricusò il restituire il regno alla figlia di Umblo, per le ragioni di cui si era intrapresa quella guerra, con tutto che avesselo promesso al morto di lei padre, ed a tutti i principi confederati. Questa infedeltà irritò gl'animi generosi di questi a vendicare la principessa, e perché era necessario l'acquistarsi ancora l'amore de' norvegi fedelissimi al loro re prigioniero, fu risoluto di liberarlo dalle forze di Ataulfo, e restituirlo al trono, con la condizione sopra accennata, cioè che lui morto, ricadesse il regno nella principessa figlia di Umblo. Il tutto si eseguì, ed ebbe in grado di somma fortuna Ataulfo il ritornare al governo della sua Gotia. Sovra questa base è fondato il dramma presente, in cui si mutano per comodo della musica i nomi di Umblo in quello di Grimoaldo, in quello di Ricimero quello di Ataulfo, e quello di Scandone in quello di Rodoaldo. Danno materia all'episodio, gli amori di Vitige principe reale di Dania con Ernelinda figlia di Rodoaldo amanti scambievolmente prima del cominciamento di questa guerra, di Edelberto principe reale di Boemia con Edvige figlia di Grimoaldo; e quello segreto di Gildippe principessa della Sarmazia per Ricimero.

Cortese lettore

Ti presento questo secondo mio dramma concepito in fretta, partorito con precipizio; il mio fine è stato sempre lo stesso, cioè quello di piacerti, e tu devi per gratitudine prestarmi sempre il tuo generoso compatimento. Vedrai che qualche personaggio non cammina sempre all'eroica, passando in sentimenti men propri d'un tal carattere; ma sappi che questa severa virtù sa più tosto farsi ammirare, che meritarsi la compassione, e Venezia, che in altri nulla ritrova d'ammirabile, ama meglio sentirsi agitare la delicatezza de' suoi teneri affetti. Sappi in oltre (se altro incontrassi, che men ti piacesse) che mi conviene servire alla musica, al teatro, al numero, alla soddisfazione, all'abilità de gli attori (riguardi non mai abbastanza raccordati alla critica) e in questi avrai più ragioni, onde sospendere i giudizi precipitati contro di chi ti stima tanto, che s'induce a renderti conto in queste righe, de le sue fatiche.

Ti desidero giusto, e felice: e se ascolti le voci, fato; deità, e simili; avverti che con lingua gentile parla un cuore perfettamente cattolico.

Atto primo
Scena prima

Cortil regio.
Rodoaldo, Ernelinda.

ERNELINDA

Tanto dunque signor, è sfortunato

il povero mio pianto,

che non possa ottener da la tua destra

il dono di una morte?

RODOALDO

Un cuor vile, o Ernelinda,

corre in grembo a la parca

per sottrarsi al furor de le sciagure;

un'alma eccelsa affronta

armata di virtù l'impeto altero

d'una torva fortuna.

ERNELINDA

Ah padre, e chi assicura

la gloria mia dai violenti assalti

d'un vincitor amante, e disperato?

RODOALDO

Il cuor di Rodoaldo,

che a te palpita in petto. Ama Vitige,

è forse vincitor; ha però un'alma,

in cui regna ragion su' bassi affetti,

ma quando anche il rendesse

l'insolente vittoria altero, ed empio,

il metterà in rispetto

la tua fortezza.

ERNELINDA

Ah senti, o padre senti

del vincitor le strida,

l'ululato del vinto.

RODOALDO

Ancor si pugna

su le mura difese, io colà porto

gli ultimi sdegni; a Ricimero in fronte

spuntar non lasciarò facili allori;

e se la mia caduta

con cifra di comete ha scritto il fato,

morrò ne la mia reggia, e coronato.

ERNELINDA

Ah padre e me qui lasci...

RODOALDO

In petto avrai

la tua virtù, la mia giustizia al fianco;

Ernelinda me n' vado; il dono estremo,

ch'io ti lascio è il mio amore,

e contro Ricimero

del mio figlio uccisor, contro Vitige,

che mi getta dal trono, e toglie il regno,

l'eredità di un giusto eterno sdegno.

Se l'amor mio t'è caro,

questo mio giusto sdegno

figlia difendi in te;

io per entrambi al paro

con questo amplesso impegno

l'onor de la tua fé.

Scena seconda

Ernelinda.

Cuor mio, l'alto comando

ne la più forte impenetrabil parte

custodisci di te. Vitige amasti

malgrado a Rodoaldo, in regal figlia

colpa non lieve; i tuoi sublimi affetti

ad aborrire impegna

chi il tuo gran genitor balza dal trono;

ed il primo delitto io ti perdono.

Egli è forza cangiar cuore,

o nel cuor cangiar la face.

Spezza l'arco infausto amore,

vanne, e soffrilo con pace.

Volendo entrare vede le fiamme della reggia incendiata.

ERNELINDA

Ma, che rimiro o stelle!

Arde la reggia, e le nemiche insegne

queste soglie reali empion di lutto:

orribil vista. Ah più d'ogn'altro ancora

formidabile aspetto. Ecco Vitige

con la vittoria in pugno; ad Ernelinda

porta l'ultimo assalto.

Generoso mio cuore,

or che d'amore il vasto incendio è spento,

di tua fortezza armato entra in cimento.

Scena terza

Vitige con Soldati, e spada alla mano, dopo Ernelinda.

ERNELINDA

Usurpi ancora

traditor questo nome? e sotto al ciglio

una spada mi rechi

ne le misere vene

spinta dal tuo furor de' miei vassalli?

Tra gli incendi, e le stragi

si portano gli amori? e mi si reca

per occupar un talamo di pace,

d'Enio la destra, e d'Ecate la face?

VITIGE

Cotant'ire o mia vita? e chi potea,

toltone il nostro Marte, ottener le tue nozze

da un genitor crudele,

che le niegò fino alla sua grandezza

da me offerita? a questo prezzo ottenne

Ricimero il mio brando

e tale ora mi accogli? ah dove sono

le prime tenerezze? e dove il primo

amor del tuo bel core?

ERNELINDA

Tu del mio amor mi chiedi? io ti domando,

ove sono o Vitige i miei vassalli?

ove il mio padre? ove la mia corona?

VITIGE

Il padre avrai, ch'ogni soldato ha in legge

il rispettar quel cuor, di cui sei parte;

i tuoi vassalli avrà la Dania, ed io

già ti fermo sul crin la tua corona.

ERNELINDA

Riceverla potrei

da una destra, che spinge

Rodoaldo al servaggio? Eh no Vitige,

tempo è di sdegni, e non d'amori; in petto

la mal difesa amante fiamma estingui;

il carattere ostenta

di vincitor nemico;

queste chiome recida

il servil ferro, e questo piede

opprima vile catena; il tuo crudel trionfo

seguirò prigioniera al carro avvinta;

tua schiava io sono, e mio signor tu sei;

né punto io mi riserbo

di libero nel cuor, che gli odi miei.

Quanto ingrato ti adorai

tanto ancor ti aborrirò;

quell'affetto,

che per te mi ardeva in petto,

tutto in sdegno si cangiò.

Scena quarta

Vitige.

Vittoria infausta, in cui fra lauri, e palme,

al mio povero cuor spunta il cipresso.

Io però non so ancora abbandonarvi

combattute speranze.

Quando più il sole appar fra nubi involto,

adorno di più rai ci spiega il volto.

Col latte di speranza

vuò pascere il mio amor;

e vuò che la costanza

trionfi del rigor.

Scena quinta

Padiglioni in veduta della città.
Edvige, poi Gildippe.

EDVIGE

Dunque fra quelle spoglie,

de la Sarmazia io veggo

la vergine real?

GILDIPPE

Mi cinse il fianco

di marzial usbergo, o principessa,

un bel desio di gloria.

EDVIGE

Bella amazzone, è giusto

questo, ch'oggi veggiam per le nostr'armi

rispetto di fortuna;

a sì strana virtù non si dovea,

che un sicuro trionfo.

GILDIPPE

Giusto è ancora però, ch'io ti confessi,

ch'ha di questa mia gloria assai di parte

un più tenero affetto.

EDVIGE

Che dunque...

GILDIPPE

Amo Edvige, ed amo un volto,

che sotto queste insegne

del povero mio cor porta il trofeo.

EDVIGE

Che sento! ed egli applaude

a questo amor?

GILDIPPE

Né pure il ciglio ancora

favellò del mio foco; un punto attendo,

in cui la sua pietà niegar non possa.

EDVIGE

Se tu il chiedi, o Gildippe,

io nel seno, che adori,

porterò le tue fiamme, io stessa o cara

la pronuba farò de l'alto nodo;

ma chi è colui, se lice,

che ha in sorte il trionfar d'alma sì grande?

GILDIPPE

Altri, ch'io stessa a piè del mio tiranno

recar non dée del mio Cupido i voti.

Tanto ho già risoluto, e tu perdona,

se dopo averti espresso

il più del centro del mio cor profondo,

de la mia debolezza il men ti ascondo.

La cara mia catena

altrui non scoprirò;

non vuò mostrar lo sguardo,

da cui d'amore il dardo

in sen mi si vibrò.

Scena sesta

Edvige, e Ricimero.

RICIMERO

Vedi, o bella Edvige

su le mura nemiche

fauste già folgorar le nostre insegne.

Agonizza già il regno

di Rodoaldo, ed al regal tuo piede

la norvegica sorte omai s'inchina:

in questo dì sarai sposa, e reina.

EDVIGE

Questi titoli illustri,

signor, con cui mi appelli, empion di tanta

gioia il mio sen, ch'ei per capirla appena

ha tanto cuor che basti.

A Grimoaldo il mio gran padre io debbo

la ragione del soglio entro le fasce.

Debbo assai più, perché del nodo eccelso

de la regia tua man, ne' voti estremi

in lega col mio cor degna mi rese.

RICIMERO

Già questo era un acquisto

de' tuoi begli occhi; all'or che Grimoaldo

volle i nostri sponsali, egli prevenne

le ardenti mie richieste;

il gran nodo ei concesse, e non ottenne.

EDVIGE

Nulla meno ei dovea, che a me sua figlia,

a te signor, e questo regno in dote,

da cui proterva fellonia lo spinse.

A te, che lo accogliesti, e che le spade

de' tuoi goti arruolasti

per rendere al suo crine

la rapita corona, e poi che al fato

a noi toglierlo piacque, a me la rendi.

RICIMERO

Ei non è degno prezzo

de l'amor tuo; se pur di questo o bella,

tu i miei sospiri onori.

EDVIGE

Pria che stringere il ferro

contro dei miei ribelli avevi o caro,

trionfato di me; seguì il costume

la tua destra fatal de gli occhi tuoi;

altri mirar senza ferir non puoi.

Non esce un solo sguardo,

mio dolce ben da te,

che un amoroso stral non cada in me;

m'è caro il foco, ond'ardo,

s'ei tutto in me non è,

ma il dividono teco amor, e fé.

Scena settima

Edelberto e detti.

EDELBERTO

Gran Ricimero: il nostro marte esulta

ne l'intero trionfo:

occupata è la reggia, e Rodoaldo

cinto è già di catene.

Molto del nostro sangue

bevve il suo ferro; intrepido feroce

urtò egli solo un popolo d'armati;

da una intera falange oppresso al fine

cadde, e rese cadendo

memorabili ancor le sue rovine.

RICIMERO

Sia tua cura Edelberto

scortar questa reina a la sua reggia.

Io ti precedo o bella,

d'illustri allori a coronarti il trono;

tu del cuor mio mi custodisci il dono.

Parto, ma lascio teco

una metà del cor.

Vorrei, che in luogo d'essa

a me fosse concessa

una metà del tuo da un vero amor.

Scena ottava

Edvige, Edelberto.

EDELBERTO

Illustre principessa, or che Bellona

de la Norvegia appende l'asta al trono,

soffri ch'io ti confessi

che un amore innocente,

più che il desio de la mia gloria, al fianco

questa per te spada non vil mi cinse.

EDVIGE

Nel cuore di Edelberto,

in cui virtù sovra gli affetti impera,

soffro un amor, che sa fin dove ei possa

giungere col suo volo.

EDELBERTO

So quale amor si debba

alla regia Edvige

nel talamo real di Ricimero,

e sa bene Edelberto

essere insieme amante e cavaliero.

Nel piacer de l'amarti

avrò tutto il mio piacer.

D'uno sguardo mi contento,

un sorriso, ed un accento

saran tutto il mio goder.

EDVIGE

Sino a quel punto, o principe, io non sento,

che la grandezza mia n'abbia dispetto;

l'amarmi io ti concedo,

e mio campion, e cavalier t'accetto.

Se ti basta un riso, un guardo,

risi e sguardi avrai da me;

ma poi guarda, che quel dardo

più d'ardor non svegli in te.

Scena nona

Gran sala.
Vitige, poi Ricimero.

VITIGE

Io v'adorai pietose

pupille luminose,

bellezze del mio ben;

per voi, se ben crudeli

ardon vie più fedeli

le fiamme del mio sen.

RICIMERO

Vitige, a la tua spada io debbo in questo

giorno famoso il più de le mie palme.

Le nozze d'Ernelinda

sono un premio inegual di quanto oprasti

a pro di mia corona.

VITIGE

Signor, il ferro io strinsi

per sostener in giusta guerra i dritti

al soglio di Norvegia

dell'illustre Edvige, a cui di sangue

congiunto io son per le materne vene;

quindi dover, e non virtù si appelli,

ciò, ch'oprar ebbi in sorte.

Non in premio, ma in dono

Ernelinda ricevo.

Io la ricevo? ah che ella sdegna, o sire,

stringere questa mano,

che nel destin del suo

oppresso genitor ha qualche parte.

RICIMERO

Languide sono, e brevi

contro il suo vincitor l'ire del vinto.

VITIGE

Ma quando il vinto è grande,

è questo il solo ben, ch'ei custodisce.

RICIMERO

Fia mio pensiero il soggiogar quest'ire

de la vergine altera.

VITIGE

Eccola appunto,

che ammollisce col pianto il servil ferro,

che del paterno piè preme il coturno.

Scena decima

Rodoaldo incatenato Ernelinda che sostiene le di lui catene, e detti, poi Edvige.

ERNELINDA

Lascia o signor, che del comune oltraggio

onde rigida sorte oggi ci opprime,

anch'io soccomba al peso.

RICIMERO

(O sommi dèi;

qual beltà pellegrina,

folgora su quel volto!)

ERNELINDA

Lascia, che queste lacrime infelici

veggan, se han tanta forza

di spezzar questa ingiusta empia catena,

che il luogo de lo scettro

indegnamente usurpa.

VITIGE

(Lacrime forti onde il mio cuore è infranto.)

RICIMERO

(Stelle, chi vide mai così bel pianto?)

RODOALDO

Hai vinto o Ricimero, il brando appendi

al delubro plebeo de la fortuna.

RICIMERO

Appenderolla al tempio

de la Gloria guerriera.

RODOALDO

L'usurpator ingiusto

de gli altrui regni a quelle soglie eccelse

non reca il piè profano.

RICIMERO

Usurpator è chi premeva un trono,

di vergine real retaggio avito.

RODOALDO

Non passò mai l'eredità ne' figli

di reali corone,

che il vassallo gettò di fronte al padre.

RICIMERO

Frenetico furor di volgo insano

non toglie al re la sua ragione al soglio.

RODOALDO

Se il re divien tiranno,

de' popoli il furor si arma dal cielo.

Sopravviene Edvige.

EDVIGE

Tiranno Grimoaldo

non fu giammai, né mai s'armò dal cielo

contro il suo sire l'infedel Norvegia:

l'ambizion di Rodoaldo accese

l'orribil fiamma.

RICIMERO

(Ed in me più feroce oggi l'accende

d'Ernelinda il bel volto.)

ERNELINDA

(Tutto in lacrime o cor, vanne disciolto.)

RICIMERO

Rodoaldo; fin dove

giungerebbe il tuo sdegno

contro di me, se ciecamente il cielo

de l'armi nostre oggi deciso avesse,

così, che di quel ferro, onde ti opprime

la mia vittoria, a le mie piante il peso

del servaggio recasse un tuo trionfo?

RODOALDO

Temer dovresti quanto

può un vincitor da giusto sdegno acceso

contro chi porta al fianco un brando asperso

dal sangue d'un mio figlio; a l'ara oscura

di Nemesi spumante

in olocausto io ti trarrei feroce,

crudele, inesorabile, tremendo,

e coronato d'arido cipresso

reciderei l'orribil collo io stesso.

RICIMERO

Io pur così punir dovrei l'orgoglio

de gli indomiti accenti;

ma d'Ernelinda a le bellezze altere

de' sdegni miei tutta la gloria io dono.

EDVIGE

Pietà sospetta.

RICIMERO

Quindi

la tua parca disarmo, e il piè ti sciolgo.

Vivi; la reggia intera

tuo carcere sarà; né si richiede

in custodia di te, che la tua fede.

RODOALDO

Vivrò, ma sempre in me

lo sdegno mio vivrà;

l'odio mio contro te

mai non s'estinguerà.

Scena undicesima

Ernelinda, Edvige, Ricimero e Vitige.

RICIMERO

Bellissima Ernelinda

tergi su quel bel volto

l'ingiuria di quel pianto, e rasserena

quelle dolci pupille, in cui sfavilla

d'invincibile amor dardo il più forte.

EDVIGE

(Troppo teneri sensi.)

ERNELINDA

Non creder Ricimero,

che tutto questo pianto

esca da quel dolor, che mi divora;

ha le lacrime sue lo sdegno ancora.

RICIMERO

Adorabil fierezza.

EDVIGE

(Il ciglio immoto

le tiene in volto.)

VITIGE

Ah lo disarmi o bella

almeno una pietà di chi t'adora.

ERNELINDA

Il vincitor di Rodoaldo ha sensi

così molli nel cuor?

RICIMERO

Principe vanne,

e lascia, ch'io qui tenti

disarmar del tuo ben le furie insane.

VITIGE

Con sì giusta speranza

e le agonie del mio timor sospendo.

RICIMERO

In me confida.

EDVIGE

(Ah gelosia t'intendo.)

VITIGE

Placati o bella mia,

placati per pietà;

non s'apprezza

dove regna la bellezza

una eterna crudeltà.

Scena dodicesima

Edvige, Ernelinda e Ricimero.

EDVIGE

Mio dolce Ricimero, or che sul trono

l'alta nostra vittoria adagia il fianco,

affretta, io te ne priego,

il mio gioir co gli imenei reali.

RICIMERO

Questi è giorno o Edvige,

consacrato a la gloria; ancor mi fuma

il sangue ostil su i marziali allori,

dimani poi favellerem d'amori.

EDVIGE

Sì parleremo, sì labbro crudele,

veggo dove tu volga

lo sguardo, e dove sciolga

un tronco tuo sospir bocca infedele.

Scena tredicesima

Ernelinda, e Ricimero.

RICIMERO

Principessa Ernelinda; hanno gli sdegni

a piè della vittoria i lor confini.

Al vincitor giova la pace, al vinto

è necessaria.

ERNELINDA

A l'ora

che può temer il vinto

dal vincitor nemico un peggior male.

RICIMERO

E se offerisce il vincitor al vinto,

e vita, e libertà, grandezza e regno?

ERNELINDA

Beni, ch'empion di fasto

quando però non si avvilisca il prezzo,

a cui mercar si denno.

RICIMERO

Il tutto io ti esibisco; il prezzo è solo

l'amor tuo, le tue nozze.

ERNELINDA

O dèi che sento!

RICIMERO

Di Rodoaldo, o bella,

io trionfai, ma quel tuo ciglio altero

di me trionfa:

quindi al tuo piede io getto

la mia vittoria, e t'offro

per innalzarti al talamo, ed al trono,

una destra real, che di due scettri

sostiene il peso.

ERNELINDA

Aggiungi

una mano, che stilla

del mio germano il sangue,

una mano, che ha spinto

Rodoaldo dal soglio,

che di stragi, e di fiamme empie il mio regno;

una mano per cui

la paterna virtù vuole il mio sdegno.

RICIMERO

Né può placar quest'ire

di due corone il dono?

ERNELINDA

Offrine un altro,

che le mie brame adempia.

RICIMERO

E quale è questi?

ERNELINDA

La tua morte, o la mia.

RICIMERO

Cotanto dunque

questo sdegno superbo ardisce ancora?

Ti sovvenga Ernelinda,

che tutto può ottener, cui tutto lice.

ERNELINDA

Su via tiranno, ardisci

ciò, che può far un vincitor superbo,

rendi al padre i suoi ceppi, e di catene

questo mio piede opprimi;

tenta la mia fortezza

con flagelli, e con fiamme, anzi con quanto

ha di peggio l'inferno,

che in faccia lor t'aborrirò in eterno.

RICIMERO

I miei prieghi?

ERNELINDA

Detesto.

RICIMERO

I sospiri?

ERNELINDA

Gli sdegno.

RICIMERO

La mia forza?

ERNELINDA

La sprezzo.

RICIMERO

Son vincitor, e posso...

ERNELINDA

Sbranarmi il cor.

RICIMERO

E soggiogar gli affetti.

ERNELINDA

Da la virtù difesi?

RICIMERO

Vuò le tue nozze.

ERNELINDA

O la mia morte.

RICIMERO

In mezzo

a vincitrici squadre

un re le chiede.

ERNELINDA

E me le vieta un padre.

RICIMERO

Ti sovvenga...

ERNELINDA

La morte

d'Alarico.

RICIMERO

...che il fato...

ERNELINDA

Vinta mi vuole sì, ma non codarda.

RICIMERO

Pensa...

ERNELINDA

A la mia vendetta.

RICIMERO

...chi io son.

ERNELINDA

Sì Ricimero.

RICIMERO

E tu.

ERNELINDA

Ernelinda.

RICIMERO

Questa austera virtù meglio consiglia,

e sappi, ch'io son re.

ERNELINDA

So ch'io son figlia.

RICIMERO

Poi che mi vuoi crudele

crudele sì sarò;

questa superba rocca,

che tanti sdegni scocca

vincere tentarò.

Scena quattordicesima

Ernelinda.

Giunge dunque tant'oltre

la tua sciagura o misera Ernelinda?

Sino su' nostri affetti

il goto vincitor ragion pretende?

La mia virtù si opponga

a gli assalti feroci. Ah che più d'essa

un amor combattuto

la rocca del cor mio si custodisce;

in Vitige ei mi addita

più, che il fiero nemico, il caro amante;

ed io non so, se ad esso,

od a la mia fierezza io sia costante.

Vorrei amar, né il deggio,

né posso non amar.

Guancia di rosa:

tu mi consumi il veggio,

se siegui a folgorar

fiamma amorosa.

Atto secondo
Scena prima

Parco.
Gildippe, e Edvige.

GILDIPPE

Illustre principessa,

tale io sento pietà d'un tradimento,

che a l'amor suo sovrasta,

ch'io non saprei tacerlo.

EDVIGE

E che?

GILDIPPE

Può Ricimero

recar l'idolatrie del regal cuore

d'Ernelinda al sembiante,

in onta ancor di quanto

alla tua fiamma ei deve.

EDVIGE

Ah me 'l dicea

quella molle pietà, con cui disciolse

la catena dal piè di Rodoaldo,

quegli attoniti sguardi...

GILDIPPE

Appunto, e guari

non è, ch'egli tentò l'ardua costanza

de la vergine oppressa.

Agitiam questa fiamma

mie ben nate speranze.

EDVIGE

E donde il sai?

GILDIPPE

Un guerrier; che raccolse

di Ricimero i detti, a me recolli:

ma soffrirai, ch'ei vanti

questo incendio infedel? e degnerai

ancor quel cor rubello

de l'alto onor de' tuoi reali affetti?

Scaccia dal cor

l'ardor,

che ti tormenta:

se in quell'alma crudel

d'un amor fedel

la face è spenta.

EDVIGE

Se noi temiam, che ci abbandoni un cuore,

l'altro si custodisca:

del principe Edelberto

lusinghiamo l'amore; ecco che appunto

qui volge il piè.

Scena seconda

Edelberto, Edvige.

EDELBERTO

Bella Edvige, è questi

l'illustre dì, che di Norvegia al soglio

rende l'onor del tuo real incarco;

s'io 'l vegga con piacer, te 'l dica il guardo,

che da begli occhi tuoi nel cuor mi scese;

ciò, che ho di pena, è ch'io non ebbi in sorte

spargere del mio sangue

le trionfali vie, per cui vi ascendi.

EDVIGE

S'io vedessi Edelberto

costarmi del tuo sangue il mio trionfo,

detesterei la stessa mia grandezza;

ha nella tua salvezza

più di parte il cuor mio, che tu non pensi.

EDELBERTO

Se ciò sperar mi lice, o miei beati

amorosi sospiri.

EDVIGE

Credilo o prence, e credi,

che se il paterno impero

lasciato avesse in libertà il mio nodo,

malgrado a quanto a Ricimero io debba,

io d'esso non sarei,

combattuto da te, facile acquisto.

EDELBERTO

Questa d'un puro amor bella mercede

le mie speranze, ed i miei voti adempie.

EDVIGE

Ricimero qui giunge?

Vanne lieto Edelberto, e ti sovvenga,

che sprezzare il tuo foco io non saprei,

che mio campion, e cavalier tu sei.

EDELBERTO

Tanto è bianca la mia fede,

quanto i gigli del tuo sen;

tutto puro è quell'affetto,

che mi fe' nascere in petto

uno sguardo tuo seren.

Scena terza

Ricimero, Vitige, poi Edvige.

RICIMERO

No Vitige, Ernelinda

gonfia del suo dolor, e del suo sdegno,

piegar non sa l'alma superba ai voti

d'un amore in cui vede

la man, che le balzò dal trono il padre.

Ne le pene d'amor è il miglior bene

la lontananza; al soglio

de la Dania ti rendi, ove ti aspetta

il real genitor per ribaciarti

sul crine invitto i trionfali allori.

VITIGE

Ed io potrei signor trar lunge il piede

da questa reggia, in cui

il sol de gli occhi miei sparge il suo lume?

RICIMERO

Principe, ov'è quel cuore...

EDVIGE

Alma sì molle

non ha già Ricimero in questo giorno,

in cui gli fuma ancora

il sangue ostil su i marziali allori.

Dimani poi favellerà d'amori.

Non è così?

RICIMERO

(Noioso arrivo.) E forse

questo debole affetto

m'esce dal cuore, in cui la gloria ingombra

tutta la vastità de' miei pensieri.

EDVIGE

Su via siegui la legge,

ch'ella ti detta; a le mie chiome innesta

il norvegico serto,

scosso di capo a Rodoaldo oppresso,

col piacer del grand'atto

al tuo cielo ritorna, e me qui lascia

regnar su le nemiche ampie ruine;

non mancano gli sposi a le reine.

RICIMERO

De' miei vassalli il sangue

di questo regno è il prezzo, ed io non cedo

sì di leggieri un trono,

sovra di cui piantai le nostre insegne.

EDVIGE

Questo detta la gloria? eh di' infedele,

che tu riserbi di Norvegia il trono

ad Ernelinda in dono.

VITIGE

(Che sento mai!)

EDVIGE

Ah ingrato,

questa è la fé giurata al mio gran padre?

queste le nozze mie? questo il mio regno?

Ernelinda, o crudele, entro al tuo cuore

d'Edvige trionfa.

VITIGE

E ciò sia vero?

RICIMERO

Del mio cuore io non rendo

ragione altrui; di Grimoaldo l'ombra

su le vie degli Elisi

la mia fé non rammembra, o non l'apprezza;

ed è legge dei re la lor grandezza.

EDVIGE

Mi vuoi tradir il sento,

anima senza fé;

il bell'incendio hai spento,

crudel, che ardea per me.

Scena quarta

Vitige, Ricimero poi Ernelinda, che si trattiene in disparte.

VITIGE

Che intendo o Ricimero? A l'or ch'io t'apro

con questa mano alla vittoria il varco,

a svellermi tu pensi

Ernelinda di braccio, il cuor dal petto?

RICIMERO

E che? Nel mio trionfo

de la spoglia miglior pretendi il dono?

VITIGE

Non cederò Ernelinda,

se col fulmine in pugno

la chiedesse il tonante.

ERNELINDA

(Per me qui si contende?)

RICIMERO

Ed otterralla

con lo scettro a la destra

un vincitor monarca.

VITIGE

Un ferro ho al fianco,

che sua ragion sostiene

contro l'ingiusta autorità de' scettri.

RICIMERO

A Ricimero?

VITIGE

Sì.

ERNELINDA

Gli sdegni, e l'onte

abbian fine tra voi. Principi io debbo,

malgrado a la presente mia fortuna,

dispor de le mie nozze.

VITIGE

Bella Ernelinda; empié già il sol sei volte

col suo splendor tutte del ciel le vie,

da che la fiamma illustre

del sereno tuo volto il cor mi accese.

ERNELINDA

È vero.

RICIMERO

Al primo raggio

de' sereni occhi tuoi svenai gli affetti,

che al volto di Edvige eran già sacri.

ERNELINDA

Grande olocausto.

VITIGE

Dal vincitor diseredata, al trono

de la Dania ti appello.

ERNELINDA

Somma fortuna.

RICIMERO

Io t'offro

di Norvegia lo scettro

la libertà del padre, ed il mio soglio.

ERNELINDA

Offerte generose.

VITIGE

I miei sospiri?

ERNELINDA

Io vidi.

RICIMERO

I miei voti?

ERNELINDA

Li ascolto.

VITIGE

Tante lacrime sparse.

RICIMERO

Le regie mie preghiere?

ERNELINDA

Egualmente gradite.

VITIGE

E che risolvi?

RICIMERO

A cui ti doni?

ERNELINDA

Udite.

So quanto ad ambi io debba

per sì teneri affetti;

in prezzo di mie nozze

due corone tu m'offri, e tu il tuo soglio,

ma rifiuto il tuo nodo. Il tuo non voglio.

Se ancor non m'intendete,

ancora ve 'l dirò,

no, non vi voglio;

(a Ricimero)

puoi piangere, e pregar

languire, e sospirar,

per ambi io sempre avrò

petto di scoglio.

Scena quinta

Ricimero, e Vitige.

RICIMERO

Vitige.

VITIGE

Ricimero.

RICIMERO

È quegli il cuore

ch'io ti svelgo dal petto?

VITIGE

Quella, che ottener crede

con lo scettro a la destra

il goto vincitor.

RICIMERO

Ma questo scettro

saprà fiaccar il suo feroce orgoglio.

VITIGE

I suoi colpi non teme un cuor di scoglio.

RICIMERO

Non bacerai quel labbro.

VITIGE

Non stringerai quel sen.

RICIMERO

Di vincer mi do vanto...

VITIGE

Io placherò col pianto...

RICIMERO E VITIGE

...l'idolo mio seren.

Scena sesta

Vitige.

Tutto dunque congiura

contro il tuo foco o mesto mio cupido?

E dan fomento a l'aspre mie querele

un'amante spietata, un re infedele?

Quella beltà,

che ha tanta crudeltà,

non lascerò

costante d'adorar;

l'infedeltà

d'un re che m'ingannò,

non speri no

l'incendio mio smorzar.

Scena settima

Bagni.
Gildippe e Rodoaldo.

GILDIPPE

Signor, ne le sciagure

virtù risplende, e la fortezza ha in uso

con rimproveri illustri

gli oltraggi vendicar de la fortuna;

tu con essa sostieni

le tue cadute, e nel servaggio ostenta

un cuor reale, un'anima d'eroe.

RODOALDO

È vinto Rodoaldo,

non il suo cuor: non ha ragion sovr'esso

l'inclemenza degli astri.

GILDIPPE

Già con men torvo aspetto

guardan essi il tuo sangue; a Ricimero

già penetrò nel cuore un lampo egregio

de la bella Ernelinda; (ah troppo è vero).

Il suo talamo ei le offre, ed il tuo regno.

RODOALDO

Che dici tu? cotanto

han per me d'odio i cieli?

GILDIPPE

Strozzerà questo nodo

gli antichi vostri sdegni, e dissipato

de l'eccelso imeneo da l'ampia face

di cieca sorte, e ria

ne andrà l'opaco velo. (Ah no non sia.)

Al suon de' molli baci

lo sdegno languirà;

e l'amorose faci

il ciel stabilirà.

Scena ottava

Ricimero e Rodoaldo.

Un Servo che porta sovra un bacile la corona di Norvegia.

RICIMERO

Rodoaldo conosci

questa reale insegna?

RODOALDO

Conosco un bene infausto

di lubrica fortuna.

RICIMERO

A le tue chiome

da cui cadé la rendo.

RODOALDO

Illustre dono

a chi non sa, ch'assai d'essa è più degno,

chi più sa rifiutarla.

RICIMERO

Senti; fra amore, e sdegno

mezzo non v'è ne' grandi; entrambi io ti offro

ma nel grado maggior: o regno, o morte.

RODOALDO

A qual patto si sceglie?

RICIMERO

Se d'Ernelinda a la mia destra annodi

la bianca man col titolo di sposa,

ti rendo al soglio, e suocero t'abbraccio;

ma se gonfio di sdegno aborri il nodo,

da la falce feral d'Atropo atroce

trucidato cadrai.

RODOALDO

Venga Ernelinda, ed io

favellerò qual debbo.

RICIMERO

Ella si appelli.

Se durassero gli odi eternamente

che lascerian le guerre?

Breve giro di lustri

divorerebbe i regni:

la stessa parca, ed anelante, e stanco

sul vuoto mondo adagerebbe il fianco.

Scena nona

Ernelinda, Vitige che si trattiene in disparte e detti.

ERNELINDA

Del regal padre al cenno

ecco Ernelinda.

VITIGE

(Io sieguo

l'orme de la mia luce.)

RODOALDO

Figlia, pria ch'io favelli,

sai qual tu debba ubbidienza al mio

risoluto voler?

ERNELINDA

Legge più sacra

non ebbi mai.

RODOALDO

Su questa destra, in cui

l'orma ancor v'è d'un grande scettro, giura

inviolabile fede al mio comando.

ERNELINDA

La giuro, e con un bacio umile, e pio

sigillo il giuramento.

VITIGE

(Io tremo.)

RODOALDO

Or senti.

I tuoi sponsali eccelsi

Ricimero mi chiede, inorridisce

a l'insana richiesta il cuor di padre.

Quella destra, ch'ei t'offre,

dal petto d'Alarico, a te germano,

ed a me figlio (o rimembranza atroce)

strappò l'alma innocente;

ad aborrir t'impegno

le tede abominate; e se non hai

cuor per cader pria d'annodarlo esangue,

a la fonte onde uscì rendi quel sangue.

RICIMERO

Tanto dunque o superbo

me presente si ardisce?

RODOALDO

Ricimero il tuo dono al piè ti getto,

il premo, e lo calpesto.

Atto regal di Rodoaldo è questo.

(getta a terra la corona ch'era sopra il bacile)

RICIMERO

Olà soldati,

Rodoaldo si sveni.

VITIGE

Ah ciò non sia.

(impugnata la spada si mette alla difesa di Rodoaldo)

Per questo petto o furie

si passa al regio sen di Rodoaldo.

ERNELINDA

O cieli.

RICIMERO

E che? Tant'oltre

puoi osar o fellon? ambi svenati

cadano a questo piè.

(Ernelinda si pone davanti a Rodoaldo e Vitige)

ERNELINDA

Pria d'Ernelinda

non cadranno o crudele

io farò loro scudo

del collo inerme, e del mio seno ignudo.

RICIMERO

Così sprezzato io son? costei si svelga

da protervi rubelli.

ERNELINDA

O stelle, o numi.

RICIMERO

Vendica rozzamente una sol morte

le offese dei monarchi;

con l'orribil corteggio de' tormenti

verrà ad ambi la parca.

Entro a carcere orrendo

attenda ciascun d'essi

lo sfogo de' miei sdegni:

già freme la vendetta, e già prepara

la bipenne fatal nemesi, e l'ara.

Dal tuo rigor o barbara,

apprendo crudeltà;

vedrem chi inesorabile

meglio di noi sarà.

Scena decima

Ernelinda, Rodoaldo e Vitige.

RODOALDO

Vitige, io ti negai

d'Ernelinda le nozze, in onta ancora

de la grandezza mia, quando ti vidi

a Ricimero in amistà congiunto;

or ch'è comun fra noi l'odio di lui,

d'Ernelinda le nozze

di Ricimero a l'inimico io dono.

VITIGE

Né m'inganni signor? o fortunate

mie fatali sciagure.

RODOALDO

Ernelinda tu piangi?

ERNELINDA

Signor, di debolezza

puoi tu accusarmi, a l'or che un nuovo aggiungi

titolo di giustizia al pianto mio?

VITIGE

Invidiar potresti o mia diletta,

questo estremo piacer a l'amor mio

di morire tuo sposo? ah non è degna

de le lacrime tue questa fortuna.

RODOALDO

Parto Ernelinda, e se mai fosse il giorno

di mia vita infelice ultimo questi,

te del mio cuor erede

con questo amplesso, e de' miei sdegni io chiamo

se basta la mia morte a l'ire eterne;

custodisci o Vitige

questa, ch'io t'abbandono,

vergine desolata;

il carattere prendi

seco di regal padre, ed amoroso

in mia vece lo innesta a quel di sposo.

Se avessi più d'un core,

ad ambi il lascerei.

Erede del mio amore,

figlia, mio ben tu sei.

Scena undicesima

Ernelinda e Vitige.

VITIGE

Ernelinda mio ben, deh non funesti

le mie prime fortune il tuo bel pianto.

ERNELINDA

Potrei negarlo o caro,

a l'agonie del padre, e del marito?

VITIGE

Rodoaldo vivrà; sovra lo sdegno

di Ricimero avrà la palma amore.

Basterà l'olocausto di Vitige

a la sua gelosia.

ERNELINDA

Crudele, e questa perdita non basta

a farmi scaturir tutte da gli occhi

le fonti del mio pianto?

Non sai caro, non sai, con quanta pena

io soffrissi ne l'alma

quella fiera virtù, che mi volea,

per il paterno impero

nemica di Vitige;

ed ora che il sovrano

voler di Rodoaldo a te mi unisce,

senza un'angoscia estrema

potrei recarti o caro

mesti baci di sposa in sul feretro?

VITIGE

Chi sa, che l'amorosa

stella per noi men torbida non splenda?

Ma quando ancora inesorabil fato

la mia morte risolva,

che beate agonie le mie saranno,

se a me verrà la parca

col soave piacer di morir tuo,

e lascerà la libertà a quest'alma

di ribaciar sul fulgido tuo viso

un raggio di beltà del paradiso?

Di', se senti sul bel volto

lieve un'aura palpitarti,

di Vitige un bacio è questi.

Dal mio fral genio disciolto

verrò sì, bella, a recarti

lieti baci, e non funesti.

Scena dodicesima

Ernelinda.

Pupille, inaridisca il vostro pianto;

serviamo a questo primo

comando di Vitige; al nostro sangue

concediam questo fasto

di soffrir con costanza i mali estremi;

varian su la virtù gli astri l'aspetto,

e la più ria fortuna

un intrepido cuor mette in rispetto.

Il cielo non avrà

mai tanta crudeltà,

quant'io costanza;

se ben perduto ho il regno,

un cuor, che n'è ben degno

ancor mi avanza.

Scena tredicesima

Camera.
Edvige, e Ricimero.

EDVIGE

Debbo creder io dunque o Ricimero,

che il fascino d'un volto

in cattiva bellezza oggi trionfi

nel tuo cuore infedel de l'amor mio?

RICIMERO

Il volto d'Ernelinda, io te 'l confesso,

malgrado a ciò, ch'io ti dovea sorprese

la rocca del mio core;

soffrilo in pace; al fine

non mancano mai sposi a le reine.

EDVIGE

Sul crin dunque mi ferma

la paterna corona; a questa impresa

armasti in guerra i gelidi Trioni,

al fin s'è vinto, e a me si è vinto; io chiedo

ciò che dal mio gran padre ebbi in retaggio.

RICIMERO

Al genio del mio soglio, a l'ombre illustri

de' miei vassalli io debbo

la sudata conquista.

EDVIGE

Ed io diseredata, e vilipesa

avvezzerò negletta

la regal destra a la conocchia, e al fuso?

T'inganni o Ricimero,

guarda una volta ancor, che al marte scando

per vendicar una regal donzella

contro un re traditor non manca un'asta.

E che di marziali eroici ardori

le destre più feroci arman gli amori.

Non è sì debole

questa bellezza,

ch'ella disperi

vittorie, e palme;

contro chi perfido

la fugge, e sprezza,

trovar non speri

più cori ed alme.

Scena quattordicesima

Ricimero poi Ernelinda che sopravviene.

RICIMERO

E là, venga Ernelinda

a quel core di smalto

porta schernito amor l'ultimo assalto.

Ernelinda.

ERNELINDA

Tiranno.

RICIMERO

Pende su le cervici

di Rodoaldo, e di Vitige, il giusto

fulmine del mio sdegno: amore ancora

il colpo ne sospende;

tanto ei solo però non ha di forza,

che basti a disarmarlo; egli richiede

il soccorso del tuo. La bianca mano

stendi al mio nodo, e la fatal saetta

cade a vuoto di pugno a la vendetta.

ERNELINDA

Difenderò due vite a me sì care

con quanto egli è, se il chiedi, il sangue mio;

ma non ricompro un padre, ed uno sposo

a prezzo di viltà, di tradimento.

RICIMERO

E che? Questa ch'io t'offro,

è forse rozza man di vil bifolco?

Sai pur ch'ella sostiene

la gloria di due scettri.

ERNELINDA

Sì, ma fuma ella ancora

d'Alarico la strage.

RICIMERO

Inaridita

dal corso di due lustri.

ERNELINDA

Viva ancor me la addita

il paterno comando.

RICIMERO

E s'ella cresce

negli scempi vicini?

ERNELINDA

Impegna il cielo

con titolo maggior a vendicarmi.

RICIMERO

Ite dunque o ministri;

si svellano a Vitige

gli occhi superbi, onde Ernelinda accese

questo foco rubello;

si strappi a Rodoaldo

l'altiera lingua, onde il comando uscìo

di questo odio protervo,

su coppa di furor tazza di sangue

si rechi ad Ernelinda, entrambi i cuori

veda, a mensa di sdegno

dov'ella beva l'un, gli altri divori.

ERNELINDA

Ah ferma o Ricimero; ascolta i voti

de le lacrime mie; ne' petti augusti

rispetta quel carattere sublime,

che pien d'onor la tua grand'alma adorna.

Questo pianto ti basti.

RICIMERO

Nel tuo pianto Ernelinda,

qualche parte s'estingua

dell'ira mia; la mia vendetta adempia

una vittima sola; or tu la scegli,

e qual d'essi recar la rea cervice

debba su l'ara atroce,

su quel foglio fatal tu stessa scrivi.

ERNELINDA

(Orribile pietà.) La destra infausta

pria mi tronca, o tiran.

RICIMERO

Se ciò ricusi,

mi caderanno al piè svenati entrambi.

ERNELINDA

Svenali sì crudel, ma in questo cuore,

in cui furono impressi

da la natura l'un, l'altro da amore.

RICIMERO

Olà si tarda ancora? itene o fidi

trucidate i felloni, e qui recate

d'ambi il cor palpitante, e semivivo.

Itene a volo.

ERNELINDA

Ah no; ferma, ch'io scrivo.

Mora. Ma chi? tolgan gli dèi, che imprima

al genitor fatali

portentosi caratteri la figlia.

Mora dunque. Ma chi? L'idolo mio?

Ah prima inaridisci

funesta man. Se v'è clemenza in cielo

perché non cade un fulmine, e risolve

la reggia in fumo, e Ricimero in polve?

RICIMERO

Questi inutili sdegni

stimolan le due parche.

ERNELINDA

Sì Ricimero,

già segno di caratteri funesti

l'orribil foglio. Ah fiera man che tenti?

Ricimero pietà.

RICIMERO

Chi altrui la niega,

ottenerla non speri.

ERNELINDA

Strappami prima il cuor.

RICIMERO

Vuò che il dolore

questo uffizio mi usurpi.

ERNELINDA

Ah carnefice ingiusto,

sì scriverò; ma intingerò nel sangue

de l'Idra, o ne le spume

di Cerbero crudel la penna infame;

sì scriverò; ma recherò quel foglio

tutta furor di Radamanto al trono

per chiamar contro te l'inferno in lega;

lo spiegherò in vessillo

di vendetta a le furie ebra, baccante

irriterò per lacerarti il cuore

quanti mostri ha Cocito, e il peggior d'essi

ch'è l'insano dolor, che mi divora.

Scrivo sì traditor.

(scrive)

Vitige mora.

RICIMERO

Morrà Vitige, e di cotanto orgoglio

doverò il mio trionfo a questo foglio.

(parte)

ERNELINDA

Empia mano, tu scrivesti,

né scoppiasti ingrato cor;

e soffrire tu potesti

que' caratteri funesti

o mio debole dolor?

Atto terzo
Scena prima

Prigione orribile.
Dove sta rinchiuso Vitige con porta corrispondente a quella di Rodoaldo.
Vitige.

Atro carcere tu serri

fra gli orrori questo piè;

ma quest'alma se ne vola

al suo bene, e si consola

al fulgor de la sua fé.

Un Servo porta a Vitige una lettera di Ricimero.

Questo di Ricimero è un regal foglio.

«La rigida Ernelinda

vuol la tua morte in prezzo

de la paterna libertà, l'aborre

la mia clemenza. Vivi, ed abbandona

questo cielo inclemente;

ti rivegga la Dania, il nome oblia

d'una donna crudel, che ti condanna

ad un'orrida morte:

risolvi, e sciolgo già le tue ritorte.»

Ricimero fin qui. Scrive Ernelinda.

(apre un altro foglio, che è quello sopra cui scrisse Ernelinda «Vitige mora»)

Dunque

questa viltà si chiede

da la mia fedeltà?

Ritorna, o servo, a Ricimero, e digli,

che assai bella è una morte,

che piace ad Ernelinda;

scritta da quella man di vivo latte

la sentenza fatal bacio, ed adoro;

Atropo libri il colpo,

ch'io le offro il collo, e pien di fasto io moro.

Mi piaci pietosa

t'adoro crudele,

mia cara, mia bella.

Sei sempre amorosa,

ingrata, o fedele

mia luce, mia stella.

Scena seconda

Edelberto che conduce Ernelinda e Vitige poi Rodoaldo.

EDELBERTO

Principe il regal cenno di Edvige

mi fa da un mio vassallo

a tua guardia eletto

ottener un delitto,

malgrado al suo dover, ed al severo

regal divieto; ecco Ernelinda. È sempre

plausibile quel fallo,

che a la pietà si dona.

ERNELINDA

Io da Edvige

col mio pianto l'ottenni.

EDELBERTO

Apri o mio fido

di Rodoaldo al piè l'angusto ingresso;

dal suo carcere ei venga; or tu dividi

fra due sì cari, ed infelici oggetti,

vergine illustre, i tuoi reali affetti.

Scena terza

Ernelinda, Vitige e Rodoaldo.

ERNELINDA

Padre, Vitige, a gli occhi vostri io reco

fatta rea di gran colpa oggi Ernelinda.

RODOALDO

Che? da te forse il vincitor superbo

ha potuto ottener qualche fiacchezza?

ERNELINDA

Eh no signor: ottenne

da questa mano infausta

un delitto peggior; io stessa scrissi

contro Vitige (oh dio)

il mortal decreto.

VITIGE

Eccone il foglio

per cenno del tiranno a me recato.

RODOALDO

Che sento!

ERNELINDA

Portentosa

necessitate il volle; a questo prezzo

ricomprare fu d'uopo

la reale tua vita;

lungo fora il racconto.

Per rispettar i dritti di natura

contro quelli d'amor, vile peccai:

caro Vitige io scrissi, e tu morrai.

RODOALDO

Ed io viver dovrò, mercati a prezzo

del sangue a me più caro,

da un empio vincitor giorni servili.

VITIGE

Quando mai meritar meglio io potrei,

signor, l'illustre dono

della bella Ernelinda

che morendo per te? lascia ch'io tragga

il genio mio con questa gloria a Stige.

RODOALDO

E narrerai fra l'ombre degli Elisi,

ch'io ho lasciato occupar da te una morte

dovuta a me? no vanne

a Ricimero o figlia

empiamente pietosa,

di' ch'io rifiuto il dono

d'una vita, che aborro.

VITIGE

Ah Rodoaldo,

se abbandoniamo entrambi,

questa dolce a te figlia, ed a me sposa

chi veglierà sui casi...

ERNELINDA

Ah mio gran padre

perderò dunque il frutto

de la mia crudeltà? deh ti riserba

a men torva fortuna; io te ne priego

per tutto questo cor, ch'io stillo in pianto.

RODOALDO

Sì viverò Vitige,

Ernelinda vivrò; vivrò fin tanto,

che si stanchi fortuna in flagellarmi.

Ernelinda ti lascio

esercitar col misero Vitige

in libertà le tenerezze estreme;

principe ti sovvenga,

che orrenda è sol la morte a chi la teme.

Non avvilisca il pianto

il prezzo de la morte;

vola a le stelle accanto

a l'or che muore il forte.

Scena quarta

Ernelinda e Vitige.

ERNELINDA

Vitige alfin siam soli, e il mio dolore

mi può recar in libertà sul volto

le mortali agonie del cuore offeso.

VITIGE

Questo ingiusto dolor bella Ernelinda

è il più della mia morte.

Poteva ella aver mai più dolce aspetto,

che in questa sicurezza

ch'ella a te piaccia? ah non turbar col pianto

questo piacer, che il mio destino adorna.

ERNELINDA

E se in questo piacer io la grandezza

veggo de l'amor tuo, qual mai più giusto

dolor vi fu del mio? qual peggior colpa

di quella, onde oggi è rea quest'empia mano?

Giusto è, che si punisca il cuor crudele,

da cui la mano ebbe tremante il moto.

Questo ferro, che io stringo.

VITIGE

Ah mia diletta.

ERNELINDA

Vitige indietro; affretti

se ti avvicini il colpo.

VITIGE

Ah numi eterni.

ERNELINDA

La tua vana pietà non tolga o caro,

pochi, e brevi momenti all'amor mio.

VITIGE

Ah prima in questo...

ERNELINDA

Indietro, o ch'io ferisco.

VITIGE

E pure è forza...

ERNELINDA

Ascolta.

Se prima di segnar quel foglio infame

stringer potuto avessi

questo ferro pietoso,

non scenderei con questa colpa in fronte,

su la sponda fatal del pigro Lete;

chi sa, che il sangue mio non la cancelli?

Se il mio nero delitto

fosse in odio così, che mi negasse

il rigido nocchier nel legno il guado,

ti attenderò sul lido

dal timor agitata, e da la speme,

e a l'or che tu vi giunga,

se il soffrirai, lo varcheremo assieme.

VITIGE

O crudeli richieste.

ERNELINDA

Addio Vitige,

già vibro il colpo.

VITIGE

Ah ferma almen fin tanto,

ch'io da te prenda ancora

l'ultimo deplorabile congedo.

Tu vuoi dunque rapirmi, o bella ingiusta,

questo diletto estremo

di vederti onorar col tuo bel pianto

le mie care agonie?

No, non sarà o crudele;

già sento che mi assale

(qui va mancando la voce a Vitige)

con tutte le sue forze il mio dolore;

e mi reca nel cuor...

ERNELINDA

Che veggo!

VITIGE

Io manco.

(finge cadere svenato)

ERNELINDA

Ei cade.

VITIGE

Sì Ernelinda io muoio, addio.

ERNELINDA

Ah Vitige cuor mio.

Ernelinda si accosta per soccorrerlo, egli balza in piedi, e le vuol levar il ferro dalle mani.

VITIGE

Ah mia vita.

ERNELINDA

Che tenti?

VITIGE

Ha vinto al fine

il mio ingegnoso amore.

ERNELINDA

Non rapirai crudele ad Ernelinda

questa morte. Ah tiranno.

Vitige dopo qualche resistenza di Ernelinda la disarma.

VITIGE

Vivi, o bella Ernelinda.

Lascia, che in me si stanchi

tutta la crudeltà di Ricimero.

ERNELINDA

T'intendo sì, o crudel, vuoi, che il dolore

di vederti morir su gli occhi miei,

la tua vendetta, e il mio castigo adempia.

Ei sia ben assai forte

per gettarmi a morir su la tua piaga;

a l'or per sigillar le nostre paci,

l'anime amanti annoderanno baci.

VITIGE

Lascia, che io mora sì,

ERNELINDA

non morrai solo no,

ERNELINDA E VITIGE

volto adorato.

VITIGE

Lascia, che in questo sen

ERNELINDA

senza me caro ben

VITIGE

con tutto il suo furor

ERNELINDA

non sia, che il suo rigor

VITIGE

si stanchi

ERNELINDA

adempia

ERNELINDA E VITIGE

il fato.

Scena quinta

Lago ghiacciato in corte.
Edelberto ed Edvige.

EDELBERTO

Di qual fama crudel, bella Edvige,

s'empie la corte? ha Ricimero un cuore,

che si può ribellar dal tuo bel volto?

EDVIGE

De la vinta Ernelinda egli è trofeo;

e ciò, che rende ancora

più nero, e detestabile il delitto

de la sua infedeltade, è ch'egli nega

render la mia corona a questo crine,

su cui per stabilirla

tante destre reali armò Boote.

EDELBERTO

E tu gli serbi ancora

de' tuoi sublimi affetti il dono illustre?

EDVIGE

Questa viltà non siede

nel cuore di Edvige. Odi Edelberto;

sceso è già per mio cenno al vicin campo

un de' miei fidi ad irritar le spade

di quanti han vivo in petto

di Grimoaldo a me gran padre il nome.

I campioni che trasse

da la Dania Vitige

fremono già nel tradimento atroce,

che il lor signore offende.

Ha Rodoaldo ancora

nel cuor de' suoi vassalli

una parte di regno. In te è riposta

più che in altrui la giusta mia vendetta.

EDELBERTO

Che oprar poss'io?

EDVIGE

Stretta amistà ti serba

il duce, a cui diè Ricimero in guardia

i due principi oppressi.

EDELBERTO

Ed al mio scettro

egli nacque vassallo.

EDVIGE

Il tuo comando

dal carcere li tragga, e ad essi unito

il mio tiranno opprimi.

EDELBERTO

A Rodoaldo

ricadrà su le chiome

il norvegico scettro.

EDVIGE

Il cuor feroce

marcherà col suo prezzo

il piacer d'una certa alta vendetta.

EDELBERTO

Si oppone all'opra audace

la mia giurata fede a Ricimero.

EDVIGE

Mal si guarda ad un re, che altrui la rompe.

EDELBERTO

Non sempre a i gran disegni

son propizie le stelle.

EDVIGE

Ha la sua stella

ne la sua destra il forte.

EDELBERTO

Ostentiam prima a Ricimero i nostri

formidabili sdegni.

EDVIGE

Ancor ripugni

al mio giusto desio? No che non mi ami.

Quando altri fere il raggio

sì languido non è de gli occhi miei,

e se pur ami, troppo

codardo amante, e vil campion tu sei.

Un cuor, che ben non ama,

non piace a questo cor.

E l'alma mia non brama

un troppo cauto amor.

Scena sesta

Gildippe, Edvige, Edelberto, poi Ernelinda.

GILDIPPE

L'infelice Ernelinda, o principessa,

ne l'immenso ocean di sue sciagure

perduto ha il senno.

EDVIGE

E come?

GILDIPPE

Ricimero infedel recar volea

a la vergine fiera

un disperato, e violento assalto,

a l'ora, che sconvolti

mostrò i fantasmi.

EDELBERTO

Ella a noi giunge appunto

per lo stagno gelato.

ERNELINDA

Tuo malgrado o nume algoso,

da quest'onde fuggirò.

Mi scoppia il cuor da ridere:

sento triton che mi risponde no.

ERNELINDA

(scende in terra)

Fauni? satiri e ninfe?

Dite, vi è un gran viaggio

da la sfera del foco al regno acquatico?

non rispondi? mi guardi? e resti estatico?

EDELBERTO

Principessa Ernelinda.

ERNELINDA

Proteo gonfia la buccina ritorta

e Glauco il corno amusa.

Sai tu perché? perché Ernelinda è morta.

EDVIGE

O de la nostra umanità non mai

ben temute sciagure.

ERNELINDA

Udite, ella vivea dentro d'un cuore,

di sua mano ella il franse,

e morì per dolore,

ma prima di morir guardollo, e pianse.

GILDIPPE

Quanta pietà mi desta.

ERNELINDA

Del cielo, de le stelle, e de l'inferno

nume io sono, è reina

Diana, Cinzia, Proserpina, e Lucina;

errando dietro a l'ombra di Vitige,

(adorabile nome)

venni sovra quest'acque;

Nettun mi vide, e il volto mio gli piacque

egli mi adora, e appunto

guari non è, che egli amoroso aprì

il verde labbro, e mi parlò così:

«Bella dèa del cieco Averno,

se l'inferno del mio cor...»

Volea più dir, ma l'interruppe il pianto,

io da lui fuggo; a voi ne vengo, e canto.

Io ti cerco e non ti scerno,

idol mio, mio dolce amor.

EDVIGE

Il pensier vaneggiante.

Torna a Vitige.

ERNELINDA

Addio,

siedo sul carro, ed i miei draghi a volo

su per le vie del cielo

mi portan ratti a folgorare in Delo.

(siede)

EDELBERTO

Bella Edvige, e qual de la grand'opra,

che tu imponesti a me, premio destini?

EDVIGE

L'amor mio, le mie nozze.

GILDIPPE

(Che sento!)

EDELBERTO

Idolo caro,

questa bella mercede

d'un amante nel cor vince ogni fede.

Labbro di mele

non m'ingannar;

ch'io son fedele

nel mio penar;

tutto mi accendo

per trionfar,

ma il premio attendo

del ben amar.

Vuol partire Ernelinda lo ferma.

ERNELINDA

Ah, ah, t'ho colto ingrato,

Endimion in Delo,

e giura ad altra donna amor, e fede?

Smorza la fiamma insana;

per punirti infedel ecco Diana.

EDVIGE

Importuna il trattiene, e preziosi

tutti sono i momenti.

ERNELINDA

T'intendo o bella ninfa,

il mio ritorno dal confin di Stige

intorbida la face

del tuo folle cupido.

Tu piangi; tu sospiri; io scherzo, e rido.

EDELBERTO

Mia principessa addio;

la spada ad impugnar va l'amor mio.

(parte)

GILDIPPE

(Questi nuovi disegni, e non intesi

scoprir convien.)

ERNELINDA

Non favellar o Tirsi.

Silenzio, o bella Clori;

a quel pino gelato ambi venite.

Qui il mio diletto Endimion si cela

ed a me così parla; attenti udite:

Ti palpito, cuor mio, sempre d'intorno

e tu non mi conosci, o mio tesoro.

Mi mancano o crudele i rai del giorno

perché voluto hai tu spietata io moro.

(finge svenire)

EDVIGE

La misera se n' cade.

GILDIPPE

Il cuor le manca.

ERNELINDA

Ah folli, e lo credete?

Partitevi da me sciocchi che siete.

GILDIPPE

Qual ardua impresa, o principessa il tuo

real pensier matura? ed a qual uopo

il braccio d'Edelberto

con l'alto premio di tue nozze impegni?

Questa spada, ch'io cingo

assai vile non è, perché oziosa

la abbandoni Edvige.

EDVIGE

Oggi con l'armi

ricovrar non dispero

questo de' miei grand'avi alto retaggio.

S'armano a questa impresa

d'Edelberto gli sdegni; a Rodoaldo,

ed a Vitige io sciolgo

le catene dal piede;

perché de' lor vassalli

reggano l'ire.

GILDIPPE

Ed io,

con cento a me fedeli

famose spade accrescerò il furore

del giusto Marte. (Altri disegni ha il cuore.)

EDVIGE

Dolce amica t'abbraccio;

in mercé del tuo zelo,

quando scoprir ti piaccia il tuo diletto

io tesserò de le tue nozze il laccio.

De' regi tuoi sponsali

la pronuba farò;

d'amor lo strale, e l'ali

di mel ti spargerò.

Scena settima

Gildippe ed Ernelinda in disparte.

GILDIPPE

Mi offre il crine Fortuna; a l'amor mio

serviran questi sdegni,

col merto d'un grand'atto,

a l'idolo, che adoro,

la fiamma ostenterò de l'alma mia,

chi sa, che non ti stanchi

di lacerarmi il petto o gelosia.

Fredda furia d'amor,

un giorno per pietà

lasciami in pace;

deh non più crudeltà,

già mi rodesti il cor

col dente edace.

Scena ottava

Ernelinda sola.

Quai disegni o Ernelinda

ti scuopre il fato? o belli, o fortunati

miei mentiti deliri;

voi del tiran superbo

mi usurpaste a gli insulti, e mi traeste

a vagheggiar di mie speranze il verde,

vi seguirò fin tanto,

che vediam dove fermi

le vertigini sue cieca fortuna.

Si alternano qua giù piaceri, e pene;

e si trova sovente

sul confin d'un gran male un sommo bene.

Voglio sperar

sentirmi un dì scherzar

qualche piacer in sen;

e sovra questo viso

veder un dolce riso

spiegar il suo seren.

Scena nona

Gran piazza.
Ricimero.

Io vi credea più vili

miei amorosi affetti: in Ernelinda

io pensava, che amaste

quella eterna beltà, ch'ha tanta forza

sovra il volgo de' sensi;

ma non sì tosto il raggio

de la ragion in que' cerulei sguardi

eclissarsi vedeste

dal funesto dolor di sue sciagure,

che disarmaste quel furor insano,

onde avea lena il violente assalto,

e col fulgor di quelle luci stesse

la vergine infelice

voi saggia accese, e delirante oppresse.

Mi piagaste pupille serene

col bel raggio de l'anima grande;

or sanate le ardenti mie pene

perché fosco il suo lume si spande.

Scena decima

Edvige e Ricimero, poi Ernelinda in disparte.

EDVIGE

Re Ricimero; un solo punto avanza

al tuo destino, e al mio. Già la Norvegia

vede su le mie tempia

l'orme di una corona,

che un dì splendea del mio gran padre in fronte.

RICIMERO

(Che pensi o Ricimero?

Già in Ernelinda estinto

ragione è il raggio.)

ERNELINDA

(Giungo opportuna.)

EDVIGE

Il celebre apparato,

onde onorar pretende

un acquisto infedel d'un trono illustre

cupidigia sleal de gli altrui regni,

irrita contro te gli scandi sdegni.

ERNELINDA

(Ah vi aggiungan le stelle

tutto il giusto furor de l'ire eterne.)

RICIMERO

Senti Edvige: un vil timor non giunge

sino al cuor de' monarchi.

Chi vi è ch'oggi contenda a Ricimero

ciò che ieri acquistò? v'è l'amor mio:

questo disarma o bella

tutto il mio sdegno e a te mi rende.

ERNELINDA

(O stelle.)

EDVIGE

(Che sento!)

RICIMERO

Or tu perdona,

se una fiamma infedel puote poch'ore

contaminar il bell'incendio nostro.

EDVIGE

(Che farai Edvige? ad Edelberto

la fé giurata?)

ERNELINDA

(Ah questa pace atterra

tutta la mia vendetta.)

RICIMERO

(Sul rogo del cuor mio

più puro egli divampa.)

ERNELINDA

(Consiglio o miei pensieri.)

EDVIGE

(E l'alta legge

di Grimoaldo estrema?)

ERNELINDA

(Ingegnoso mio sdegno, ad ogni prezzo

questa pace si rompa.)

RICIMERO

E tardi ancora?

ERNELINDA

Signor, in van resiste il mortal fasto

a ciò che scrive in su gli eterei fogli

immutabile fato. Ei vuol, ch'io spegna

i concepiti sdegni.

RICIMERO

(Con tutto il senno ella favella. Ah forse

l'effimero furor lasciò la mente

di sé signora.)

EDVIGE

(Il traditor risente

il suo male infedel.)

ERNELINDA

Quindi io ti reco

la man di sposa, e la tua legge adoro.

EDVIGE

Ricimero io non debbo

ripugnar al comando

del real genitor, sposo ti accetto

e l'altre offese oblio del nostro affetto.

EDVIGE

Per te non vi è più sdegno

ERNELINDA

per te son tutta amor.

EDVIGE E ERNELINDA

Tutta la fede impegno

di quest'amante cor.

RICIMERO

Fia mia cura Edvige

ottenerti la sorte

d'un talamo real.

Questa è mia sposa, e di Norvegia il soglio

è mia conquista, o d'Ernelinda è dote.

ERNELINDA

(Già l'incendio divampa, or si ripigli

la mentita follia.)

RICIMERO

Lascia o mia vita...

ERNELINDA

A me?

EDVIGE

Così schernisci

nuovamente Edvige anima indegna?

RICIMERO

Che a questo seno.

ERNELINDA

Sì dolce conforto.

Re Ricimero vuol abbracciarla, essa ridendo lo respinge.

ERNELINDA

La bella Galatea

ad Aci idol suo così dicea.

RICIMERO

Ritorna a delirar: stelle inclementi.

EDVIGE

Ricimero, egli è tempo,

che reina io mi scuopra; or ti comando,

che tu da queste mura

pria, che tramonti il dì, rivolga il passo;

gli avanzi del tuo Marte

dal mio regno ritira, o tosto aspetta

de la giusta ira mia l'alta vendetta.

RICIMERO

Mi movi a riso, or di'; de la gran guerra,

chi sia, che a me ne venga

nunzio insolente, e baldanzoso araldo?

Scena undicesima

Edelberto, Vitige, Rodoaldo poi Gildippe e detti.

EDELBERTO

Edelberto.

VITIGE

Vitige.

RODOALDO

E Rodoaldo.

RICIMERO

Ah son tradito.

EDELBERTO

Olà quell'armi a terra

goti superbi.

RODOALDO

Tempo è ormai, che tu rechi

sovra l'ara di Nemesi quel teschio,

che al genio d'Alarico in voto offersi.

Io di mia mano...

GILDIPPE

Ah forte Rodoaldo,

passi per queste vene

il tuo rigido acciar, prima ch'ei giunga

di Ricimero al sen.

EDVIGE

Gildippe è questa

del sarmatico re figlia guerriera.

GILDIPPE

Dal regal padre ottenni

cinger d'usbergo il fianco;

sotto le gote insegne

recai l'acciaro, e cento armati io trassi;

da la Vistula a l'Albi a tutti ignota

venni, e pria de la pugna il cor perdei

di Ricimero in volto occulta amante.

Di scoprir la mia fiamma un punto attesi

in cui negar ei non mi possa amore.

ERNELINDA

È ben degna signor sì bella fede,

che le doni il piacer di tua vendetta.

EDELBERTO

Io te la chiedo in prezzo

d'un trono, che ti rendo.

VITIGE

Su le vie degli Elisi

questa bella pietà piacerà forse

del tuo gran figlio a l'ombra.

RODOALDO

Anime grandi,

la ragion del mio sdegno

da le vostre preghiere io non difendo.

Vivi, e la mia regia amistà ti rendo.

EDVIGE

È pur vero Ernelinda,

che puro in te risplenda

de la ragione il raggio?

ERNELINDA

Una finta follia fu mia difesa

contro il feroce amor di Ricimero.

VITIGE

E ti serbò tutta innocente, e bella

di Vitige a gl'amplessi.

ERNELINDA

Idolo mio,

sposa amante ti stringo.

EDELBERTO

E seco al trono eccelso

de la tua Dania alto campion ti rendi.

Rivegga Ricimero

il suo gotico soglio, e di Gildippe

l'illustre destra impalmi.

RICIMERO

A sì giusto destino io non ripugno.

Invitta principessa, ecco una destra,

sovra di cui fedel ti porgo il core.

GILDIPPE

O pene ben sofferte, o fausto amore.

EDELBERTO

Regni in Norvegia Rodoaldo.

EDVIGE

Ed io

sovra il trono boemo,

del mio sposo Edelberto

al fianco attenderò, che tarda parca

dal crin di Rodoaldo, ad ambi renda

il paterno retaggio.

RODOALDO

Soscrivo al gran decreto;

sia ragion, sia vittoria, o pur sia dono,

per la bella Edvige

custode io son, e non signor del trono.

TUTTI

Più chiaro, più lieta, più fausto risplende

il cielo, la sorte, Cupido per me

ne l'alma, nel seno, nel core si rende

gioconda, felice, beata mia fé.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima