LA DIAVOLESSA
Dramma giocoso.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Carlo GOLDONI.
Musica di Baldassarre GALUPPI.
Prima esecuzione: novembre 1755, Venezia.
Personaggi:
Il CONTE Nastri |
contralto |
La CONTESSA sua moglie |
soprano |
DORINA avventuriera |
contralto |
GIANNINO giovane, amante di Dorina |
basso |
Don POPPONE Corbelli gentiluomo |
basso |
GHIANDINA cameriera |
soprano |
FALCO locandiere |
tenore |
Gabrino, servitore che non parla.
Camera nobile di locanda.
Dorina e Giannino, poi Falco.
DORINA
Ho risolto, voglio andar.
Non mi state a tormentar.
GIANNINO
Ah, Dorina, per pietà,
mi volete lasciar qua?
DORINA
Vostro danno: voglio andar.
GIANNINO
Mi volete abbandonar?
FALCO
Che c'è, che c'è di nuovo,
che mi par di sentirvi un po' alterati?
DORINA
Fateci i nostri conti:
per me voglio andar via.
GIANNINO
(a Falco)
Mi vuole abbandonar Dorina mia.
FALCO
Ma perché mai? Oh povero ragazzo!
DORINA
Perché nel duro caso
in cui ci ritroviamo,
è necessario che ci separiamo.
GIANNINO
Ch'è l'istesso che dir che a dirittura
vada a porsi Giannino in sepoltura.
FALCO
(a Dorina)
Non mi credeva mai,
con vostra permission,
che aveste così poca compassione.
DORINA
Egli di casa mia
m'ha fatto venir via;
ed or per sua cagion son nell'intrico.
GIANNINO
Ma la voglio sposar...
DORINA
Sposar mi vuole,
ma non ha un soldo in tasca:
onde, sfogate le amorose brame,
presto ci converrà morir di fame.
FALCO
Dorina m'ha spiegato i sensi suoi;
ora, signor Giannin, che dite voi?
GIANNINO
Io dico... che... vorrei...
FALCO
Sposarla?
GIANNINO
Sì, signore.
FALCO
E poi?
GIANNINO
E poi,
quando morrà mio padre,
ch'è vecchio ed ammalato,
in casa mia vivremo in buono stato.
FALCO
Dite la verità, Dorina mia,
gli volete voi ben?
DORINA
Se non l'amassi,
non avrei seguitati i di lui passi.
FALCO
Dunque sta tutto il mal, per quel ch'io sento,
nel non aver denaro.
DORINA
E vi par poco?
FALCO
E quando in questo loco
vi trovassi un onesto assegnamento?
DORINA
Gli porgerei la mano in quel momento.
FALCO
Lasciate fare a me.
GIANNINO
Falco, vi prego.
DORINA
Caro Falco gentil.
GIANNINO
Falco garbato.
DORINA
M'obbligherete assai.
GIANNINO
Vi sarò grato.
FALCO
Udite: evvi un riccone
che ha nome don Poppone,
il quale amando assai l'argento e l'oro,
cerca sempre trovar qualche tesoro.
Basta che un forestier gli si presenti,
e con franchezza ostenti
l'abilità per tali scavazioni,
gli leva dalla man scudi e dobloni.
GIANNINO
Ma io non ne so niente.
FALCO
Cosa importa?
Istruirvi saprò, se voi volete.
Fidatevi di me, mi conoscete.
DORINA
Tutto farò quello che far si puote
per aver saviamente un po' di dote.
FALCO
Basta che col maestro
si divida la preda.
DORINA
È cosa giusta.
GIANNINO
Voi farete il comparto.
FALCO
Di quello che verrà, mi basta il quarto.
V'insegnerò la casa:
andrete soli per non dar sospetto,
e vi dirò quello che dir dovrete.
Poi, quando in casa siete,
anch'io vengo a drittura
per dar credito e forza all'impostura.
GIANNINO
Intanto ci darete
da mangiare, cred'io...
FALCO
Siete padroni.
Tutto Dorina avrà quel che comanda;
è a sua disposizion la mia locanda.
(a Dorina)
Se non fossi maritato,
non so dir cosa farei.
(a Giannino)
Oh Giannino fortunato,
che costei si goderà!
DORINA
(a Falco)
Oh davver, siete garbato!
GIANNINO
(a Falco)
Ma non tanta carità.
FALCO
È graziosa, ed è gentile;
non conosco la simile.
DORINA
(a Falco)
Obbligata in verità.
GIANNINO
(a Falco)
Ma non tanta carità.
FALCO
Sei geloso, poverino!
È geloso il mio Giannino,
e da ridere mi fa.
(parte)
GIANNINO
Ho a soffrir questo dolore!
DORINA
Colla fame, mio signore,
gelosia non si confà.
(parte)
GIANNINO
La signora dice bene,
e soffrire mi conviene
per la mia necessità.
(parte)
Il Conte e la Contessa, poi Gabrino.
CONTESSA
Eh ben, signor consorte,
quanto dovremo noi
stare in questa locanda?
CONTE
Un po' di flemma,
cara Contessa mia.
CONTESSA
Qua non ci voglio star, voglio andar via.
CONTE
La lettera ho mandata
al signor don Poppone
cui siam raccomandati,
e saremo da lui forse alloggiati.
CONTESSA
Lo staffiere non vien colla risposta?
CONTE
Napoli è città grande.
Da don Poppone a noi
v'è non poca distanza;
aver conviene un po' di tolleranza.
CONTESSA
Aspetterò che torni;
sentirem la risposta; ma se mai
noi questo don Poppone
ad invitar non manda.
Tosto voglio partir, cambiar locanda.
CONTE
Perché? Non siamo noi
ben trattati finora?
CONTESSA
Eh sì, signore,
siam trattati benissimo.
Lo so che contentissimo
ci sta il signor consorte mio garbato,
della bella straniera innamorato.
CONTE
Oh! di chi? di Dorina? V'ingannate.
CONTESSA
Ch'io m'ingannassi si potrebbe dare;
ma qui, lo torno a dir, non ci vuò stare.
CONTE
Ecco Gabrin che torna: or si saprà.
CONTESSA
Bastami che si vada via di qua.
CONTE
Che risposta mi rechi?
Un foglio? Sentiremo.
Temo che, per esimersi,
trovi qualche pretesto.
CONTESSA
Sia com'esser si voglia, io qui non resto.
CONTE
V'ho inteso; cento volte
l'avete replicato,
e mi avete stancato in verità.
Leggiamo.
CONTESSA
Ma andar voglio via di qua.
CONTE
Che pazienza! S'inchina
don Poppone Corbelli
al Conte Nastri e alla Contessa ancora.
Non potendo per ora
venirli a riverire alla locanda,
a supplicar li manda
che si degnin passar nel di lui tetto,
esibito di cor per lor ricetto.
CONTESSA
Andiam subito dunque...
CONTE
Adagio un poco.
Andar tosto in un loco
senza saper... senza conoscer chi...
CONTESSA
Ve lo ritorno a dir: non vuò star qui.
CONTE
Dunque andiamo, e sarà quel che sarà.
CONTESSA
Bastami che si vada via di qua.
CONTE
Via, tacete una volta;
andremo sì, vi renderò contenta,
ma fate che gridar più non vi senta.
(parte)
La Contessa sola.
Pretendono i mariti
esser da noi trattati dolcemente,
ma se non si fa niente colle buone,
convien gridare per aver ragione.
Tant'è. La forestiera
m'ha dato gelosia;
di qua voglio andar via. L'ho detto assai,
e son disposta a non tacer più mai.
S'inganna chi crede
la donna sia schiava.
Se il peso l'aggrava,
desiosa si vede
di sua libertà.
Compagno è lo sposo,
non prence tiranno.
È un misero inganno
di cuore orgoglioso
l'usar crudeltà.
(parte)
Camera in casa di don Poppone.
Don Poppone, poi Ghiandina.
POPPONE
Eh! ci mancava adesso
questo novello imbroglio.
Alloggiar forestieri... e mi dispiace...
non vorrei che sturbassero
l'operazion vicina
del tesor che cavar deggio in cantina.
Dopo tant'anni e tanti
alfin son arrivato
un tesoro a trovar sicuro e certo;
e in casa mia, l'ho in casa mia scoperto.
Ma i forestier... Ghiandina.
GHIANDINA
Signor, la mi comandi.
POPPONE
Un amico di Roma,
che disgustar non voglio,
mi ha mandato un imbroglio.
Un conte e una contessa
mi son raccomandati;
alloggiar li ho invitati in casa mia:
fate che tutto preparato sia.
GHIANDINA
Caro signor padrone,
è ver che ricco siete;
ma se così spendete allegramente,
lo stato vostro ridurrassi al niente.
POPPONE
Cosa importa? Domani
piene le casse avrem d'argento e d'oro.
(piano)
Ho scoperto un tesoro.
GHIANDINA
Scoperto veramente,
o al solito trovato con la mente?
POPPONE
Questa volta è sicuro.
L'ho trovato, Ghiandina.
GHIANDINA
Dove? Si può saper?
POPPONE
Zitto: in cantina.
GHIANDINA
Che al solito non sia...
POPPONE
La cosa è certa;
ho fatto la scoperta
per via di certi sogni;
e ho fatto l'esperienza sopra il suolo
anche colla bacchetta di nocciuolo.
GHIANDINA
Per me non me ne intendo.
L'oro vedere attendo,
e quando lo vedrò,
che l'abbiate trovato io crederò.
POPPONE
E quando lo vedrete
escir dalla cantina
la padrona sarà... sarà Ghiandina.
GHIANDINA
Se fosse ver!
POPPONE
Verissimo:
lo vedrete a momenti.
Ho imparato in un libro a far portenti.
Finor da più di un restai gabbato;
ma or sono illuminato
ed opero al sicuro,
e i tesori trovar posso all'oscuro.
GHIANDINA
Voglia il ciel che sia vero; e poi, signore,
un altro tesoretto
di farvi ritrovare anch'io prometto.
POPPONE
Dove? Come?
GHIANDINA
Un tesoro
voi troverete in me
d'onestà, di costanza, amore e fé.
Una donna che apprezza il decoro,
è un tesoro che pari non ha.
La bella onestà,
la mia fedeltà,
potrà farvi felice e contento,
che l'argento ~ col tempo se n' va,
ma l'amore ~ nel core ~ si sta.
(parte)
Don Poppone, poi Ghiandina che torna.
POPPONE
È vero: una fanciulla come questa,
certamente è un tesoro;
ma mi preme trovar quello dell'oro,
perché finor, poco nell'arte esperto,
ho consumato il certo per l'incerto;
ma ora sono al sicuro.
GHIANDINA
Son venuti
due forestieri a domandar di voi.
POPPONE
Uomo e donna?
GHIANDINA
Sicuro.
POPPONE
Saranno il conte e la contessa. Oh bene,
venghino pur; riceverli conviene.
GHIANDINA
Spiacemi.
POPPONE
Di che cosa?
GHIANDINA
Niente, niente.
POPPONE
Parlate.
GHIANDINA
La Contessa
mi pare un po' bellina:
non vorrei vi scordaste di Ghiandina.
(parte)
Don Poppone solo.
No, no, non dubitar... s'ella è gelosa,
segno è che mi vuol bene.
Tosto che del tesoro
fatta ho l'operazione,
la vuò sposar senz'altra dilazione.
Criticato sarò, perch'è una serva?
Che cosa importa a me?
Ognuno in questo ha da pensar per sé.
Dorina, Giannino e il suddetto.
DORINA
Serva di don Poppone.
GIANNINO
Riverisco.
POPPONE
(a Giannino)
M'inchino al signor conte,
(a Dorina)
alla nobil contessa umil m'inchino.
DORINA
(Contessa a me?)
GIANNINO
(Che? non son io Giannino?)
POPPONE
Alloggiar in mia casa
mi chiamo fortunato
la dama illustre, il cavalier garbato.
GIANNINO
Ci conoscete voi?
POPPONE
Certo. L'amico
che li ha diretti a me, di lor signori
m'accenna il grado ed i sublimi onori.
GIANNINO
(piano a Dorina)
Falco ci ha posti in qualche brutto impegno.
DORINA
(piano a Giannino)
Ei ci nobilitò: vi vuole ingegno.
POPPONE
Saran stanchi dal viaggio;
che vadano al riposo;
già sono sposa e sposo,
onde compatiranno
se un solo letto ed una stanza avranno.
GIANNINO
Questo non è gran mal.
DORINA
No, no, signore,
vi prego per favore,
sono avvezza così fin da figliuola:
piacemi nella stanza di star sola.
POPPONE
Ma io non ho gran comodo.
DORINA
Codesto poco importa.
Anderò sola.
POPPONE
E lui fuor della porta?
(accennando Giannino)
GIANNINO
Io fuori, signor sì:
la signora comanda, e vuol così.
POPPONE
Oh, signora contessa,
perché così crudel con suo marito?
DORINA
Voi non siete istruito,
per quel ch'io sento; dell'usanza nuova.
(Seguitar la finzion per or mi giova.)
POPPONE
So ch'io, se avessi moglie,
notte e giorno vorrei
starmene in buon amor vicino a lei.
GIANNINO
Anch'io davver son del parere istesso:
notte e giorno vorrei starle dappresso.
DORINA
Quelli che così fanno,
sappiano lor signori
che si chiaman mariti seccatori.
Libertà, libertà.
GIANNINO
(a Dorina)
Basta... per ora
taccio... ma quando poi...
DORINA
(a Giannino)
Quando poi, quando poi... Già vi capisco.
Quando verrà quel dì,
averete di grazia a far così.
GIANNINO
(a don Poppone)
Sentite?
POPPONE
(a Dorina)
Non intendo.
DORINA
Eh, che l'amore
più candido, più puro,
vuole il suo chiaroscuro.
E poi convien distinguere
della plebe l'amor, come si sa,
da quello della nostra nobiltà.
Voglio che civilmente ci trattiamo.
O che siamo, cospetto! o che non siamo.
Si distingue dal nobile il vile
anch'in questo, mio caro signor.
Una donna ch'è nata civile
non si lascia avvilir dall'amor.
Il villano, che sempre sta lì,
alla moglie suol dire così:
«Vieni qua ~ passa là ~ non ti vuò.
Vien di su ~ va di giù ~ ti darò».
Ma alla donna, che sempre non va,
il marito gentile dirà:
«Perdonate... vorrei... compatite...
fate grazia... venir... favorite...»
E la donna fa il proprio dovere
con piacere ~ ma con nobiltà.
(parte)
Don Poppone e Giannino.
POPPONE
In questo io mi rimetto.
In casa mia quel che si vuol si fa,
e lascio a ciaschedun la libertà.
GIANNINO
Ma signor, favorite.
Voi non mi conoscete.
POPPONE
Eh sì, signore.
Voi siete il conte Nastri,
un cavalier romano
che a Napoli se n' vien per suo diporto
co' la contessa sposa.
L'amico mi ha informato d'ogni cosa.
GIANNINO
(Oh gran Falco briccone!)
Discorreremo poi
sull'affar del tesoro.
POPPONE
E che tesoro?
Io non so di tesori.
Io non cavo tesori; e chi v'ha detto
che si cercan tesori in casa mia?
GIANNINO
Quel che mi manda da vossignoria.
POPPONE
Non è ver, non è vero,
vi replico di no;
e all'amico di Roma io scriverò.
(Se si sa del tesoro,
sarà la mia rovina.
Lontani li terrò dalla cantina.)
GIANNINO
Dunque voi non volete
che v'aiuti a cavar...
POPPONE
Mi maraviglio;
di tacer vi consiglio un tal proposito,
o mi vedrete far qualche sproposito.
Chi v'ha detto del tesoro
se ne mente per la gola.
Ah, mi manca la parola
dalla bile ch'ho nel cor.
La mia casa è tutta qui;
le mie stanze, eccole lì;
e di qua v'è la cucina...
casa mia non ha cantina,
e tesoro qui non c'è...
E pensar non so perché...
chi lo crede, non sa niente.
Stia pur certo l'illustrissimo
signor conte stimatissimo,
non c'è niente, in verità.
(parte)
Giannino solo.
Io non la so capire.
Siam restati d'accordo
con Falco d'una cosa; ed or ne trovo
un'altra bella di caratter nuovo.
Che diavolo sarà?
Con questa nobiltà
certo m'imbroglio assai,
che il gentiluomo non l'ho fatto mai.
A farlo mi vorrei un po' provare,
ma non so da qual parte principiare.
Colle dame, colle dame:
«Di madama servitor.
Di buon cor...
all'onor... ~ della beltà.»
Non ci ho grazia, in verità.
Coi signori: «Riverisco,
mi esibisco, ~ mi offerisco
colla nostra autorità...»
Oh, malissimo anderà.
Vuò provar con bassa gente
e vuò fare il prepotente.
«Insolente, ~ non do niente;
pagherò ~ quando vorrò.
Ne ho bisogno: via di qua.»
(ridendo)
Ah, ah, ah. ~ Bene va.
L'ho trovata, in verità.
(parte)
Don Poppone, poi Falco.
POPPONE
Come diavolo mai l'hanno saputo?
Possibile che sia
sino a Roma passata la notizia
del tesoro?... Eh, pensate!
Queste son chiacchierate
che fa Ghiandina. Lei l'averà detto.
Oh vizio delle donne maledetto!
FALCO
Si può venir?
POPPONE
Falco, venite pure.
FALCO
Compatisca, di grazia.
POPPONE
Eh, lo sapete,
vi vedo volentieri.
FALCO
Son venuti da voi due forestieri?
POPPONE
Sì, un conte e una contessa
che vengono di Roma.
FALCO
Altri?
POPPONE
Non altri.
FALCO
(Che Dorina e Giannino
sbagliato abbian la casa?)
POPPONE
E chi doveva
da me venir?
FALCO
Un giovane di garbo,
che Giannino s'appella,
unito ad una bella,
venuti a posta sino di Turchia
per ricercare di vossignoria.
POPPONE
Che vogliono da me?
FALCO
Per quel che intesi
a ragionar fra loro,
credo vadano in cerca d'un tesoro.
POPPONE
San tesori cavar?
FALCO
Credo di sì.
POPPONE
Fateli venir qui.
FALCO
Par che dovrebbero
essere già venuti.
Son forestieri; si saran perduti.
POPPONE
Trovateli di grazia.
FALCO
A ritrovarli
subito andrò.
POPPONE
Ehi, non crediate mica
ch'io pensi di cavar qualche tesoro;
ma parlo volentier di certe cose...
e mi piaccion le genti spiritose.
FALCO
Io di quelli non sono
che cercan gli altrui fatti, ma ho sentito,
così per accidente,
a dir da quella gente
che al signor don Poppone il cielo, il fato,
una fortuna grande ha preparato.
Il cielo vi precipiti
sul capo d'oro i fulmini,
e d'oro una voragine
vi possa subissar.
Marte, Saturno e Venere
con l'oro vi tempestino,
ed i tesor vi facciano
nel giubilo crepar.
(parte)
Don Poppone, poi Ghiandina.
POPPONE
Messer Falco gentil troppo m'onora;
io non mi sento di crepar per ora.
GHIANDINA
È questo il giorno delle seccature.
Altri due forestier che vi domandano.
POPPONE
Chi sono?
GHIANDINA
Io non lo so.
POPPONE
Falco li vide?
GHIANDINA
Signor no; venuti
son eglino di qua,
e Falco se n'è andato per di là.
So ben, per quel che intesi
a dir da loro stessi
che abitavan da lui...
POPPONE
Sì, saran dessi.
Fa' che venghino tosto.
GHIANDINA
Allegramente,
che se cala il denar, cresce la gente.
(parte)
Don Poppone, poi la Contessa ed il Conte.
POPPONE
Falco non li ha incontrati.
Essi per altra via sono arrivati.
Ti ringrazio, fortuna: eccoli qui.
Mi seconda la sorte in questo dì.
CONTE
Riverente m'inchino.
POPPONE
Oh, galantuomo,
che siate il benvenuto.
CONTESSA
Serva sua.
POPPONE
Giovanotta, io vi saluto.
CONTESSA
(Che inciviltà!)
CONTE
(Che trattamento abietto!)
POPPONE
(Si vede che son gente d'intelletto.)
CONTE
Signor, siam qui venuti...
POPPONE
Sono di già informato;
discorreremo insieme.
Quello che più mi preme,
è che voi con la vostra signorina
meco venghiate nella mia cantina.
CONTE
Signor, mi maraviglio;
non si fa un tal invito a' nostri pari.
POPPONE
Nella cantina mia sono i denari.
CONTESSA
Per chi presi ci avete?
POPPONE
Lo so, lo so chi siete;
Falco m'ha detto tutto;
so che per me veniste da lontano,
e in casa mia non resterete invano.
CONTE
Spiegatevi, signore; non capisco.
POPPONE
Sappiate che in cantina...
ma vien gente; non voglio
che sappian quel che passa fra di noi.
Andate, andate; parleremo poi.
CONTESSA
Come!
POPPONE
Non vuò che siate
in casa mia veduti.
CONTE
Perché?
POPPONE
Se conosciuti
siete, mi può accadere qualche intrico.
CONTESSA
Ma noi chi siamo?
POPPONE
Andate via, vi dico.
CONTESSA
Ad una dama?
CONTE
A un cavalier?
POPPONE
Va bene.
So che finger conviene
nobiltà in casi tali, e signoria;
ma vien gente, vi dico, andate via.
CONTESSA
Parto per or, ma si saprà perché:
conto di tutto renderete a me.
(parte)
Don Poppone ed il Conte.
CONTE
Un simil trattamento,
un simile strapazzo,
vi fa credere un pazzo. Io son chi sono;
e in grazia dell'amico vi perdono.
Tenta invan co' suoi vapori
d'oscurar la terra il sole,
ch'ei tramanda i suoi splendori
tra le nubi a scintillar.
Nobil sangue non si oscura
dalla misera ignoranza,
e l'orgoglio a lui non fura
quel che a lui non può donar.
(parte)
Don Poppone, poi Dorina.
POPPONE
In fatti quest'è il solito
di quei che voglion far certi mestieri,
di spacciarsi per dame e cavalieri.
Ecco qui la contessa,
che sola a me s'appressa.
Non mi spiace, per dir la verità;
ma la deggio trattar con nobiltà.
DORINA
Il signor don Poppone
perché ci priva della sua presenza?
POPPONE
Faccio a lei riverenza.
(fa vari inchini)
A lei chiedo perdono;
e servitor della contessa io sono.
DORINA
E la contessa a voi
fa con rispetto i complimenti suoi.
(s'inchina)
POPPONE
(guardandola)
(Com'è graziosa!)
DORINA
(Parmi innamorato.)
POPPONE
S'io fossi in altro stato,
s'io fossi un cavaliere come lei,
forse mi esibirei...
DORINA
Con libertà.
Già intendo, e l'aggradisco.
POPPONE
Oh gran bontà!
DORINA
Per dirvela, signore,
io son venuta qui...
e mi trattiene un certo non so che...
Non posso dirlo.
POPPONE
(È innamorata in me.)
DORINA
(Allettarlo conviene il turlulù.)
POPPONE
(Qualche cosa scoprir voglio di più.)
Di che paese è lei?
DORINA
Non ve lo dice
l'amico nella lettera?
POPPONE
Da Roma
dice che vien, ma non se sia roman.
DORINA
Io son... signor mio... palermitana.
POPPONE
E il marito?
DORINA
Spagnuolo.
POPPONE
E dove vanno,
se è lecito il saperlo?
DORINA
Per il mondo
a conoscer la gente
di merito, di mente,
ch'io venero, ch'io stimo,
fra' quali certo don Poppone è il primo.
POPPONE
Grazie di tanto onor...
DORINA
Con sua licenza,
ora ritorno subito.
(Vo a ritrovar Giannino,
e renderlo avvisato
come ha da dir, se fosse ricercato.)
(parte)
Don Poppone, poi Giannino.
POPPONE
Ora ci avevo gusto, e se n'è andata.
Spero ritornerà.
Mi piace in verità,
e parmi che a lei pur vada a fagiolo.
Oh, s'ella lo spagnuolo
non avesse in consorte,
non uscirebbe più da queste porte.
Eccolo qui.
GIANNINO
Saprebbe
dirmi vossignoria
dove si trova la consorte mia?
POPPONE
Poc'anzi è stata qui. Se l'illustrissimo
signor conte comanda,
a richiamar la mando diviato.
GIANNINO
(con gravità)
Non importa, signor; bene obbligato.
POPPONE
Ah, come si conosce
in un'occhiata sola
nel signor conte la nazion spagnuola!
GIANNINO
Io spagnuolo non sono.
POPPONE
No? di dove?
GIANNINO
Son fiorentino.
POPPONE
(Averò inteso male.)
E la sua dama?
GIANNINO
E la mia dama... è nata
signore... in Macerata.
POPPONE
Non è nata in Palermo?
GIANNINO
Oibò. Perché?
POPPONE
(Non la capisco.)
GIANNINO
(Qualche imbroglio c'è.)
POPPONE
E, se si può sapere,
perché venuti sono
in questo nostro stato?
GIANNINO
Siam venuti a comprare un marchesato.
POPPONE
La signora contessa
detto non ha così.
GIANNINO
Che vi disse la dama?
POPPONE
Eccola qui.
Dorina e detti.
DORINA
(Non vorrei che Giannino
m'avesse contraddetto.)
GIANNINO
(Qualche imbroglio m'aspetto. Or si saprà.)
POPPONE
(Voglio un poco scoprir la verità.)
(a Dorina)
Signora,
(a Giannino)
con licenza,
(piano a Dorina)
non mi ricordo ben la patria sua.
DORINA
(forte che Giannino senta)
Palermo.
POPPONE
(piano a Giannino)
Sente lei, signor toscano?
GIANNINO
(forte)
È vero, è vero, io son palermitano.
DORINA
(Diavolo!)
POPPONE
(a Dorina)
Non è lui? Non è spagnuolo?
DORINA
Egli è oriundo di Spagna.
GIANNINO
Oriunda è la contessa di Romagna.
DORINA
Io son...
GIANNINO
Di Macerata.
DORINA
In Palermo allevata.
Egli è del suolo ispano.
GIANNINO
Ma per educazion sono toscano.
POPPONE
E sono qui venuti...
DORINA
Si sa...
GIANNINO
Già l'ho svelato...
DORINA
Per conoscenze...
GIANNINO
E per il marchesato.
DORINA
Titolo rispettoso...
GIANNINO
Che vogliamo comprare...
DORINA
Oh, signor sì.
GIANNINO
Non è vero, contessa?
DORINA
Ella è così.
POPPONE
(piano a Dorina)
Vi è un pochino d'imbroglio;
ma tutto creder voglio,
quando trovi che sia la verità
che abbiate in mio favor della bontà.
DORINA
(piano a don Poppone)
Di ciò siete sicuro.
POPPONE
(piano a Dorina)
Il signor conte
ch'io la possa servir sarà contento?
DORINA
(piano a don Poppone)
Contento, contentissimo.
(forte a Giannino)
Non è vero, marito?
GIANNINO
Sì, è verissimo.
(Per dubbio di fallire,
tutto quel ch'ella vuol mi convien dire.)
POPPONE
Conte mio, per tutti i titoli
or vi voglio venerar:
per il sangue e per il merito,
perché siete ricco e nobile,
e per questa sposa amabile
ch'io mi pregio d'onorar.
GIANNINO
Obbligato per i termini;
obbligato del buon animo;
ma poi tanto per la femmina
non vi state a incomodar.
DORINA
(a don Poppone)
Non ricuso di ricevere
le sue grazie preziosissime.
Egli è un uom di buone viscere,
non lo voglio disgustar.
GIANNINO
Di grazie carico
non vuò lo stomaco.
DORINA
Son cibi teneri,
si digeriscono.
POPPONE
Non si esibiscono
che cose lecite,
che cose facili
da digerir.
DORINA
(a Giannino)
Signor conte, una parola.
GIANNINO
(a don Poppone)
Con licenza.
(a Dorina, accostandosi)
Eccomi qua.
DORINA
(piano a Giannino)
Se non facilita,
se non s'accomoda,
signor sofistico,
non mangerò.
GIANNINO
(piano a Dorina)
Dice benissimo,
non so rispondere:
quel ch'è possibile
si soffrirà.
DORINA
Don Poppone, una parola.
POPPONE
(a Giannino)
Con licenza.
(a Dorina, accostandosi)
Eccomi qua.
DORINA
(piano a don Poppone)
Quell'occhio languido,
quel labbro tenero,
in me cuor docile
ritroverà.
POPPONE
(piano a Dorina)
Fermo qual rovere,
qual scoglio stabile,
per lei gratissimo
mio cuor vivrà...
GIANNINO
(a don Poppone)
Favorisca.
POPPONE
Mi comandi.
GIANNINO
Cosa dice?
POPPONE
Lo domandi.
Dalla dama lo saprà.
GIANNINO
(a Dorina)
Faccia grazia.
DORINA
(a Giannino)
Cosa vuole?
GIANNINO
Cos'ha detto?
DORINA
Non si sa.
GIANNINO
(a tutti e due)
Questa è poca civiltà.
POPPONE
(a Giannino)
Signor mio...
GIANNINO
Mi maraviglio.
DORINA
Cos'è stato?
GIANNINO
Son chi sono.
POPPONE
(a Giannino)
Non vorrei...
GIANNINO
Troppa licenza.
DORINA
(a Giannino)
Pazzo siete.
GIANNINO
È un'insolenza.
DORINA
(a don Poppone)
Non badate.
GIANNINO
Son marito.
POPPONE
Oh, padron mio riverito.
POPPONE, GIANNINO E DORINA
Che si taccia: ~ non si faccia
fra di noi pubblicità.
Che si salvi almen la mostra
della nostra nobiltà.
(partono)
Cortile in casa di don Poppone.
La Contessa ed il Conte.
CONTE
Strepiti, precipizi? adagio un poco.
Vuol la mia convenienza
che, pria della partenza,
sappiasi la cagione
del trattamento vil di don Poppone.
CONTESSA
Eh, che siam conosciuti;
un pazzo non offende,
e l'oro, si suol dir, macchia non prende.
CONTE
Ma l'affronto richiede...
CONTESSA
Non è questo
che vi trattien, ma vi conosce in cera.
Evvi l'avventuriera.
Dorina ho qui veduta,
e d'accordo con voi sarà venuta.
CONTE
Ma voi pensate mal...
CONTESSA
Non parlo invano.
Don Poppone il mezzano
fa in casa sua così?
Don Poppone è un villan...
CONTE
Zitto, gli è qui.
Don Poppone e detti.
POPPONE
Che rumore è mai questo?
CONTESSA
In casa vostra
non mi credeva mai
veder quel che ho veduto.
POPPONE
Avete visto?
CONTESSA
Siete assai ben provvisto:
non vi mancherà certo argento ed oro.
POPPONE
Mi lusingo ancor io d'un bel tesoro.
CONTE
(a don Poppone)
Non le state a badar.
CONTESSA
E mio marito
volete far a parte
di sì bella fortuna?
POPPONE
In verità,
ho intenzione di far seco a metà.
CONTESSA
Bravissimo davvero!
Codesto è un bel mestiero;
ma non vi riuscirà, lo giuro al cielo,
ch'io scoprirò di queste trame il velo.
POPPONE
Non fate, per pietà!
CONTESSA
Col mio consorte
perché voler dividere
delle vostre fatiche il tristo frutto?
POPPONE
La metà non gli basta? E che? vuol tutto?
CONTESSA
Quel ch'ei voglia non so, ma so ben io
che non lo soffro al certo,
e che il disegno rio sarà scoperto.
POPPONE
Voi mi volete rovinar...
CONTESSA
Tacete.
POPPONE
Ma per pietade...
CONTESSA
Un perfido voi siete.
Chi son io pensate prima,
traditor della mia pace.
Ah, da voi sì poca stima
dell'onor dunque si fa?
Che viltà! ~ che rio costume!
Qualche nume, qualche stella,
l'alma fella ~ punirà.
Sposo ingrato, amico indegno,
state certi che 'l mio sdegno
sue vendette far saprà.
(parte)
Il Conte e don Poppone.
POPPONE
Che diavolo ha con me quella ragazza?
Ditemi il ver: la poverina è pazza?
CONTE
Tutta la sua pazzia
sta nella gelosia.
POPPONE
Di chi è gelosa?
CONTE
Di quella forestiera
ch'è alloggiata da voi. Crede ch'io l'ami;
crede che voi l'abbiate
qui introdotta da me; crede...
POPPONE
Pian, piano.
Crede dunque...
CONTE
Che a me fate il mezzano.
POPPONE
Or capisco la sua bestialità.
CONTE
E crede che vogliam far a metà.
POPPONE
Io dicea del tesoro.
CONTE
Ed ella intese
che voleste un tesor chiamar Dorina.
POPPONE
Io m'intesi il tesor della cantina.
CONTE
Eccoci qui; vi pare
che consista nel ber tutto il decoro?
POPPONE
Non vi parlo del vin; parlo dell'oro.
CONTE
L'oro nella cantina?
POPPONE
No 'l sapete?
Qua venuti non siete
per aiutarmi a far la scavazione?
Falco m'ha detto pure
che in ciò siete eccellenti,
e che, circa ai tesor, fate portenti.
CONTE
(Vuò secondar per iscoprire il vero.)
In fatti il mio mestiero
è di cavar tesori.
POPPONE
E per nascondervi
fingete nobiltà.
CONTE
Certo.
POPPONE
Va bene;
ma assicurar conviene
della vostra signora il dubbio strano,
che si crede ch'io far voglia il mezzano.
Perché per dirla schietta, padron mio,
la grazia di madama la vogl'io.
CONTE
Siete di lei amante?
POPPONE
Ch'io l'ami non dirò con grande amore;
ma mi ha fatto l'onore
di dirmi tante cose
dolcissime, amorose,
che quantunque da ciò fossi lontano,
di lei mi fece innamorar pian piano.
CONTE
Anch'io, per dir il vero,
ho per lei della stima; evvi per altro
uno non so s'io dica
di lei amante o sposo,
che m'inquieta non poco, ed è geloso.
POPPONE
All'incontro con me quel galantuomo
facilita a tal segno
che dimostra per me tutto l'impegno.
CONTE
Non so che dire; invidio il vostro stato.
Siete assai fortunato.
POPPONE
Altro non manca,
per rendermi contento,
che caviamo il tesor.
CONTE
Per me son qui.
(Mi consiglia l'amor finger così.)
(Un tenero affetto
mi serpe nel petto.
Che in mezzo al desire
languire ~ mi fa.)
Di me disponete,
che prove averete
di mia fedeltà.
(Già sento ~ che amore
fra speme e timore
tormento ~ mi dà.)
(parte)
Don Poppone, poi Falco.
POPPONE
A me doppia fortuna
in questo dì s'appressa:
avrò il ricco tesoro e la contessa.
FALCO
E ben, sono venuti
quei del tesoro?
POPPONE
Sì, sono arrivati,
ed ambo in casa mia sono alloggiati.
FALCO
Che ve ne par?
POPPONE
Volevano
negar la scienza loro.
FALCO
Fanno per mantenerla con decoro.
POPPONE
Si voleano spacciare
l'uno per cavalier, l'altro per dama.
FALCO
Fan per accreditar la loro fama.
POPPONE
Ma io con buona grazia
mostrai d'essere istrutto,
e l'uomo alfin m'ha confessato tutto.
FALCO
Li avete regalati?
POPPONE
Non ancora;
farlo destino allora
ch'avrò veduto l'opra sua valente.
FALCO
Signor mio caro, non farete niente.
Quando abbiate di loro
fede, concetto e stima,
io vi consiglio regalarli in prima.
POPPONE
Perché?
FALCO
Perché in tal guisa,
vedendo che voi siete
uom generoso e onesto,
faran le cose più polito e presto.
POPPONE
Cosa gli potrei dar?
FALCO
Potreste dare
un anel di diamanti alla signora,
e all'uom di genio avaro
una borsa con dentro del denaro.
POPPONE
Un anello? una borsa?
L'anello eccolo qui.
La borsa ora non l'ho.
FALCO
Convien trovarla.
POPPONE
A ritrovarla andrò.
(parte)
Falco, poi Dorina.
DORINA
(affettando gravità)
Eh, ehm, un passo in là.
Un po' più di rispetto e civiltà.
FALCO
Che vuol dire?
DORINA
Vuol dir ch'io son chi sono.
FALCO
Oh, questa sì è bellissima!
DORINA
E mi viene un pochin dell'illustrissima.
FALCO
Buono! da quando in qua
questa gran nobiltà?
DORINA
Dall'ora istessa
che mi faceste diventar contessa.
FALCO
Io?
DORINA
Chi dunque ha piantato
a don Poppone, con astuzie pronte,
ch'io son contessa, e che Giannino è conte?
FALCO
E per tali vi crede?
DORINA
Avrebbe forse
d'aver difficoltà?
Vi par che nobiltà non abbia in volto?
So favellare anch'io con labbro sciolto.
So dire e comandare,
e volere e mandare,
e passeggiare altera,
e minacciar severa,
difendere, proteggere,
decidere, correggere
e so come si fa,
e so anch'io sostener la gravità.
FALCO
Adagio, adagio un poco.
DORINA
Si può saper com'è?
FALCO
Qui v'è un imbroglio.
Don Poppone senz'altro ha equivocato;
vi crede il conte e la contessa Nastri.
DORINA
Egli mi creda nastro,
o fettuccia, o cordella, o stringa, o spago,
quest'accidente è vago; e fin che dura,
da dama voglio far la mia figura.
FALCO
Ci perderete poi.
DORINA
Perché?
FALCO
So io
che, per consiglio mio,
regalarvi doveva;
ora non lo farà
per soggezione della nobiltà.
DORINA
Per un regalo poi,
se avesse tal idea,
gli rinunzio il damato e la contea.
FALCO
Procurate d'averlo
con la vostra prudenza, e con bell'arte.
DORINA
A voi la vostra parte
riserbata sarà.
FALCO
Da voi non voglio
altro, Dorina amata,
per parte mia che una benigna occhiata.
Se con quell'occhio moro
voi mi guardate un po',
sarà per me un tesoro
che più bramar non so.
Se poi quel labbro dice:
«Di te pietade avrò»,
sarò, mio ben, felice,
di gioia morirò.
Ma non crediate già...
mi piace l'onestà;
son uom che si contenta
di quel che aver si può.
(parte)
Dorina, poi Giannino.
DORINA
Confessar poi conviene
che Falco è un uom dabbene,
che in lui non v'è malizia,
e che fa quel che fa per amicizia.
GIANNINO
E quando si conclude?
E quando si va via?
Io non posso più star, Dorina mia.
DORINA
Il signor don Poppone
ha preparato, lo sepp'io testé,
un regalo per voi, uno per me.
GIANNINO
Pigliam quel che si puole,
ch'io più impazzir non voglio:
il tesor, la contea... quest'è un imbroglio.
Don Poppone e detti.
POPPONE
Eccomi di ritorno;
compatite di grazia,
se vi trattai finor con malagrazia.
DORINA
Per verità, signore,
mi pare un poco strana
la privazione della sua presenza.
GIANNINO
Ma se vuol tornar via, gli diam licenza.
POPPONE
Garbato cavaliere, in verità,
amante qual son io di libertà.
DORINA
Che avete nelle mani?
POPPONE
Niente, niente:
una piccola borsa
con un po' di denaro.
GIANNINO
E per che fare?
POPPONE
Così, per impiegare
in un certo negozio.
DORINA
Affé, scommetto
che far volete un qualche regaletto.
POPPONE
Brava, brava, contessa!
L'avete indovinata.
DORINA
Esser dée regalata
una femmina forse?
GIANNINO
E un uomo ancora?
POPPONE
L'anello a una signora
di dare ho destinato,
e ad un uom questa borsa ho preparato.
DORINA
(Buono!)
GIANNINO
(Buono davvero!)
DORINA
E può sapersi
chi sia colei che quest'anello avrà?
GIANNINO
Si può sapere a chi la borsa va?
POPPONE
Va la borsa e l'anello a due persone
di bassa condizione.
DORINA
In verità,
quell'anello sarebbe il caso mio.
GIANNINO
Mi degnerei di quella borsa anch'io.
POPPONE
Eh, so ben che scherzate.
A un conte, a una contessa,
non mancano denari e pietre belle,
né si degnan di queste bagattelle.
DORINA
Se volete provar...
GIANNINO
Su via, provate.
POPPONE
Che caro cavalier! So che scherzate.
Il Conte, la Contessa e detti.
CONTE
Signor, la sposa mia
vuol senz'altro andar via.
CONTESSA
Voglio partire;
ve 'l son per civiltà venuta a dire.
POPPONE
Fermatevi, signora;
deh, non partite ancora.
Preparato ho per voi qualche cosetta.
(alla Contessa)
A voi l'anello,
(al Conte)
e a voi questa borsetta.
CONTE
A me denaro? A me tal villania?
Chi credete ch'io sia?
Mi renderete conto,
uomo incivil, del replicato affronto.
(parte)
CONTESSA
Signor, mi maraviglio.
Chiamomi offesa anch'io:
un anello non si offre a una par mio.
(parte)
Don Poppone, Dorina, Giannino.
DORINA
Chi son questi superbi?
POPPONE
Gente vile.
GIANNINO
Non san la civiltà.
DORINA
Ricusar i regali? oh che viltà!
Chi è nato ben, gradisce.
GIANNINO
Se un amico offerisce,
si accetta la finezza.
DORINA
Un regalo così non si disprezza.
POPPONE
Sdegnarvi non vorrei;
per altro offerirei...
DORINA
No, non mi sdegno:
accettare dell'amicizia un pegno.
POPPONE
(a Dorina)
L'anello?...
DORINA
(prende l'anello)
Obbligatissima.
POPPONE
(a Giannino)
La borsa?...
GIANNINO
(prende la borsa)
Obbligatissimo.
POPPONE
Cavaliere umanissimo!
Dama di cor gentile ed amorevole!
DORINA
Io son grata, signore.
GIANNINO
Io son degnevole.
M'han lasciato in testamento
gli avi miei del cinquecento
accettar per civiltà
tutto quel che venirà.
Venga poco, venga assai,
ricusar non soglio mai;
e vorrei, se fossi donna,
di mio nonno e di mia nonna
eseguir la volontà.
(parte)
Don Poppone e Dorina.
POPPONE
Gli antenati del conte
han fatto testamento
rispettabile certo ai giorni nostri;
così avessero fatto ancora i vostri.
DORINA
Ma vivere soggetta
degg'io, seguendo delle nozze il rito,
sotto le leggi anch'io di mio marito.
POPPONE
Dunque, per obbedire
agli antenati suoi,
tutto quel che vi dan, prendete voi?
DORINA
Tutto non so. V'è un certo codicillo
che permette talora il dir di no.
POPPONE
Per esempio, se io
vi donassi un tesor?
DORINA
L'accetterei.
POPPONE
E se v'offrissi il cuor?
DORINA
Ci penserei.
Dirò, come diceva
in Venezia, sua patria, una ragazza:
«Del vostro cuor cossa voleu che fazza?»
E poi su tal proposito,
con quella veneziana sua grazietta,
gli cantava così la canzonetta:
Sior omo generoso
el cuor vu me offerì?
Cossa m'importa a mi
de sto regalo?
Co no gh'avè de meggio
con mi per farve onor,
tolè sto mio conseggio,
no stè a parlar d'amor;
tegnivelo, godevelo,
salvevelo, pettevelo,
sior generoso, el cuor.
El cuor val un tesoro,
lo so che me dirè,
ma pochi ghe ne xe
che sia sinceri.
No sta in to le parole
el merito maggior;
ghe xe delle cariole
che gh'à un bell'esterior;
tegnivelo, godevelo,
salvevelo, pettevelo,
che mi no credo al cuor.
La xe una bella prova
per dir che se vol ben,
quando che zo se vien
coi regaletti.
La xe una cossa equivoca
sto dir: «ve porto amor»;
ma penetra le viscere
dell'oro el bel splendor.
Tegnivelo, godevelo,
salvevelo, pettevelo,
che no ve vedo el cuor.
No l'è certo interesse
quello che parla in mi;
me fa pensar cussì
l'usanza sola.
Se a vu no se ve crede,
no, no ve fè stupor,
che se cognosce e vede
dall'opere l'amor.
Tegnivelo, godevelo,
salvevelo, pettevelo,
senza le prove el cuor.
(parte)
Don Poppone, poi Ghiandina.
POPPONE
La testa non so più dove ch'io l'abbia.
Cento cose contrarie
ritrovo ogni momento,
e deluso restare alfin pavento.
Questa mi diè speranza;
ora cambia linguaggio... I due stranieri,
venuti per cavar meco il tesoro,
ricusano gli anei, ricusan l'oro;
e intanto il tempo perdo
e l'amore s'avanza... Ecco Ghiandina;
e lei, la poverina,
lasciata in abbandono?...
Oh davvero, davver, confuso io sono.
GHIANDINA
Signor padron, mi dia
la mia buona licenza; io vado via.
POPPONE
Come! perché?
GHIANDINA
Perché s'è ritrovata
un'altra innamorata;
ed io, signor, non ve ne abbiate a male,
io non voglio servire una rivale.
POPPONE
Chi v'ha detto?...
GHIANDINA
So io quel che ragiono;
sorda e cieca non sono.
In fatti, lo confesso da me stessa,
devo ceder il loco alla contessa.
POPPONE
Ma... non è ver...
GHIANDINA
Eh, sì signor, ch'è vero.
Ho veduto, ho sentito;
so dei teneri affetti,
e so che le faceste i regaletti.
POPPONE
(Come lo sa?)
GHIANDINA
Però mi maraviglio
veder da voi cambiata
una fanciulla in una maritata.
POPPONE
(Ha ragione costei.)
GHIANDINA
Già ve l'ho detto,
e ve lo torno a dire:
datemi la licenza; io vuò partire.
POPPONE
No, Ghiandina, restate:
se voi m'abbandonate, io morirò.
GHIANDINA
Certo non resterò
se voi più non mi amate,
se voi non licenziate
una rivale che mi dà tormento.
POPPONE
Vado in questo momento
a licenziarla; a far che vada via.
Non vi vuò disgustar, Ghiandina mia.
Idol mio, non posso star.
Io mi sento intenerir
quando penso a quel bel volto
che m'ha colto ~ in mezzo al cor.
Luci belle, ~ vaghe stelle,
bei rubini ~ porporini,
latte e rose, ~ cento cose
vorrei dire, e non so dir.
Idol mio... oh che bellezza!
Io mi sento intenerir.
(parte)
Ghiandina sola.
Pur mi lusingo, e spero
ch'egli mi dica il vero.
Un uomo innamorato
qualche volta si scorda il primo amore;
ma torna poi dove ha fissato il core.
Donne belle, che bramate
sian fedeli i vostri amanti,
se vi sembrano incostanti,
non li state a tormentar.
Con le buone procurate
di ridurli al primo foco;
li vedrete a poco a poco
nella rete ritornar.
(parte)
Cantina oscura.
Falco con lume, poi Don Poppone, poi Dorina e Giannino travestiti da spiriti.
FALCO
(parla verso la scena)
Ritiratevi pur con questo lume
là in quell'interno loco,
ché don Poppone qui verrà fra poco.
Per dir la verità,
non ci sto volentieri nemmen io;
ma vuol l'impegno mio
che s'approfitti un po' dell'occasione,
della credulità di don Poppone.
Là dentro v'è il bisogno
d'abiti e d'altre cose necessarie.
Eccolo con il lume,
e seco ha gli strumenti.
Or ora il pazzo vederà i portenti.
(don Poppone con lume in mano, una zappa e una vanga)
POPPONE
Siete qui?
FALCO
Sì, signor.
POPPONE
Ma dove sono
i nostri operatori?
FALCO
Zitto, son qui di fuori:
saranno in nostro aiuto.
Questo foglio m'han dato,
in cui sta lo scongiuro registrato.
POPPONE
Eran meco sdegnati.
Come si son placati?
FALCO
In grazia mia;
poi, cavato il tesoro, andranno via.
POPPONE
Han per offesa avuto
il regal della borsa e dell'anello.
FALCO
Dell'anel, della borsa,
voi che n'avete fatto?
POPPONE
Li regalai sul fatto
al conte e alla contessa,
che trovaronsi là per accidente.
FALCO
(Niuno m'ha detto niente.
Ancor non so capire
chi per conte e contessa intenda dire.)
POPPONE
E ben, che s'ha da fare?
Ecco, per iscavare
portati ho gl'istrumenti.
FALCO
Avete ori ed argenti?
POPPONE
E questi ancora
portati ho meco.
FALCO
Principiamo or ora.
Dite come dich'io.
POPPONE
Mi raccomando a voi.
FALCO
L'impegno è mio.
Spirti erranti.
POPPONE
Spirti erranti...
FALCO
Del regno di Dite.
POPPONE
Del regno di Dite...
FALCO
Qua comparite.
(don Poppone non replica)
Conviene seguir.
POPPONE
Un po' di paura
mi sento venir.
FALCO
Coraggio.
POPPONE
Coraggio.
POPPONE E FALCO
Conviene soffrir.
FALCO
Qua comparite.
POPPONE
Qua comparite...
FALCO
Al mio cospetto.
POPPONE
Al mio cospetto...
FALCO
Con orrido aspetto.
POPPONE
Con orrido... ohimè!
FALCO
Tremate?
POPPONE
No, no.
FALCO
Coraggio.
POPPONE
Coraggio.
Timore non ho.
(dentro la grotta si sente strepito di catene)
FALCO
Sentite le catene?
Lo spirito se n' viene.
POPPONE
(tremando)
Ti-ti-mor non ho.
FALCO
Coraggio.
POPPONE
Coraggio.
POPPONE E FALCO
Timore non ho.
FALCO
Il diavolo s'appressa.
POPPONE
Che non s'accosti qua.
FALCO
E vi è la diavolessa.
POPPONE
Sì brutta non sarà.
(escono Dorina e Giannino travestiti)
FALCO
Cava, cava, don Poppone.
POPPONE
Oh che brutto diavolone!
FALCO
Cava, cava la cantina.
POPPONE
Oh che bella diavolina!
FALCO
Principiate a lavorar.
POPPONE
Questo qui no 'l vuò mirar.
FALCO
Via, cavate, ~ seguitate
la lezion che s'ha da far.
(don Poppone cava la terra)
TUTTI
Farfarello,
Gambastorta,
porta, porta
il mio tesoro.
(mentre don Poppone batte la zappa)
DORINA E GIANNINO
Oro, oro.
FALCO
Ai spirti dell'oro
conviene offerir.
POPPONE
Dell'oro... gnor sì...
piuttosto di qui.
(lo dà a Dorina)
FALCO
Cavate, battete.
GIANNINO
Monete, monete.
(battendo don Poppone)
POPPONE
Oh misero me!
DORINA
Porgetele a me.
FALCO
Cavate il tesoro.
GIANNINO
Dell'oro, dell'oro.
(battendolo come sopra)
POPPONE
Non più, per pietà.
DORINA
Porgetelo qua.
FALCO
Seguite a cavar.
POPPONE
Non posso durar.
GIANNINO
Dell'oro per me.
(come sopra)
POPPONE
Se più non ce n'è!
DORINA, GIANNINO E FALCO
Se l'oro è finito,
l'incanto compito
per ora sarà.
POPPONE
Ma dov'è il tesoro?
DORINA, GIANNINO E FALCO
Vedetelo qua.
(spengono il lume)
POPPONE
Ohimei, ohimei!
Falco, ove sei?
DORINA, GIANNINO E FALCO
Gambastorta, Farfarello,
via conduci il pazzarello.
POPPONE
Falco, Falco.
DORINA, GIANNINO E FALCO
Via di qua lo strascinate.
POPPONE
Falco, Falco, per pietà.
DORINA, GIANNINO E FALCO
Se non dice «evviva l'orco»,
bastonato come un porco
don Poppone si vedrà.
POPPONE
Viva l'orco.
TUTTI
Viva l'orco, e l'orca anch'essa;
e la bella diavolessa
il tesor si goderà.
Diavoli qua.
Diavoli là.
La diavolessa contenta se n' va.
(partono)
Camera.
Il Conte e la Contessa.
CONTESSA
Offerirmi denari?
Tal onta a una mia pari?
Simulare non vuò tale strapazzo.
CONTE
Ma no 'l vedete? don Poppone è un pazzo.
CONTESSA
No, no, tal non lo credo;
sanamente lo vedo
oprar in altre cose. Un qualche inganno
che vi sia, convien dire;
e prima di partir mi vuò chiarire.
CONTE
Certo, per dire il vero,
egli ci ha fatto un trattamento tale
che giudicar dobbiamo
che non creda che siam quelli che siamo.
CONTESSA
Vuole il decoro nostro
che prima di partir si disinganni,
e sappia qual conviene
rispettar una dama.
CONTE
Eccolo, ei viene.
Don Poppone e detti.
POPPONE
Maledetti stregoni,
ancora siete qui?
CONTE
Come parlate?
POPPONE
Sento sul dorso ancor le bastonate.
CONTESSA
Ma, signor don Poppone,
per chi voi ci credete?
POPPONE
Per due che amici siete del demonio,
e son le spalle mie buon testimonio.
CONTE
Voi parlate da stolto.
CONTESSA
O siete tale,
o di cantina il vin v'ha fatto male.
POPPONE
Sì, appunto la cantina
mi ha fatto mal, m'impegno:
non col vino, però, ma con il legno.
CONTE
Che ragionare è il vostro?
POPPONE
In due parole:
o fate che il demonio
rendami i miei denari trappolati,
o voi sarete al giudice accusati.
CONTESSA
Eh, portate rispetto
al conte Nastri e alla contessa sposa.
POPPONE
Al conte e alla contessa
io son buon servitore.
Ricevo per onore
le grazie che mi fanno,
e voi andate via con il malanno.
CONTE
Come! Chi siamo noi?
CONTESSA
Ci conoscete?
POPPONE
Vi torno a dir che due stregoni siete.
CONTE
Non son io il conte Nastri?
POPPONE
Voi?
CONTESSA
Non sono
dunque io la Contessa?
POPPONE
Voi?
CONTE
Da Roma
non mi raccomandò l'amico?
POPPONE
Voi?
CONTESSA
Non c'invitaste in casa vostra?
POPPONE
Voi?
CONTE
Qual maraviglia è questa?
Se dubbio alcun vi resta,
dell'amico comune ecco più fogli.
(dà alcuni fogli a don Poppone)
CONTESSA
Siete in errore, o vi prendete spasso?
Ci conoscete voi?
POPPONE
(dopo aver letto)
Resto di sasso.
CONTE
Che dite di stregoni?
CONTESSA
Che dite di denar?
CONTE
Perché offerirmi
una borsa vilmente?
CONTESSA
A me offerire
un anello perché?
POPPONE
Non so che dire.
Un equivoco è stato...
so che fui bastonato...
dunque saran quegli altri... E come mai?
Vi domando perdono; io m'ingannai.
Com'è stata, dir non so;
ma chiarire mi saprò.
Aspettate... non vorrei...
perdonate... non saprei...
a chi credere dovrò?
Dubitar posso di voi;
dubitar posso di loro.
Sono incerto del tesoro,
tutto dice sì e no.
Quel ch'è certo e indubitato,
è che m'hanno bastonato,
e tesori più non cavo,
ed il bravo ~ più non fo.
(parte)
Il Conte e la Contessa.
CONTESSA
Il misero è ingannato.
CONTE
Io lo previdi,
che il facea delirar qualche pazzia.
CONTESSA
Prima ch'altri ci turbi, andiamo via.
CONTE
Senza veder nemmeno
Napoli, che a goder venuti siamo?
CONTESSA
A Roma ritorniamo.
Vedo che il fato al mio piacer contrasta.
Ho goduto finor tanto che basta.
Più bel diletto
sperar non oso,
oltre l'affetto
del caro sposo,
che a me fedele
conservi il cor.
Torniamo, o caro,
nel patrio nido,
ché 'l dubbio amaro
che siate infido,
rende crudele
lo stesso amor.
(parte)
Il Conte solo.
La compatisco, e compiacerla io voglio.
Non è piccolo imbroglio
quello in cui m'ho trovato.
Vissi finor beato,
fido alla sposa mia nel mio paese:
perché perder la pace a proprie spese?
Non si conosce il bene
allor quando si prova;
qualche disastro giova
le brame a moderar.
A stabilir si viene
il cor nella sua pace,
se può d'un mal che piace
l'inganno ravvisar.
(parte)
Dorina, Giannino e Ghiandina.
GHIANDINA
Tant'è, signori miei, scoperti siete.
Andarvene dovrete, e forse in pena
della vostra malizia,
render conto dovrete alla giustizia.
GIANNINO
Io non so che vi dite.
DORINA
Io non so nulla.
GHIANDINA
(a Dorina)
Che innocente fanciulla!
(a Giannino)
Che giovane dabbene!
Da ridere mi viene. Il signor conte,
la signora contessa!
Il diavolone con la diavolessa!
Il povero padrone assassinato,
rubato, bastonato.
Tutto vidi dall'uscio di cantina.
GIANNINO
Abbiateci pietà, cara Ghiandina.
DORINA
Falco n'è la cagione.
GHIANDINA
Lo so che quel briccone l'ha ingannato;
ma sarà, come merta, castigato.
DORINA
Ma voi, come c'entrate?
GHIANDINA
Ci ho da entrare
più assai che non credete,
poiché, se no 'l sapete,
per serva sono entrata in queste porte,
ma del padrone diverrò consorte.
Sì, signori, così è,
il padron mi sposerà.
Il padrone premierà
il mio amore e la mia fé.
E voi altri cabaloni,
che faceste gli stregoni,
partirete via di qua.
Il briccone-diavolone,
la contessa-diavolessa,
al padron la pagherà.
(parte)
Dorina e Giannino.
GIANNINO
Me la vedo imbrogliata.
DORINA
Io per vostra cagion son rovinata.
GIANNINO
Per me?
DORINA
Certo per voi;
siam giunti al precipizio
per il vostro pochissimo giudizio.
GIANNINO
Qua venir non volea...
DORINA
Senza denari,
che s'aveva da far? Voi mi faceste
fuggir di casa mia.
Se la miseria vostra
avessi preveduta,
no, certamente, non sarei venuta.
GIANNINO
L'ho fatto per amor.
DORINA
Che bell'amore!
Si perderà l'onore,
si perderà la libertà e la vita.
Rimediarci convien.
GIANNINO
Come?
DORINA
Fuggire
al meglio che si può da disperati.
GIANNINO
Fuggirem tutti due.
DORINA
Ma separati.
GIANNINO
Separati perché?
DORINA
Perché mi basta
quel che finora ho seco voi passato.
GIANNINO
Misero, disgraziato!
DORINA
Oh povera Dorina!
GIANNINO
Sono in disperazion!
DORINA
Sono in rovina.
Falco e detti.
FALCO
Siete qui?
GIANNINO
Siamo qui precipitati.
DORINA
Voi ci avete del tutto assassinati.
FALCO
Buone nuove vi reco.
GIANNINO
Se vi trovano,
le nuove anche per voi saran cattive.
FALCO
(a Giannino)
Questo foglio leggete.
GIANNINO
(prendendo il foglio)
E chi lo scrive?
FALCO
Leggete, e sentirete
che il vostro genitore
vi ha fatto il bel favore,
per rendervi giocondo,
di andarsene di trotto all'altro mondo.
DORINA
È morto il padre suo?
FALCO
Certo, certissimo.
DORINA
Giannino, è ver?
GIANNINO
Dorina mia, è verissimo.
DORINA
Dunque mi sposerete,
dunque mi condurrete
giorni lieti a passare in altro loco?
GIANNINO
Lasciatemi per or piangere un poco.
(siede in atto di piangere)
FALCO
Lasciate che si sfoghi il poveretto;
la natura vorrà fare il suo effetto.
Mi consolo con voi; ma vado subito
a trovar don Poppone.
Aggiustarla conviene;
rendergli le monete a lui levate,
e chieder scusa delle bastonate.
DORINA
Come si potrà far?
FALCO
Non ci pensate.
Anch'in questo l'impegno a me lasciate.
Veleggiar secondo il vento
noi dobbiam nel nostro mare,
e la bussola adoprare
se a seconda non si va.
Ho una testa ~ che tempesta,
non paventa in mezzo all'onda.
Si confonda ~ chi non ha
la mia grande abilità.
(parte)
Dorina e Giannino.
DORINA
Dunque sperar possiamo
che tutto anderà bene, il mio Giannino.
GIANNINO
Povero padre: è morto il poverino!
(stando mesto a sedere)
DORINA
Cosa volete far? Chi è morto, morto.
Prendiamoci conforto
dallo sperar, come sperar conviene,
che alfin le cose nostre anderan bene.
GIANNINO
Non mi posso dar pace.
(come sopra)
DORINA
Egli era vecchio,
imperfetto, stroppiato,
e doveva morir.
GIANNINO
Mio padre è andato.
(come sopra)
DORINA
Anch'io, quando rammento
mia madre che per voi ho abbandonata,
son tutta appassionata,
ma mi consolo al mio Giannino appresso,
e dovreste per me fare lo stesso.
GIANNINO
O povero mio padre,
che tanto buono fu!
È morto il poverino,
e non lo vedrò più.
(mentre Giannino canta ciò con mestizia, Dorina l'ascolta un poco, e poi bel bello s'allontana, e va a sedere sopra un'altra sedia)
DORINA
Oh povera mia madre,
vuol tanto bene a me!
Ed io l'ho abbandonata;
e non la vedrò, ohimè.
(Giannino, sentendo che Dorina si lamenta, s'alza, s'accosta, ed ella seguita. Egli si allontana un poco; ed ella s'alza, e si vanno bel bello accostando)
GIANNINO
Oh povero mio padre!
DORINA
Oh povera mia madre!
GIANNINO
Che tanto buono fu.
DORINA
Vuol tanto bene a me.
GIANNINO
È morto il poverino.
DORINA
Più non la vedo, ohimè.
GIANNINO
(guardando Dorina)
È morto mio padre.
DORINA
(guardando Giannino)
Non vedo mia madre.
DORINA E GIANNINO
Ed io cosa farò?
Non lo so, non lo so.
GIANNINO
(con tenerezza)
Dorina, mia cara.
DORINA
(mostrando di scacciarlo)
È morta mia madre.
GIANNINO
Ed io piangerò.
DORINA
(con tenerezza)
Giannino, mio caro.
GIANNINO
(mostrando di scacciarla)
È morto mio padre.
DORINA
Ed io creperò.
DORINA E GIANNINO
Crepare perché?
Rimedio non c'è.
Tu caro tesoro,
puoi darmi ristoro,
mi puoi consolar.
GIANNINO
Tu sarai la mia mammina.
DORINA
Tu sarai mio papà bello.
GIANNINO
Crudelaccia, malandrina.
DORINA
Furbacchiotto, ladroncello.
DORINA E GIANNINO
Tu m'hai fatto sospirar.
DORINA E GIANNINO
Non più dolore,
non più timore,
non più tormenti
s'han da provar.
Dolce riposo,
core amoroso,
sposi contenti
fa giubilar.
(partono)
Sala terrena.
Don Poppone e Falco.
POPPONE
No, non credo mai più, mai più a nessuno;
il conte e la contessa,
e poi la diavolessa,
l'oro che mi han carpito,
e cento baronate,
e quel che importa più, le bastonate?
FALCO
In quanto al conte Nastri, fu un errore.
Voi prendeste, signore,
un per quell'altro, e per quell'altro l'uno,
senza che in ciò colpa ne avesse alcuno.
Circa l'oro, che dite
dal diavolo rapito,
sarà restituito; e in quanto poi
al complimento delle bastonate,
basterà che una scusa riceviate.
POPPONE
La scusa non mi serve
per levarmi il dolor che ancora sento;
che mi rendano l'oro, e son contento.
FALCO
Ora verranno i maghi
a far l'operazione
per la restituzione.
POPPONE
No, non voglio;
piuttosto glielo dono.
FALCO
Non temete, signor, che amici sono.
Tutti.
DORINA E GIANNINO
Spiriti buoni,
qua comparite,
restituite
l'oro a chi va.
(vengono due giovani, che presentano a don Poppone le sue monete)
FALCO
Eccoli qua.
POPPONE
Grazie alla vostra
benignità.
DORINA, GIANNINO E FALCO
Contento siete?
L'oro fu reso.
Perdonerete
a chi v'ha offeso,
per carità.
POPPONE
Il ciel vi doni
felicità.
CONTESSA E CONTE
Da voi prendiam licenza.
Da voi facciam partenza.
POPPONE
Buon viaggio e sanità.
DORINA E GIANNINO
Voi siate testimonio
del nostro matrimonio
che qui da noi si fa.
(si toccano la mano)
POPPONE
(a Ghiandina)
Voglio sposarmi anch'io.
Vien qua, bell'idol mio.
GHIANDINA
Ghiandina a voi s'appressa.
GIANNINO
E con la diavolessa
Giannino s'unirà.
POPPONE
Tutto va bene.
Tutte le cose
sono aggiustate.
Le bastonate
chi pagherà?
TUTTI
Chi ha avuto ha avuto,
questo si tace.
Ciascun la pace
si goderà.
Liete già sono
serva e Contessa.
La diavolessa
lieta se n' va.
(partono)
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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