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Fetonte

FETONTE

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Mattia VERAZI.
Musica di Niccolò JOMMELLI.

Prima esecuzione: 11 febbraio 1768, Ludwigsburg.


Personaggi:

FETONTE figlio del Sole, e di Climene

soprano

CLIMENE vedova di Merope egizio, re di Vamba capitale del regno de' Giacchi, popoli abitatori delle montagne del Sole nell'Etiopia esteriore

soprano

LIBIA figlia di Merope egizio, unica erede di tutti i regni paterni

soprano

ORCANE etiope, re di Congo

tenore

EPAFO re d'Egitto

contralto

TETI

soprano

FORTUNA

soprano

IL SOLE

soprano

PROTEO

soprano


Personaggi de' cori: Sacerdoti di Teti. Tritoni. Etiopi. Comparse: Sacerdoti. Le tre Sirene. Tritoni. Nereidi. Naiadi. Limniadi. Divinità de' ruscelli, e de' fiumi. Mori pedestri. Guerrieri egizi. Guardia nobile di Climene. Ufficiali maggiori del regno de' Giacchi. Paggi. Popolo abitatore della città di Vamba. Gran sacerdote, e Ministri sacri d'Apollo. Temide. Felicità. Tempo. Aurora. Anno. Secoli. Giove.



Atto primo
Scena prima

Antro a Teti sacro con ara accesa nel fondo.
Si apre la scena verso il fine del primo «Allegro» della sinfonia, e subito si trovano i Sacerdoti di Teti tutti schierati nel fondo dell'antro con accese fiaccole in mano. Climene accompagnata da altri Sacerdoti, si avanza cantando la seguente invocazione destinata a prender il luogo dell'«Andante» dell'apertura.

CLIMENE

De' liquidi regni

dagli antri remoti

rispondi a' miei voti,

o madre pietosa,

o Teti vezzosa,

gran diva del mar.

CORO DE' SACERDOTI

Dagli antri remoti

rispondi pietosa,

o Teti vezzosa,

gran diva del mar.

Mentre i sacri Ministri cantano il coro, uno de' medesimi versa sull'ara gl'odorosi profumi. Terminato appena il suddetto, un sotterraneo fremito di repentino spaventevol tremuoto, che al secondo «Allegro» della sinfonia viene sostituito, sorprende, mette in fuga, e disperde tutti i sacri Ministri. Abbandonata, palpitante, e smarrita rimane sola Climene in mezzo agli orrori della vacillante spelonca. A proporzione, che va crescendo il rumore degl'istromenti, veggonsi ondeggiar d'intorno le sassose, oscure, ed ineguali pareti, che strepitosamente in fine rovinando, ed aprendosi, si scopre la deliziosa reggia di Teti.

Scena seconda

Deliziosa reggia di Teti.
Siede la Dèa alla destra sopra eccelso trono, sostenuto da un muscoso elevato scoglio, adorno d'archi, e colonne di congelata acqua di mare. Veggonsi ad essa intorno con artificiosa irregolarità situate Naiadi, Limniadi, Nereidi, Sirene, Tritoni, ed altre marittime Deità, ove alcune sovra piccioli scogli, di verde musco vestiti, agiatamente riposano. I leggeri delfini per l'acque, che la reggia inondano, lubricamente si aggirano. Gli annosi fiumi, e le vaghe Ninfe de' ruscelli, e de' fonti, sostenendo le loro urne diverse, e sovra delle medesime in varie guise appoggiandosi, versano quivi di cristallini umori, e di limpid'acque perenni, e copiosi tributi. Mentre Climene corre all'apparir della scena, per gettarsi a piè del materno trono, Teti discende, e fra le sue braccia teneramente l'accoglie.
Teti, e Climene.

TETI

Del mio tenero affetto a darti, o figlia,

qual più chieder saprai men dubbio pegno,

di quest'umido regno agli occhi tuoi

ecco aperti i recessi. Or ciò, che vuoi

a me palesa.

CLIMENE

O genitrice, o diva,

forse a te sola ignoti

sono i disastri miei? Vedova, inerme,

fra bellici furori, onde rimbomba

mal sicura la reggia,

mi perdo, mi confondo.

TETI

Il tuo periglio

non ti sgomenti ancora.

CLIMENE

Un figlio, un figlio,

degna di Febo generosa prole,

de' miei palpiti, o madre,

è l'oggetto maggior. Di mille squadre

gl'insulti, le minacce

forse con alma forte

sostenere io saprei. Ma oh dèi! Pavento

gl'intolleranti moti

di quel nobil coraggio.

Coll'avito retaggio,

fin da' primi anni suoi Merope a lui

Libia già destinò: Libia, onde il cielo

dell'estinto mio sposo

il talamo primier fecondo rese.

Del consorte i disegni

prevennero i miei voti: e a' voti miei

fur presagio felice

degl'innocenti cori

gli allor nascenti pargoletti amori.

Adulti entrambi, in un con lor s'accrebbe

il reciproco ardore.

Ma, d'ogni dritto ad onta, Epafo adesso

spegner sì belle faci

orgoglioso minaccia:

Epafo, che spargendo alte ruine

fe' al nostro ciel tragitto

dall'arenoso Egitto.

Di Congo il fiero Orcane

tutte a mio pro le forze

muover promise, è ver; ma qual poss'io

all'Etiope fallace

fede prestar? Con gli adunati Mori

se lento è a comparir, l'oste d'Egitto

assalirà di Vamba

le già da lunge assediate mura:

e Libia, ohimè! chi sa?...

TETI

Paventi invano.

L'Egitto, il mondo intero

non cangeran del fato

l'immutabil voler. Proteo, cui lice,

con fatidico sguardo,

fra l'ombre del futuro

sicuro antiveder, i dubbi tuoi

cessar tosto farà. L'insidie lascia,

che a disporre io ne vada, onde il ritroso

vate a parlar si astringa. Ogni timore

sgombra intanto dal sen. De' fidi amanti

intiepidir gli affetti

Epafo non potrà, che ascosa fiamma

più si spande agitata, e più s'infiamma.

Tacito, e lento il foco

talor serpendo gira:

finché non spira il vento,

spavento ~ altrui non fa.

Ma quando in ciel si desta

fiera, crudel tempesta,

orribile tremendo

crescendo ~ allor se n' va.

(parte)

Scena terza

Climene, indi Proteo.
Sovra carro leggero, tirato da due cavalli marini. Una truppa di Tritoni lo precede cantando a suon di buccina.

CLIMENE

Questo riflesso appunto

fomenta il mio terrore...

Ma de' marini armenti ecco il pastore.

(si ritira)

CORO DE' TRITONI

Della gran buccina

il suono udite:

uscite, uscite,

squamosi armenti,

su i campi a pascolar

de' falsi argenti.

Scena quarta

Terminato il coro si sente una dolce armonia; ad ascoltar la quale Proteo scende dal carro; e vinto dalla dolcezza de' modulati suoni, sopra picciolo scoglio s'addormenta, e là correndo le Sirene, lo legano allo stesso scoglio; nel quale destandosi Proteo all'improvviso assalto, e vedendo che il dibattersi a lui non giova per sortire da' lacci, ora in acqua, ora in fuoco, ed ora in alato drago trasformasi.
Teti, Climene, e Proteo.

CLIMENE

(spaventata dalle mostruose trasformazioni di Proteo)

Che miro! Aita...

TETI

Non temer: son teco.

(verso Proteo, che sotto strana, mentita forma tuttavia si nasconde)

Proteo, m'ascolta. Usar qui a te non giova

le solit'arti. Fra quei lacci avvolto

fosti per cenno mio; né andrai disciolto,

a noi svelar, se non prometti pria,

qual fia di Libia, e di Fetonte il fato.

CLIMENE

A ripigliar tornò l'aspetto usato;

ma il torbido girar di sue pupille

già mi predice, (ahimè) qualche sventura.

(Proteo istantaneamente riprende la sua vera forma)

PROTEO

(attaccato ancora allo scoglio)

La caligine oscura

dell'avvenir profondo,

a valicar costretto,

i vostri voti ad appagar m'affretto.

TETI

A lui quelle ritorte

tolgansi pur. Fallaci

giammai non fur le sue promesse.

(le sirene lo sciolgono dalle catene)

PROTEO

(inoltrandosi come ispirato, ed estatico)

Il cielo

all'eccelsa d'un nume inclita prole

Libia unita veder destina, e vuole.

Ma quai tede io rimiro

al talamo fatale arder d'intorno!

Sì: vincesti, o Fetonte:

ma de' trionfi tuoi

fia la pompa funesta al mondo, e a noi.

CLIMENE

Che intesi! Infausta dunque...

PROTEO

A te non lice

di più cercar.

CLIMENE

Crudel divieto! Io gelo

a' detti suoi. Di quei presagi oscuri

il vario senso accresce

le mie smanie feroci. A quai tormenti

riserbar mi volete astri inclementi?

Cara madre...

TETI

Dolce figlia...

CLIMENE

Tu consiglia ~ i dubbi miei.

TETI

Disperar così non déi.

CLIMENE

Vuoi ch'io speri, e la procella,

che minaccia intorno, e freme,

già mi spinge a naufragar.

TETI

Non temer, che amica stella

ravvivar può ancor la speme

di chi geme ~ in mezzo al mar.

(in atto di partire)

CLIMENE

Tu mi lasci?

TETI

No: ti guido.

CLIMENE

Dove?

TETI

Al lido, ~ che non lice

di far meco a te soggiorno.

Insieme

CLIMENE

Quante volte in questo giorno

io ritorno a palpitar!

TETI

Quante volte in questo giorno

fai ritorno a palpitar!

(partono insieme)

Scena quinta

Proteo.

Il dissipato gregge

si raduni, o tritoni.

(partono li tritoni)

Al suo cordoglio

resti l'audace in preda. Ecco: imparate

improvvidi mortali: ecco d'un vano

insano ardir la meritata pena.

Di sue sciagure spesso

fabbro è l'uomo a sé stesso;

e accelerò sovente il proprio affanno

chi osò squarciare innanzi tempo il velo,

onde gli arcani suoi circonda il cielo.

Voi che sortir d'affanno

col preveder cercate,

vi accelerate un danno,

talvolta incerto ancor.

D'un ben, che possedete,

godete ~ insin, che dura:

dell'avvenir la cura

ai dèi lasciate ognor.

(parte)

Scena sesta

Gabinetto di specchi.
Libia, e Fetonte.
Costernati.

LIBIA

Numi! Ed è ver?

FETONTE

Pur troppo. A queste mura

dall'antro a Teti sacro

volgea Climene il piede. Inosservato,

inimico drappello a' regi segni

la riconosce. Del fuggir le vie

tutte occupando allora,

in quella parte, e in questa

la circonda, l'arresta: indi fra mille

confuse d'allegrezza insane grida,

nel vicin campo al duce reo la guida.

LIBIA

O impensato disastro! E a tal novella

tu che facesti?

FETONTE

Arsi, gelai; fra l'armi,

disperato consiglio

trarmi pensò.

LIBIA

Te stesso

inutilmente seco

perduto avresti.

FETONTE

Il rischio intesi; e corsi,

per lei fra le catene

volontario ad offrirmi.

LIBIA

Oh ciel!

FETONTE

Ma il cambio

il tiranno ricusa.

LIBIA

E la regina...

FETONTE

L'infelice regina, oggi tu sola

involar a' furori

di quell'empio potrai.

LIBIA

La vita, il sangue

per lei pronta darò.

FETONTE

Tanto non chiede

Epafo.

LIBIA

L'inumano

da me dunque, che vuol?

FETONTE

Vuol la tua mano.

LIBIA

La mia mano? Che orror!

FETONTE

Se non l'ottiene,

a Climene minaccia

scempio, e morte crudel.

LIBIA

Mostro spietato!

E tu pensi?...

FETONTE

Mia vita,

che mai posso pensar?

LIBIA

Ma in tal periglio...

FETONTE

Penso, che quella è madre, e ch'io son figlio.

LIBIA

E potresti?...

FETONTE

Potrei

mille volte morir pria, che lasciarti.

Ma se per possederti,

mercar oggi io volessi

con quelli d'una madre i giorni miei,

troppo indegno di te, mio ben, farei.

LIBIA

Oh figlio! Oh amante! Oh eroici sensi! In seno

mia sopita virtù sento a quei detti

nuovamente destarsi.

FETONTE

Che mediti? Che dici?... Ah colla madre

se il figlio ancor veder brami estinto...

LIBIA

Corri: salva la madre. Hai vinto, hai vinto.

FETONTE

Oh sforzo illustre!

LIBIA

(piangendo)

Se veder potessi

quanto costa al mio cor...

FETONTE

Deh cessa, o cara,

cessa di sospirar. Non piacque al cielo,

che per me tu nascessi. A' suoi decreti

la fronte abbassa; ti consola: il ciglio

alfin rasciuga; e prendi,

mentre la madre a conservar m'invio,

prendi (ah dirlo non so!) l'ultimo addio.

(le bacia teneramente la mano)

LIBIA

Tu vuoi ch'io mi consoli,

tu vuoi ch'io terga sulle ciglia il pianto;

ma perché, oh dio! perché tu piangi intanto?

(guardando fissamente in volto Fetonte, che piange)

FETONTE

Le mie smanie celarti io dovrei

ma ti perdo; più mia già non sei!

Ah perdona se un ciglio verace

d'ingannarti capace ~ non è.

No, mentir queste luci non sanno,

ti palesan l'affanno ~ del core;

e ti dicon che pena, che muore

chi fedele sol visse per te.

(parte)

Scena settima

Libia.

Misera! E a chi pietade

non fariano i miei casi? Io de' mortali

il più degno adorai. Perder lo deggio,

per darmi in preda, oh dio!

a un rio mostro crudele...

Ah chi può condannar le mie querele?

Ai gemiti si sciolga

omai libero il freno. È troppo giusta

del mio duol la cagione.

Piangasi; e il reo consorte

abbia del suo delitto

nel mio cordoglio almeno

un rimprovero eterno;

e trovi ogni momento

il carnefice suo nel mio lamento.

Spargerò d'amare lagrime

l'odioso, infausto letto:

turberò l'altrui diletto

coll'eterno sospirar.

Il mio bene ognor chiamando,

detestando ~ un empio laccio,

andrò in braccio ~ al reo consorte

la sua sorte ~ a funestar.

(parte)

Scena ottava

Luogo magnifico destinato alle pubbliche udienze sulla gran piazza di Vamba capitale del regno de' Giacchi, popoli abitatori delle montagne del Sole nell'Etiopia esteriore. A destra eccelso trono di bianchissimo avorio, sormontato da verdi palme, che a guisa d'ombrella nell'alto le spaziose foglie stendendo, fra di loro si congiungono.
Fetonte, e Climene scortata dalle Guardie nobili e seguita da' Paggi.

CLIMENE

Opportuno d'Orcane

giunse il favor. L'inaspettato assalto

Epafo non sostenne. In fuga volto

l'egizio stuolo, io già sua preda, in campo,

libera mi trovai.

FETONTE

E il moro vincitor?

CLIMENE

Sino alla reggia

scorger mi fece.

FETONTE

Ad inseguir trascorso

le fuggitive schiere

forse lungi ei sarà.

CLIMENE

No: viene a noi;

e il re d'Egitto è seco.

FETONTE

Epafo?

CLIMENE

Sì, pace trattare vuol meco.

FETONTE

Il superbo rivale

pretenderà...

CLIMENE

La legge

ora imporre io gli posso.

Eccolo: in faccia a lui

l'intolleranza tua

cimentar qui non voglio.

Vanne. In soglio io l'attendo.

FETONTE

Ti servo al trono; e a' tuoi voler mi arrendo.

(dà la mano a Climene per salire sul trono, e parte)

Scena nona

Climene, Orcane, poi Epafo.
Dal fondo della scena sortono Epafo, ed Orcane, l'uno e l'altro a cavallo, quello seguìto dal numeroso suo Esercito, e questo preceduto da schiera di Mori pedestri, che portano a lui dinanzi i fumanti argentei vasi, su de' quali ardono gli odorosi profumi, e vengono suonando una barbara marcia, e cantando il seguente

CORO

Fiamme odorifere,

sabei profumi

del grand'etiope

destinsi al piè.

ORCANE

Falangi, eserciti

dispersi, erranti,

fuggan qual turbine

davanti ~ a me.

(discendono da cavallo Orcane, ed Epafo)

CORO

Fiamme odorifere,

sabei profumi

del grand'etiope

destinsi al piè.

(mentre cantasi il coro, la Regina discende dal trono, e va ad incontrar Orcane)

ORCANE

Dal mio braccio, o regina,

debellato, e sconfitto,

a te pace domanda il re d'Egitto.

EPAFO

Né abbattuto, né vinto,

come il suo dir risuona,

se la pace bramate, a voi la dona.

Per conservar le schiere, a lui, sorpreso,

l'onor vano lasciai d'un vuoto campo.

ORCANE

Cercasti nella fuga il proprio scampo.

CLIMENE

Non più contese. Utile a sé la trova

chi la pace propone.

Io, se Orcane l'approva,

non la ricuso. L'usurpato regno

di Nubia Epafo renda.

EPAFO

Agli avi miei

tributario, lo sai,

fu quello un dì. Rubelle

all'egizio potere, il tuo consorte

ne scosse il giogo. Della regia figlia

la mano a me di nuovo

ne assicuri il possesso.

S'abbia Climene il resto:

e regnar se le piace,

questo soglio le basti; e regni in pace.

ORCANE

Regna: Orcane lo vuol, bella regina:

Orcane, che destina,

per sicurezza tua, per suo riposo,

oggi al letto condurti amante, e sposo.

CLIMENE

(ad Epafo)

Tu m'offri un regno in dono?...

(ad Orcane)

Amor tu chiedi a me?...

(ad Epafo)

Ma non è tuo quel trono...

(ad Orcane)

Mio questo cor non è.

Nell'urna, estinto ancor

amo chi sempre amai:

né cangia mai ~ tenor ~ la mia costanza.

(ad Epafo)

Ingiusta io qui non voglio

sul soglio ~ altrui regnar;

(ad Orcane)

né indarno lusingar ~ la tua speranza.

(parte col séguito)

Scena decima

Epafo, ed Orcane.

ORCANE

Strano inutile amor! Languendo agghiaccia

fra le vedove piume,

chi a' freddi avelli serbar sé presume.

Spento di vita il lume,

s'altri è lieto, o dolente

l'uom non cura, o non sente.

EPAFO

Eh mal conosci

di donna il cor. Di Merope se vuoi,

che divider fra noi

possiamo i regni; adopra

arte, ingegno, destrezza:

àrmati di fierezza: a nuovo amore

volger fingi la mente. Il tuo disprezzo

non soffrirà Climene. Ogni altro affetto

in petto femminil serve all'impero

di un orgoglio tiranno;

e beltà vilipesa

chi fugge a richiamar condanna spesso

di fasto vano ambizioso eccesso.

È la donna, s'io scorgo il vero,

van, leggero ~ mutabil sesso:

fugge spesso ~ da chi l'adora;

l'innamora ~ chi la schernì.

E l'amante, che si querela,

che arde, gela, ~ che ognor sospira,

fasto accresce, baldanza inspira

all'ingrata, che lo ferì.

(parte)

Scena undicesima

Orcane.

D'obliar quell'altera,

sì, sembiante io farò. Mi vegga in dono

offrire a Libia un core...

Ma non s'infinge impunemente amore.

E ben: la regia erede

amisi dunque. De' consigli suoi

tardi pentito, Epafo a me la ceda.

Il suo retaggio è degno

della grandezza mia, cui molto aggiunge

di forza, e di splendor. De' Giacchi il voto

assicurarmi pria

destramente io saprò. Lieto vedrassi

al nodo illustre oggi esultare un regno

di tollerar già stanco

freno stranier... Ma di Climene intanto

sento, ahimè! che scordarmi,

come vorrei, non posso... Amor, grandezza,

che volete da me? Fra tanti, e tanti

tumultuanti affetti

combattuto, agitato,

mille volte fra me, per mio tormento,

in un punto risolvo, e poi mi pento.

Penso: scelgo: mi pento: poi torno

a voler ciò, che pure mi spiace...

Ah perduta del core ho la pace;

già più calma ~ quest'alma ~ non ha!

Sì: t'ascolto, superba grandezza,

ma non posso... che affanno! Che pena!...

Un'amabil tiranna bellezza

incatena ~ la mia libertà.

(parte col séguito)

Segue il ballo di Mori, ed Egizi, del Séguito d'Orcane, ed Epafo.

Atto secondo
Scena prima

Galleria, che introduce a diversi appartamenti terreni.
Orcane, e Libia da una parte. Climene dall'altra.

LIBIA

Giungi a tempo, o regina. Orcane a offrirmi

nella real sua destra un tuo rifiuto

generoso ne vien.

CLIMENE

(si turba)

Come?

ORCANE

(a Climene con derisione insultante)

Un soglio altrui dovuto

so che usurpar non vuoi: so che fedele

ami chi sempre amasti.

Ti spiegasti abbastanza:

lusingar tu non sai la mia speranza.

CLIMENE

È ver. (Gelosa ei spera

di rendermi così) Ma Libia espresse

teco il suo cor?

ORCANE

Sì poco

di due pupille intendi

il muto favellar? L'alma tradita

da quegli occhi loquaci, i suoi segreti

celar pretende in van. Tanto sfavilla,

così chiaro traluce

su quel volto il piacer.

LIBIA

De' sensi miei

meglio Climene istessa

informar ti potrà.

ORCANE

Son noti a lei?

LIBIA

Sì.

ORCANE

Che più dunque innanzi a me gli asconde?

(Mi sogguarda confusa, e non risponde.)

LIBIA

Al par di me sorpresa

col silenzio palesa i dubbi suoi.

ORCANE

Donde mai le dubbiezze?

LIBIA

(ironicamente)

Ossequio, affetto,

quando i limiti eccede,

più sincero non è; non merta fede.

ORCANE

Creder dunque si niega...

comprenderti non so; meglio ti spiega.

LIBIA

Spiegarmi vorrei;

ma il tempo... ma il loco...

ancor per poco

tacer mi convien.

(parte)

Scena seconda

Fetonte, e detti.

FETONTE

Madre, la tua presenza impazienti

chiedon le turbe popolar torrente,

oggi più dell'usato,

il sacro circo inonda.

CLIMENE

Ivi a momenti

meco Libia sarà: Libia, che a fronte

delle suddite genti,

al talamo, ed al trono

sceglier deve un consorte.

ORCANE

E quello io sono.

FETONTE

Tu quello?

ORCANE

Appunto.

FETONTE

E quale?

ORCANE

Ti basti.

FETONTE

(a Climene)

Orcane...

CLIMENE

Orcane è il tuo rivale.

FETONTE

Ei che da Congo in nostro pro già mosse

d'Etiopia le schiere...

CLIMENE

(con ironia)

Anzi l'istesso...

che pur guari non ha, per suo riposo,

pensò al letto condurmi amante, e sposo.

ORCANE

(Più frenarsi non sa.)

FETONTE

Ma...

ORCANE

(con importante contegno)

Tuo nemico

non divenni per ciò. Della beltade

necessario tributo

fu mai sempre l'amore.

Né può vietarsi a un core,

sol perché piace altrui,

l'omaggio offrirle degli affetti sui.

Del suo destino incerto,

de' dritti altrui dubbioso,

chi geloso si rende,

degrada i merti suoi, sé stesso offende.

Io de' tuoi voti audaci

lodo il coraggio illustre, onde aspirasti

un soglio a posseder: Ma Libia...

FETONTE

Oh stelle!

Libia come poteo...

madre, e sia ver?

CLIMENE

(con ironia)

L'arcano

tutto ei già svelò. T'affanni invano.

FETONTE

E l'amore... la fé...

CLIMENE

(con ironia insultante)

(accennando Orcane)

La regia erede

sperar da chi potria più salda fede?

ORCANE

Il rimprovero intendo; ma capace

d'oltraggiarmi non è mendace accusa:

fé presumer non può chi amor ricusa.

(a Fetonte)

(accennando Climene con fastoso disprezzo)

Amar costante

crudel bellezza,

è debolezza

non è virtù.

CLIMENE

(a Fetonte)

(guardando Orcane con ironia insultante)

Verace amante

men lusinghiero,

cor più sincero

mai non vi fu.

ORCANE

Crucciarsi, lagnarsi,

spiegarsi non osa.

CLIMENE

Mi crede sdegnata,

placata mi spera.

(ciascuno da sé)

Insieme

ORCANE

Ma un'alma gelosa

celar non si può.

CLIMENE

Ma un'alma altera

confonder saprò.

(partono da diversi lati, Climene ed Orcane)

Scena terza

Fetonte.

Libia, Orcane t'invola, e neghittoso

tu qui resti, O Fetonte? E qual t'ingombra

indolente stupore? Irresoluto

chi ti rese così? Forse no 'l credi?

Forse... Ma che? Voluto avria Climene

deluderti, ingannarti... Ah ti riscuoti

dal tuo letargo alfin. Vanne, t'affretta:

chiama de' torti tuoi vindici almeno

gli spergiurati dèi. Sovverti, abbatti

l'ara, il tempio profano, ove si appresta

la sacrilega pompa

all'indegno rival. Trafiggi, svena,

chi rapirti minaccia il tuo tesoro.

Pera il moro fallace;

tremi l'egizio audace. In questo, in questo

d'amor, di sdegno disperato eccesso,

de' miei furori inorridisco io stesso.

Ma se colei, che adoro,

già d'amarmi cessò; d'un forsennato

cieco trasporto inefficaci, e vani

gl'impeti, ahimè! saranno... Ah dunque in traccia

dell'infida più tosto

corrasi: all'empia in faccia

de' tradimenti suoi

tutto l'orror si scopra: oda chiamarsi

perfida, menzognera,

mostro, fiera crudel... ma no: le vie

a tentar di pietade

miglior consiglio mi sospinge. In petto

se di scoglio non ha l'ingrata un core,

a distemprarlo, oh dio!

bastar solo potrà l'affanno mio.

Sempre fido il primo affetto

serberò costante in petto:

del mio duol, de' mali miei

chiederò da lei ~ pietà.

Infedel la chiamerò,

disleal, spergiura... Ah no.

Da me sol quant'io l'ho amata

quell'ingrata ~ oh dio! saprà.

(parte)

Scena quarta

Circo solare, ove i Giacchi all'adorazione del Sole ordinariamente si adunano. Ha questo la forma d'un anfiteatro verde a più ordini di sedili adombrati da frondosi allori, che gli fanno spalliera continua fino al Parnaso, che scorgesi rappresentato di prospetto nel fondo. Oltre alla marmorea statua d'Apollo, veggonsi sulla sacra pendice quelle ancor delle muse; e nella sommità il cavallo pegaseo, che fa con un calcio scaturire l'Ippocrene: le falde della praticabil montagna sono, come i sedili all'intorno, ingombrate da confusa moltitudine di numeroso Popolo. Ricchi piumacci nel mezzo per le regie Persone, per il loro Séguito nobile, e per i sacri Ministri.
Epafo, ed Orcane.

EPAFO

Il decisivo istante

s'appressa, Orcane.

ORCANE

Se al proposto laccio

piega Climene il cor, del tuo consiglio

opra sia sol.

EPAFO

Nel figlio

un potente rivale a me rimane.

ORCANE

Il so ma non temer: tutto prevenni,

fidati: avrem per noi

la miglior, la più sana

parte di questo regno.

EPAFO

Sorgon le turbe.

(si levan le turbe all'apparir di Climene)

ORCANE

Segno,

che si avanza Climene.

EPAFO

Eccola. Il fasto usato ognor ritiene.

ORCANE

Fasto, che agli occhi miei

vaga la rende.

EPAFO

A lei

muovasi incontro.

(s'incammina incontro a Climene)

ORCANE

Sieguo

i passi tuoi.

(muovesi ad incontrar Climene)

Scena quinta

Climene. Libia, e Fetonte.
Dalla porta destra, scortati dalle Guardie nobili, e seguiti dagli Ufficiali maggiori del regno. Ministri sacri dalla sinistra, preceduti dal Gran sacerdote d'Apollo, e detti.

EPAFO

Regina...

ORCANE

Alfin...

CLIMENE

Qui meco

non v'incresca seder.

(siede)

EPAFO E ORCANE

Siedasi.

(siedono tutti)

CLIMENE

Udite.

EPAFO

Ascolterò.

ORCANE

Favella.

CLIMENE

E queste insieme

odano accolte turbe.

Figli, che ben di madre

ho un cor per voi nel petto,

cangiò, figli, d'aspetto

la mia, la sorte vostra. Invida parca

ad immaturo fin del mio consorte

precipitando i giorni, un duce, un padre

ai popoli rapì, tolse alle squadre.

Alle perdite mie trovar riparo

facil cosa non è. Scemar le vostre

sta in mio poter. Tiranna,

non facendol, sarei. Però del serto

volontaria mi spoglio. A Libia in fronte

passi con lieti auspici.

Tutti a render felici, oggi con lei

dell'impero divida illustre sposo,

e le cure, e gli onori.

EPAFO E ORCANE

E questo...

CLIMENE

E questo

sia qual più si conviene

al suo genio reale.

Sappia con lance uguale

scerner dal giusto il reo. Lento a punire,

sollecito a premiare: il merto solo

del suo favor decida.

In ogni azion per guida,

più che piacer privato

abbia il pubblico ben. Meta, e misura

sia degli affetti sui

l'altrui felicità. Gli vegli a lato

la prudenza, il consiglio.

Gli armin la destra, il core,

la fortezza, il valore. In lui ciascuno

d'ogni virtù sublime un efficace,

sovrano esempio ammiri.

Amor esiga; e riverenza ispiri.

ORCANE

Degna d'un nume in vero

ne' colori l'imago.

CLIMENE

E ben, d'un nume,

dalle fra lor non discordanti voci

degli oracoli tutti, oggi si vuole,

che qui regni la prole.

EPAFO

Sol da Giove chi nacque

di lei dunque sia degno.

LIBIA

No, popoli: se al regno

s'attende un successor dal voto mio,

Fetonte è il vostro re; questo vogl'io.

EPAFO

(a Libia)

Gli oracoli così render ardisci

menzogneri, e fallaci?

CLIMENE

(ad Epafo)

Anzi con essi

Libia il voler del genitor accorda.

Merope istesso, in lui,

(accennando Fetonte)

alla figlia uno sposo

sceglier già seppe, in cui

riconosca ciascun l'inclito germe

del dio, che qui si adora.

EPAFO

Ingegnosa è la fola,

ma spargerla non basta. Or vi conviene

accreditarla; e sola

chi l'asserisce, a tanto

s'impegna invano. Abbia la madre pria

quel culto, che alla mia

rende l'Egitto intero; indi Fetonte

con fastose parole

venga, e si vanti a noi figlio del sole.

FETONTE

(si leva e seco tutti)

Temerario! Lavar col sangue reo

dovrai la macchia indegna,

(accennando Climene)

che al suo, che all'onor mio fe' il labbro audace.

EPAFO

Quest'acciaro, mendace,

(accennando Climene)

il vostro sosterrà

(a Fetonte)

con tuo periglio.

FETONTE

Vieni, fellon.

(volendo sortire)

LIBIA

Ferma.

(trattenendo Epafo)

CLIMENE

(arrestando Fetonte)

T'arresta, o figlio:

di me, di te, del regno

è l'ingiuria comun. Smentirla pria,

poi dobbiam vendicarla. E questa cura,

assai più, che al tuo braccio, a quel si aspetta

de' sudditi fedeli.

ORCANE

Il voto loro

è che Libia a Fetonte

non s'accordi se pria più certe prove

de' suoi natal non s'hanno.

CLIMENE

Onde il sapesti?

EPAFO

Questo comun silenzio i detti suoi

appien conferma.

ORCANE

Teco

meglio dunque, o regina,

ti riconsiglia.

EPAFO

Qual sovrasti a voi

non lieve rischio or puoi veder.

ORCANE

Più cauta

Libia da questo a misurar impari

colla ragion gli affetti.

EPAFO

A me conceda

volontaria una man, che or or costretta

darmi forse dovrà.

ORCANE

(a Climene)

Placar d'Orcane

tu cerca il cor.

EPAFO

Del labbro

l'imprudente rifiuto

la destra emendi.

ORCANE

È tempo

di risolver.

EPAFO

Che pensi?

ORCANE

Che decidi?

EPAFO

Che vuoi?

CLIMENE

Decido, e voglio

l'onte punir d'un temerario orgoglio.

Leggi, sdegno, non soffro consigli:

non pavento minacce, perigli.

Oltraggiata, sol bramo, sol voglio

tant'orgoglio ~ superbi, punir.

(parte)

Scena sesta

Epafo, Orcane, Libia, e Fetonte.

Insieme

EPAFO

(a Libia)

Tu più saggia

cangia il fasto, e l'ire!

ORCANE

(a Fetonte)

Meno audace

frena il fasto, e l'ire!

EPAFO

(guardando Fetonte)

Un sorride!

ORCANE

(guardando Libia)

L'altra tace!

Insieme

EPAFO

(a Libia)

Quel silenzio contumace

il mio sdegno ~ irriterà.

ORCANE

(a Fetonte)

Quel fallace tuo contegno

il mio sdegno ~ irriterà.

LIBIA, EPAFO, ORCANE E FETONTE

Men s'ostenta, più l'ardire

divisar talor si fa.

(Epafo e Orcane in atto di partire)

ORCANE

(ritenendo Fetonte)

Ascolta.

FETONTE

(tornando indietro)

Ho tutto inteso.

EPAFO

(a Libia richiamandola)

Spiegati.

LIBIA

(ad Epafo arrestandosi, ma sprezzante)

Ho detto assai.

ORCANE

(a Fetonte)

Geloso ardor...

FETONTE

(a Orcane con derisione)

Giammai

l'alma non t'infiammò.

LIBIA

(a Epafo con intolleranza)

Ma che più vuoi?

EPAFO E ORCANE

(a Libia)

Compreso

il tuo pensier non ho.

LIBIA

(a Epafo)

Se il favellar sì poco

di due pupille intendi,

ciò, che saper pretendi

tutto è palese a lui.

(accennando Orcane con ironia insultante)

Già da quest'occhi miei

tradita io fui.

FETONTE

(ad Orcane con ironia amara, ed insultante)

Debito omaggio, il sai,

è di beltade amore,

né può vietarsi a un core

sol perché piace altrui,

di tributare a lei

gli affetti sui.

Insieme

LIBIA

Del suo destino incerto,

chi al fuoco tormentoso

di gelosia s'accende,

degrada i merti suoi,

sé stesso offende.

FETONTE

De' dritti altrui dubbioso,

chi al fuoco tormentoso

di gelosia s'accende,

degrada i merti suoi,

sé stesso offende.

(partono insieme Libia, e Fetonte)

Scena settima

Orcane, ed Epafo.

Insieme

EPAFO

Sol di gioco, e scherno oggetto

divenuto io qui sarò!

ORCANE

Vil cagion di reo diletto

divenuto io qui sarò!

EPAFO

(pensoso)

Che sospendo!

ORCANE

(turbato)

Che mi arresto!

EPAFO

Già mi scuoto.

ORCANE

Già mi desto.

Insieme

EPAFO

Ah paventi

provocar chi me tentò.

ORCANE

Si sgomenti

provocar chi me tentò.

Insieme

EPAFO

(agitato)

Sordo ai pianti, alle querele

al mio piede ~ in van mercede

domandar l'ascolterò.

ORCANE

(furioso)

Implacabil, e crudele

stragi, morti, affanni, e lutto

da per tutto ~ io spargerò.

(partono)

Scena ottava

Sotterraneo, tenebroso luogo de' reali sepolcri, per cui dal regio soggiorno, alla più elevata cima delle montagne solari, e per conseguenza al palazzo del Sole apresi un occulto, inosservato passaggio. La scena è illuminata soltanto dall'incerta luce delle spiranti, languide faci, che a' mesti avelli ardono continuamente dinanzi.
Fetonte, poi Climene.

FETONTE

Ombre, che tacite

qui fede avete;

faci, che torbida

luce spandete;

l'orror, che ingombrami

non fomentate;

ombre, che placide

qui riposate.

CLIMENE

Figlio.

FETONTE

Giungesti al fin. Fra tanti orrori

tu m'addita qual fia...

CLIMENE

Quella, o figlio, è la via,

che da' regi sepolcri

sino al paterno soglio

ti scorterà. De' monti

solari a me più volte

Febo per essa dall'eccelse cime

discese inosservato.

FETONTE

Andrò. Con questa in fronte

obbrobriosa macchia

più mostrarmi non voglio.

Ma quale al genitore,

madre, del nascer mio

non dubbia prova dimandar poss'io?

CLIMENE

Sovra il suo carro assiso

chiedi, che de' suoi raggi il crine adorno,

sol per un giorno, comparir su in cielo

apportatore, e duce

ti lasci almen della diurna luce.

Va': né il tuo piè sgomenti

lungo, alpestre, scabroso,

malagevol sentiero.

L'aura, il vento leggero

ti porteran su i vanni

all'immortal soggiorno

pria, che faccia dal mare il sol ritorno.

Io d'Epafo, e d'Orcane intanto i moti

attenta osserverò. Sediziosi

le ribellanti turbe a rei tumulti

spinger potriano.

FETONTE

Ah questo

è de' spaventi miei

lo spavento maggior. Pensando al rischio,

in cui vi lascio, vacillar già sento

la mia costanza. A Libia, a te vorrei

vegliar fedele al fianco. Ah tu se m'ami,

tu gelosa il mio bene,

custodisci, difendi. Il cor mi manca,

madre, per dirgli addio. La sua presenza

un palpito segreto, un freddo, un gelo

m'astringe ad evitar. Non soffra il cielo,

che di nuovi disastri il mio terrore

sia presagio funesto. A Libia intanto

tu per pietà l'ascondi.

Se ricerca di me, dille, rispondi...

ma che?... No 'l so... senti... sì, dille... Ah vola:

l'idolo del cor mio per me consola.

Tu parla, tu digli,

che appena io respiro

fra tanti perigli...

(vedendo venir Libia da lunge)

ma oh stelle! Che miro!...

Se parto... se resto...

che incontro funesto!

Che fierò è mai questo

terribil momento,

cimento ~ crudel!

(in atto di voler, partendo, evitar l'incontro con Libia)

Scena nona

Libia, e detti.

LIBIA

(a Fetonte richiamandolo)

Tu mi sfuggi? Senti oh dio!

FETONTE

(a Libia arrestandosi)

Idol mio ritorno a te.

LIBIA

(a Fetonte)

Perché parti?

FETONTE

(a Libia)

(Oh ciel!) Degg'io...

LIBIA

(a Fetonte)

Siegui.

FETONTE

(a Libia)

(Ahimè) Vorrei... pavento.

LIBIA

(a Fetonte)

Di che temi?

(ciascuno da sé)

Insieme

CLIMENE

Ah che tormento.

Per quell'anima fedel.

LIBIA

Ah che tormento.

Per quest'anima fedel!

FETONTE

Ah che tormento.

Per quest'anima fedel!

LIBIA

(a Fetonte)

Vorresti! Ma che?

FETONTE

(a Libia)

Intendimi... (Oh dèi!)

(a Climene)

Che affanno!... Vorrei...

tu parla per me.

Sì, parla, sì digli

l'affanno, i perigli,

la pena, il tormento

di questo - funesto

momento crudel.

(parte)

Scena decima

Libia, e Climene.

CLIMENE

(a Libia che s'incammina appresso a Fetonte)

Dove (oh dio!)...

LIBIA

Seguirlo io vo'.

(in atto di partire)

CLIMENE

No: t'arresta.

LIBIA

Ma perché?

CLIMENE

Lo saprai.

LIBIA

Da chi?

CLIMENE

Da me.

LIBIA

Parla omai.

CLIMENE

Non posso ancor.

LIBIA E CLIMENE

Questa è troppa tirannia,

troppo barbaro dolor!

Ah pietà ~ non sa ~ che sia

chi non l'ha ~ del suo dolor!

(partono)

Scena undicesima

Per il ballo secondo.
Reggia del Sole. Siede Febo sovra fiammeggiante, risplendentissimo soglio fra Temide, e la Felicità, che di lui alquanto meno elevate a' suoi lati si scorgono. Giace il Tempo
a piè del trono sotto la forma d'alato vecchio. In altro sito l'Aurora, l'Anno, e i Secoli. Le Ore del giorno, e le Stagioni formano il secondo ballo.

Atto terzo
Scena prima

Atrio della reggia del Sole.
Il Sole, la Fortuna, e Fetonte.

IL SOLE

Giurai: negar non posso

ciò, che a me tu chiedesti.

Ma pensa, che nascesti

mortale, o figlio; e pensa,

che a moderare il freno

de' miei destrieri, fra' numi

nume non v'è, fuori di me, che basti.

Giove, l'istesso Giove,

che tutto agita e muove,

forse nel gran cimento

vacillar si vedria.

FETONTE

Non mi sgomento.

Un generoso core

o tutto vince, o glorioso muore.

IL SOLE

Ma il fin de' giorni tuoi...

FETONTE

Principio illustre,

a chi spirò da forte,

è di vita miglior l'istessa morte.

IL SOLE

Oh magnanimo ardire! A queste prove

riconosco il mio sangue.

FETONTE

Altre ne chiede,

padre, la gloria mia.

IL SOLE

Se più ne brami,

guarda negli occhi miei,

che mia prole tu sei

ben ti dirà quella pietà, che in loro

destò, nel tuo periglio,

l'amor paterno a inumidirmi il ciglio.

Cangia, cangia pensier.

FETONTE

L'opporsi è vano.

Io già decisi.

IL SOLE

Alla partenza dunque

prepararti convien; che d'oriente

a disserrar le porte

già l'Aurora ne andò. Sagace almeno

nel fallace sentier, quant'io t'esposi

de' suoi rischi rammenta.

Alla tua cura, o figlio,

raccomando sol questo:

ed abbandono alla Fortuna il resto.

(alla Fortuna)

Tu, che ognor l'ardir proteggi,

guida, e reggi i passi sui:

tu conserva un figlio in lui

al dolente genitor.

(parte)

Scena seconda

La Fortuna, e Fetonte.

FORTUNA

Ecco: ti porgo il crin... Ma tu rivolgi

sprezzante altrove il ciglio!... Il mio favore

dunque da te sì poco,

fiero mortal, si apprezza? Ignori forse,

che l'arbitra son io...

FETONTE

So, che tu sei

d'ogni ben, d'ogni male

dispensatrice in terra;

ma so ch'eterna guerra

hai col valor, col merto; anzi che spesso,

mentre gl'inerti, e vili ergi, e sublimi,

i più saggi, e i più forti ingiusta opprimi.

FORTUNA

Se sai dunque chi son, se il poter mio

conosci appien, perché sì lieve caso

de' miei doni tu fai quand'io ti arrido?

FETONTE

So, che femmina sei, né a te mi fido.

Più leggera, che il vento, e l'onda,

so, che inganni chi a te dà fede.

FORTUNA

Tal mi sprezza, che dalla sponda

lungi è appena, mercé poi chiede.

FETONTE

Sol mi lascia.

(in atto di partire)

FORTUNA

Ma i rei disastri...

(seguitandolo)

FETONTE

Resta.

(vietandole di seguirlo)

FORTUNA

Senti: potrei...

(richiamandolo)

FETONTE

Fra gli astri

non pavento.

FORTUNA

Chi avrai per guida?

FETONTE

Il coraggio che a te non cede.

FORTUNA

Va', superbo, di lui ti fida.

FORTUNA E FETONTE

Ma rammenta, ma pensa ingrato,

che se il cielo minaccia irato

al tuo lato ~ più non sarò.

Di valor di costanza armato,

quando il cielo minacc'irato,

sì, col Fato - pugnar saprò.

(partono da diversi lati)

Scena terza

Chiuso padiglione militare d'Orcane, con barbari moreschi ornamenti d'intorno.
Orcane, e Libia.

ORCANE

Fetonte che fa? D'un dio la prole

vi difende così?

LIBIA

D'un tradimento

se 'l suo rivale capace

creduto avesse, forse

ne' mali estremi d'insultarci adesso

non avresti cagion. Da noi sicuro

giurata tregua il piede

allontanar gli fe'.

ORCANE

Ma i passi suoi

dove rivolse?

LIBIA

Alla paterna reggia.

E se al valor nemica

sempre non è la sorte, oggi sul carro

del gran nume di Delo,

vedrai Fetonte in cielo.

Ma che pro, se frattanto Epafo in terra

ogni suo dritto usurpa?

O sedotti, o sorpresi

i custodi, le guardie, in Vamba a lui

chi s'opponga non v'è. Già senza freno

va l'egizia licenza

dell'invasa città scorrendo tutte,

furibonda, le vie. Già il duce altero,

fin nelle regie soglie,

osa inoltrarsi audace; e la tradita,

lagrimevol regina

forse a perir già il suo furor destina.

ORCANE

Come! Climene teco

non si salvò?

LIBIA

Sperai

qui ritrovarla. In queste

regie tende un asilo

credei, che a te rivolta

si fosse ad implorar. Però veloce,

per varco al vulgo ignoto,

io qui mi trassi. Ma la fuga, oh dèi

a lei forse il tiranno

giunse opportuno ad impedir. Fra lacci,

forse, gemendo, in van soccorso attende

colei, per cui d'Orcane

la prima volta il labbro

apprese a sospirare.

ORCANE

Ah se abusando

di mia bontà l'indegno,

ha potuto a tal segno

deludermi, oltraggiarmi;

a tremar incominci:

(ai suoi guerrieri, che stanno in guardia della regia tenda)

all'armi, all'armi.

Tu puoi sicura intanto

nel mio campo restar. Colla regina

in breve io tornerò. L'egizio reo

si vedrà, te 'l prometto,

udito appena di mia voce il suono,

fuggendo, abbandonar la reggia, e il trono.

Son qual fiume, che gonfio d'umori,

quando il gelo si scioglie in torrente,

selve, armenti, capanne e pastori

porta seco, e ritegno non ha.

Più non resta fra gli argini stretto,

sdegna il letto, confonde le sponde,

e superbo fremendo se n' va.

Sdegna il letto superbo quel fiume,

gonfio d'umori, sdegna fremendo,

porta, confonde sponde, pastori,

argini, armenti, selve, capanne

porta seco e ritegno non ha.

Scena quarta

Libia.

Felicità sognate! Or qual soglio

a Fetonte offrirò? S'Epafo è oppresso,

Orcane è vincitor. Le nozze, o numi,

le nozze, ahimè! son queste,

che a me voi prometteste? Oh folle, oh insana

speranza ingannatrice!

Ben ha ragion chi dice,

che mendace, e infedele,

più dell'onde tu sei del mar crudele.

È un'ombra labile

la nostra spene:

mai sempre instabile

se n' va, se n' viene

qual variabile

sogno legger.

Se ben volubile,

vana, e fallace,

pur dolce sembraci,

pur tanto piace

al troppo credulo

nostro pensier!

(parte)

Scena quinta

Vastissima campagna.
Biondeggianti mature spighe a destra, in parte già recise, ed in alte masse insieme adunate. Densa, oscura foresta a sinistra. Prospetto di mare ingombro di egizie navi nel fondo, con elevato praticabile scoglio più avanti.
Fetonte assiso sul carro del Sole, dissipate le nubi, comparisce da lungi sull'orizzonte. A proporzione che avanza smarrito nel suo cammino, e che incerto scorre innanzi, e indietro per l'incendiato cielo, spaventose, orribili fiamme si spandono per l'aria, ed alla terra comunicandosi, par che vada tutto in combustione l'universo.
Epafo, traendo per mano Climene e séguito di Guerrieri egizi.

EPAFO

Vieni.

CLIMENE

Dove, crudel?

EPAFO

Seguimi. Orcane

un'altra volta il vanto

non avrà di salvarti.

(a' suoi guerrieri, una parte de' quali corre verso le navi)

Olà: s'affretti

alla partenza il campo. Ai nostr'imbarco

s'apprestino le navi. Argini, e fosse

ne difendono a tergo

dalla furia de' Mori. Al mio trionfo

basta sol di Climene

la preda illustre. Alla volubil rota

di militar fortuna il grand'acquisto

avventurar di nuovo

follemente io non deggio.

I suoi trofei

in confronto de' miei

vanti Orcane, se può. Della vittoria

superbo, per sua gloria,

in segno additi all'Etiopia tutta

un'arsa reggia, una città distrutta.

E Fetonte...

CLIMENE

(additandogli Fetonte inoltrato già sull'eclittica)

Fetonte

mira, sol per tuo scorno

di quanta luce adorno

folgoreggi, e risplenda.

EPAFO

Pria che più in alto ascenda,

a mirarti fra' lacci,

dal cielo almen, per suo rossor, s'affacci.

CLIMENE

Barbaro! I torti suoi

a vendicar più pronto

che non credi ei sarà.

(mostrandogli le fiamme, che incominciano a vedersi nel cielo; mentre Fetonte smarrito nel suo cammino, va scorrendo innanzi, e indietro per l'incendiato emisfero)

Le fiamme osserva,

che sul tuo capo reo già dalle sfere

a vibrar si prepara. Oh come, oh come

quel cor, quell'alma grande

par che s'agiti, e frena!

Mira, perfido re: miralo, e trema.

EPAFO

Numi, che veggo! Qual ardor, quai lampi

su per gli eterei campi! Ahimè! La fiamma,

spettacolo tremendo!

Già terra, e ciel minaccia!

Tutto già quasi l'emisfero abbraccia!

(le fiamme si dilatano per tutto il cielo)

CLIMENE

Giusti dèi, che sarà? L'ultimo è questo

forse giorno funesto? Ah forse il fato

per terror de' viventi

a' discordi elementi

già tolto ha il giogo, e scatenato il freno!

EPAFO

Ahimè, nel seno al vortice profondo

dell'increata, orribil massa informe,

cade, ruina, e si dissolve il mondo!

(il fuoco incomincia a prender ancora sopra terra)

CLIMENE

Oh figlio! O figlio!

EPAFO

Oh temerario figlio!

Oh madre ancor più ambiziosa, e rea!

Mira: la terra, e l'onde

ardon sol per tua colpa.

(arde cielo, e terra)

EPAFO

Senza umor, senza fronde,

te de' suoi danni incolpa

la selva, il fiume, il fonte,

il rio, la valle, il monte.

(incominciasi ad ascoltar un suono, ch'esprime i sotterranei, dolorosi lamenti della terra, e delle divinità de' fiumi, de' laghi, e de' fonti, ch'implorano a coro il soccorso di Giove, che apparisce in cielo dentro a fiammeggiante nube, cinta d'oscuri vapori, che difendono il nume dall'universal incendio)

Ancor non odi

qual doloroso grido

sorge di lido in lido?

Ascolta, ascolta

le querele, il lamento...

CORO SOTTERRANEO

Giove, pietà di noi.

CLIMENE

Numi, che sento!

CORO SOTTERRANEO

Giove, pietà di noi.

EPAFO

Se incenerir non vuoi l'adusta terra,

un de' fulmini tuoi dal ciel disserra.

CLIMENE

Ah lo strale sospendi... Eccoti il petto:

me ferisci... Risparmia, o Giove, il figlio.

EPAFO

Mira il comun periglio:

salvaci tu, che poi.

CORO SOTTERRANEO

Giove, pietà di noi.

EPAFO

Padre, soccorso.

CORO SOTTERRANEO

Pietà!

EPAFO

Pietà dell'infelice terra.

Insieme

EPAFO

Un de' fulmini tuoi dal ciel disserra.

CLIMENE

Ah già i fulmini suoi dal ciel disserra!

(nell'atto, che Giove scaglia lo stridente, irreparabil suo fulmine, da cui percosso Fetonte, in uno co' suoi destrieri, e col carro in sen all'onde precipitosamente ruina)

Scena ultima

Orcane, con nudo acciaro alla mano, séguito di Mori, e detti.

(scosso da un improvviso rumore, ch'imita il disordine di un campo fuggitivo, e sconfitto)

EPAFO

Qual rumor! Si osservi... Ahi parmi...

(guardando fra le scene a dritta)

Fugge il campo! All'armi, all'armi.

(a' fusi guerrieri)

Ecco i mori.

ORCANE

Cedi: o mori.

(sorprendendolo minaccioso)

EPAFO

Non ti temo.

(snudando il ferro)

CLIMENE

Ferma.

(arrestando Epafo)

ORCANE

(Io fremo.)

CLIMENE

(ad Orcane)

Libia, ah Libia, oh ciel! Dov'è?

ORCANE

Il dolor l'oppresse.

EPAFO E CLIMENE

Ahimè.

CLIMENE

Libia... figlio... Ahi sorte ria!

Voi spiraste, e io vivo ancor?

ORCANE

(a Climene)

Vivi, regna, e premio sia

la tua fé del mio valor.

EPAFO

(ad Orcane)

Non sperarlo, a me se pria

trar non sai dal petto il cor.

ORCANE

(ad Epafo)

Vieni.

EPAFO

(ad Orcane)

Vengo.

CLIMENE

(arrestandoli)

Sospendete.

EPAFO

(a Climene)

Sei mia preda.

ORCANE

(a Climene)

Mia sarai.

EPAFO

(ad Orcane)

Non l'avrai.

CLIMENE

(ad entrambi)

No: non m'avrete.

(guardando or l'uno or l'altro)

Servirò dov'io regnai

a un superbo vincitor?

(resta un istante sospesa)

(furiosa)

Son disperata; e uccidermi

se 'l mio dolor non sa,

(minacciosa)

apprenderete, o barbari,

come a morir si va.

(dolente)

Figlio, deh figlio aspettami,

la madre tua verrà.

(disperata)

Quel mar, quel mar (lasciatemi)

la tomba mia sarà.

(a' rispettivi loro guerrieri, che si muovono per correre appresso a Climene)

ORCANE

Dove?

EPAFO

Senti...

ORCANE

Si vada...

EPAFO

S'accorra...

ORCANE

Si trattenga...

EPAFO

Si fermi...

ORCANE

S'arresti...

(nell'atto, che Climene vanamente inseguita, pria che possin raggiungerla, spicca un salto, e si getta nel mare)

CORO

Ah!

Mentre affatto estinte le fiamme, fosche, tenebrose nuvole, imitanti gli oscuri globi del fumo, ed i condensati caliginosi vapori delle terrestri esalazioni: parte sortendo dal mare, e parte dall'alto scendendo, spargonsi orribilmente d'intorno, e cangiano interamente il prospetto di tutta la scena.

EPAFO E ORCANE

Che spiagge! Che lidi funesti

di spavento... di morte... d'orror!

TUTTI

Lungi, ah! lungi da questa sia corra

empia terra, soggiorno inumano

d'odio, d'ira, d'insano ~ furor!

(fuggendo tutti confusamente chi da una parte, e chi dall'altra)

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena ultima